Epilessia
Dr. Mauro Colangelo
Neurochirurgo Medico Chirurgo, specialista in Neurologia ed in Neurochirurgia Creato il: 22/07/2017 Ultimo aggiornamento: 21/09/2023L’epilessia è un disturbo neurologico, caratterizzato dalla predisposizione ad eventi clinici provocati da una scarica elettrica anomala a livello della corteccia cerebrale, che scatena una crisi convulsiva, consistente in movimenti muscolari bruschi e ripetuti in maniera stereotipata, spesso associati a sospensione temporanea dello stato di coscienza.
Tali episodi presentano, normalmente, una durata molto breve. Qualche volta, però, possono durare a lungo, a causa di un’anomala e prolungata sincronizzazione dell’attività dei neuroni della corteccia cerebrale o del tronco cerebrale.
Per fare diagnosi di epilessia, non è sufficiente l’occorrenza di una singola crisi epilettica, ma occorre che vi sia una loro ricorrenza. Circa l'1% della popolazione mondiale soffre di epilessia, che è più frequente nei bambini e negli anziani.
Cause
Nell’antichità, l‘epilessia era considerata di origine divina ed era denominata “male sacro”, in quanto si supponeva che le crisi epilettiche fossero una forma di attacco da parte di demoni, o che le visioni sperimentate dai pazienti fossero dei messaggi degli dei. Era per questa ragione che, nell’antica Roma, se un individuo fosse stato colpito da un attacco epilettico durante un comizio, questo avrebbe dovuto essere immediatamente sospeso. Per cui, anche al presente, l’attacco epilettico si definisce anche episodio comiziale.
Per comprendere adeguatamente l’epilessia, è fondamentale fare una spiegazione sintetica della fisiopatologia dell’attività elettrica del cervello, che generalmente non è sincrona, in quanto è sottoposta al controllo bilanciato da parte di sistemi neuronali eccitatori ed inibitori. Se la regolazione dei circuiti eccitatori è maggiore di quelli inibitori, ne consegue un abbassamento della soglia di sincronizzazione. Per questo motivo, un gruppo di neuroni incomincia a funzionare improvvisamente in modo sincronizzato, che è all’origine di una scarica “ipersincrona”, in una specifica area del cervello. Ciò si definisce “spostamento depolarizzante parossistico”, che si propaga come un incendio elettrico alle aree vicine.
Questo introduce il concetto di soglia convulsiva o epilettogena, ossia la tendenza alla scarica spontanea, che esiste in tutti quanti noi: se si apporta uno stimolo che la superi, per esempio una scarica di elettricità, chiunque può avere un attacco epilettico. Nel soggetto affetto da epilessia, la soglia è semplicemente più bassa del normale. Ciò può essere legato a molteplici cause:
- fattori genetici (per non più del 2% dei casi);
- anossia alla nascita;
- malformazioni cerebrali;
- traumi contusivi del cervello;
- tumori;
- ictus ischemico o emorragico;
- malformazioni vascolari;
- malattie infiammatorie del cervello.
Nel soggetto con soglia convulsiva bassa, la crisi può essere scatenata da molteplici fattori come:
- la mancanza di sonno;
- lo stress;
- luci lampeggianti o rumori improvvisi, che aumentano l’eccitabilità elettrica delle cellule nervose.
Se la scarica avviene in un solo emisfero cerebrale, la crisi è parziale. Al contrario, se origina nel tronco dell’encefalo, che ha proiezioni diffuse su ambedue gli emisferi, allora la crisi è generalizzata. Quando le scariche iniziano localmente, per poi diffondersi a tutto il cervello, si parla di epilessia secondariamente generalizzata.
Sintomi
Da quanto è stato esposto nella fisiopatologia, si desume che la crisi epilettica è un evento parossistico, causato dalla scarica improvvisa, da parte di un gruppo di neuroni da cui ha origine la scarica ipersincrona, che, per questa ragione, viene definito focus epilettico o, semplicemente, “focolaio”.
Il carattere sintomatologico dell’attacco epilettico può essere polimorfo, essendo in funzione dell’area cerebrale da cui parte la scarica. Le crisi sono, per il 60%, a carattere convulsivo, mentre, il restante 40% è a carattere non-convulsivo.
La crisi convulsiva generalizzata tonico-clonica è la tipologia più frequente degli attacchi epilettici. È detta “grande male” e presenta i seguenti sintomi:
- inizia con eclissi della coscienza e tipica revulsione dei globi oculari in alto;
- continua con una contrazione muscolare generalizzata e simmetrica (fase tonica);
- fa seguito una serie di scosse muscolari ritmiche e a breve escursione, con scuotimento degli arti all’unisono (fase clonica).
La crisi può anche essere costituita solo dalla fase tonica o da quella clonica. Le crisi, comunemente, hanno una durata inferiore a un minuto. Sono seguite uno stato confusionale, con stanchezza e dolore muscolare (fase post-critica). La crisi può essere preceduta da sintomi anticipatori quali:
- irritabilità;
- ansia;
- cefalea (aura).
Spesso, risulta accompagnata da perdita di controllo della vescica o dell’intestino. La caduta al suolo, che spesso contraddistingue l’esordio della crisi, genera ferite, traumi cranici o fratture ossee e, nella fase clonica, sono comuni i morsi della lingua.
Le crisi parziali semplici sono crisi focali, di frequente anticipate da un sintomo premonitore, definito aura, con fenomenologia multiforme, in base alla localizzazione del focus. Se la scarica parte dalla corteccia motoria, i sintomi sono contrazioni muscolari, che iniziano come spasmi improvvisi in un gruppo muscolare specifico, per poi diffondersi ai muscoli circostanti (marcia jacksoniana). Se, invece, originano in un’area sensitiva o sensoriale, il paziente può avvertire formicolio o sensazioni di tipo visivo, uditivo o gustativo. Qualche volta, i sintomi possono essere di tipo psichici, con improvvise sensazioni di:
- ansia;
- allucinazioni;
- percezione distorta della propria persona o di aver già vissuto una particolare situazione (dejà vu).
Durante questo tipo di crisi, la coscienza e la memoria sono conservate.
Se vi è alterazione dello stato di coscienza e non se ne conserva memoria, la crisi parziale è detta complessa o psicomotoria, che comincia con:
- l’arresto brusco dell’attività corrente;
- incapacità di comunicare;
- movimenti ripetuti degli occhi e della bocca o gesti stereotipati delle mani;
- linguaggio incomprensibile, o comportamento anomalo.
La crisi di assenza è detta anche “piccolo male“. Essa consiste in un improvviso arresto motorio, con una diminuzione dello stato di coscienza, della durata di circa venti secondi. Si verifica tipicamente in età infantile e, non essendoci perdita del tono posturale, il bambino non cade, tornando alla normalità subito dopo il termine. Durante la crisi, però, non è in grado di rispondere e, successivamente, non ricorda neanche quanto accaduto.
Gli attacchi mioclonici sono di brevissima durata e si manifestano con contrazioni a scatti di muscoli o gruppi muscolari di alcune aree o di tutto il corpo.
Le convulsioni atoniche, infine, comportano la perdita dell’attività muscolare per più di un secondo. Poiché ciò avviene tipicamente su entrambi i lati del corpo, questo tipo di crisi genera di frequente la caduta al suolo della persona.
Diagnosi
In un soggetto che abbia presentato una crisi convulsiva, l’esame diagnostico di elezione è costituito dall’elettroencefalogramma (EEG), che, attraverso le derivazioni elettriche collocate sul capo, registra gli elementi grafici, che sono peculiari per ciascun tipo di epilessia. In relazione alla morfologia ed alle sequenze temporali dei “grafoelementi”, si è in grado di distinguere una forma centro-encefalica da una focale.
In alcune situazioni, può rilevarsi utile effettuare l’EEG quando il paziente dorme o in privazione di sonno. Tuttavia, ciò che è essenziale per la diagnosi di epilessia, è distinguere se si tratti di una forma primitiva o idiopatica oppure di una forma secondaria o lesionale, ossia dipendente da una patologia cerebrale evidenziabile (tumore, malformazione vascolare, etc.). Pertanto, all’EEG bisogna associare sempre ulteriori tecniche di neuroimaging (TAC o Risonanza Magnetica Nucleare).
L’epilessia può presentarsi con il tipo di crisi che sono state descritte, ma si distinguono poi talune sindromi epilettiche, che raggruppano determinati tipi di crisi con altri aspetti clinici caratteristici. Le sindromi più importanti sono:
- l’epilessia del lobo temporale;
- l’epilessia rolandica;
- le epilessie miocloniche dell’infanzia e dell’età giovanile;
- l’epilessia con assenze;
- la sindrome di West e la sindrome di Lennox-Gastaut.
Bisogna tener presente come, in circa il 30% dei casi, si pone una diagnosi errata di epilessia. Per questo motivo, nella diagnosi differenziale, bisogna considerare quelle condizioni mediche che possono verificarsi con una fenomenologia simil-convulsiva, quali:
- la sincope da ipotensione;
- l’emicrania con aura;
- gli attacchi di panico;
- le convulsioni psicogene non epilettiche.
Rischi
Una crisi tonico-clonica può causare:
- traumi;
- morsicature della lingua;
- inalazione di liquidi nei polmoni.
In caso di un attacco con una durata superiore ai cinque minuti, o qualora ci siano due attacchi subentranti nell’arco di un’ora, senza ripristino del livello normale di coscienza, ciò prelude ad un’emergenza medica, nota come “stato di male epilettico”. Tale situazione può richiedere il ricovero in un reparto di terapia intensiva, per l’assistenza respiratoria. Se l’epilessia è secondaria, il rischio è ovviamente relativo alla malattia di base, essendo l’epilessia solo un fenomeno satellite.
È noto che i pazienti epilettici presentano un rischio di morte maggiore per:
- eventi traumatici legati alle crisi;
- per l’insorgenza di uno stato di male epilettico intrattabile;
- per un’aumentata tendenza al suicidio;
- per un’evenienza, invero abbastanza rara, di morte improvvisa da epilessia.
Per ultimo, coloro che soffrono di epilessia hanno circa il doppio del rischio di essere coinvolti in un incidente stradale e, al riguardo, un recente studio ha evidenziato che un ritardo nella diagnosi di epilessia può essere la causa di molte evitabili collisioni fra motoveicoli.
Cure e Trattamenti
I farmaci antiepilettici hanno la proprietà di stabilizzare le proprietà elettriche della membrana delle cellule nervose, bloccando così le scariche elettriche spontanee. Possono anche essere responsabili, tuttavia, di effetti collaterali potenzialmente gravi. Per questa ragione, deve essere sicura la diagnosi di epilessia, con elevata probabilità che le crisi epilettiche si ripetano nel futuro. Per questo, la terapia non si inizia dopo una prima e singola crisi epilettica. Si tratta, comunque, di una terapia sintomatica, che non elimina la causa dell’epilessia, ma garantisce una vita normale ai pazienti, che altrimenti sarebbero gravemente limitati o minacciati da frequenti crisi epilettiche.
I farmaci antiepilettici di prima scelta sono valproato, carbamazepina, fenitoina e fenobarbital, che si cerca di adoperare in monoterapia. Se con uno di questi antiepilettici classici non si riesce a sopprimere le crisi epilettiche, si utilizza una serie di farmaci di nuova generazione (felbamato, lacosamide, gabapentin, lamotrigina, levetiracetam, oxcarbazepina, tiagabina, topiramato, vigabatrin), in modo da aumentare l’efficacia della terapia. Studi clinici recenti indicano che gabapentin, lamotrigina e oxcarbazepina possono essere usati anche in monoterapia. Altri farmaci come il felbamato e il vigabatrin comportano il rischio di effetti collaterali tanto seri da restringere l’uso ad epilessie resistenti ad altri farmaci. L’uso di etosuccimide è ristretto alle sole crisi di assenza.
Per la terapia acuta di una crisi epilettica, sono disponibili diazepam, lorazepam, clonazepam e fenitoina per via endovenosa o rettale. Di norma, nella prescrizione di farmaci antiepilettici, si comincia con il dosaggio minimo sufficiente a controllare le crisi. Per adeguare il dosaggio dei farmaci, però, è prassi consolidata ricorrere al monitoraggio delle concentrazioni plasmatiche.
Un aiuto importante, specialmente nell’infanzia, risulta dall’associazione alla farmaco-terapia della dieta chetogenica.
Poiché, durante una gravidanza, è presente il rischio malformativo per il feto, nel caso di crisi infrequenti, si può provare a sospendere i farmaci fino al quarto mese di gravidanza. Dopodiché, il rischio teratogeno diminuisce molto e la farmacoterapia può essere ripresa. Da considerare, infine, che alcuni antiepilettici (massimamente la carbamazepina) abbassano l’efficacia dei contraccettivi orali e, per questo motivo, si può correre il rischio di una gravidanza inosservata, durante le prime fasi in cui l’embrione è particolarmente suscettibile all’azione teratogena dei farmaci.
Circa il 20% delle epilessie non è controllato a sufficienza anche dall’impiego di una multiterapia. In questo caso, si valuta la terapia chirurgica, presso Centri altamente specializzati, per l’asportazione dell’area corticale epilettogena, che deve essere ben identificata con elettrocorticografia intraoperatoria.
In quei casi di epilessia farmacoresistente, in cui la terapia chirurgica non sia possibile o controindicata, è stato di recente adottato un nuovo approccio terapeutico, consistente nella stimolazione del nervo vago sinistro, mediante l’impianto di un elettrostimolatore. Il meccanismo d’azione non è ancora ben definito. La sua efficacia, nell’indurre una ridotta suscettibilità dell’attività elettrica cerebrale ai focolai epilettogeni, tuttavia, sarebbe stata riconosciuta da varie ricerche attendibili.
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