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Morbo di Alzheimer

Dr. Aldo Ruocco

Dr. Aldo Ruocco

Neurologo Medico Chirurgo, specialista in Neurologia - Omeopata Creato il: 29/06/2017 Ultimo aggiornamento: 15/11/2023

Il Morbo di Alzheimer è una demenza cognitiva, che si caratterizza per la presenza, a livello cerebrale, di placche senili, dovute all’accumulo patologico della sostanza amiloide (“beta-amiloide” - Aβ42) e/o ammassi neurofibrillari di una proteina.

Le zone più interessate sono quelle:

  • ippocampali;
  • paraippocampali (sede della memoria);
  • l’area tegmentale ventrale;
  • in modo minore, quelle del precuneo e del cingolo posteriore.

La formazione dell'ippocampo è ritenuta importante per aiutare altre parti del cervello ad estrarre conoscenza generalizzata dalle esperienze personali. Si tratta di una condizione patologica che si contraddistingue per la perdita di una o più funzioni cognitive, quali:

  • apprendimento;
  • memoria;
  • linguaggio;
  • funzioni esecutive;
  • funzioni percettivo-motorie
  • attenzione e cognizione sociale.

Esse ci permettono di percepire il mondo intorno a noi e di relazionarci con gli altri.

Morbo di Alzheimer

Cause Cause

I disturbi della memoria sarebbero da ascrivere all’incapacità, dopo l'apprendimento, dell'accoppiamento tra due regioni cerebrali importanti per l'apprendimento e la memoria: l'ippocampo e la corteccia parietale.

L’area tegmentale ventrale (ATV), sembra essere la prima zona colpita, caratterizzata da una scarsa produzione di Dopamina, da parte di ippocampo e Nucleo accumbes. I neuroni dell’ippocampo non presentano segni di sofferenza, ma sono carenti di Dopamina. Il nucleo accumbens non avrebbe la capacità di modulare l’aspetto psicologico del comportamento, con perdita della motivazione (depressione che anticipa la perdita della memoria).

Per fattori genetici, ambientali e autoimmuni, una proteina di membrana, necessaria alla vitalità dei neuroni, con funzioni di collegamento intercellulare e di riparazione dei neuroni danneggiati, smette di avere funzioni fisiologiche e si trasforma in un derivato neurotossico (beta-amiloide-Tau) che si accumula nel cervello senza essere smaltito, “soffocando” i neuroni.

Quando la beta-amiloide distrugge sinapsi e neuroni, le cellule nervose producono nuove quantità di questa proteina i cui frammenti tendono a depositarsi in aggregati fibrillari tossici che si trasformano in placche di beta-amiloide. Le placche di amiloide innescano un processo reattivo infiammatorio mediato da astrociti e microglia con attivazione di una risposta immunitaria con richiamo di neutrofili e macrofagi, produzione di citochine infiammatorie e danneggiamento dei neuroni.

La persistenza dell’infiammazione cronica sistemica di bassa intensità (low grade chronic sistemic inflammation), è dovuta all’up-regulation dell’interleuchina-6 (IL-6), per un’insufficiente attività dell’interleuchina10 (IL-10) e della TGF-beta1. Le placche di beta-amiloide vengono “rinforzate” dall’aggiunta di altre proteine anomale (T-tau e P-tau).

Livelli normali di beta-amiloide-Aβ42, sono presenti in individui sani e in soggetti affetti da patologie neuro-degenerative, legate all'invecchiamento o alla depressione. Nei soggetti con AD (Morbo di Alzheimer), sono stati rilevati livelli inferiori di questi peptidi-Aβ42 nel liquor, dovuta ad una loro maggiore deposizione nelle placche cerebrali.

La degenerazione colpisce neuroni colinergici, con alterazione delle comunicazioni e delle funzioni complesse di memoria e ragionamento. Il decadimento cognitivo, legato alla malattia di Alzheimer, dipende da una degenerazione dell’ippocampo, per mancanza di dopamina, che non arriva nella quantità giusta dall’area tegmentale ventrale.

Sintomi Sintomi

Il principale sintomo è il disturbo della memoria, che può essere:

  • quotidiano;
  • prospettico (organizzazione del futuro);
  • episodico retrogrado (eventi del passato);
  • semantico (conoscenze acquisite);
  • procedurale (esecuzione automatica delle azioni);
  • disorientamento temporo/spaziale.
Tra gli ulteriori sintomi, tipici del Morbo di Alzheimer, troviamo:
 
  • disturbo del linguaggio, che si caratterizza per una riduzione del numero di parole utilizzate, con tendenza a semplificare il linguaggio;
  • diminuzione della capacità di giudizio, con difficoltà nell’affrontare nuovi problemi o compiti;
  • disturbi del pensiero astratto: difficoltà nel fare calcoli o esprimere un concetto complesso, tendenza alla semplificazione dei concetti;
  • riduzione di interessi: verso le quotidiane occupazioni, trascuratezza della propria persona e mancanza di iniziativa;
  • alterazione dell’umore: stati d’animo di tristezza e/o euforia si alternano, senza motivazioni apparenti;
  • modificazioni del comportamento: la persona può diventare ossessiva, sospettosa, afflitta da paure irragionevoli. Può avere comportamenti inopportuni ed inusuali e presentare modificazioni delle abitudini alimentari.

Diagnosi Diagnosi

Lo specialista, per eseguire una diagnosi, si basa sui seguenti criteri diagnostici:

  • anamnesi dettagliata: utile per conoscere la storia clinica e personale del paziente;
  • esame obiettivo neurologico;
  • valutazione neuropsicologica del quadro cognitivo /comportamentale;
  • esami strumentali morfologici (R.M.N.), in grado di valutare la volumetria dell’ippocampo;
  • dosaggio dei biomarcatori (tau e beta-amiloide), ottenibili mediante puntura lombare;
  • PET/CT cerebrale con radiofarmaco fluorodesossiglucosio (18F-FDG), analogo marcato del glucosio, che attraversa la barriera emato-encefalica e permette di evidenziare in modo efficace il metabolismo glucidico cerebrale, la degenerazione sinaptica, l’attività metabolica del cervello e il suo stato infiammatorio. Questo esame permette una diagnosi precoce di demenza (MCI), nonché una diagnosi differenziale delle demenze, tra la malattia di Alzheimer e una demenza fronto-temporale;
  • PET amiloide (Tomografia a emissione di Positroni): dopo la somministrazione di un mezzo di contrasto, (F18-Florbetapir) che si lega alle placche. Evidenzia la presenza delle placche di amiloide.

Rischi Rischi

I fattori di rischio per Malattia di Alzheimer (AD) possono essere distinti in fattori modificabili e non modificabili.

Il principale fattore di rischio è l’età. La prevalenza della patologia, infatti, aumenta intorno ai 60 anni. Anche il sesso femminile è riconosciuto come un fattore di rischio per lo sviluppo della malattia. Altro fattore importante è la genetica: il fattore genetico più conosciuto è l’allele ε4 dell’apolipoproteina E (APOE).

Importante è lo stile di vita, con abitudini e/o condizioni patologiche che possono rappresentare fattori di rischio, tra questi:

  • consumo di sigaretta;
  • assunzione di alcool;
  • alimentazione;
  • obesità;
  • sedentarietà;
  • diabete;
  • ipertensione arteriosa; 
  • dislipidemia;
  • iperomocisteinemia.

Si è evidenziato che l’effetto di modifiche dello stile di vita influisce sull'incidenza della demenza. Per questo, è importante intervenire subito, quando si hanno i primi sospetti che i sintomi possano rientrare in un quadro demenziale.

Lasciare un paziente a se stesso, significherebbe far progredire la malattia fino ad arrivare all'isolamento più completo del paziente, con perdita del contatto con la realtà circostante.

Cure e Trattamenti Cure e Trattamenti

Sono necessarie una prevenzione e diagnosi precoce. La presa in carico del paziente con demenza, data la natura della patologia, è un compito complesso che prevede il coinvolgimento di varie figure sanitarie e sociosanitarie.

Sia il trattamento farmacologico che quello gestionale, vanno iniziati precocemente, quando si hanno i primi sospetti di malattia per limitarne la progressione. È importante far mantenere al paziente sia un'attività intellettuale (si attiva una riserva cognitiva frutto di esperienza di vita), che fisica.

I pazienti hanno la necessità di aiuto e di assistenza da parte dei familiari, che devono pianificare le modalità assistenziali più adeguate alle diverse fasi della malattia. È fondamentale che essi mantengano un rapporto continuativo, di confronto, con il medico di fiducia e con lo specialista neurologo di riferimento. Chi assiste il malato, deve adattare, continuamente, le proprie modalità comunicative, astenendosi dal sottolineare eventuali défaillance o dall’accusare il malato di mancanza di volontà o di impegno, al fine di evitargli inutili umiliazioni e sofferenze.

Nelle fasi iniziali della demenza, spesso, il paziente con deficit della memoria, incolpa gli altri delle sue carenze, per cui è opportuno rassicurarlo rispetto al suo deficit, alle sue paure, facendogli sentire che non è da solo ad affrontare particolari situazioni. Egli può negare la realtà di malattia e cercare di tutelare, in questo modo, la propria integrità personale autoconvincendosi di star bene e proiettando sugli altri i propri problemi: (“sto bene”, “sono solo stanco”). In queste situazioni, non bisogna contrastare il paziente, ma capirlo, assecondando i suoi bisogni di rassicurazione e protezione.

Per quanto riguarda la terapia farmacologica, le molecole più importanti, per il trattamento della malattia di Alzheimer, sono quattro:

  • donepezil;
  • rivastigmina;
  • galantamina;
  • memantina.

Le prime tre si usano per le forme lievi e moderate, la memantina per forme moderate e gravi. Donepezil, rivastigmina e galantamina, sono inibitori delle acetilcolinesterasi e condividono il meccanismo d’azione: l’inibizione dell’acetilcolinesterasi, ovvero l’enzima che degrada l’acetilcolina. La memantina invece, è un antagonista non competitivo dei recettori per il glutammato di tipo NMDA (N-Metil-D-Aspartato). Essa limita l’eccessiva attività basale glutamatergica, che contribuirebbe alla neurodegenerazione e a rendere meno funzionale la trasmissione. Avere questa molecola di classe e meccanismo d’azione diversi può essere utile perché offre un’alternativa a quei pazienti che non rispondono agli inibitori dell’acetilcolinesterasi, oppure può essere associata a un inibitore dell'acetilcolinesterasi.

Ad oggi non disponiamo di una terapia risolutiva per il trattamento del Morbo di Alzheimer, e per le demenze in generale, per cui, l’approccio che mostra i migliori risultati è quello che associa alla terapia farmacologica un intervento psicosociale, che va proposto in maniera appropriata alla fase di malattia dell’individuo. I più importanti approcci psicosociali sono:

  • cognitivo: Il primo coinvolge le abilità cognitive del soggetto attraverso prove con carta e matita o computerizzate, con modalità individuale o di gruppo, con l'intento di migliorare la socializzazione. L'efficacia si baserebbe sul concetto di riserva cognitiva (ovvero la capacità del nostro cervello di affrontare attivamente un processo patologico attraverso la riorganizzazione dei network cerebrali), con miglior adattamento e compensazione alla compromissione dovuta alla malattia;
  • multi-strategico: prevede interventi aspecifici o globali che non agiscono specificatamente sui meccanismi cognitivi ma utilizzano risorse sia interne che esterne al paziente quali la reminescenza, la discussione e la rievocazione di esperienze passate, o l'empatia col terapeuta e la terapia occupazionale;
  • comportamentale-sensoriale: include interventi quali la musicoterapia, l’aromaterapia e la fototerapia; essi sfruttano diverse modalità sensoriali (musica, oli essenziali, luce) come mezzo per veicolare informazioni non verbali.

Un altro approccio è quello della terapia con prodotti naturali, che può affiancare i farmaci tradizionali nel trattamento del Morbo di Alzheimer, e la Demenza in genere. Tra questi, troviamo:

1) estratto dalla microalga Schiziochytrium ricco in acido Docosaesaenoico (DHA). Il DHA o acido cervonico è un acido grasso omega-3, in grado di nutrire le cellule cerebrali. Regola varie funzioni cellulari citoplasmatiche e di membrana e svolge un ruolo importante in numerose funzioni dell’organismo tra cui l’infiammazione, la pressione arteriosa e l’aggregazione piastrinica. È il principale acido grasso dei fosfolipidi nel cervello e nella retina. Ha proprietà ipolipemizzanti, utili nel ridurre i trigliceridi e il colesterolo LDL; proprietà neuroprotettive, efficaci nel proteggere il sistema nervoso centrale; proprietà antiossidanti, antinfiammatorie, in grado di spegnere a monte la cascata flogistica; riduce l'accumulo di citochine infiammatorie. Ha, infine, proprietà immunomodulanti ed antiallergiche;
2) nerve Growth Factor (NGF): garantisce la sopravvivenza dei neuroni nel caso di temporanea ipoafflusso sanguigno. Previene il danneggiamento delle cellule nervose adulte, indotto dal contatto con sostanze tossiche. La sua carenza porta ad un deficit dei neuroni simpaticotonici periferici, degenerazione del tessuto nervoso, depressione e disturbi della memoria;
3) sali minerali basici: agiscono sull’unità Cellula/Membrana/Matrice, che controlla l’equilibrio acido-base.  Permettono agli acidi (idrogenioni/H+) prodotti dalla cellula, di passare dalla cellula alla matrice dove vengono neutralizzati (se in eccesso), per cui viene mantenuto il fisiologico gradiente di concentrazione di idrogenioni, attraverso l’azione delle sostanze basiche tampone;
4) estratti di semi d'uva: sono ricchi in sostanze antiossidanti e utili per contrastare gli effetti negativi dei radicali liberi e dello stress ossidativo;
5) PEA (Palmitoil-etanolamide): è un composto lipidico endogeno (ammide dell’acido palmitico+etanolammina), prodotto in molte cellule dell’organismo (specie quelle cerebrali), a partire da precursori fosfolipidici di membrana. Agisce sulla microglia, limitando il rilascio di mediatori pro-infiammatori nei tessuti cerebrali. Stimola l’apoptosi delle cellule danneggiate. Riduce l’astrogliosi reattiva indotta dalla beta-amiloide, il deficit neurologico e il dolore attraverso la down-regulation dell’infiltrazione-attivazione dei mastociti, specie a livello microgliale e astrocitario. Si usa al dosaggio di 1000-1200 mg/die;
6) acido alfa-lipoico (ALA): è un acido grasso, con potente azione antiossidante contro i radicali liberi (responsabili dell’invecchiamento e dei danni cellulari). Tra le peculiarità dell’ALA, c’è quella di poter agire sia sul citoplasma della cellula, sia sulla membrana dei neuroni e delle cellule, la cui integrità è fondamentale per la trasmissione degli impulsi nervosi.  Promuove la produzione di energia, contrastando l’azione dei radicali liberi sulle membrane dei mitocondri, sede delle risorse energetiche. È in grado di migliorare la memoria in età avanzata e contrastare l’invecchiamento del cervello, grazie alla sua potente azione antiossidante. Può ritardare l’instaurarsi e rallentare la progressione di questa malattia, aumentando la produzione di acetilcolina (ACh) mediante l’attivazione di colina acetiltransferasi. Regola verso il basso gli agenti pro-infiammatori. 600 mg di acido alfa lipoico al giorno, in pazienti con AD (Morbo di Alzheimer) o demenze correlate possono portare ad una stabilizzazione delle funzioni cognitive, dimostrando punteggi costanti nei test neuropsicologici.

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  • Decadimento cognitivo e Alzheimer – Fatebenefratelli -2 giugno 2023.
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