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Displasia anca

Prof. Enrico Pelilli

Prof. Enrico Pelilli

Ortopedico Medico Chirurgo, specialista in Ortopedia e Traumatologia Creato il: 18/07/2017 Ultimo aggiornamento: 20/09/2023

Il termine Displasia Congenita dell’Anca comprende tre quadri anatomici alquanto differenti, con cui la deformità si presenta:

  1. lussazione: è la situazione più eclatante, eccezionale, di riscontro alla nascita, e si verifica quando la testa femorale ha completamente abbandonato la sua cavità naturale, l’acetabolo; 
  2. sublussazione: è il quadro anatomico in cui la testa femorale è lateralizzata e parzialmente risalita, senza aver del tutto abbandonato la cavità acetabolare. La sua frequenza non è eccezionale;
  3. displasia: si tratta unicamente di un difetto morfologico dell’acetabolo, poco profondo, che non garantisce, anche per il suo profilo con angolo sfuggente, una zona di appoggio sicuro alla testa femorale, che comunque è correttamente posizionata. Questo è il quadro di riscontro più comune.
Displasia anca

Cause Cause

L'eziologia, ossia le cause, sono da ricercare in due fattori:

  1. fattori meccanici: sono sicuramente preponderanti, e conseguenti a un effetto compressivo sul feto, spiegando, così, la maggior frequenza nelle primipare (donne alla prima gravidanza), nelle mal posizioni fetali, nell’oligoidramnios (scarsezza o assenza dell’Amnios - liquido che avvolge il feto) e nella sproporzione materno-fetale, condizioni che possono essere causa anche di deformità ai piedi, ginocchia, cranio e collo e che, quindi, possono accompagnarsi alla D.C.A. (displasia congenita dell'anca);
  2. fattori genetici: trovano giustificazione nella maggior frequenza nel sesso femminile, di una certa familiarità e di un certo contesto razziale e geografico. Agiscono riducendo la stabilità meccanica alle forze deformanti: perciò, il sesso femminile è più esposto, in senso generico, perché gli ormoni materni predisponenti al rilassamento delle strutture capsulo-legamentose che facilitano il parto, superata la placenta, trovano nel feto femmina una risposta biologica più recettiva. A questo fattore genetico legato al sesso, vi è un fattore genetico ereditario, di minor resistenza all’azione meccanico, e riscontrabile dalla frequenza con cui la malattia si presenta in alcune famiglie.

Poiché tutti questi fattori possono solo favorire l’azione meccanica deformante, ma non determinarla, la D.C.A. è definita non come malformazione, ma deformità congenita. Per quanto detto, la patogenesi, cioè la formazione della deformità, non può avvenire dopo la nascita, quando, al contrario, l’anca trova quegli spazi che gli erano preclusi nella cavità uterina e tende piuttosto al miglioramento, tendenza che viene ottimizzata, come poi vedremo, con il trattamento. Neanche alla nascita è possibile. Infatti, un trauma ostetrico potrà essere responsabile di una frattura-distacco epifisario, ma mai di una lussazione.

In utero, è impossibile nel periodo embrionario della formazione degli organi. Così, al terzo mese di gestazione, il feto non mostrerà alcuna anomalia delle articolazioni delle anche. Solo più avanti, soprattutto nell’ultimo trimestre, per cause quali:

  • il rapido aumento del volume fetale;
  • la diminuzione della quantità del liquido amniotico;
  • una postura viziata;
  • l’aumento del tono della parete uterina e della conseguente pressione del feto sulla colonna lombare.

Si può instaurare un conflitto utero-fetale, causa della progressiva deformazione articolare.

Sintomi Sintomi

I sintomi sono obiettivamente scarsi o assenti e, quando presenti, come già visto precedentemente, legati allo stress meccanico subito durante la gravidanza, con deformità del capo, del collo, degli arti inferiori, ove talvolta è apprezzabile un'asimmetria o deformità del ginocchio (in dentro o varo, in fuori o valgo), una ridotta motilità delle anche, spesso asimmetrica, e deformità ai piedi (anche qui, in torto, detto anche varo, o in valgo). Ma, è bene ribadirlo, i sintomi sono, il più delle volte, assenti.

Diagnosi Diagnosi

Per una diagnosi, è utile un esame clinico alla nascita e nel lattante. Dobbiamo riconoscere al Medico-Pediatra italiano, Ortolani, il merito di aver compreso, a partire dagli anni ‘20 del secolo scorso, che la vera e completa remissione della deformità è possibile solo grazie a un trattamento e, quindi, a una diagnosi quanto più precoce possibile, sapendo che, dopo il VI mese di vita, già non è più possibile garantire la completa guarigione.

Ecco l’importanza della ricerca dei segni clinici alla nascita e nei primi mesi di vita. Possiamo avere:

  1. segni clinici di sospetto: la valutazione dell’abduzione (divaricazione) dell’anca è un quadro clinico che si accompagna a un riscontro di D.C.A. in circa il 50% dei casi. La postura viziata degli arti inferiori è un altro segno clinico importante, che va rilevato entro i primissimi giorni di vita, quale testimonianza dell’insulto meccanico-posturale subito;
  2. segni clinici di certezza: sono quelli delle anche cosiddette instabili. L’anca potrà allora essere: già fuori sede oppure in sede, ma, con opportune manovre, decentrabile. Avremo così, rispettivamente: anche lussate ma riducibili e anche ridotte ma lussabili.

Le tecniche di indagine clinica descritte per rilevare l’instabilità articolare sono diverse. Ricordiamo le più note, che sono quella di Ortolani e Barlow. Nonostante i progressi fatti nella valutazione clinica dell’anca neonatale, applicando tutte le metodiche descritte anche in mani esperte, solo una quota relativamente piccola di diagnosi è possibile con tali metodiche alla nascita e, ancor meno nelle settimane successive. Questo giustifica l’utilizzo di indagini strumentali più affidabili.

Attualmente, abbiamo a disposizione due tipi di indagine:

  1. indagine radiografica: fu la prima proposta ed eseguita fino agli anni ’90. L’esame permette una corretta valutazione delle anche, ma con i seguenti limiti: tecnico (per la scarsa ossificazione delle ossa del bacino alla nascita, l’esame non è affidabile ai fini diagnostici, se eseguito prima del IV mese di vita del neonato) e biologico (l’esame comporta il sottoporre il neonato a radiazioni ionizzanti, con un dibattito mai concluso: il beneficio giustifica il rischio, soprattutto per quei soggetti, maschi specialmente, senza sospetto clinico e familiarità negativa?);
  2. indagine ecografica: dalla fine del secolo scorso, grazie agli studi del prof. Graf, che mise a punto una metodica standard ecografica di valutazione e misurazione dell’anca neonatale, che risolveva entrambe le criticità della radiografia, abbiamo oggi un esame affidabile, di primo livello, eseguibile fin dal primo giorno di vita e senza rischi di danni biologici. Quest'ultimo aspetto lo rende ripetibile, se necessario, ogni volta che lo si ritenesse necessario.

Graf individuò quattro tipi di anche:

  • tipo I: anche normali, definite mature e fisiologiche, e comprendono due sottotipi: I A e I B, la seconda, sostanzialmente caratterizzata da un maggior volume della testa femorale;
  • tipo II: rappresentano la gran parte delle displasie riscontrate. Comprende ben quattro sottotipiII A e II B, stabili e morfologicamente uguali, e che presentano una cavità articolare ossificata modicamente insufficiente. Si definiranno II A, se diagnosticate precocemente, sotto il III mese di vita, perché, a prognosi spontaneamente favorevole, nel 80% dei casi e perciò definite immature o in via di maturazione. È giustificato, in tal caso, un atteggiamento attendista, con il solo consiglio di favorire la postura a gambe larghe (frog position in anglosassone, posizione a rana), che il neonato già spontaneamente mantiene. Se il difetto persiste dopo il III mese di vita o la diagnosi è fatta dopo questa età, si valuta il quadro anatomico con minore benignità, tipizzandole II B e consigliando da subito il trattamento. Il sottotipo II C è caratterizzato da una cavità ancora meno profonda, con una base di appoggio della testa femorale più sfuggente. Pur essendo l’anca ancora stabile alle sollecitazioni, l’obliquità del tetto acetabolare e la sua scarsa profondità, con la futura sollecitazione meccanica, potrebbero favorire il progressivo dislocamento della testa femorale: per tale motivo è definita Critica. Ovvia la necessità di iniziare subito il trattamento. Il sottotipo II D, per finire, morfologicamente non è molto differente dalla precedente, ma è anche evidenziabile, all’esame ecografico dinamico, l’instabilità della testa femorale, con iniziale possibilità di risalita;
  • tipo III: comprende i due sottotipi III A e III B. Morfologicamente identici, evidenziano una epifisi femorale sub lussata, che spinge e schiaccia in alto il labrum (formazione fibro-cartilaginea che continua il margine dell'acetabolo). Nel tipo III B, sono anche già evidenti segni ecografici di sofferenza del labrum schiacciato; 
  • tipo IV: è il quadro di una lussazione franca. La testa femorale risalita non permette una adeguata valutazione della cavità acetabolare.

Rischi Rischi

Interessante conoscere quale potrebbe essere l’evoluzione naturale di un’anca displasica. La deformità si instaura durante la vita fetale, per i motivi precedentemente esposti. Alla nascita e successivamente, l'anca si libera dei fattori meccanici che hanno agito durante la vita uterina e tenderebbe spontaneamente alla guarigione. Difficilmente, alla nascita, un'anca si presenta irriducibile, ma più facilmente come un'anca instabile (segno clinico dello scatto o quadri ecografici di anca in via di decentramento o decentrata). 

Se l'instabilità persiste, l'anca progressivamente, decentrandosi, va incontro a lussazione, che diventa progressivamente irriducibile. Nella restante parte dei casi, l'anca si stabilizza, e l'evoluzione potrà essere verso la guarigione, o la displasia cotiloidea residua (una testa femorale normale contenuta solo parzialmente in una cavità acetabolare poco profonda), che espone a una degenerazione artrosica precoce in età adulta.

Cure e Trattamenti Cure e Trattamenti

Il trattamento proposto varierà, ovviamente, in base all’età del neonato e alla gravità del quadro anatomico, rilevabile oggi, essenzialmente dall’esame ecografico. Per le anche classificate II A (immature), può essere presa in considerazione anche solo l’attesa e una verifica, sempre ecografica, a distanza di 5 o 6 settimane. Più spesso, si consiglia ai genitori di proteggere la spontanea abduzione delle anche, mantenute dal neonato, con un grosso panno.

Negli altri casi, si proporrà l’uso di un tutore ortopedico, che sarà nella maggioranza dei casi un cuscino divaricatore, o, più raramente, un apparecchio divaricatore di Milgram, da preferirsi per bambini di età dai 5 – 6 mesi. Ovviamente, i tempi del trattamento varieranno per gravità del quadro anatomico e per l'età di inizio del trattamento. L’esperienza è che trattamenti iniziati molto precocemente, conducono a un rimodellamento articolare molto rapido, anche in quadri patologici importanti.

Per le anche lussate, quindi molto instabili (classificate Tipo IV), può essere presa in considerazione, dopo la riduzione della lussazione, che avviene con uno scatto clinicamente apprezzabile, la confezione di un idoneo apparecchio gessato, stabilizzante l’articolazione e da portare per circa 4 settimane, propedeutico al proseguimento del trattamento con uno dei tutori proposti. Tale tutore sarà portato fino al ristabilimento di corretti rapporti articolari, verificati con indagine ecografica o radiografica, in base all'età raggiunta dal neonato. È importante sottolineare che, dopo la confezione del gesso, si dovrà eseguire un controllo necessariamente radiografico in gesso, a conferma della corretta centratura dell’articolazione nell’apparecchio gessato.

Va detto come la diagnosi precoce è finalizzata al trattamento precoce. Questa è la condizione essenziale per ricondurre l'anca deformata entro lo standard di normalità, che consentirà al bambino e all'adulto, poi, una vita assolutamente normale. 

Diagnosi tardive, comporteranno trattamenti aggressivi, chirurgici, che non potranno mai raggiungere la normalità anatomica e, nella migliore delle ipotesi, potranno solo ritardare, in età adulta, l'insorgenza di degenerazione artrosica e limitando, nell'età evolutiva, anche la pratica di attività motorie e sportive.

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