Vene varicose
Dr. Fulvio D'Angelo
Chirurgo Vascolare Medico Chirurgo, specialista in Angiologia e Chirurgia Vascolare Creato il: 29/06/2017 Ultimo aggiornamento: 21/09/2023Cos’è questo segno bluastro sulla gamba? Non fa male ma è brutto, prima non c’era. È un ematoma? È un segno di vecchiaia?
È semplicemente una varice. Una vena varicosa. Le varici sono delle alterazioni della struttura delle vene, che sono presenti nel nostro organismo. Precisamente, sono una dilatazione delle vene del sistema superficiale degli arti inferiori. In genere, sono caratterizzate dal fatto di avere, per il 95%, solo un significato estetico e, solo nel 5% dei casi, possono essere sintomatiche, cioè determinare una sintomatologia, vale a dire dei disturbi che possono essere soggettivi, ossia riferiti solo dal soggetto, oppure obiettivi, con alterazioni della cute e la formazione di dermatiti ed ulcere.
Il fatto che possano essere più visibili, cioè più voluminose, tuttavia non vuol dire che siano sicuramente espressione di una patologia. Un'attività sportiva intensa, infatti, può determinare una necessità di maggior afflusso ematico e, di conseguenza, anche di deflusso, cioè di maggior ritorno di sangue. Le vene stesse, di conseguenza, si presentano di volume aumentato. I ciclisti sono un caso emblematico: muscoli scattanti e vene evidenti. Assolutamente da non trattare, se non si vogliono avere dispiaceri importanti. In questo caso, anche il fatto di una cute particolarmente povera di sottocute favorisce una maggiore evidenziazione delle vene stesse. Fenomeno riscontrabile in uomini o anche donne, particolarmente magri negli arti inferiori.
Sono le donne che, più spesso, si rivolgono al medico per la presenza di questi inestetismi, che possono presentare sintomatologia più o meno spiccata. Il motivo è appunto determinato dal fatto che, trattandosi di un fattore estetico, le donne sono più attente a rilevare alterazioni della cute e della struttura fisica in genere. Bisogna però ammettere che, di recente, sono stati segnalati degli studi, che confermano la possibilità di una maggiore incidenza di sintomatologia soggettiva nelle donne. Questo perché le donne, in genere, presentano un pannicolo adiposo e sottocutaneo maggiore rispetto agli uomini. Questo pannicolo, essendo molto sensibile agli stimoli ormonali degli estrogeni e del cortisolo, tende ad assorbire liquido e a determinare una sintomatologia più accentuata. In conclusione, turbe ormonali, che sono fisiologiche nelle donne, associate ad una costituzione ricca di grasso e tessuto adiposo, in genere, determinano una maggiore sintomatologia soggettiva, che può, nel tempo, evolvere anche in espressioni di patologia obiettivabile.
Le donne, quindi, non hanno tutti i torti a lamentarsi di avere varici e disturbi. Al contrario, gli uomini, sia perché meno attenti e, talvolta più paurosi delle donne, trascurano quadri clinici pre-sintomatici e si presentano al medico quando sono evidenti alterazioni eclatanti, sia dal punto di vista anatomico (varici magnae) che da un punto di vista funzionale (evidenti discromie cutanee o ulcere trofiche invalidanti).
Se vogliamo fare riferimento a qualche dato statistico, possiamo riportare che, di questa patologia, ne è affetto tra il 10% e il 40% della popolazione, con una distribuzione di circa il 10-33% nelle donne e del 10-22% negli uomini. Per cui, basandosi sui dati della Letteratura Scientifica, secondo alcuni autori, vengono riferiti rapporti di un uomo ogni quattro donne oppure di uno a tre.
Al di là di caratteristiche costituzionali, legate al sesso, anche gli stili di vita e l'etnia influenzano la presenza o meno di varici degli arti inferiori. Alcune etnie africane ne sono assenti, come i Masai. In genere, in Africa, l’incidenza delle varici è del 5%, mentre, nei paesi occidentali a maggior sviluppo industriale, l’incidenza è del 15-50%, per gli uomini, e del 20-80%, per le donne. Naturalmente, stratificati nelle fasce d’età con minor incidenza, nelle fasce più giovani, e più elevata, nelle fasce più anziane.
Un dato significativo che conferma come lo stile di vita in genere, legato anche ovviamente all’alimentazione. È quanto riportato in uno studio degli anni '80, in cui si confrontava l’incidenza delle varici nella popolazione di colore degli Stati uniti con quella della regione della Liberia, da dove in genere provenivano i progenitori. Ebbene, nella popolazione Afro-americana, l’incidenza della patologia venosa era identica a quella bianca a discendenza europea, mentre, in Africa, l’incidenza restava ferma al 5% del resto del continente.
Cause
Le ipotesi sul determinismo delle varici sono molteplici, ma nessuna è accettata come unica o prevalente. Tra queste:
- ipotesi dell’incontinenza ostiale valvolare delle connessioni safeno femorali e safeno poplitee: è stata, nel passato, la più sostenuta ed accreditata anche perché un'alterazione emodinamica del flusso era la più evidente e facile da dimostrare e da rilevare. Oggi, però, ha meno sostenitori di un tempo;
- ipotesi dell’incontinenza delle valvole del circolo venoso profondo (iliaco – femorali), sostenuta dagli emodinamisti. Le metodiche ecocolordoppler hanno permesso lo studio atraumatico del circolo venoso profondo e, di conseguenza, la possibilità di valutare le patologie di questo distretto;
- ipotesi della Meipragia: la debolezza primitiva della parete venosa, per la diminuzione degli elementi elastici che costituiscono la parete stessa, con inversione del rapporto tra questi e le fibre connettivali. È questa la tesi che sta oggi prendendo maggior credito, anche grazie agli studi del microcircolo, attualmente possibili anche grazie a nuovi strumenti di indagine, come il microscopio elettronico.
Esistono fattori che favoriscono la malattia, alcuni legati alle caratteristiche intrinseche dell’individuo:
- la familiarità: la presenza di patologia negli ascendenti incrementa la possibilità di presenza della malattia nei discendenti;
- età: abbiamo già segnalato come, con il procedere dell’età, l’incremento della patologia varicosa sia maggiore;
- il sesso femminile: come già segnalato, il rapporto più favorevole è di 2:1, fino a 4:1 con gli uomini. Questo è legato, soprattutto, all’attività degli ormoni e alle gravidanze.
Altri fattori sono legati a condizioni acquisite:
- il peso corporeo (obesità): influenza lo sviluppo della patologia varicosa, aumentando la pressione nel distretto distale per le aumentate resistenze a livello addominale, dovute all’incremento della presenza del grasso retroperitoneale;
- la gravidanza, già segnalata perché legata al sesso, influenza lo sviluppo delle varici, esponenzialmente con il numero delle gravidanze stesse: più gravidanze, più varici a parità di età. La presenza del turbine ormonale, in corso della gravidanza, e il feto che cresce comporta un’aumentata pressione sulle vene iliache, incrementando la pressione endoaddominale.
Altri fattori sono legati a scelte della quotidianità:
- abitudini di vita: soprattutto la vita sedentaria, talune volte legata anche all’attività lavorativa (attività d’ufficio) oppure a pigrizia e indolenza;
- attività lavorative particolari: professioni che costringono a stare in posizione eretta ed immobile per molto tempo (come chirurghi, dentisti, parrucchieri, commessi etc.).
Altri fattori, infine, sono legati ad assunzione di farmaci o scelte di vita:
- farmaci estro-progestinici, per la loro attività sulla componente muscolare liscia e sul sistema endocrino, particolarmente corticosurrenale e tiroideo;
- dieta e fumo, influenzano indirettamente per l’aumento del peso, per carenza di elementi fondamentali nel metabolismo vascolare e per l’attività sul sistema contrattile della parete vascolare.
Sintomi
Ci sono sintomi che presentano una maggiore incidenza, variabile fra il 60/80% dei casi, quali:
- formicolio e prurito, sempre legati all’accumulo di cataboliti, sono i dati più caratteristici di un quadro varicoso sintomatico in fase iniziale, ma con caratteristiche di lento e progressivo peggioramento;
- sensazione di pesantezza alle gambe (ristagno del sangue nelle vene, aumento della ritenzione liquida nei tessuti, difficoltà di scambio intercellulare).
Altri sintomi hanno incidenza minore, dal 40 al 50%, quali:
- crampi notturni, sempre legato alla difficoltà di scambio cellulare ed all’accumulo di cataboliti tossici;
- bruciore, legato ad una sofferenza nevritica, è comune ad altre patologie degli arti, ma, se associato agli altri sintomi già segnalati, è indice di un quadro difficilmente reversibile, con la sola terapia medica;
- gonfiore (edema): il quadro di scompenso emodinamico, a questo punto, è evidente. Anche il microcircolo del sistema superficiale è in fase di compenso: siamo ad un passo dalle lesioni trofiche. Si innesca, a questo punto, una via senza ritorno, se non si incide decisamente su una correzione del reflusso safenico e dei suoi rami diretti ed indiretti.
I disturbi riferiti sono presenti, con maggiore incidenza, in estate, in quanto la temperatura più elevata e, soprattutto l’umidità, influiscono significativamente sulla stasi ematica e sulla difficoltà di un adeguato ritorno venoso. Esiste un ristagno ematico, con maggiore infiltrato del sottocute e scompenso del microcircolo ed accentuazione della ritenzione idrica. Le vene possono presentarsi più turgide, cioè più tese e dolenti (Flebodinia).
Nella donna, altre situazioni possono accentuare una sintomatologia e favorirne la comparsa, come il periodo mestruale e la gravidanza. Esiste poi una condizione particolare, che può aggravare la sintomatologia, in alcune donne con caratteristiche fisiche particolari: cioè il Lipedema. Tale situazione costituzionale, caratterizzata da una presenza abnorme di tessuto adiposo in corrispondenza dei glutei e delle cosce, aggrava lo stato di ritenzione idrica, per cui un quadro di modesta insufficienza venosa può determinare una stasi ematica, con ritenzione idrica particolarmente significativa e conseguenti disturbi soggettivi, che possono essere riferiti come eccessivi, in considerazione del quadro clinico vascolare, apparentemente modesto. Tale situazione anatomica collaterale, ma particolarmente invalidante, che si associa ad una patologia venosa, non va confusa con il Linfedema, altro quadro clinico che non si associa quasi mai con le varici.
Diagnosi
La diagnostica si basa sulla valutazione clinica, la classica semeiotica e sulle indagini strumentali di primo e secondo livello.
La valutazione clinica consiste in un esame del paziente in toto: considerando, oltre gli arti inferiori, anche l’addome e gli arti superiori. La presenza di varicosità o ectasie delle vene delle gambe non necessariamente è espressione di vene varicose primarie. Esistono soggetti che presentano varicosità evidenti agli arti superiori e, di conseguenza, possono presentare vene più dilatate anche agli arti inferiori, senza che queste siano espressione di patologia. Negli sportivi in genere, e particolarmente in atleti che impegnano gli arti inferiori (ciclisti, corridori, saltatori), si sviluppano come espressione di compenso, importanti ectasie venose, che non rivestono, ovviamente, significato patologico. Siamo in presenza di uno stato parafisiologico.
Varicosità addominali, a livello cutaneo, sono espressione di circoli collaterali di compenso per trombosi dei grossi vasi viscerali (Addome, iliache, vena porta) e le varici degli arti inferiori. Di conseguenza, possono essere manifestazione di compenso emodinamico, a seguito di trombosi degli assi profondi prossimali. È chiaro, a questo punto, come sia indispensabile un'accurata valutazione del soggetto, nel suo insieme, per poter poi programmare indagini strumentali specifiche, che spesso possono essere rivolte solo ad un arto o sezione del corpo.
Esistono, poi, indagini strumentali:
- di primo livello e, quindi, non invasive: nel passato, si basavano fondamentalmente sulla Pletismografica, ora relegata solo in ambito di studio del microcircolo. La comparsa degli ultrasuoni, in ambito medico, che risale alla fine degli anni '70, ci ha portato la diagnostica Doppler e, alla fine degli anni '80, la diagnostica Ecocolordoppler. Questo tipo di indagine ci permette una valutazione del circolo venoso profondo e superficiale degli arti e delle vene dell’addome. La valutazione è, però, limitata ai segmenti esplorati dalla sonda, per cui la composizione dell’insieme è determinata dalla correlazione dei singoli segmenti esplorati. In ogni caso, l’indagine ha una affidabilità del 98%, non è invasiva ed è ripetibile, quanto si vuole e quando è necessario;
- di secondo livello, ovvero le metodiche invasive: le più comuni sono la Flebografia, l’AngioTAC e l’Angio Risonanza Magnetica Nucleare.
Rischi
La più nota e conosciuta delle complicanze delle varici è la flebite. Meglio definita oggi Trombosi Venosa Superficiale (TVS). Tale complicanza si presenta, in corrispondenza del gavocciolo varicoso, come un indurimento, arrossamento della cute, caratterizzato da dolore sia spontaneo che secondario alla pressione. È una patologia da non sottovalutare, in quanto può giungere (nel 4% dei casi, se non trattati) a gravi complicanze, come l’embolia polmonare.
Meno note, ma molto più comuni, sono le lesioni trofiche a carico delle estremità, particolarmente in corrispondenza del segmento distale della gamba (terzo inferiore), sede di importanti comunicazioni, tra il circolo venoso profondo e quelle superficiale. Tale connessione, costituita dalle vene perforanti di Cockett, è la causa principale di alterazioni cutanee, che assumono caratteristiche di gravità progressiva con il passare del tempo. Negli stadi iniziali, le discromie cutanee, spesso, non vengono neppure considerate, sia da parte del paziente che da parte del medico di famiglia. Ragione per cui la malattia progredisce, sino a giungere ai quadri clinici più gravi. Il primo manifestarsi di una sofferenza cutanea vascolare è la presenza di capillari dilatati, in corrispondenza dei malleoli e delle caviglie (Corona Phlebectasica). A seguire, la cute può assumere un colorito ambrato, con il determinarsi di macchie brune (Pigmentazione ocra).
Gli Eczemi si manifestano come arrossamenti, più o meno estesi, con prurito e secrezione di liquido chiaro. Possono durare nel tempo e cronicizzarsi. Essendo spesso resistenti alle terapie locali, si associano ad altri quadri della patologia varicosa, come la pigmentazione cutanea. L’infiltrato cutaneo può espandersi nel sottocute, interessando anche il grasso, con indurimento dello strato di tessuto, determinando l’Ipodermite.
Quando poi il quadro di infiammazione (Flogosi) interessa anche gli strati più profondi, come la fascia muscolare e i muscoli stessi, si determinano calcificazioni più o meno estese e si determinerà il quadro di Lipodermosclerosi. La presenza di piccole macchie biancastre, sempre localizzate alle caviglie, in prossimità dei malleoli, espressione di ripetute lesioni cutanee, successivamente guarite, vengono definite come Atrofia Bianca di Millan. Infine, si giunge al quadro conclamato di Ulcera Trofica Vascolare. Sono queste soluzioni di continuo (le cosiddette “Fontanelle”) che, oltre a determinare dolore e necessità di cure assidue e prolungate, spesso presentano una cronicità con il permanere per mesi o anni. Oppure ripresentarsi ripetutamente, dopo un'apparente guarigione.
Non è da trascurare la possibilità di Varicoraggie (rottura di capillari esuberanti con fuoriuscita di sangue). Tale fenomeno non è particolarmente grave e facilmente controllabile (basta una modesta pressione per bloccare il flusso del sangue). Tuttavia, tale evenienza può determinare particolare disagio nel soggetto colpito, spesso anziano e magari solo.
Cure e Trattamenti
Riconosciamo cure di tipo farmacologico e funzionali, trattamenti invasivi chirurgici e sclerosanti.
Tra le cure distinguiamo:
- cure medico farmacologiche. Si basano sull’impiego di prodotti, sia naturali, derivati di estratti vitaminici, sia da prodotti chimici industriali. Nella maggior parte dei casi, si tratta di sostanze che fanno parte della famiglia degli integratori. Il principio su cui si basano i farmaci, utilizzati nell’insufficienza venosa secondaria alla patologia varicosa, è quello di migliorare il tono vascolare e la permeabilità capillare e, di conseguenza, favorire il ritorno venoso e di ridurre il danno infiammatorio dell’endotelio. I prodotti definiti Flebotonici comprendono i Bioflavonoidi (Diosmina, Esperidina, Antocianosidi, etc), caratterizzati dal miglioramento della sintomatologia, dovuto alla riduzione della risposta infiammatoria dell’endotelio. Utili nelle forme iniziali e meno complesse, in quanto agiscono sul ritorno venoso e sull’edema. I Glucosamminoglicani (eparansolfato e dermatansolfato), invece, inibiscono l’adesione piastrinica e leucocitaria, e sono maggiormente usati nelle forme più avanzate e croniche della malattia, soprattutto in presenza di lesioni cutanee. Agiscono riducendo la formazione di microtrombi nel circolo cutaneo e, di conseguenza, riducono stasi e dolore;
- cure medico funzionali o conservative-contenitive. Si basano sulla contenzione e compressione graduata degli arti, impiegando calze elastiche a compressione, appunto graduata, e bendaggi elastici (fissi e mobili). Tali presidi aiutano a compensare parzialmente l’insufficienza venosa (favorendo il ritorno di sangue verso il cuore). Questo provvedimento è il primo da instaurare, nel sospetto di una possibile patologia varicosa. Ma anche come criterio di salvaguardia preventivo, in presenza di particolari condizioni di vita o di lavoro.
Tra i trattamenti invasivi identifichiamo:
- trattamento sclerosante. La terapia sclerosante consiste nell’iniettare una sostanza irritante dentro vene e capillari, tramite siringa ed ago. Si determina così una flebite chimica, che favorisce l’ostruzione del vaso e la sua progressiva scomparsa, per assorbimento, della struttura, da parte dell’organismo. Il trattamento, nelle sue evoluzioni, è particolarmente antico: risale alla seconda metà dell’Ottocento, anche se la codificazione della metodica è degli anni Trenta del Novecento, nella forma tradizionale liquida. Nella forma più recente di schiuma, secondo il metodo Tessari, la proposta di codifica è della fine anni Novanta del secolo scorso. L’esperienza del medico è fondamentale e i risultati sono sicuramente interessanti, con buon esito clinico dell’80% circa dei casi. Il trattamento sclerosante consente di trattare capillari e venule, in soluzione liquida e vasi di maggior calibro, con la schiuma. In questo caso, l’esperienza dell’operatore è fondamentale per un buon esito del trattamento. Vantaggi e svantaggi vanno analizzati insieme al medico operatore e devono essere ben esplicati prima di iniziare il trattamento stesso. La metodica proposta come TRAP è, in sostanza, una scleroterapia a bassa concentrazione di farmaco, che raggiunge risultati accettabili nel breve periodo, ma che fallisce sul lungo periodo, non basandosi su criteri oggettivi di studio emodinamico, ma su un empirismo di facile attuazione. In genere, è proposta da medici estetici, non viene utilizzata da flebologi esperti, che preferiscono praticare la terapia sclerosante classica, nelle sue forme sia liquida che in schiuma;
- trattamento chirurgico tradizionale. Consiste nell’asportazione completa del vaso, e viene praticata sia per la safena che per i suoi collaterali. La Safenectomia radicale o parziale è la metodica che riguarda la safena, la varicectomia o flebectomia è il trattamento dei collaterali. La safenectomia rimane il trattamento chirurgico classico. In Italia, molto diffuso sino a qualche anno fa, è stato ampiamente sostituito da metodiche innovative ed alternative, come le tecniche endovascolari o le forme miste chirurgiche e sclerosanti (REFOS). La CHIVA è un trattamento emodinamico, che si basa su legature segmentarie della safena, presuppone uno studio ecocolordoppler accurato e una lunga esperienza chirurgica nella metodica. I risultati a distanza non sono giudicati con criterio unanime positivi. L’avere una vena in meno non crea alcun problema alle gambe del paziente, perché il circolo venoso profondo e, in parte, il circolo venoso superficiale residuo sano riescono a drenare efficacemente il sangue, anche dalle zone normalmente drenate dalle safene. Inoltre, se l’indicazione chirurgica è corretta, viene eliminata una vena o un segmento di essa, che si presenta patologica, cioè non funzionante in modo corretto e, quindi, l’asportazione della stessa migliora il circolo venoso ed il trofismo cutaneo, non determinando alcun disturbo e conseguenza. Se questo dovesse invece presentarsi, vuol dire che vi è stato un errore di indicazione chirurgica o di trattamento. La chirurgia della safena è eseguita in anestesia spinale o locale, associata a sedazione. La flebectomia viene, invece, eseguita in genere in anestesia locale, senza supporto di sedazione, se non molto blando;
- trattamento chirurgico endovascolare. La possibilità di trattare le varici, in modo meno invasivo e con miglior conforto, sia durante l’intervento stesso che soprattutto nel post-operatorio, ha spinto a cercare ulteriori tecniche chirurgiche. Soprattutto per eliminare in qualche modo il segmento di coscia della safena, in quanto i collaterali si possono agevolmente trattare in un secondo momento con terapia sclerosante. Si sono così sviluppate la Radiofrequenza e il Trattamento Laser. Entrambe le metodiche si basano sulla capacità del calore, per la radiofrequenza, e luce calda, per il Laser di interferire sulla parete ed endotelio della vena, denaturano le proteine del collageno ed ostruendo così la vena (analogamente al trattamento sclerosante): la vena resta in sede, ma chiusa e, nel tempo, viene riassorbita dall’organismo;
- trattamento con la colla. Di recente, è stato proposto una soluzione innovativa e praticamente atraumatica (non è necessario un supporto di anestesia, in quanto il trattamento è indolore). Consiste nell’uso di una sostanza acrilica, che, iniettata, consente di occludere completamente la safena. Si incannula la safena stessa e si inietta questa sostanza, facendo in modo che si disponga lungo il segmento di safena individuata come patologica. Al momento, non ha avuto grande consenso, in considerazione dei costi della sostanza (variabile fra i 500 e i 900 euro), non compatibili con i rimborsi regionali. Inoltre, l’esperienza non ha un controllo di risultato sul lungo periodo ed i medici che la praticano sono pochi e svolgono la propria attività in ambito esclusivamente privatistico. In ogni caso, la proposta è interessante e, se i controlli a distanza e le condizioni economiche dovessero cambiare, potrebbe essere una soluzione ottimale per il trattamento invasivo delle varici. Il paziente può riprendere la vita abitudinale entro 24/48 ore. Naturalmente, spesso dovrà completare il trattamento dei collaterali con terapia sclerosante e dovrà, come è ovvio, eseguire un monitoraggio di controllo annuale. Ma tale provvedimento si esplica per tutti i trattamenti invasivi, in quanto non esiste un trattamento risolutivo. Le varici hanno una evoluzione nel tempo, si trattano le vene patologiche presenti in quel momento, non quelle che potranno diventarle in futuro.
Bibliografia
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- The 2022 Society for Vascular Surgery, American Venous Forum, and American Vein and Lymphatic Society clinical practice guidelines for the management of varicose veins of the lower extremities. Part I. Duplex Scanning and Treatment of Superficial Truncal Reflux: Endorsed by the Society for Vascular Medicine and the International Union of Phlebology. Gloviczki P, Lawrence PF, Wasan SM, Meissner MH, Almeida J, Brown KR, Bush RL, Di Iorio M, Fish J, Fukaya E, Gloviczki ML, Hingorani A, Jayaraj A, Kolluri R, Murad MH, Obi AT, Ozsvath KJ, Singh MJ, Vayuvegula S, Welch HJ. Meta-Analysis. J Vasc Surg Venous Lymphat Disord 2023 Mar;11(2):231-261.e6. doi: 10.1016/j.jvsv.2022.09.004. Epub 2022 Oct 12.
- Chirurgia delle vene e dei linfatici. Giuseppe Genovese Masson 2003.
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