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Disturbi del sonno

Dr. Mauro Colangelo

Dr. Mauro Colangelo

Neurochirurgo Medico Chirurgo, specialista in Neurologia ed in Neurochirurgia Creato il: 27/07/2017 Ultimo aggiornamento: 18/09/2023

disturbi del sonno non coincidono letteralmente con l’insonnia, anche se questa ne costituisce il disturbo più frequente. Include, invece, l’eccessiva sonnolenza diurna, con impulso irresistibile ad addormentarsi, e le dissonnie e le parasonnie che, con modalità differenti, ostacolano l’individuo dal prendere sonno o ne provocano il risveglio precoce o causano disturbi comunque collegati al sonno. 

La Medicina del Sonno, come branca della Neurologia, pertanto, classifica tali disturbi nelle seguenti categorie:

  1. disturbi dell'inizio e del mantenimento del sonno (insonnia); 
  2. disturbi da eccessiva sonnolenza (ipersonnia);  
  3. disturbi del ritmo sonno-veglia; 
  4. disturbi associati al sonno (parasonnie).
Disturbi del sonno

Cause Cause

Per poterne adeguatamente comprendere i disturbi, è necessario premetterne sinteticamente le caratteristiche fisiologiche del sonno. È risaputo che, durante questa periodica sospensione dello stato di coscienza e dell’interruzione dei rapporti percettivi e motori con la realtà circostante, creata dal sonno, l’organismo si riposa e garantisce quello stato di salute psico-fisica, da cui dipende la qualità della vita di una persona. Ciò dipende, in larga parte, dal recupero funzionale del cervello, che, nel corso del sonno, con un meccanismo biochimico, si libera delle scorie accumulate nel corso del suo funzionamento diurno.

Per studiarne i parametri fisiologici, si ricorre a tre metodiche d’indagine, costituite da:

  • elettroencefalogramma (EEG), con cui si registrano le onde elettriche cerebrali;
  • elettro-oculogramma (EOG), grazie al quale si registrano i movimenti oculari;
  • elettromiogramma (EMG), mediante il quale si registra l’attività muscolare.

Grazie alla valutazione dei parametri EEG, EMG ed EOG, il sonno viene distinto in due fasi:

  • fase REM, che si caratterizza per movimenti oculari rapidi (ossia Rapid Eye Movements, da cui, appunto, REM);
  • fase non REM (NREM).

Queste fasi si alternano, regolarmente, con cicli della medesima durata. Il sonno, quindi, viene classificato in 5 stadi, di cui 4 NREM e uno REM. Una volta che l’individuo si addormenta, passa dallo stadio 1 allo stadio 4 e, quindi, dopo circa 90 minuti, ritorna alla prima fase di sonno REM, che ha una durata di circa 15 minuti. In questo modo, termina il primo ciclo, che presenta una durata di quasi 100 minuti. 

Lo stadio REM rappresenta quella parte del sonno in cui, per lo più, si sogna. Il cervello consuma ossigeno e glucosio, come durante la veglia, quando cioè si svolge l’attività di pensiero. Se in questa fase, infatti, avviene un brusco risveglio, si è perfettamente orientati. Durante il sonno, sono attive l’amigdala e le aree cerebrali limbiche e paralimbiche, che conferiscono ai sogni gli aspetti emozionali, mentre la corteccia prefrontale è deattivata. Ciò spiega il perché sia difficile ricordare i sogni nello stato di veglia.

L’alternarsi di veglia e sonno è controllato da sistemi neuronali, che si trovano in particolare nel tronco dell’encefalo e nel diencefalo. Alcuni sistemi promuovono e mantengono la veglia, mentre altri promuovono e mantengono il sonno. Per passare dallo stato di veglia a quello di sonno, occorre che si diminuisca l’attività di stimolazione esercitata da questi sistemi (formazione reticolata), che dal tronco dell’encefalo proiettano diffusamente sulla corteccia, mantenendola in una condizione di attivazione continua. La frequenza di scarica dei neuroni della formazione reticolata si riduce notevolmente durante il sonno non-REM e, quasi del tutto, durante il sonno REM. Il rilascio di taluni mediatori (GABA, galanina) e l’inibizione di altri (adenosina) promuovono il sonno ed il suo mantenimento. Questi, a loro volta, possono essere contrastati da stimolanti, quali ad esempio la caffeina, che ne impediscono il legame con gli specifici recettori, realizzando così l’effetto anti-sonno.

Analizziamo ora in cosa consista l’effetto ristoratore del sonno e, per quale motivo, la mancanza di sonno rappresenta una causa di torpore, stanchezza e scarsa prontezza dell’attività mentale. La teoria, attualmente più avvalorata, sostiene che, durante il sonno, il cervello provvede, con un sofisticato sistema, alla sua “pulizia”. Ciò si rende necessario al fine di mantenerne la sua corretta funzionalità, smaltendo i prodotti di scarto del metabolismo, ovvero liberandosi di tutti i sottoprodotti delle attività giornaliera.

Questa funzione viene compiuta dal sistema linfatico, in tutto il corpo tranne che nel cervello, dove, durante il sonno, si attiva invece una rete di canali tra i neuroni, in cui circola il liquor che spazza via i rifiuti provenienti dal flusso sanguigno. Questi saranno successivamente trasportati al fegato, per la disintossicazione. Questo lavoro di pulizia presuppone un considerevole sforzo energetico del nostro cervello. Si tratta di uno sforzo tale che, quindi, non può essere sostenuto contestualmente a tutte le altre funzioni che compie durante il periodo di veglia. Secondo una recente ricerca, è sempre durante il sonno che si verifica la rimozione della proteina beta-amiloide, una neurotossina prodotta durante il giorno, che, quando si accumula in elevate quantità, è responsabile del morbo di Alzheimer.

Stando a recenti studi, per un recupero fisiologico ideale, le ore di sonno necessarie e sufficienti sono otto. Il recupero fisiologico avviene principalmente nelle fasi NREM. Durante le fasi REM, invece, si verifica l’incorporazione nella memoria di nuovi comportamenti appresi in veglia. Anche in questo caso, sono sufficienti otto ore di sonno. Ciò è valido per la maggior parte dei soggetti. Esistono, tuttavia, i cosiddetti dormitori lunghi, i quali hanno bisogno di 10 ore. Al contrario, ci sono anche i dormitori corti, per i quali, per stare bene e non lamentare eccessiva sonnolenza diurna, bastano anche 5 o 6 ore di sonno.

Le cause che possono determinare i disturbi del sonno sono numerose. Esse possono essere:

  • psichiche, come il disturbo bipolare; la depressione, l’ansia;
  • legate a problematiche neurologiche, come, ad esempio, la sindrome delle “gambe senza riposo”, consistente in un’irrequietezza motoria intensa alle gambe, la quale non permette al paziente di cominciare il sonno notturno.

Altri fattori sono riconducibili a determinate malattie sistemiche, quali: 

  • allergie alimentari;
  • disturbi della tiroide;
  • scompenso cardiaco o ipertensione arteriosa;
  • nevralgie;
  • dolori artritici;
  • disturbi gastrici;
  • asma bronchiale.

Nei pazienti neonati, il disturbo del sonno si associa quasi sempre a patologie digestive. Nei bambini, talvolta ai vermi intestinali e, negli anziani, a un iniziale declino cognitivo.

Altre cause, che possono influenzare, in maniera negativa, la qualità del sonno, sono:

  • il caffè;
  • l’alcool;
  • la nicotina;
  • i cibi pesanti;
  • l’attività sportiva, nelle 3-4 ore prima di coricarsi;
  • l’utilizzo di dispositivi elettronici, come computer, smartphone e tablet nelle ore serali;
  • spesso, anche rumori notturni che impediscono al soggetto di prendere sonno.

Alla base di una scarsa qualità del sonno, infine, possono rientrare anche fattori esterni, che alterano il normale ritmo sonno-veglia, come il rapido cambiamento del fuso orario, dovuto voli trans-meridiani, o turni di lavoro notturno a rotazione.

Sintomi Sintomi

I disturbi del sonno possono essere classificati come:

  • insonnie;
  • ipersonnie;
  • parasonnie;
  • disturbi del ritmo sonno-veglia.

L’insonnia rappresenta il disturbo del sonno più ricorrente. Il termine deriva dal latino insomnia e letteralmente significa mancanza di sogni. Le persone che ne sono affette non riescono a prendere sonno o a dormire un numero di ore necessario al benessere fisiologico. A seconda della sua manifestazione, è possibile differenziare:

  • insonnia iniziale, con difficoltà a iniziare il sonno;
  • un’insonnia intermittente, che si contraddistingue per i risvegli ricorrenti;
  • insonnia terminale, che si caratterizza da un risveglio precoce, senza riuscire a riprendere sonno successivamente;
  • insonnia frequente: se l’insonnia presenta una durata di tre giorni a settimana;
  • insonnia cronica: se la durata supera i tre mesi.

Il paziente che soffre di insonnia lamenta di non riuscire a prendere sonno o di dormire solo per pochissimo tempo, voltandosi e rivoltandosi agitatamente nel letto. Nell’insonnia cronica, alterandosi il naturale ciclo del sonno, può verificarsi il cosiddetto debito di sonno. Con questa definizione, si intende un accumulo di ore di sonno arretrato, che influenza in maniera negativa le capacità fisiche e intellettive. Le conseguenze psichiche del deficit di sonno si riflettono, in particolare, sulle funzioni cognitive legate all’attenzione e alla memoria. Al tempo stesso, può risultarne coinvolto anche l’umore. Dal punto di vista fisico, l’insonne diventa particolarmente esposto a contrarre affezioni, quali: 

  • ipertensione arteriosa;
  • diabete;
  • obesità.

L’ipersonnia è, invece, diametralmente opposta all’insonnia. Essa consiste, come lascia intendere la parola stessa, in una sonnolenza diurna smisurata, punteggiata anche da brevi intrusioni di fasi di sonno (microsleeps). Essendo incontrollabile, assume un carattere disturbante eccessivo, andando ad assumere un’influenza negativa nello svolgimento delle attività di veglia. Con l’acronimo ESD, si raggruppa una folta tipologia di affezioni, il cui tratto comune è rappresentato da un’Eccessiva Sonnolenza Diurna, cui va il soggetto che ne è affetto. Ciò può verificarsi nei momenti meno immaginabili, addirittura anche alla guida di un autoveicolo.

Ogni singolo sottotipo di ipersonnia presenta le proprie caratteristiche cliniche, per cui si deve procedere all’identificazione della causa specifica, in modo da formulare un corretto approccio terapeutico. Sintomi addizionali, pressoché frequenti, sono:

  • stati di ansia e/o depressione reattive all’inefficienza prestazionale;
  • difficoltà di concentrazione;
  • cefalea;
  • calo del desiderio sessuale.

Le Ipersonnie, nell’International Classification of Sleep Disorders, vengono suddivise in primarie e secondarie.

Tra le forme primarie, troviamo:

  • l’ipersonnia idiopatica, che consiste solo in un’abnorme tendenza ad addormentarsi, senza che il sonno presenti caratteristiche ristoratrici;
  • la narcolessia (conosciuta anche come malattia del sonno), che è un’altra forma primaria, anche se con franco carattere patologico. Si basa su un’alterazione dei centri nervosi per la regolazione del ritmo sonno-veglia. Si può accompagnare a sintomi imponenti, come, ad esempio, la cataplessia (ossia perdita delle forze tanto da non riuscire a restare in piedi a seguito di emozioni), le allucinazioni ipnagogiche, simili a sogni ad occhi aperti, nonché a paralisi del sonno, che si verificano prima di addormentarsi o dopo il risveglio. Caratteristica peculiare della narcolessia è la comparsa del sonno di fase REM già 15 minuti dopo l’addormentamento e tale permane, per la maggior parte del tempo. A ciò, consegue il mancato raggiungimento del sonno profondo, per cui il cervello non riposa a sufficienza.

L’ipersonnia secondaria, infine, può essere legata ad altre condizioni che, contrastando il regolare svolgimento del sonno notturno, causano sonnolenza diurna, come nel caso della:

  • sindrome delle gambe senza riposo (Restless Leg Syndrome). Si tratta di un disagio causato da un’intensa irrequietezza motoria alle gambe, legata al tentativo di alleviare sgradevoli sensazioni di brivido o di formicolio, che non permettono alla persona di cominciare il sonno notturno. Ciò determina, in questo modo, una marcata sonnolenza diurna;
  • sindrome delle apnee notturne, che può essere causata sia da una patologia ostruttiva bronchiale oppure si presenta quando il sistema nervoso centrale interrompe lo stimolo a respirare. Il soggetto è, allora, obbligato a svegliarsi ripetutamente, per riprendere a respirare. Per questo motivo, denuncia una sonnolenza diurna eccessiva.

Con il termine parasonnia, ci si riferisce ad un certo numero di disordini del sonno, che in genere si contraddistinguono da disturbi della fase REM. Essi sono caratterizzati da un risveglio di soprassalto. Ciò può essere causato da un incubo sopraggiunto, in virtù del quale la persona muove il proprio corpo, al fine di assecondare ciò che sta sognando. Altri motivi, per cui si verifica la parasonnia, può essere il sonnambulismo, o anche un comportamento violento durante il sonno.

Per quanto riguarda i disturbi del ritmo sonno-veglia, va detto che il sonno e la veglia rappresentano un tipico esempio di variazioni circadiane, che sono comunemente sincronizzate su ritmi di 24 ore, da strutture nervose differenti, i cosiddetti oscillatori interni. Essi risentono dell’influenza di fattori ambientali (prevalentemente il contatto sociale e il ciclo luce-buio). In condizioni di completo isolamento, come, per esempio, succede agli astronauti o a chi svolge un impiego notturno, a turnazione, viene meno l’azione dei sincronizzatori ambientali, per cui gli oscillatori interni tendono ad assumere ritmi diversi da quello di 24 ore e possono desincronizzare talune funzioni biologiche, tra cui il ritmo sonno-veglia. Conseguentemente, il paziente non riesce a dormire quando lo desidera o quando sarebbe tenuto a farlo.

Diagnosi Diagnosi

Sulla base di quanto detto, il percorso diagnostico deve essere orientato al riconoscimento delle comorbilità di varia natura (metabolica, vascolare, neoplastica, psichica, sociopatica, ecc.), che esso sottende.

L’indagine, indirizzata nello specifico alla valutazione, sia in termini di qualità che di quantità del sonno, è l’esame polisonnografico dinamico. Tale esame registra, per 24 ore, l’attività elettroencefalografica, congiuntamente ad altri parametri, quali il tono muscolare, l’attività respiratoria, i movimenti oculari, la frequenza cardiaca, ecc.

Al tempo stesso, per inquadrare correttamente la diagnosi, al paziente è richiesta la redazione di un diario del sonno e, contemporaneamente, gli vengono sottoposti diversi questionari validati. Tra questi, quelli maggiormente usati sono la Scala della sonnolenza diurna di Epworth e la Scala della qualità del sonno Pittsburg. Tali questionari sono in grado di restituire una stima relativa alle abitudini di sonno e dei suoi eventuali disturbi.

Rischi Rischi

È molto nociva la privazione di sonno protratta nel tempo, sia per la salute mentale che fisica dei pazienti che ne soffrono. Le conseguenze sono numerose:

  • astenia;
  • cefalea mattutina;
  • gonfiore e pallore del viso; 
  • tremori; 
  • alterazioni della vista e dell’olfatto;
  • tendenza all’ansia ed alla depressione
  • facile irritabilità; 
  • ridotta efficienza mentale, con conseguente difficoltà a concentrarsi specialmente nei processi di apprendimento e memorizzazione;
  • alterazione della capacità decisionale;
  • generica perdita di interesse per la realtà circostante.

Se la deprivazione si protrae a lungo termine, compaiono anche tendenza all’ipertensione, obesità, diabete, ictus ed infarto.

A causa dell’influenza negativa sull’attività dell’asse ipotalamo-ipofisario, inoltre, ne risentono:

  • il sistema immunitario;
  • la sessualità;
  • la produzione degli ormoni della crescita, nei soggetti in età di sviluppo.

È esperienza consolidata in Chirurgia che, in un paziente insonne, può risultare rallentato il processo di guarigione delle ferite. Va rilevato, infine, che tanto le insonnie, quanto le ipersonnie cronicizzate, possono alterare profondamente il ritmo sonno-veglia. Ciò rappresenta un importante fattore di aggravamento della sintomatologia. La totale assenza di sonno, infine, può portare alla morte.

Cure e Trattamenti Cure e Trattamenti

Si capisce come, in baso a quanto finora enunciato, non esiste una soluzione univoca per i disturbi del sonno. Ci sono, invece, numerosi possibili rimedi, tutti a base farmacologica.

trattamenti non farmacologici consistono nel ricorso a norme di igiene del sonno, che richiedono una variazione dello stile di vita e delle proprie abitudini, come:

  • esporsi con regolarità, per tre ore, alla luce solare ovvero superando la luminosità di 10 lux, in quanto ciò favorisce il corretto ritmo circadiano;
  • evitare il sonnellino pomeridiano;
  • evitare attività fisica serale;
  • ridurre nicotina, caffeina e alcool nell’arco della giornata;
  • consumare una cena leggera;
  • andare a letto ad orario costante;
  • evitare di guardare TV e dispositivi elettronici a letto;
  • favorire il buio totale dove si dorme.

La terapia cognitivo-comportamentale è considerata un rimedio di prima linea, particolarmente dove sussiste una riconosciuta problematica esistenziale, che è fonte di stress, ansia o depressione, all’origine del disturbo del sonno. Bisogna affrontare le cause con un adeguato percorso psico-terapeutico.

rimedi di origine erboristica (valeriana, camomilla, lavanda, luppolo, passiflora, escolzia, biancospino, fiori d’arancio e di tiglio) possono essere d’aiuto nell’evitare l’utilizzo di sedativi o farmaci ipnotici. Il latte tiepido, per il suo elevato contenuto di triptofano, bevuto prima di andare a letto, rappresenta sempre un valido rimedio tradizionale.

La melatonina, che è prodotta dalla ghiandola pineale, con la funzione di regolare il ritmo sonno-veglia, facilita uno stato di sonno, con caratteristiche sovrapponibili a quello fisiologico. Non è causa, inoltre, del calo di attenzione al risveglio, com’è invece caratteristico dei farmaci ipnotici.

trattamenti farmacologici attuali hanno del tutto soppiantato i vecchi barbiturici, in uso fino agli anni Settanta del secolo scorso. Quelli attuali sono prevalentemente costituiti dalle benzodiazepine (Diazepam, Lorazepam, Bromazepam, Alprazolam, Delorazepam, Nitrazepam, Flunitrazepam, Clonazepam), che, pur risultando efficaci, inducono tuttavia tolleranza e dipendenza, con effetto rebound in caso di sospensione. Esistono anche ipnotici benzodiazepino-correlati, che dall’iniziale del loro nome (Zolpidem, Zopiclone e Zaleplon) prendono anche il nome di Farmaci Z, i quali non danno sintomi di astinenza alla loro sospensione.

È recente l’introduzione in terapia del daridorexant, che è un nuovo farmaco in grado di contrastare l’attivazione dell’orexina, la struttura diencefalica che mantiene lo stato di veglia, per cui riducendone il segnale viene favorita l’induzione del sonno.

Se il disturbo del sonno consiste in insonnia terminale, contraddistinta cioè dal risveglio precoce, il problema è verosimilmente legato a un disturbo depressivo. Per questo motivo, invece degli ipnoinducenti, è preferibile ricorrere agli antidepressivi.

In conclusione, quando una persona si rende conto che il disturbo del sonno si sta protraendo nel tempo, deve ritenere fondamentale richiedere l’aiuto di uno specialista, in modo da evitare che questo pregiudichi, in maniera significativa, il proprio benessere.

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