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Attacco di panico

Dr.ssa Teresa Colombo

Dr.ssa Teresa Colombo

Psicologo Psicologo - Psicoterapeuta Creato il: 07/07/2017 Ultimo aggiornamento: 26/10/2023
L’improvvisa apparizione del Dio greco Pan, mezzo uomo e mezzo capro, era ciò che in antichità i pastori temevano di più. La divinità scatenava una paura incontenibile ai pastori e ai loro greggi, i quali, spaventati a morte, correvano all’impazzata. Tale è l’origine di quello che oggi viene chiamato attacco di Pan-ico. Storicamente, la prima descrizione di tale quadro viene attribuita al medico militare DaCosta, che la riscontrò in taluni soldati che avevano partecipato alla guerra civile americana, chiamandola sindrome del cuore irritabile. Negli stessi anni, in Europa, il francese Legrand du Saulle e il tedesco Westphal dettagliarono, invece, alcune situazioni cliniche che definirono “agorafobia”.

Un attacco di panico è uno stato d’ansia acuto, di durata relativamente breve, ma particolarmente grave e scompaginante le funzioni dell’Io. L’allarme, l’angoscia di catastrofe imminente, può riguardare sia l’integrità somatica che la psichica (si può teme di morire, di impazzire, ecc.). Ad esso, si aggiungono manifestazioni neurovegetative (tremori, sudorazione, palpitazioni, dolori precordiali, dispnea). L’attacco di panico si configura, quindi, come situazione di grave angoscia, con sensazione di pericolo e di morte imminente, con frequente ricorso alle strutture di medicina di urgenza, da parte del soggetto, ed è sintomo definitorio del Disturbo da Attacchi di Panico (DAP). 

Essi si verificano come episodi isolati di ansia somatica o vegetativa, associati a marcata ansia psichica, con un senso estremo di paura, e terminano con la completa interruzione dell’attività momentanea che sta svolgendo, cosicché il soggetto colpito può:
 
  • sdraiarsi a terra;
  • correre via all’aperto;
  • ritornare a casa;
  • “avere un collasso”;
  • oppure interrompere volontariamente le azioni del momento, in modo tale che l’attacco, gradualmente, si plachi.
In tutti i casi, c’è stato qualcosa nel suo comportamento precedente l’attacco che precipita il panico. Il soggetto può formulare questa associazione per conto proprio ed elaborare delle strategie per evitare di provocare l’attacco. Tale può essere la condizione antecedente per lo sviluppo di condizioni fobiche.

La durata dell’attacco può variare da meno di un minuto a diverse ore, ma normalmente dura da dieci a venti minuti e la sua frequenza può essere diverse volte al giorno, sebbene, di solito, sia inferiore. Difatti, sebbene gli attacchi di panico durino, generalmente, solo alcuni minuti, questi causano al soggetto una considerevole angoscia. Oltre ad allarmanti sintomi fisiologici, infatti, i soggetti avvertono una sensazione di morte imminente e, dato che gli attacchi sono in genere ricorrenti, i soggetti possono spesso sviluppare ansia anticipatoria, preoccupandosi perennemente di quando e dove avverrà l’attacco successivo.

La maggior parte di questi soggetti può anche sviluppare agorafobia, ovvero la paura di essere intrappolato in un luogo o in una situazione dai quali la fuga può essere difficile o imbarazzante. L’andamento del Disturbo da Attacchi di Panico lo caratterizza come un quadro tendente alla cronicità

Un singolo attacco di panico è un sintomo che può manifestarsi come parte del quadro clinico di una varietà di disturbi d’ansia, quali:
 
  • disturbo di panico;
  • ansia sociale;
  • fobia specifica;
  • disturbo post-traumatico da stress;
  • disturbo acuto da stress.
Vi sono due tipi di attacchi di panico: Attacco di panico atteso e attacco di panico inaspettato:
 
  • l’attacco di panico atteso è quello che insorge a seguito di uno stimolo o un evento prevedibile, o che già precedentemente era stato causa di attacchi di panico;
  • l’attacco di panico inaspettato è quello che insorge per stimoli che in precedenza non erano stati all’origine di attacchi e/o che non sono ovvi, ad esempio quando il soggetto si rilassa, oppure l’attacco di panico notturno che compare nel sonno. 
Attacco di panico

Cause Cause

I dati neurobiologici ci indicano che i disturbi d’ansia presentano un moderato rischio d’insorgenza a carattere eredo-familiare e, in particolare, si ritiene che nel Disturbo di Panico i fattori ereditari possano essere chiamati in causa nel 30-40% dei casi.

La neurobiologia dei disturbi d’ansia si basa sui meccanismi neuronali, che sostengono la risposta condizionata di allarme/ paura. Secondo LeDoux, i circuiti neuronali che sembrano essere coinvolti in tale processo sono le vie che portano gli stimoli sensoriali esterni e viscerali, dalla periferia al talamo, e quelle che da qui si dipartono:
 
  • la via di collegamento sottocorticale, che dal talamo dorsale porta rapidamente dall’amigdala (short loop);  
  • la via regolatoria più lenta, corticale, che comprende la corteccia somatosensoriale primaria, l’insula e il giro del gingolo anteriore/ corteccia prefrontale (long loop). Quest’ultima via permette l’acquisizione di significato degli stimoli minacciosi, attraverso l’elaborazione della corteccia.
L’amigdala riceve le informazioni relative agli stimoli, che inducono paura e ansia sia in modo non elaborato (short loop), che dopo l’elaborazione della corteccia (long loop). L’elaborazione sottocorticale integrata della paura coinvolge, oltre all’amigdala, anche le strutture vicine, come l’ippocampo e il bed nucleus della stria terminale (BNST) e i disturbi d’ansia potrebbero essere il risultato di tale squilibrio.

L’amigdala è la prima struttura celebrale ad essere attivata in presenza di un segnale di paura: questa attivazione può essere completamente inconscia. Una risposta di lotta e fuga può essere indotta prima che il talamo abbia il tempo di trasmettere informazioni alla corteccia, e quindi prima che forme di pensiero razionale, mediate dalla corteccia prefrontale, possono essere applicate alla situazione.

Accanto alle ipotesi neurobiologiche vi sono poi le ipotesi psicologiche e comportamentali. Il disturbo di panico può all’apparenza sembrare privo di contenuti psicologici, in quanto tali attacchi sembrano “venire dal nulla”, senza apparenti fattori ambientali o intrapsichici. Tuttavia, una percentuale significativa di persone che soffrono di Disturbo da Attacco di Panico ha tali attacchi a causa di fattori psicodinamici. Può pertanto rispondere a interventi psicologici: gran parte dei concetti psicologici, sul significato e la patogenesi dell’ansia, deriva difatti dalla meta-psicologia psicodinamica.

Freud afferma che l’angoscia dell’attacco di panico è l’indizio, da un lato, di una situazione di pericolo, dall’altro, di un fallimento dei meccanismi di difesa. L’ansia è l’espressione di una situazione conflittuale. In un primo stadio, però, l’intervento delle difese riesce a mascherarla, o convertendola in sintomi somatici (Isteria) o sviluppando altri tipi di paure immotivate (Fobie) o di pensieri e comportamenti ripetitivi (Ossessioni). Solo se questi meccanismi non intervengono opportunamente si giunge alla crisi acuta.

D’altra parte, l’attacco di panico, con il corteo di sintomi e timori fisici che determina e le risposte comportamentali conseguenti, è di per sé stesso un tentativo di eludere il pericolo, che risiede nella situazione conflittuale originaria inconscia. Doversi occupare del proprio malessere, sul piano somatico, diviene quindi, con frequenza, un modo per prendere le distanze dal significato psicologico di quanto avvenuto.

È significativo inoltre ricordare che molti pazienti hanno in passato sofferto un quadro di ansia di separazione, alla cui base sta la paura di perdere l’oggetto, o per una perdita reale di un genitore durante l’infanzia. Secondo le teorie delle relazioni oggettuali nel bambino, in un’età compresa tra i sei mesi e i tre anni, si va a strutturare una fase della crescita definita di separazione-individuazione, che consente al soggetto di tollerare gradualmente la distanza dalla madre, sviluppando la capacità di percepirsi come individuo distinto da lei e manifestando di tollerare le sue assenze e una propria autonomia nascente.

Se questa fase non viene vissuta adeguatamente, i risultati possono condurre al quadro patologico descritto, appunto, come ansia di separazione. Ulteriori successivi eventi (separazioni, divorzi etc..) possono riattivare la perdita in questione. In questo senso, l’ansia non sarebbe più espressione di un conflitto ma, situata più precocemente nel corso dello sviluppo, conseguenza di una perdita. In base alla teoria dell’attaccamento di Bowlby, la vicinanza del bambino con chi si occupa di lui (caregiver) consente al primo di interiorizzare lo stato psichico del secondo: nel caso di disturbo di panico, la patologia del genitore strutturerebbe così un attacco di tipo ansioso-ambivalente. 

Genesi diversa è invece postulata dalle scienze cognitive e comportamentali, come ad esempio dagli studi di Ivan Petrovich Pavlov, secondo cui uno stimolo può diventare condizionato attraverso un apprendimento associativo. Il condizionamento alla paura si può acquisire sin da un’età precoce e può persistere fino allo sviluppo di risposte fobiche o stati di ansia. La reazione di paura è fisiologica ed è di fondamentale importanza per evitare i pericoli, mentre l’ansia e le fobie diventano comportamenti indipendenti dagli stimoli di pericolo.

Il modello dell’apprendimento proposto da Watson negli anni ’20 e perfezionato da Skinner negli anni ’50, caratterizza le teorie comportamentiste secondo le quali l’individuo è soggetto costantemente a influenze dell’ambiente (stimoli), le quali strutturano delle risposte. Analogamente, i comportamenti patologici e le reazioni affettive negative del soggetto (es. ansia) sono appresi e hanno un significato di adattamento non adeguato.
 

Sintomi Sintomi

Il Disturbo di Attacchi di Panico (DAP) è caratterizzato dall’identificazione di ripetuti attacchi inaspettati di panico. Almeno uno di questi attacchi deve essere seguito da un periodo di un mese o più di preoccupazioni persistenti, correlate all’attacco, o da alterazioni comportamentali significative, legate agli attacchi. 

Un attacco di panico è l’improvvisa insorgenza di intensa paura o malessere, che raggiunge il picco in pochi minuti, durante il quale devono essere presenti almeno quattro (o più) dei seguenti sintomi:
 
  1. palpitazione, cardiopalmo, tachicardia;
  2. sudorazione;
  3. tremore o scosse;  
  4. sensazione di respiro corto o asfissia;  
  5. sentimento di soffocamento;
  6. dolore o malessere toracico;  
  7. nausea o disturbi addominali;  
  8. sensazione di sbandamento, di instabilità, di testa leggera, o di svenimento;
  9. brividi o vampate di calore;  
  10. parestesie (sensazioni di torpore o formicolio);
  11. derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (essere distaccati da se stessi);
  12. paura di perdere il controllo o di impazzire;
  13. paura di morire.
I sintomi non sono dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (ad esempio una droga di abuso o un farmaco) o di una condizione medica generale. Vi sono, difatti, diverse condizioni mediche che possono simulare un attacco di panico:
 
  • disturbi cardiovascolari;
  • iper o ipotiroidismo;
  • iperparatiroidismo;
  • ipoglicemia;
  • asma e bronchite cronica ostruttiva;
  • epilessia temporale;
  • feocromocitoma;
  • altre ancora. 

Diagnosi Diagnosi

L’attacco di panico è caratterizzato da crisi parossistiche a rapida insorgenza e solitamente di breve durata. Il soggetto riporta l’esperienza vissuta come catastrofica, con un senso di impotenza e di paura per la propria integrità psichica e/o fisica. Spesso segue una fase post-critica, in cui il soggetto appare confuso e stanco, lamenta senso di sbandamento, nausea, vertigini e può presentare depersonalizzazione e derealizzazione

La frequenza e la gravità degli attacchi è piuttosto variabile e può essere giornaliera, settimanale, mensile o del tutto irregolare. Tale persistenza e frequenza degli attacchi genera nel paziente uno stato di ansietà e paura continua. Questa condizione aumenta lentamente più si avvicinano le occasioni ritenute temibili (ansia anticipatoria). L’individuo può cominciare a mettere in atto comportamenti di rassicurazione o a evitare situazioni temute, limitando anche le proprie relazioni interpersonali. In determinate occasioni, per via dell’ansia anticipatoria, possono manifestarsi preoccupazioni ipocondriache, che portano la persona a mettere in atto esami frequenti e accertamenti diagnostici, con un parziale effetto rassicurante. A seguito dell’evitamento e delle limitazioni della vita quotidiana, possono insorgere anche sintomi depressivi

La diagnosi differenziale del Disturbo di panico si pone sia nei confronti di patologie internistiche che di tipo psichiatrico. Poiché l’accesso al pronto soccorso di tali soggetti è piuttosto comune, questa sede dovrebbe essere utilizzata per l’esecuzione di esami di laboratorio routinari, di un ECG e di un test tossicologico per l’identificazione di eventuali sostanze di abuso.

Sul versante dei disturbi psichiatrici, vanno considerate diverse possibilità differenziali. Un attacco di panico può essere indotto dall’assunzione di sostanze, quali:
 
  • anfetamine;
  • la caffeina;
  • la cannabis;
  • la cocaina;
  • dalla loro astinenza (es. alcool o barbiturici).
Se un attacco di panico è provocato da situazioni definite, allora ci si trova nell’ambito di quadri come una fobia sociale o specifica.

Nel disturbo d’ansia generalizzato, è lo stato di apprensione e preoccupazione complessivi che può condurre a un attacco, così come, nel disturbo ossessivo-compulsivo, l’essere messi a contatto con l’oggetto che la causa dell’ossessione stessa. Nel disturbo post traumatico da stress, l’esposizione a condizioni che rievocano l’evento stressante originario.

In tutti questi casi, il soggetto non teme comunque l’andare incontro a un attacco di panico, ma il disagio che gli deriverebbe da oggetti e situazioni che lo spaventano (es. parlare in pubblico in una fobia sociale o contrarre una malattia nel caso dell’ipocondria). C’è da considerare, tuttavia, che non sempre gli individui con disturbi d’ansia, come il disturbo d’attacco di panico, possono riconoscere gli stimoli capaci di indurre loro un attacco di panico.
 

Rischi Rischi

Il disturbo, se non trattato, ha un decorso cronico caratterizzato da fluttuazioni nell’intensità dei sintomi e variabilità nella frequenza degli episodi critici. 

La continuità e la frequenza degli attacchi di panico genera nel paziente uno stato di ansietà e paura continua, che cresce gradualmente con l’avvicinarsi delle situazioni temute. La persona può iniziare ad attuare comportamenti di rassicurazione, come per esempio farsi accompagnare da un amico, o a evitare le situazioni temute e, in alcuni casi, può arrivare a rimanere confinato in casa. Come conseguenza, la persona può rimanere limitata nei propri rapporti interpersonali, per l’imbarazzo e la paura di essere giudicata negativamente. Il risultato di questa paura può indurre l’insorgenza in molti casi di agorafobia. 

L’ansia anticipatoria può organizzarsi progressivamente in un Disturbo di Ansia Generalizzata (GAD). In altri casi, possono insorgere preoccupazioni ipocondriache che spingono il soggetto a ripetuti esami e accertamenti diagnostici, con un parziale effetto rassicurante. 

A seguito dell’evitamento e delle limitazioni della vita quotidiana possono insorgere anche sintomi depressivi
 

Cure e Trattamenti Cure e Trattamenti

Anzitutto, è necessario dire che il disturbo di panico, con o senza agorafobia, è un disturbo ben conosciuto e curabile e possono risultare utili alcuni suggerimenti di profilassi come l’eliminazione del caffè e dell’alcol dalla dieta.

I farmaci comunemente utilizzati sono le benzodiazepine, gli antidepressivi SSRI e triciclici. Tuttavia, in genere, la sola farmacoterapia non è sufficiente per indurre una remissione dei sintomi o per migliorare il controllo degli attacchi di panico ed i pazienti possono trarre benefici duraturi con l’ausilio una psicoterapia.

Farmaci ansiolitici e ipnotici, quali ad esempio le benzodiazepine (BDZ), usati per un periodo protratto possono indurre tolleranza e portare allo sviluppo di una vera e propria dipendenza e/o lo sviluppo di una sindrome da sospensione. Nei riguardi di una terapia con farmaci del disturbo da panico, va infine considerato che, in alcuni casi, il blocco farmacologico degli attacchi di panico non viene seguito dalla remissione della componente agorafobica e le condotte di evitamento tendono a persistere stabilmente.

L’approccio psicofarmacologico non sembra in grado di rispondere da solo a tutte le problematiche che si presentano:
 
  • la cronicità del disturbo;
  • la bassa compliance;
  • la resistenza ai farmaci;
  • la gestione del mantenimento delle terapie;
  • l’insorgenza di effetti collaterali;
  • la possibilità di ricadute dopo la sospensione delle terapie;
  • la vulnerabilità alla riacutizzazione di fronte a nuovi stimoli stressanti;
  • la presenza di problematiche conflittuali preesistenti al disturbo;
  • le pesanti implicazioni sul piano emotivo ed esistenziale. 
Le strategie a lungo termine del trattamento dei disturbi di panico chiamano in causa il ricorso alla psicoterapia da sola o in associazione agli psicofarmaci. 

Il ricorso a un trattamento psicodinamico consente al paziente di affrontare e risolvere i conflitti e/o di sviluppare una maggiore costanza d’oggetto attraverso una relazione proficua con il curante che si dimostri interessato a loro e tali interventi possono giocare un ruolo importante nella terapia del Disturbo da Attacchi di Panico.

Durante una terapia psicodinamica, le difficoltà relazionali del paziente spesso vengono riprodotte nel transfert verso il terapeuta. Risultano particolarmente palesi i conflitti che coinvolgono rabbia, indipendenza e separazione. In genere, è bene che il terapeuta esplori le paure del paziente di diventare completamente dipendente nei suoi confronti con il progredire della terapia. Può quindi rivelarsi fondamentale che lo psicoterapeuta sia d’aiuto alla persona nel diventare consapevole della sua ansia, relativamente l’espressione della rabbia e al bisogno correlato di difendersi da queste emozioni.
Il terapeuta psicodinamico invoglierà, poi, il soggetto ad analizzare dettagli e fattori che determinano gli attacchi di panico. Contestualmente, lo aiuterà a provare a collegare le ansie rispetto ad un’eventuale catastrofe con gli eventi della sua vita. In questo modo, le capacità di mentalizzazione del paziente aumenteranno, fino a renderlo capace di vedere come l’attacco di panico sia collegato alla rappresentazione piuttosto che una realtà.

Le difese di somatizzazione spesso agiscono sinergicamente per prevenire una riflessione interna. Nella somatizzazione, l’attenzione del paziente è focalizzata su fenomeni fisici piuttosto che su significati psicologici. Nell’esternalizzazione, i problemi sono attribuiti ad altre persone che sono considerate in qualche modo avverse al paziente.

Usate in associazione, queste difese possono creare una specifica forma di relazione d’oggetto, in cui gli altri (familiari, amici, medici) sono visti come guariti a cui è attribuita la capacità di porre rimedio a qualcosa che non va nel corpo del paziente. Questa modalità di relazione d’oggetto si manifesta frequentemente anche nel transfert.

L’iperventilazione che il soggetto manifesta non consente di trattenere la quota necessaria di CO2 che serve ad utilizzare l’ossigeno in eccesso, si sviluppa così paradossalmente una sensazione di mancanza d’aria: trattenere il respiro per 10/15 secondi è una tecnica per ridurre l’iperventilazione.

Gli studi dimostrano, inoltre, l’efficacia di trattamenti cognitivo-comportamentali nel controllo dell’agorafobia e del controllo dell’evitamento, nonché nella riduzione delle recidive. Anche le tecniche di rilassamento sono utilizzate per fornire al paziente un maggiore autocontrollo dell’attacco di panico (si praticano il rilassamento muscolare, l’addestramento per ridurre l’iperventilazione, il “sogno guidato”, ecc).

La terapia familiare infine viene anche consigliata ed è diretta al sostegno e a fornire indicazioni utili a quanti vivono accanto al soggetto. L’intervento potrà essere sia individuale che di gruppo
 

Bibliografia

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