Emicrania
Dr. Mauro Colangelo
Neurochirurgo Medico Chirurgo, specialista in Neurologia ed in Neurochirurgia Creato il: 07/07/2017 Ultimo aggiornamento: 21/09/2023L’emicrania è un disturbo neurologico, il cui sintomo predominante è costituito da cefalee ricorrenti, tipicamente a localizzazione unilaterale, cioè a metà testa, come appunto indica il termine, caratterizzato da dolore pulsante, di entità da moderata a severa, e che può durare da poche ore a tre giorni.
L’emicrania può essere accompagnata da sintomi di natura neuro-vegetativa, quali nausea o vomito, ipersensibilità alla luce, ai suoni o agli odori. Il dolore è generalmente peggiorato da attività fisica durante la crisi. L’attacco di emicrania, in oltre un terzo dei casi, può essere preceduto o meno da fenomeni premonitori, che, nel loro complesso, costituiscono l’aura, generalmente costituita da disturbi visivi, ma, talora, l’aura può verificarsi senza essere seguita dalla cefalea.
L’emicrania colpisce i due sessi nella stessa misura nell’età infantile, ma, in seguito, è nettamente prevalente nel sesso femminile, con una frequenza variabile dal 3 al 10%, nelle donne, e da 1 al 4% negli uomini della popolazione generale. Circa un terzo di questi soggetti sarebbe affetto da emicrania con aura.
Cause
Le cause che sostengono l’emicrania sono tuttora sconosciute, ma si ritiene che siano in relazione ad un mix di fattori ambientali e genetici; esiste, infatti, una ben nota predisposizione ereditaria, alla cui base, secondo i più recenti studi, potrebbe esserci un’alterazione genetica nei meccanismi centrali di controllo del dolore. Studi sui gemelli indicano l’influenza genetica dal 31 al 54%, che è maggiore per l’emicrania con aura.
Esistono fattori scatenanti, con un’influenza variabile individualmente, costituiti da:
- stress psicologico (dal 50 all’80%);
- fame;
- affaticamento;
- ciclo mestruale e contraccettivi orali;
- alimenti contenenti tiramina (cioccolato, bevande alcoliche, formaggi, cibi processati).
La fisiopatologia dell’emicrania è stata accuratamente investigata e, nel corso degli ultimi 50 anni, sono state formulate numerose teorie. La teoria di Wolff, del 1963, ha tenuto banco per decenni ed ha fornito una spiegazione molto plausibile degli eventi clinici che caratterizzano l’emicrania basata su una complessa serie di eventi neurali e vascolari. Secondo Wolff, i fenomeni neurologici dell’aura (scotomi, afasia, paresi fugaci, etc.) sarebbero da ascrivere ad una fase iniziale di vasocostrizione, cui farebbe seguito una fase di vasodilatazione, responsabile del sintomo doloroso dell’emicrania, legato all’attivazione dei recettori del dolore localizzati nello strato esterno dei vasi sanguigni intracranici.
Ancora oggi, si ritiene che l’emicrania sia un disturbo neuro-vascolare, seppure una più recente teoria riporta lo scatenamento della crisi ad un’aumentata eccitabilità della corteccia cerebrale e ad un anomalo controllo dei neuroni del nucleo del trigemino nel tronco dell’encefalo attraverso un meccanismo legato all’attivazione dei recettori NMDA. Il dolore conseguirebbe ad un’attivazione delle terminazioni nervose, che circondano i vasi sanguigni della testa e del collo. Nella patogenesi della vasodilatazione, sarebbero implicati neuromodulatori quali l’adenosina trifosfato (ATP) e di fatti la caffeina, che possiede un ruolo di inibitore dell’ATP, esplica un effetto nel ridurre l’emicrania. L’insieme di queste ipotesi confluiscono nell’odierna “teoria centrale”, secondo la quale, il soggetto che soffre di emicrania avrebbe uno stato di ipereccitabilità neuronale nella corteccia cerebrale, geneticamente determinato, legato ad una scarsa capacità di filtrare lo stimolo dolorifico.
Secondo tale visione, in che cosa consisterebbe questo cosiddetto “cervello emicranico”? Il soggetto, predisposto geneticamente all’emicrania, è portatore di un numero più grande di geni, che presiedono alla formazione del CGRP (calcitonin gene-related peptide), ovvero una sostanza pro-infiammatoria. Questa, causando un aumento di permeabilità vascolare e vasodilatazione, si accompagna ad attivazione delle piastrine, con conseguente liberazione di serotonina. Ciò dà nuovo vigore e ricollega, sulla base dei risultati di recenti studi di immuno-istochimica e di imaging funzionale del cervello (Risonanza Magnetica con spettroscopia), le teorie di Wolff e di Moskowitz, l’Autore della teoria trigemino-vascolare, oltre a giustificare la predilezione della cefalea per determinati nuclei familiari. Queste acquisizioni, poi, hanno consentito di impostare, in chiave più moderna, la terapia preventiva dell’emicrania, basata sull’utilizzo di un anticorpo monoclonale, che ha come bersaglio la CGRP (Calcitonin Gene Related Peptide), con il suo effetto vasodilatatore interviene nella trasmissione del dolore, mediante l’attivazione dei neuroni trigeminali ed il cui livello risulta appunto aumentato nell’emicrania.
Per questo motivo, il meccanismo patogenetico può essere sintetizzato così: il paziente emicranico è portatore di una bassa soglia del dolore, associata a un insufficiente filtro sugli input sensitivi, a livello delle strutture centrali del trigemino, per una tendenza genetica aumentata alla formazione di CGRP. In virtù di questa predisposizione, molteplici fattori scatenanti attivano, più facilmente, i riflessi trigeminali, adatti a provocare la sequela vaso-dinamica responsabile delle fasi cliniche dell’episodio di emicrania. Questi fattori sono di:
- natura ormonale (come accade nelle donne che soffrono di dolori mestruali);
- alimentare e fisica (stress, stimoli olfattivi, perdita di sonno).
Sintomi
L’emicrania è stata esaustivamente classificata dalla International Headache Society, nel 1988, ed aggiornata nel 2004. Una terza versione è stata pubblicata nel 2018, secondo cui l’emicrania è una cefalea primaria, unitamente alla cefalea di tipo tensivo e la cefalea a grappolo.
L’emicrania si distingue in due principali sottotipi:
- emicrania senza aura: in virtù dei criteri della ICHD-III, si può porre diagnosi di emicrania senza aura (nota in precedenza anche come “emicrania comune”), se si presentano almeno cinque episodi mensili di attacchi, la cui durata può variare da qualche ora sino a tre giorni. Tali episodi sono caratterizzati da dolore pulsante, con intensità da media a forte, a localizzazione unilaterale, inizialmente in regione sovra-orbitaria e tendente alla diffusione ubiquitaria. Alla cefalea, si associa nausea o vomito ed è quasi frequentemente presente fonofobia, ossia il fastidio per i rumori e fotofobia, ovvero il fastidio per la luce, e l’intensità del dolore cefalico risente di qualsiasi tipo di attività fisica. Ciò porta l’individuo ad una tendenza ad isolarsi in un ambiente silenzioso e buio, in completa inattività. Può associarsi accentuazione dell’olfatto, congestione congiuntivale e lacrimazione, difficoltà a concentrarsi e, talora, deficit della memoria per i fatti recenti. Questa è la forma più ricorrente, che incide per l’80% dei casi di emicrania;
- emicrania con aura: se per la diagnosi della forma senza aura, la ICHD-III pone la condizione di almeno cinque attacchi mensili, per l’emicrania con aura, bastano invece soltanto due attacchi al mese. Questa emicrania, precedentemente conosciuta anche come “classica” o “oftalmica”, è definita così per la presenza di aura, che consiste in un sintomo neurologico transitorio. Tale sintomo, nella maggior parte dei casi, è di tipo visivo e, normalmente, ha una durata inferiore ai trenta minuti. L’aura visiva può essere costituita da scotomi positivi (flash di luce scintillante o linee frastagliate detti spettri di fortificazione) oppure da scotomi negativi (macchie cieche o deficit a quadranti del campo visivo o visione confusa).
Diagnosi
L’esatto inquadramento diagnostico dell’emicrania passa attraverso tre stadi fondamentali:
- anamnesi;
- esame obiettivo generale e neurologico;
- indagini strumentali e di laboratorio.
Partendo dal presupposto che la diagnosi di emicrania è essenzialmente clinica, l’anamnesi è di certo l’elemento più importante su cui si essa si fonda. Pertanto, la raccolta dei dati anamnestici deve essere quanto mai minuziosa, focalizzandosi all'inizio sugli antecedenti familiari e, quindi, sui dati clinici più significativi, che caratterizzano l’andamento della cefalea quali:
- modalità di esordio;
- frequenza;
- durata ed intensità degli attacchi;
- qualità e topografia del dolore ed i fattori che lo influenzano.
Nei pazienti di sesso femminile, vanno ricercate le caratteristiche del ciclo mestruale, nonché l’eventuale contemporaneità con gli attacchi di emicrania. Una rilevante valenza diagnostica è rappresentata dalla ricerca dei fattori che generano l’attacco, gli eventuali prodromi visivi, così come i sintomi di accompagnamento e, infine, i fenomeni che indicano la fine dell’attacco.
L’esame obiettivo prevede un’accurata valutazione neurologica, compreso l’esame del fondo oculare e la ricerca di possibili trigger points a carico delle strutture cranio-facciali. Deve prevedere, inoltre, la rilevazione della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca.
Seppure indagini strumentali, come la TAC del cranio o una Risonanza Magnetica, diano poche informazioni ai fini di una diagnosi di emicrania, tuttavia, soprattutto se si tratta di una cefalea insorta di recente, esse risultano di estrema utilità per allontanare il dubbio di una patogenesi tumorale. È comunque opportuno tenere presente che, nel caso di una rara varietà di emicrania con estensione dei dolori alla faccia (Low face migraine), specie trattandosi di un soggetto di sesso femminile e di giovane età, non si deve esitare a prescrivere una RM per la diagnosi differenziale con la sclerosi multipla. Nelle forme inveterate di emicrania, anche con completa negatività all’esame neurologico, è comunque sempre utile l’esecuzione di test di laboratorio ematochimici di routine, inclusi emocromo, VES e PCR.
Rischi
Il rischio di cronicizzazione è in base alla frequenza degli attacchi e dalla durata di ciascuno di essi, ma ancor più dall’uso inappropriato di farmaci sintomatici. Lo stress contribuisce congruamente al processo di cronicizzazione, specialmente in quei pazienti in cui la cefalea sia di tipo misto, ossia emicranico-tensiva.
Numerosi studi hanno evidenziato un rischio aumentato di ictus ischemico, fra i pazienti che soffrono di emicrania, soprattutto con aura, rispetto ai soggetti che non presentano questo disturbo. Recenti studi hanno poi dimostrato che, negli individui con emicrania con aura, è frequente la pervietà del forame ovale cardiaco (ossia comunicazione tra atrio destro e sinistro), suggerendo che questo fattore possa essere implicato sia nella patogenesi dell’emicrania che dell’ictus, che è definito ictus paradosso e che si presenta, tipicamente, nei giovani adulti.
Cure e Trattamenti
Pianificando un trattamento farmacologico dell’emicrania, è necessario decidere se la terapia debba essere sintomatica, ovvero finalizzata solo ad attenuare l’attacco, oppure preventiva, nel senso cioè di attuare una profilassi a lungo termine contro attacchi multipli. Convenzionalmente, la terapia profilattica è indicata laddove la frequenza degli attacchi sia di almeno quattro al mese.
Per il trattamento sintomatico dell’emicrania trovano indicazione:
- i FANS (Farmaci Anti-infiammatori Non Steroidei), se gli attacchi sono di intensità lieve;
- gli anti-dolorifici, quali ketorolac, ibuprofene, naproxene, diclofenac, indometacina, etc., per gli attacchi di intensità media;
- negli attacchi di intensità severa, sono elettivamente indicati i Triptani, di cui il prototipo è il Sumatriptan. L’uso di questo farmaco è controindicato nei pazienti con patologia cerebro-vascolare, angina pectoris, pregresso infarto e ipertensione arteriosa e nei soggetti sotto i 18 e al di sopra dei 65 anni. Il Sumatriptan è disponibile per somministrazione orale, alle dosi di 50 e 100 mg, per somministrazione sottocutanea (25 mg), supposte e spray nasale (25 mg).
Sono molti i farmaci che vengono usati per il trattamento profilattico dell’emicrania:
- i beta-bloccanti sono farmaci di prima scelta, tra cui il propranololo è quello più frequentemente adoperato;
- gli antiepilettici, particolarmente rappresentati dal topiramato;
- Verapamil e flunarizina sono calcio-antagonisti, che trovano indicazione per la loro azione anti-aggregante piastrinica, che inibisce il rilascio della serotonina;
- i derivati dell’ergotamina sono stati i primi farmaci ad essere usati contro l’emicrania, ma attualmente sono del tutto caduti in disuso.
Per la prevenzione dell’emicrania mestruale, esclusivamente nei casi in cui l’episodio sia circoscritto alla sola fase mestruale e nei soggetti con ciclo regolare e, pertanto, in grado di prevederne esattamente l’inizio, può essere attuato una profilassi per cinque giorni (dal giorno – 2 al giorno + 3) con frovatriptan, un derivato triptanico che in un recente trial ha mostrato notevole efficacia. Per il trattamento dell’emicrania cronica, nel caso di pazienti che non rispondano ai farmaci sinora elencati, viene anche adoperata, ma per uso esclusivamente ospedaliero, la tossina botulinica di tipo A, che è somministrata con iniezioni multiple nei muscoli cervicali, temporali e frontali.
La più moderna possibilità di terapia dell’emicrania, in relazione alle recenti acquisizioni sulla sua patogenesi legata a eccessiva produzione del CGRP da predisposizione genetica, è costituita dall’utilizzo di anticorpi monoclonali specifici per il recettore della CGRP (Eptinezumab, Fremanezumab, Galcanezumab e Erenumab) la cui funzione sarebbe appunto di rimuovere l’eccesso di CGRP e di bloccarne il recettore, allo scopo di inibire l’ipersensibilizzazione delle vie centrali del trigemino. Nei soggetti trattati con Eptinezumab, al dosaggio di 300 mg somministrato una volta al mese, si rileva una riduzione pari al 75% degli episodi di emicrania, sofferti in precedenza, contribuendo significativamente al miglioramento della qualità di vita.
Altre possibilità terapeutiche sono rappresentate dal supplemento di magnesio, dall’uso di antidepressivi (amitriptilina o venlafaxina) o di altri antiepilettici (gabapentin, pregabalin) e quali terapie alternative si citano la terapia cognitivo-comportamentale, il biofeedback ed un regolare esercizio fisico.
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