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Ansia sociale

Dr.ssa Stefania Paparella

Dr.ssa Stefania Paparella

Psicologo Psicologo, specialista in Medicina Psicosomatica - Psicoterapeuta Creato il: 15/03/2019 Ultimo aggiornamento: 05/10/2023

Il Disturbo d'Ansia Sociale, o Fobia Sociale, è una condizione di disagio e paura marcata, intensa e persistente, che un individuo sperimenta quando è esposto alla presenza di altri per timore di essere giudicato, di mostrarsi imbarazzato, di apparire ridicolo o incapace, di agire in modo inopportuno e, di conseguenza, sentirsi umiliato di fronte agli altri.

Questa preoccupazione può essere talmente forte, al punto da generare sensazione neurovegetative di disagio molto acute. Tra queste, rientrano, ad esempio:

  • le palpitazioni;
  • i tremori;
  • sudorazione;
  • rossore in viso;
  • malessere gastrointestinale;
  • tensione muscolare e diverse altre.

Circa il 13% della popolazione mondiale presenta, nel corso della propria esistenza, un episodio di ansia sociale. Negli uomini, le probabilità che si sviluppi una forma severa di ansia sociale o di disturbo della personalità evitante, sono maggiori che nelle donne. Ciò, probabilmente, riflette il fatto che, nella nostra società, gli uomini ricoprono posizioni di lavoro che esasperano le paure sociali.

La fobia sociale si manifesta comunemente nel corso della prima adolescenza, anche se è possibile riscontrarla già in età infantile. La maggior parte dei soggetti, tuttavia, cerca aiuto, per la prima volta, fra i 20 e i 30 anni, in genere quando arriva a un punto critico nel lavoro, o nella speranza di avere una relazione o una famiglia.

Esistono due categorie di fobia sociale:

  • la fobia sociale circoscritta, o specifica. In questo caso, l’ansia è determinata solo da alcune situazioni (es. gli inviti a cena, il mangiare in pubblico) e, di solito, non si manifesta in altri contesti sociali. La fobia specifica più comune è la paura di parlare o di esibirsi di fronte a un gruppo di persone (ansia da performance o da esibizione);
  • la fobia sociale generalizzata: le persone provano paura nelle più svariate situazioni sociali:
  1. mangiare o bere in pubblico; 
  2. prendere mezzi pubblici; 
  3. parlare di fronte a un gruppo di persone; 
  4. intervenire durante una riunione di lavoro; 
  5. partecipare a una festa;
  6. parlare con uno sconosciuto; 
  7. chiedere informazioni e chiarimenti; 
  8. camminare o firmare di fronte ad altre persone;
  9. qualsiasi altra attività che può attirare l’attenzione degli altri su di sé.

All'umiliazione che accompagna la fobia sociale, contribuisce la percepita banalità della situazione che incute timore. Tanto è vero che alcuni pazienti ammettono di sentirsi maggiormente a loro agio in quelle situazioni temute anche dagli altri (esami, verifiche, prestazioni varie), in quanto, in tal caso, si sentono mento "strani" e "ridicoli" nel mostrare la loro ansia, la quale, addirittura, talvolta non si manifesta.

A livello cognitivo, il fobico sociale è caratterizzato da un’elevata concentrazione su se stesso, convinto che gli altri lo critichino e lo considerino debole, incompetente e ridicolo, mentre l’altro è visto come abile, superiore e competente. La loro fiducia in se stessi e la loro autostima sono, naturalmente, molto basse. A lungo andare, possono sentirsi profondamente soli, disperati e depressi.

Dal punto di vista comportamentale, l’individuo affetto da fobia sociale assume un atteggiamento protettivo, contraddistinto da evitamento, o rinuncia o rinvio, in modo da riuscire ad allontanare l’eventualità di esperienze dolorose. Tuttavia, più i comportamenti di evitamento si intensificano, maggiormente il disturbo diventa invalidante. A causa di tale rinuncia, si sviluppano, infatti, ulteriori sentimenti di inadeguatezza ed inferiorità che, a loro volta, riducono l’autostima e aumentano la tendenza a percepire se stesso come incapace, e gli altri, specularmente, come critici o invalidanti.

Qualora il soggetto fobico si trova in contesti temuti, solitamente, è presente l’ansia anticipatoria. Questa contribuisce all’instaurarsi di un circolo vizioso, per cui la prestazione, durante la situazione che genera paura, risulta compromessa dall’elevato livello di ansia, che influenza i regolari processi cognitivi. Ad esempio, se la persona si focalizza sui segnali non verbali del proprio interlocutore (alla ricerca di eventuali giudizi negativi) e/o sui propri segni e sintomi di ansia (temendo che l’interlocutore possa accorgersene), piuttosto che sulla conversazione che sta avvenendo. L’interazione comunicativa ne verrà inficiata, in quanto perderà ogni spontaneità ed emergeranno ulteriore vergogna, imbarazzo e sensazione di inadeguatezza.

Oltre all’ansia anticipatoria, all’eccessiva concentrazione su se stesso e sui segnali non verbali “negativi” che cerca di captare nell’interlocutore, anche i cosiddetti comportamenti protettivi, messi in atto credendo di poter meglio “controllare” i sintomi fobici, non fanno altro che interferire negativamente con la prestazione e l’attività temuta dal fobico. Ad esempio, cercare di velocizzare alcune azioni alla cassa di un supermercato (es. aprire la busta della spesa, proponendosi di mettere dentro la merce il più rapidamente possibile per evitare di essere giudicati “stupidi e lenti”), può impedire proprio la naturalezza dei movimenti rendendoli impacciati e poco spontanei (proprio quanto si sarebbe voluto evitare). Similmente, ripetere mentalmente ciò che si intende dire prima di parlare può rendere la conversazione più faticosa e difficile, in quanto l’attenzione è posta al “come” lo sto dicendo e non “cosa” sto dicendo.

Il soggetto affetto da ansia sociale, dunque, realizza ciò che può essere definito processo di esame a posteriori della situazione. Questo, di frequente, porta a valutare in maniera negativa sia se stessi che la prestazione effettuata. Pur dinanzi a prestazioni oggettivamente all’altezza o comunque buone, l’individuo con fobia sociale comincia a rimuginare relativamente al proprio atteggiamento. Tutte queste condotte finiscono per alterare la percezione della realtà del fobico sociale, portandolo, proprio a causa del suo comportamento, a contribuire alla costruzione diretta delle situazioni temute.

Un ultimo aspetto degno di nota, trattando questo tema, è il rapporto che la persona affetta da ansia sociale ha nei confronti degli occhi e dello sguardo. Al centro di qualsiasi forma di fobia sociale, infatti, si trova una viva preoccupazione per come rispondere allo sguardo altrui e per come controllare il proprio: dove e quando guardare e per quanto tempo. Due occhi spalancati: un'immagine così potente che soltanto descriverla fa rabbrividire. Non solo presso gli esseri umani, ma in tutto il regno animale, gli occhi e i segnali che essi inviano rivestono un significato molto importante. Diversi pazienti con fobia sociale dichiarano di non sapere come si devono guardare gli altri, e di sentirsi sempre costantemente sotto osservazione. Ecco perché diventa paralizzante alzarsi in piedi in una stanza, magari per andare in bagno, attraversare la sala durante una riunione affollata, entrare in una stanza quando tutti sono già seduti, ecc.

Già dalla prima seduta, il modo in cui un paziente ci guarda e si lascia guardare dice già molto di quella persona, prima ancora che "apra bocca". Soprattutto se si tratta di ansia sociale.

Ansia sociale

Cause Cause

Le fobie si inseriscono in un modello di diatesi genetico – costituzionale interagente con stressor ambientali. Uno studio su 2.163 gemelli di sesso femminile (Kendler e collaboratori, 1992), concluse che il miglior modello per il disturbo è un'ereditaria disposizione alla fobia, che richiede specifici fattori eziologici ambientali per produrre una sindrome fobica conclamata.

L'ansia sociale illustra bene questa interazione fra costituzione e ambiente. Non esiste un’unica causa che porta alla comparsa di un disturbo d’ansia sociale e, per questo motivo, può definirsi multifattoriale. Una combinazione di cause genetiche – biologiche ed esperienziali – psicologici, infatti, possono rappresentare fattori di rischio, nonché protettivi, circa il manifestarsi e il mantenimento della patologia:

  • per quanto riguarda i fattori di rischio genetico-biologici, esiste oggi un’importante evidenza che l’aspettativa, secondo la quale lo sguardo scrutatore critico degli altri determinerà umiliazione e imbarazzo, possiede una base temperamentale. Kagan e i suoi colleghi alla Harvard (1998) studiarono un gruppo di soggetti, utilizzando un disegno longitudinale, in grado di mettere a confronto dei soggetti fortemente inibiti ad altri di segno opposto. Le loro osservazioni suggeriscono che la maggior parte dei bambini, inibiti da un punto di vista comportamentale, appartiene a una categoria di bambini qualitativamente distinta, nati con una soglia più bassa per l’attivazione limbica ipotalamica, in risposta a cambiamenti ambientali inaspettati o a eventi che non possono essere facilmente assimilati. Tali strutture temperamentali sono state definite “inibizione comportamentale a ciò che è sconosciuto”. In pratica, la maggiore reattività del sistema limbico, un insieme di strutture nervose deputate alla regolazione emotiva, porterebbe ad avere più facilmente reazioni ansiose di fronte a situazioni ignote;
  • per quanto riguarda i fattori di rischio esperienziali, essi conclusero altresì che una certa forma di stress cronico ambientale deve agire sulla disposizione temperamentale originaria, presente alla nascita per tradursi, a due anni di età, in un comportamento schivo, timido e riservato. Essi postulavano tali stressor nell’umiliazione pubblica e nella critica, proveniente da un fratello maggiore, dalle osservazioni genitoriali, da esperienze di bullismo, di derisione, di rifiuto sociale (anche abuso sessuale), ma anche nella morte o nella separazione di un familiare.

In un altro Studio, Rosenbaum e collaboratori (1992) studiarono i genitori dei bambini inibiti, da un punto di vista comportamentale. I genitori di questi bambini erano molto a rischio per disturbi d’ansia, soprattutto di ansia sociale. Una possibile interpretazione di questi dati è che quei bambini, con inibizione comportamentale che arrivano a sviluppare evidenti disturbi d’ansia, sono esposti a genitori con un’ansia maggiore, i quali possono comunicare al bambino il fatto che il mondo sia un luogo pericoloso. Di solito, in letteratura, si nota che i disturbi d’ansia tendono a trasmettersi in maniera transgenerazionale. Tuttavia, non è ancora chiara la misura della trasmissibilità, dovuta a cause puramente genetiche e ambientali di apprendimento sociale, che si sviluppano nell’interazione tra il bambino e il genitore affetto da ansia. Il lavoro clinico, con i pazienti con ansia sociale, rivela che sono presenti certe peculiari relazioni oggettuali interne. In particolare, questi pazienti hanno interiorizzato le rappresentazioni dei loro genitori, di coloro che si sono presi cura di loro, o dei fratelli che li fanno vergognare, li criticano, li ridicolizzano, li umiliano, li abbandonano, li sconcertano (Gabbard, 1992b).

Tali introietti si stabiliscono, prematuramente, nella vita e sono proiettati continuamente in quegli individui dell’ambiente che vengono poi evitati. Mentre questi pazienti possono avere una predisposizione genetica a vivere gli altri come minacciosi, delle esperienze positive possono mitigare fino a un certo punto questi effetti. È come se fosse presente fin dalla nascita una sagoma geneticamente programmata. Se coloro che si prendono cura del bambino si comportano secondo la sagoma programmata, l’individuo diventerà sempre più spaventato dagli altri sviluppando una fobia sociale. Se coloro che si prendono cura del bambino sono sensibili alle sue paure e lo compensano, gli introietti saranno più benigni, meno terrifici, e produrranno con minori probabilità il disturbo d’ansia sociale in età adulta.

In merito ai fattori psicologici, il soggetto che soffre di fobia sociale è portato a stimare in maniera eccessiva la valutazione della sua singola prestazione, generalizzandola all’opinione globale su se stessi.

Determinati studi hanno evidenziato come ad intervenire sulla fobia sociale siano la presenza di bias cognitivi (distorsioni che gli individui attuano nel valutare gli avvenimenti) mnemonici, attenzionali e interpretativi. Questi portano a distorcere le informazioni, favorendo un giudizio negativo su di sé. In particolare, le persone con fobia sociale dimostrano:

  • un errore di interpretazione orientato in senso negativo sulle espressioni vocali e facciali dell'altro (“trappola della conferma”);
  • stando ad alcune ricerche, inoltre, i soggetti con fobia sociale presentano errori di tipo cognitivo nel compiere inferenze sui pensieri altrui (trappola dell’indovino). Questi manifestano pure difficoltà nella capacità di attribuire credenze, emozioni, desideri, intenzioni, pensieri, a sé e agli altri (Teoria della Mente altrui). Ciò li conduce a valutare più forti e significativi i pensieri e le emozioni altrui.

Sintomi Sintomi

Secondo il DSM 5, Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, la fobia sociale, o disturbo d'ansia sociale, è caratterizzato da:

  • marcata paura o ansia riguardo a una o più situazioni sociali, in cui l'individuo è esposto al possibile giudizio degli altri, come essere osservati durante un'azione o prestazione;
  • preoccupazione riguardo la manifestazione dei propri sintomi di ansia e paura, che questi verranno valutati negativamente dagli altri (umiliazione, imbarazzo);
  • tali situazioni provocano quasi sempre paura o ansia;
  • la paura o l’ansia è sproporzionata alla vera minaccia che possono rappresentare il contesto socioculturale e/o la situazione sociale;
  • la paura, l’ansia o l’evitamento provocano un disagio clinicamente significativo o che presenti conseguenze in ambito sociale, lavorativo o altro ancora.

Capita spesso di confondere l'ansia sociale con la timidezza e l'introversione. I vissuti emotivi, gli aspetti cognitivi e comportamentali in gioco nella timidezza, nell’introversione e nell’ansia sociale, infatti, sono simili. In realtà, c'è una differenza sostanziale tra queste tre condizioni, sia per quanto riguarda le intenzioni alla base dei comportamenti espressi, sia per il grado d'intensità del vissuto provato. Introversione e timidezza sono entrambi dei tratti di personalità e, quindi, di per sé non patologici.

Al pari di chi soffre di fobia sociale, la persona introversa non ricerca le situazioni sociali, ma questo comportamento non avviene per timore dell'esposizione e del giudizio altrui. Esso si verifica perché si prova meno interesse riguardo all'interazione sociale. Non evita, infatti, le occasioni di interazione sociale, ma non le ricerca attivamente e costantemente. Generalmente, questo è ego sintonico (cioè non rappresenta un problema per l’individuo). Secondo Eysenck, uno degli psicologi più conosciuti in letteratura che si sono occupati di tratti di personalità, gli introversi, a causa di un elevato livello interno di eccitazione (arousal), tendono ad evitare la stimolazione esterna per non incorrere in un eccesso di stimolazione. Le persone estroverse, invece, che presentano un livello basso di eccitazione, cercano nuovi o più forti stimoli esterni, in modo da mantenere o realizzare un livello ideale di stimolazione.

Diversamente, chi è timido, pur desiderando le situazioni sociali, si sente a disagio nelle stesse, sentendosi inadeguato e temendo, come il fobico sociale, il giudizio altrui, ma non al punto da veder compromesso il proprio funzionamento sociale.

È corretto parlare di fobia sociale soltanto laddove la preoccupazione del giudizio degli altri comporta un’importante compromissione della propria quotidianità.

Ad esempio, sebbene in particolari situazioni sociali è piuttosto comune, e non per questo necessariamente patologico e disfunzionale, provare preoccupazione, ansia anticipatoria, vergogna e timore del giudizio altrui, come avviene per il “parlare in pubblico”, in cui la persona si trova ad esporsi pubblicamente di fronte a un gruppo di persone, vi sarà un grado di intensità e di disagio piuttosto differenti fra le persone timide o intimidite da quella specifica situazione e le persone affette da ansia sociale.

I soggetti timidi, non affetti da fobia sociale, tendono a rimuginare meno e soltanto prima che cominci una situazione ansiogena. Anche durante lo stesso evento, la quantità d’ansia è di minore intensità, al punto che esporsi alla situazione temuta non peggiora i sintomi, ma al contrario diminuisce la probabilità di evitarli in futuro.  

Nelle persone affette da disturbo d’ansia sociale, avremo un’ansia anticipatoria pervasiva e molto marcata, che può verificarsi diversi giorni o settimane prima dell’evento. L’intensità dell’ansia non diminuirà durante l’esposizione e non sfavorirà evitamenti futuri. Qualche paziente ha detto che avrebbe preferito avere un infarto o un malore, piuttosto di provare quel disagio nell’esatto momento in cui stava per esporsi al pubblico (notiamo quanto è grande la ferita narcisistica, che porterà a un maggiore evitamento in situazioni future).

Infine, il rimuginino post prestazione, anche di fronte a un risultato accettabile, sarà molto più marcato e invalidante nel caso del disturbo d’ansia sociale.

Diagnosi Diagnosi

Possiamo riepilogare i criteri diagnostici per l'Ansia Sociale direttamente dal DSM-V:

  1. paura marcata e persistente di una o più situazioni sociali, o di prestazione, in cui l’individuo è esposto a persone non familiari o al possibile giudizio degli altri. Il soggetto teme di agire (o di mostrare sintomi di ansia) in modo umiliante o imbarazzante. Nota: nei bambini, deve essere evidente la capacità di stabilire rapporti sociali appropriati per l’età con persone familiari e l’ansia deve manifestarsi anche con i coetanei e non solo nelle interazioni con gli adulti;
  2. l’esposizione alla situazione sociale temuta provoca quasi invariabilmente ansia, che può assumere la forma di un attacco di panico legato a, o predisposto da, una situazione. Nota: nei bambini, l’ansia si può esprimere piangendo, con scoppi d’ira, irrigidendosi o rifuggendo dalle situazioni sociali con persone non familiari;
  3. la persona riconosce che la paura è eccessiva o irragionevole. Nota: nei bambini, questa caratteristica può essere assente;
  4. le situazioni sociali o di prestazione temute sono evitate o sopportate con ansia e disagio intensi;
  5. l’evitamento, l’ansia anticipatoria o il disagio nella situazione (o situazioni) temuta interferiscono in modo significativo con le normali abitudini della persona, con il funzionamento lavorativo (o scolastico), con le attività sociali o le relazioni con gli altri, oppure è presente un disagio marcato per il fatto di avere la fobia;
  6. nei soggetti con meno di 18 anni, la durata è almeno di 6 mesi;
  7. la paura o l’evitamento non sono dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (ad esempio una sostanza oggetto di abuso o un farmaco) o di una condizione medica generale e non sono meglio giustificati da un altro disturbo mentale (ad esempio, disturbo di panico con o senza agorafobia, disturbo d’ansia da separazione, disturbo di dismorfismo corporeo, o disturbo schizoide della personalità);
  8. se è presente una condizione medica generale o un altro disturbo mentale, la paura di cui al criterio A non è a essi correlata, ad esempio la paura non riguarda la balbuzie, il tremore nella malattia di Parkinson o il mostrare un comportamento alimentare abnorme nell’anoressia o bulimia nervosa.

Bisogna specificare se si tratta di ansia generalizzata, ovvero se le paure includono la maggioranza delle situazioni sociali. In tal caso, bisognerà prendere anche in considerazione la diagnosi addizionale di disturbo evitante di personalità.

È fondamentale eseguire una diagnosi differenziale del disturbo d’Ansia o fobia sociale, a differenza di altri disturbi di questo tipo.

In primis, è fondamentale capire se, insieme alla fobia sociale, si verifichino anche attacchi di panico. In quel caso, andrà differenziato un Disturbo da Attacchi di Panico, in cui gli episodi di panico non si manifestano soltanto in contesti sociali. Anzi, un paziente con Disturbo da Attacchi di Panico spesso può trovare conforto nella presenza di un’altra persona in una situazione che provoca ansia, mentre il soggetto con fobia sociale è reso più ansioso dalla presenza di altra gente.

Sono sintomi tipici del panico e dell'agorafobia:

  • la mancanza di respiro;
  • la vertigine;
  • il senso di soffocamento;
  • la paura di morire. 

Sono riconducibili, invece, alla fobia sociale:

  • l’arrossamento;
  • la tensione muscolare;
  • l’ansia di essere giudicati. 

Inoltre, è fondamentale escludere anche la presenza di un disturbo d’ansia generalizzato. In questo caso, è pur sempre presente la paura di essere giudicati in maniera negativa in situazioni particolari, ma ciò non rappresenta il nucleo delle preoccupazioni del soggetto.

Evitare situazioni sociali, scarse interazioni e relazioni sociali si verificano anche in altri disturbi della personalità. Ad esempio, anche nel disturbo evitante di personalità, la persona è molto sensibile al giudizio degli altri, ha una bassa autostima e presenta evitamenti in ambito sociale. Tuttavia, nel disturbo evitante di personalità, il timore è più pervasivo e generalizzato delle relazioni sociali (anche se questo può essere tipico anche della fobia sociale generalizzata). Un aspetto che può essere differenziale è la sensazione di estraneità e non appartenenza tipica del disturbo evitante di personalità. Tuttavia, la diagnosi differenziale tra i due quadri psicopatologici non è semplice e può richiedere numerosi colloqui e un’approfondita anamnesi psichiatrica.

L’isolamento sociale si riscontra anche in altre psicopatologie, come ad esempio:

  • nella depressione: tuttavia, in questo caso, l’isolamento sociale è l’esito della deflessione del tono dell’umore e non di evitamenti ansiosi;
  • nel disturbo schizoide di personalità: in questo caso, è assente il desiderio e l’interesse nell’avere relazioni con gli altri, aspetto che invece viene mantenuto nella fobia o ansia sociale.

Anche la schizofrenia entra nella diagnosi differenziale della fobia sociale, dato che i pazienti schizofrenici possono avere sintomi fobici in ambito sociale e non come parte delle loro psicosi. Tuttavia, a differenza dei soggetti schizofrenici, quelli fobici hanno coscienza dell’irrazionalità delle loro paure e non hanno la qualità bizzarra e gli altri sintomi psicotici che accompagnano la schizofrenia.

Rischi Rischi

Le situazioni sociali vissute da chi soffre di ansia sociale possono essere così tante, vissute con un tale disagio e preoccupazione (soprattutto nell'ansia sociale generalizzata), da spingere, talvolta, il soggetto ad utilizzare strategie disfunzionali, come abuso di alcool e/o di sostanze per gestire gli elevati livelli di ansia. 

Oppure possono indurre il soggetto stesso a evitare del tutto di esporsi, con conseguenti ripercussioni sulla realizzazione dei propri obiettivi, limitandone notevolmente aspirazioni e possibilità personali.

Nel medio e lungo termine, troviamo, come conseguenza della fobia sociale, se non trattata, un impoverimento della vita della persona. Il soggetto, spesso, presenta uno stile di vita con i livelli sociale/lavorativo/scolastico compromessi, con conseguenziali danni per l’immagine, per l’autostima e le finanze.

Le problematiche che si presentano in chi soffre di fobia sociale possono favorire lo sviluppo di:

  • tristezza
  • insoddisfazione, per se stessi e la propria esistenza;
  • raramente, l’insorgenza del disturbo dell’umore depressivo.

Ultimo ma non meno importante, il fatto che in presenza di altri, i soggetti affetti da fobia sociale siano in uno stato cronico di vigilanza ipersensibile, alla ricerca attenta di indizi di forza e debolezza. Ciò richiede una prontezza psicologica e fisiologica costante per parare gli attacchi o per fuggire e fa sì che, all’interno di uno stato così persistente, in cui il rapporto simbolico con la sopravvivenza è prioritario e fondamentale, venga escluso dal panorama psichico tutto il resto, compresa:

  • la capacità di godere della compagnia altrui; 
  • di scherzare;
  • di esprimere tranquillamente le proprie idee;
  • di simpatizzare con gli altri;
  • a volte, perfino di ascoltare ciò che hanno da dire.

Se un individuo cerca di captare ogni minimo segnale con tutto il suo essere, rilassarsi e trovare piacere nella compagnia degli altri diventa impossibile.

Cure e Trattamenti Cure e Trattamenti

Stando a quanto riportato da diverse linee guida internazionali, come, ad esempio, la NICE National Institute for Health and Clinical Excelence, 2011, la psicoterapia cognitivo comportamentale rappresenta uno dei trattamenti maggiormente efficaci per curare la fobia sociale. Il fine è quello di ridurre sintomi quali l’ansia, l’isolamento sociale e, contemporaneamente, favorire un migliore funzionamento sociale e lavorativo dell’individuo.

Gli obiettivi della terapia cognitivo comportamentale del disturbo d’ansia sociale sono:

  1. ridurre la sintomatologia ansiosa, il timore del giudizio degli altri e il bisogno di riconoscimento;
  2. controllare il rimuginio anticipatorio sulle proprie prestazioni;
  3. ridurre il timore di mostrare ansia;
  4. ridurre i comportamenti di controllo dell’ansia e gli evitamenti delle situazioni sociali ansiogene.

Per ottenere tali obiettivi si utilizzano:

  • riaddestramento cognitivo, che prevede la messa in discussione delle credenze disfunzionali su di sé e sugli altri, ovvero riconoscimento di pensieri ed emozioni alla base dell'ansia, prendendo sempre più consapevolezza dei bias che intervengono nel mantenimento del disturbo;
  • desensibilizzazione comportamentale, che prevede un'esposizione graduale alle situazioni sociali oggetto di preoccupazione: affrontare progressivamente gli scenari temuti ed evitati e sperimentare un graduale livello di successo. Ciò permetterà, alla persona con fobia sociale, di depotenziare il timore di un eventuale giudizio, per dare priorità a ciò che è importante per sé, focalizzandosi maggiormente sulla propria vita e sulle azioni volte all'espressione dei propri valori, con conseguente potenziamento dell'autostima e miglioramento delle abilità sociali. Tra queste, rientrano l'essere in grado di agire all'interno di diversi contesti sociali, ammettendo anche la possibilità di poter fare "brutte figure". Ciò offrirà la possibilità di vivere, con meno limiti, amicizie, famiglia, lavoro, divertimento o relazioni amorose, arricchendo notevolmente la propria esperienza di vita;
  • compiti da eseguire a domicilio: oltre al lavoro in studio, sono previste anche sessioni di “addestramento” a casa.

Nei casi più debilitanti, oltre alla terapia psicologica, si può ricorrere a un trattamento di tipo farmacologico. I farmaci, quali antidepressivi di nuova generazione o ansiolitici, potrebbero costituire un aiuto iniziale per attenuare i sintomi maggiormente attivanti e facilitare l'aderenza alla terapia psicologica. La possibilità di combinare il trattamento farmacologico con la psicoterapia cognitivo-comportamentale è valutata dallo specialista, in base al quadro clinico generale e alla sua gravità.

Ci sono alcuni casi che possono essere trattati mediante la psicoterapia. Altri, invece, necessitano di un approccio combinato tra intervento farmacologico e psicoterapia.

Recentemente, si è rivelato molto interessante l’utilizzo della Mindfulness Based Stress Reduction (MBSR) nel trattamento del disturbo dell’ansia sociale. Tale approccio può insegnare al paziente un metodo di auto-rilassamento quando deve affrontare l’oggetto della sua fobia. La mindfulness può divenire uno strumento efficace per relazionarsi con la propria esperienza interiore, quale ansia o paura, imparando sia a conoscerla che a riconoscerla allorquando si presenta. Bisognerà imparare, altresì, ad accettarla con pazienza e fiducia, invece di reprimerla. La mindfulness insegnerà al paziente a “stare” con la propria ansia, piuttosto di temerla ed evitarla.

Infine, sebbene l’approccio psicodinamico e le psicoterapie espressive abbiano perso un po’ il consenso nel trattamento delle fobie, ciò non toglie che le ramificazioni interpersonali di tale disturbo spesso traggano beneficio proprio da questo tipo di approccio.

In virtù dell’essere confinati in casa, gli individui con fobia sociale grave necessitano, spesso, di una persona che si prenda cura di loro, come un coniuge o un genitore. È comune, ad esempio, che una donna con fobia sociale e il marito si siano adattati alla condizione di lei, nel corso di molti anni. Il marito può, effettivamente, sentirsi più sicuro sapendo che la moglie è sempre in casa. Se la fobia sociale viene trattata, l’equilibrio della coppia potrà destabilizzarsi. Una valutazione diagnostica e una terapia adeguate devono, quindi, includere un’attenta valutazione di come la fobia sociale si inserisce nella rete di relazioni del paziente.

Comprendere in maniera psicodinamica il contesto interpersonale di una fobia sociale può essere fondamentale per affrontare le resistenze ai trattamenti tradizionali, quali possono essere la desensibilizzazione comportamentale e i farmaci.

Bibliografia

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  • Kaplan H.I., Sadock B. J., Grebb J. A. (1996) Psichiatria, manuale di scienze del comportamento e psichiatria clinica, Torino: Centro scientifico internazionale.

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