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Disturbi della memoria

Dr. Mauro Colangelo

Dr. Mauro Colangelo

Neurochirurgo Medico Chirurgo, specialista in Neurologia ed in Neurochirurgia Creato il: 08/07/2017 Ultimo aggiornamento: 26/09/2023

Il disturbo della memoria è un disturbo presente e, particolarmente comune, tra gli anziani. Può essere presente, tuttavia, anche tra persone più giovani.

I pazienti o i loro familiari spesso si preoccupano che questo disturbo possa preannunciare il quadro del declino cognitivo, essendo questo il più precoce e tipico segno di demenza. Tuttavia, la perdita di memoria è presente in molti tipi di patologie (traumatiche, infettive, tossiche, vascolari, degenerative, metaboliche) e consiste in una riduzione, più o meno grave, della capacità di apprendere e ricordare informazioni ed avvenimenti immagazzinati in precedenza.

Le manifestazioni maggiormente ricorrenti e più precoci, relativamente alla perdita di memoria, riguardano in genere la difficoltà nel rammentare i nomi o anche dove era stato posto un oggetto di uso comune.

Per comprenderne meglio i disturbi è necessaria una premessa sulla definizione e sul meccanismo di funzionamento della memoria.  

Quando parliamo di memoria, ci riferiamo alla capacità del cervello di immagazzinare informazioni. Dopo essere state apprese, durante un’esperienza o per via sensoriale, i dati vengono trattenuti e richiamati, sotto forma di ricordo. Tale capacità di apprendimento e immagazzinamento, permette la conoscenza, da cui dipendono tutte le nostre azioni soggettive e condotte sociali.  

Il criterio di classificazione della memoria, largamente diffuso, si basa sulla durata della ritenzione del ricordo, identificandone tre tipi differenti:

  • la memoria a breve termine: si tratta di quella parte di memoria che è ritenuta in grado di custodire una piccola quantità di dati, chiamata span (tra i 5 e i 9 elementi), per una durata di circa 20 secondi. Gli psicologi cognitivi, al giorno d’oggi, prediligono chiamarla memoria di lavoro;
  • la memoria a lungo termine: è in grado di immagazzinare una quantità enorme, ma non infinita, di nozioni. Essa viene divisa, a sua volta, in memoria semantica, ossia relativa alla comprensione del linguaggio, in memoria episodica, associata agli eventi, nonché in memoria procedurale, collegata alle azioni e procedure che servono per svolgere comportamenti complessi;
  • la memoria sensoriale: custodisce, per una breve durata, pari a pochi secondi o millisecondi, informazioni di carattere uditivo. In questo caso, si parla di memoria ecoica. Tale memoria è in grado, inoltre, di custodire anche nozioni di tipo visivo (in tal caso, si parla di memoria iconica, nonché di carattere tattile, olfattivo e gustativo.

I processi mnemonici, dal punto di vista neurofisiologico, si manifestano grazie alla modifica, indotta dal segnale, delle connessioni sinaptiche di una specifica rete neuronale, il cui il mediatore è il Glutammato, dapprima nell’ippocampo (che codifica le informazioni) e poi nella corteccia cerebrale (dove i dati vengono definitivamente conservati).

L’amigdala riveste un ruolo importante nel modellamento e nella conservazione della memoria, in quanto si tratta dell’organo che ha il compito di conferire una colorazione emozionale ed affettiva ai ricordi. L’IGF-1 (insulin-like growth factor) o somatomedina è fondamentale per immagazzinare i ricordi, e farli rimanere più a lungo, stimolando le connessioni inter-neuronali e migliorando, quindi, la memoria.

In base a quanto enunciato, si comprende che il sistema limbico, di cui fanno parte ippocampo ed amigdala, svolge un ruolo fondamentale per quanto concerne il mantenimento della memoria. Il suo funzionamento consiste nel:

  • registrare continuamente, sia eventi che esperienze;
  • codificare le informazioni ricevute;
  • recuperare le informazioni archiviate.

Se, una di queste tre fasi, dovesse risultare alterata, si assisterebbe alla comparsa di un disturbo della memoria.

Disturbi della memoria

Cause Cause

Un disturbo delle funzioni che regolano la memoria, si può manifestare in varie lesioni che disconnettono il circuito tra l’ippocampo, i nuclei della base ed i lobi frontali. Esse sono causate da numerose malattie cerebrali. Tra queste, le principali, per rilevanza clinica, sono rappresentate da: 

  • il morbo di Parkinson
  • la sclerosi multipla; 
  • il morbo di Alzheimer;  
  • altre demenze corticali e sottocorticali; 
  • in seguito ad una lesione cerebrale traumatica.
L’entità del disturbo dipende dalla sede, dall’estensione e dall’eventuale irreversibilità della lesione. Altre possibili cause possono essere:
 
  • un trauma psicologico accaduto anche durante l’infanzia (l’oblio, secondo la teoria psicoanalitica di S. Freud);
  • l’ipossia;
  • i disturbi derivanti dall’assunzione di elevate quantità di alcool (Sindrome di Korsakoff); dalla mancanza di tiamina (vitamina B1), come nell’encefalopatia di Wernicke.

Tra i fattori causali, troviamo anche l’avanzare dell’età, con il deterioramento cognito lieve. Ciò comporta danni alle facoltà mnemoniche, rendendo difficile ricordare, innanzitutto, i nomi delle persone.

Va sottolineato anche come il disturbo della memoria è comune anche in quelle persone che presentano disturbi dell’umore, quali:

Nei pazienti affetti da depressione, i problemi relativi l’attenzione e la memoria si palesano non soltanto nella fase di calo dell’umore, ma anche durante la scomparsa dei sintomi. Lo stato di ansia, associata alla propria salute, può accentuare difficoltà di memoria e concentrazione, alimentate dal senso di impotenza rispetto alle difficoltà cognitive, percepite come gravose e patologiche.

Ogni giorno, mediante i nostri sensi, il cervello riceve grandi quantità di segnali, di genere differente. Di questi, non sempre ne siamo consapevoli, in quanto, la maggior parte di essi, non lascia neppure traccia. Se un individuo è affetto da presbiacusia, ovvero una riduzione dell’udito, legata all’avanzamento dell’età, e si presenta con il non sentire suoni ad alta frequenza, può presentare problemi nell’ascoltare la voce altrui. Le persone che presentano questo disturbo sembrano smemorati, ma, in realtà, il loro problema reale è rappresentato dall’assenza di informazioni corrette. Al tempo stesso, anche i disturbi relativi alla vista possono comportare, anche se non in maniera diretta, deficit a carico della memoria. 

In conclusione, alcune difficoltà di tipo cognitivo, relativamente la memoria e l’attenzione, rientrano in alcuni quadri definiti funzionali. Tra questi, la fibromialgia e la sindrome da fatica cronica.

Sintomi Sintomi

In generale, quando si instaura un disturbo della memoria di fissazione, i nuovi ricordi non riescono a fissarsi e sostituire per aggiornamento i vecchi. Quando si presenta, invece, un disturbo della memoria di rievocazione, non è possibile far tornare alla mente i vecchi ricordi. Tutti i ricordi, così, vengono aggiornati in continuazione. Nei casi più gravi, si può arrivare anche alla scomparsa della percezione del proprio passato.

La perdita della memoria viene denominata amnesia, e può essere suddivisa in:

  • anterograda: quando non si può più né apprendere e né ricordare dopo l’evento lesivo;
  • retrograda: quando la memoria, relativa a un arco temporale variabile prima della lesione, viene cancellata. Solitamente, si verifica nei casi di trauma cranico – encefalico moderato o severo. Per questo motivo, il diretto interessato non ricorderà l’evento traumatico, né le modalità con cui è avvenuto.

Abbiamo poi l’amnesia lacunare. In questo caso, ci si riferisce ad una perdita di memoria relativa soltanto ad un breve periodo. Generalmente, si tratta di un arco temporale di ore o, al massimo, di giorni. In tale situazione, il paziente non è in grado di ricordare quanto accaduto. Si differenzia dall’amnesia retrograda, che causa invece la perdita di memoria di tutto il passato del paziente. Se l’amnesia anterograda è associata all’amnesia retrograda, si parla anche di amnesia globale.

L’amnesia, inoltre, può essere di tipo:

  • transitoria: è il caso di un evento traumatico, con successivo ripristino della normale funzionalità mnemonica; 
  • stabile: se è provocata da un evento morboso grave, quale potrebbe essere un arresto cardiaco; 
  • progressiva: quando viene riscontrata in malattie degenerative, quale la malattia di Alzheimer.

Tra gli altri disturbi della memoria, troviamo anche:

  • la paramnesia, ovvero la falsificazione della memoria mediante un ricordo distorto;
  • l’ipermnesia o ipertimesia: si verifica in quelle situazioni in cui si ha una esagerata memoria autobiografica, tale da permettere il ricordo di gran parte degli eventi vissuti nella propria vita;
  • l’allomnesia, che rappresenta i ricordi falsati, sia dal punto di vista dello spazio che del tempo, a causa di un errore di locazione;
  • l’ecmnesia: rappresenta un disturbo della memoria, di tipo allucinatorio. In questa situazione, alcuni soggetti trasformano i ricordi del passato in esperienze attuali. Il passato, quindi, si presenta come se fosse un momento attuale;
  • la rimozione. Con questo termine si intende la dimenticanza inconsapevole di eventi ritenuti inaccettabili. Frequentemente, alla rimozione è associato il ricordo paravento (o ricordo di copertura). Si tratta di un ricordo che, consciamente, può essere tollerato, ma che nasconde, inconsciamente, un evento traumatico;
  • l’immagine eidetica, ovvero un ricordo visivo, vissuto talmente vividamente, tanto da sembrare un’allucinazione;
  • la letologia, con cui si intende una momentanea incapacità di ricordare un nome proprio o di un oggetto;
  • la disnomia: rappresenta la difficoltà o incapacità a ricordare la parola corretta, quando è necessaria. Si presenta in quei pazienti confusi, isterici. Può verificarsi anche in casi di epilessia temporale e nelle persone intossicate dall’assunzione di allucinogeni;
  • il lapsus memoriae, spesso legato a confusioni temporanee o a vuoti di memoria e, quindi, all’affiorare di pensieri dall’inconscio e dal subconscio.

Diagnosi Diagnosi

Quando il disturbo della memoria inizia ad essere ripetuto, presentando un’intensità tale da generare un disagio crescente, è necessario richiedere una visita neurologica, anche quando tale condizione non inficia lo svolgimento autonomo delle attività quotidiane.

Il primo passo per una diagnosi è rappresentato dalla valutazione dello stato neurologico del paziente. Vengono analizzati, quindi:

  • livello di coscienza e di attenzione;
  • integrità dell’eloquio;
  • integrità della capacità di lettura e scrittura;
  • altro ancora.

Dopo questa valutazione, seguirà un accurato esame dello stato psicologico, in modo da escludere che l’individuo si trovi in una situazione momentanea di demotivazione personale o di depressione. Si tratta, infatti, di fattori che, come risaputo, incidono sul livello di attenzione del paziente. Questi potrebbero portare alla conclusione, sbagliata, di attribuire un deficit di memoria a un disturbo cognitivo.

Successivamente, si procede con la somministrazione di test neuropsicologici. Questi sono in grado di permettere una valutazione quantitativa del disturbo di memoria, poiché il paziente può minimizzare, o addirittura negare, l’esistenza di problemi mnesici o, al contrario, sovrastimare dimenticanze, anche modeste, che si verificano nel corso delle attività giornaliera. Il risultato dei test è espresso da un punteggio, che indica di quanto le prestazioni del paziente si discostino da quelle rilevate su campioni di controllo, con caratteristiche analoghe di età, sesso e scolarità.

I test della memoria a breve termine (MBT) sono finalizzati a definire la massima capacità di immagazzinamento (Span) di materiale nella memoria a breve termine. Troviamo:

  • digit span (in versione Forward e Backward): il paziente è chiamato a ripetere delle coppie di sequenze di cifre (in avanti nel Forward o a rovescio nel Backward) nello stesso ordine in cui vengono pronunciate dall’esaminatore. L’89% dei soggetti normali ha uno span fra 5 e 8. Uno span di 4 è considerato borderline, mentre 3 è nettamente deficitario;
  • test di Corsi: si propone, toccando con l’indice, una sequenza standard di lunghezza crescente di cubetti numerati. Appena conclusa la dimostrazione, viene chiesto alla persona di replicarla. Il test permette la misura dello span di memoria visuo-spaziale, il cui valore di punteggio medio è uguale a 5, su un campione di 321 soggetti italiani.  
I test della memoria a lungo termine (MLT) servono per valutare la capacità dei processi di analisi ed elaborazione dell’informazione assunta in MBT, per l’immagazzinamento nella MLT. Abbiamo così:
 
  • memoria di prosa: l’esaminatore legge un breve racconto, chiedendo al paziente di ripeterlo. Successivamente, viene letto una seconda volta e, nuovamente, viene chiesa una ripetizione. Il punteggio massimo per ogni rievocazione è 8. Il punteggio grezzo viene paragonato con i valori medi e le deviazioni standard; 
  • test del breve racconto: viene somministrato in maniera simile alla precedente. La differenza, però, sta nel fatto che è riferito ad un episodio di cronaca, che viene letto dall’esaminatore. In questo test, sono presenti differenze tra i punteggi medi, in base all’età e al livello di scolarità della persona, e, inoltre, sono significativamente diversi fra maschi e femmine;  
  • coppie di parole: l’esaminatore pronuncia delle parole, che il soggetto deve ripetere nello stesso ordine. Se il paziente ripete, in maniera corretta, almeno 2 stringhe su 3, si passa alla stringa più lunga. Lo span è rappresentato dalla serie più lunga, per la quale sono state ripetute correttamente almeno due stringhe;  
  • la memoria episodica recente: vengono fatti vedere tre oggetti di uso comune, che saranno poi nascosti in altrettanti posti differenti. Dopo 10-15 minuti, all'individuo è chiesto quali oggetti sono stati nascosti e dove; 
  • Mini Mental State Examination (Folstein et al, 1975): si tratta del test di maggior utilizzo per la valutazione dei disturbi dell’efficienza intellettiva. Esso, infatti, è in grado di restituire un quadro del livello cognitivo globale del soggetto (con questa espressione, ci si riferisce all’orientamento spazio-temporale, alla memoria a breve termine, alla memoria di lavoro, al linguaggio e alle abilità prassico-costruttive). Il punteggio totale è compreso fra un minimo di 0 ed un massimo di 30. Punteggi particolarmente bassi al MMSE (0 e 18) indicano un deterioramento cognitivo grave. Un punteggio compreso fra 18 e 23, invece, sta a significare una compromissione fra moderata e lieve. Un punteggio pari a 26, infine, viene ritenuto borderline.

Nel caso in cui la valutazione neuropsicologica mostra un coinvolgimento significativo dei processi di fissazione e di rievocazione mnemonica, si impone il ricorso ad indagini strumentali. Queste sono finalizzate sia ad escludere possibili cause organiche dei sintomi cognitivi, che valutare il grado di compromissione cerebrale. A questo proposito, è importante l’aiuto del Neuroimaging, fornito dalla:

  • TAC (Tomografia Assiale Computerizzata), utile per misurare lo spessore degli emisferi cerebrali;
  • la Risonanza Magnetica funzionale dell’encefalo (RMf), ancor più utile, perchè consente di ottenere un’immagine della struttura del cervello molto particolareggiata, includendo la perdita progressiva di materia grigia nel cervello, dal “mild cognitive impairment” fino alla malattia di Alzheimer conclamata;
  • la Tomografia ad Emissione di Positroni (PET), di notevole importanza. Può essere effettuata con 18-fluoro-desossiglucosio e ciò permette di valutare la distribuzione e l’utilizzo corticale del glucosio (ridotto nei pazienti affetti dalla m. di Alzheimer). Può essere eseguita, tuttavia, anche con flutametamolo, in modo da ricercare la presenza di beta-amiloide nel cervello, marker della malattia di Alzheimer.

Per concludere il discorso relativo al profilo diagnostico della valutazione globale del soggetto che presenta disturbo della memoria, vanno menzionati anche i test ematici, utili per determinare il ferro, la glicemia, le vitamine, il colesterolo e altro ancora.

Rischi Rischi

Quando, dopo i sessanta anni, si manifesta una forma di deficit della memoria e dell’apprendimento (cosiddetto declino cognitivo lieve), seppur non particolarmente grave, è altamente consigliato richiedere una valutazione neuropsicologica.

Lo scopo è quello di individuare un eventuale bisogno di trattare il problema precocemente, in quanto potrebbero aumentare le possibilità di sviluppare, negli anni a venire, il morbo di Alzheimer.                                                        

Cure e Trattamenti Cure e Trattamenti

Da quanto finora enunciato, si capisce quanto sia importante identificare le cause del disturbo, in modo da individuare gli interventi terapeutici maggiormente opportuni.

Nei casi in cui venga riscontrata una situazione contraddistinta da ansia o depressione, come fattore rilevante in associazione alle difficoltà cognitive, il paziente dovrà essere trattato con una terapia farmacologica adeguata. Eventualmente, potrebbe essere affiancato anche un percorso psicoterapico. Considerando l’impatto che alcuni farmaci psicotropi possono avere sulle prestazioni cognitive, verrà prestata particolare attenzione alla scelta del farmaco più idoneo.

In casi di comorbilità, quali possono essere l'ipertensione arteriosa, il diabete mellito, le dislipidemie, le cardiopatie, la presbiacusia, si procederà nel modo più opportuno, al fine di tenerli sotto controllo. Alla stessa maniera, bisognerà correggere gli stili di vita sbagliati, allo scopo di minimizzare il rischio del declino cognitivo. È risaputo, infatti, che i più efficaci fattori protettivi comprendono:

  • costante attività intellettiva;
  • regolare igiene di vita;
  • adeguata attività fisica.

In relazione alla farmacoterapia convenzionale va specificato che che non esistono farmaci “nootropi” miracolosi per la memoria. L’utilizzo di alcune vitamine (in particolare, la vitamina E) ed i preparati donatori di colina hanno dimostrato effetti positivi nel contrastare l’evoluzione dei sintomi, limitando lo sviluppo delle alterazioni patologiche cerebrali, che accompagnano il decadimento cognitivo.

L’omotaurina, trovata inizialmente nelle alghe marine ed attualmente prodotta per via sintetica, ha dato prova di essere in grado di proteggere il cervello dall’invecchiamento e di migliorare la funzionalità della memoria, impedendo la formazione di aggregati fibrillari neurotossici. Si tratta di una molecola, associata ad un buon profilo di sicurezza e tollerabilità, che ha mostrato di esercitare benefici effetti cognitivi, statisticamente significativi, in particolare nei domini ADAS-cog della memoria, delle abilità di pianificazione ed esecuzione e delle abilità verbali, in una sottopopolazione omogenea APOE4+ dello studio ALPHASE.

Molti studi sono stati effettuati sulla capacità del ginkgo biloba di migliorare le funzioni cognitive e la memoria. L'attività antiossidante del ginkgo è attribuibile ai flavonoidi e ai derivati terpenici (ginkgolidi e lattoni sesquiterpenici) in esso contenuti. Queste molecole, infatti, oltre a prevenire la perossidazione lipidica, esplicano anche un'azione di "spazzini" dei radicali liberi (free radical scavenger).

Attualmente, per la prevenzione della malattia di Alzheimer e delle altre demenze, ci si orienta maggiormente sull’individuazione di fattori di rischio e sull’adozione precoce di fattori protettivi per il declino cognitivo, tra cui: 

  • controllo della dieta;
  • aumento dell’attività fisica;
  • aumento dell’esercizio mentale.

Ci si basa, inoltre, anche sulla prevenzione medica di comorbidità:

  • controllo dell’ipertensione;
  • controllo del diabete;
  • o anche il controllo della dislipidemia.

In chiusura, il trattamento attuale dei disturbi di memoria prevede, in primis, misure preventive e una strategia terapeutica combinata, con utilizzo di farmaci e programmi di riabilitazione cognitiva per il rinforzo della memoria. I risultati migliori sono raggiunti in quei pazienti che non presentano forme avanzate.

Anche la terapia occupazionale, che viene messa in campo coinvolgendo il paziente in attività intellettive, sociali e ricreazionali, ha dato prova di ritardare il declino cognitivo e migliorare le attività quotidiane, mediante il supporto di figure professionali, con competenze specifiche in questo ambito.

Per ultimo, non sarà mai abbastanza sottolineare l’importanza del discorso sul valore dell’alimentazione. Questa deve essere soprattutto moderata: i pasti abbondanti, infatti, diminuiscono le prestazioni intellettive e l’efficienza mnemonica. Al contrario, dovrà essere ricca di sostanze che hanno dimostrato di favorire le funzioni cognitive, tra cui gli alimenti ricchi di: 

  • fosfolipidi (lecitina);
  • fibre;
  • minerali (soprattutto ferro e zinco);
  • vitamine (in particolare acido folico, betacarotene e vitamina C);
  • antiossidanti (polifenoli, bioflavonoidi, antociani), contenuti in larga parte in frutta e verdura e tè verde.

L’alimentazione, inoltre, deve prevedere alimenti a basso contenuto di grassi saturi (pensiamo alle carni grasse, formaggi e prodotti di origine animale in genere) e di colesterolo. Al contrario, dovrà essere ricca, invece, di grassi insaturi, contenuti nelle:

  • noci;
  • pesci grassi;
  • oli vegetali, come quello extra-vergine d’oliva o di girasole.

Bibliografia

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