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Demenza senile

Dr.ssa Susanna Mattoccia

Dr.ssa Susanna Mattoccia

Psicologo Psicologo - Neuropsicologia Clinica Creato il: 07/07/2017 Ultimo aggiornamento: 20/09/2023

Quando parliamo di demenza, ci riferiamo generalmente a un peggioramento significativo - spesso progressivo - delle funzioni cognitive (quali, ad esempio: memoria, linguaggio, attenzione e problem solving). Tali abilità possono essere facilmente riconosciute come indispensabili per una gestione autonoma e soddisfacente della vita di tutti i giorni.

Oltre alle funzioni cognitive, anche la motivazione e la capacità di un adeguato coinvolgimento emotivo subiscono un cambiamento in negativo.

Nell'immaginario collettivo, il paziente che soffre di questa patologia è un anziano, tanto che, nel linguaggio comune, si sente quasi unicamente parlare di "demenza senile". Bisogna, tuttavia, ribadire che, sebbene la demenza sia una condizione che prevalentemente si manifesta in persone anziane, in un 2-10% dei casi, viene diagnosticata prima dei 65 anni; inoltre, diversi anziani riscontrano un indebolimento delle funzioni cognitive, ma questo è parte di un processo fisiologico e non conduce alla diagnosi di demenza senile. 

Demenza senile

Cause Cause

La demenza può avere numerose cause, alcune legate a disturbi primariamente a carico del sistema nervoso centrale, altre rintracciabili altrove, ad esempio nell'assunzione di alcuni farmaci o in processi infettivi. La demenza senile, generalmente, è riconducibile a patologie più specifiche, tra cui:

Queste malattie, tipiche ma non esclusive dell'età avanzata, hanno meccanismi eziopatogenetici diversi, ma portano tutte a un danno più o meno diffuso delle cellule del cervello che - smettendo di funzionare - non sostengono più le loro comunicazioni reciproche. Tale danno, con conseguente e progressiva "disconnessione" cerebrale, porta all'outcome (risultato) clinico di impoverimento cognitivo-comportamentale, che definiamo demenza senile.

Diversi sono i fattori di rischio e di protezione per la demenza senile. Ad esempio, l'eccesso di carboidrati nella dieta o il consumo di cibi ad alto indice glicemico sono stati associati alla Malattia di Alzheimer. L'ipertensione aumenta di molto il rischio di demenza vascolare. In generale, possiamo invece sostenere che le persone che controllano la dieta e la pressione arteriosa, fanno esercizio fisico costante e cercano di ridurre i livelli di stress stanno adottando dei comportamenti protettivi e che risultano associati a una migliore performance cognitiva. Un altro fattore di protezione fondamentale è il mantenimento, per tutto il corso della vita, di un buon livello di attività cognitiva, impegnandosi in attività di studio, lavorative e ricreative. 

Sintomi Sintomi

I sintomi della demenza senile non sono uguali in tutti i pazienti. Quasi tutte le forme di demenza vedono una progressione costante dei sintomi dopo l'esordio, mentre la demenza vascolare procede più con un andamento a gradini, con peggioramenti a seguito di eventi cerebrovascolari. 

In linea generale, nella demenza senile in una fase iniziale, il disturbo prevalente riguarda la memoria episodica: diventa più facile dimenticare appuntamenti, conversazioni o informazioni recentemente apprese. Spesso, l'anziano può avere difficoltà nella ricerca della parola giusta (disnomia) e nell'esecuzione di compiti complessi. Talvolta, si assiste anche a un cambiamento del tono dell'umore. 

In uno stadio intermedio-conclamato, oltre alla memoria, sono compromesse anche le altre funzioni cognitive, quindi si assiste a un peggioramento del linguaggio - spesso arrivando all'afasia -, delle abilità visuo-spaziali (ad es., il paziente può non ritrovare la strada di casa), del pensiero critico e astratto e dell'organizzazione del comportamento finalizzato. Inoltre, è frequente in questa fase il manifestarsi di un disturbo comportamentale (irrequietezza, affaccendamento, vagabondaggio). 

Nello stadio terminale, il paziente è pienamente dipendente dal caregiver, ha una memoria totalmente compromessa, ha perso ogni forma di autonomia, può sviluppare:

  • disfagia (o disturbi della deglutizione);
  • difficoltà di movimento;
  • incapacità di interagire con l'ambiente;
  • incontinenza sfinterica.

Diagnosi Diagnosi

Per poter giungere a una diagnosi di demenza, debbono essere rispettati i seguenti criteri:

  • più di un'area cognitiva o comportamentale risulta compromessa;
  • i sintomi sono gravi al punto di compromettere le capacità funzionali del paziente, dunque i familiari o i conoscenti possono distinguere un prima e un dopo rispetto al modo in cui il paziente gestisce le sue attività quotidiane;
  • nel momento in cui viene posta la diagnosi, non sono presenti condizioni cliniche che alterano lo stato di coscienza e che compromettono le funzioni cognitive (ad es., il paziente non è in stato confusionale acuto o in una condizione di pseudodemenza di pertinenza primariamente psichiatrica).

Il percorso diagnostico chiama in causa diverse figure professionali e prevede diversi esami. Tutto parte da un'accurata anamnesi, momento in cui viene richiesto il supporto dei familiari e/o del caregiver per evidenziare eventuali cambiamenti cognitivo-comportamentali del paziente. Segue, poi, la valutazione neurologica e neuropsicologica, gli esami bioumorali e gli accertamenti di neuroimaging

Il colloquio con i familiari è una fonte preziosa di informazioni, che possono guidare il processo diagnostico, per tale ragione viene condotto in modo altamente scrupoloso dal clinico. Vengono raccolte le informazioni sulla vita del paziente, sulle sue abitudini prima dell'esordio dei sintomi e sul cambiamento che questi hanno prodotto. Si indaga la natura temporale del disturbo, tenendo conto che tale informazione potrebbe già orientarci nella diagnosi (ad es., il disturbo è andato nel tempo a migliorare, è rimasto stabile o ha subito un costante peggioramento? Nei primi due casi, è probabile che si tratti di una patologia vascolare, nel terzo caso ci si orienta maggiormente su un'ipotesi di malattia neurodegenerativa o neoplastica). Anche le informazioni sulla personalità e sullo stile di vita pre-morbosi possono essere decisamente d'aiuto: potremmo trovarci dinanzi a un paziente diventato improvvisamente disinibito o, al contrario, che ha mutato la sua personalità esuberante in estrema riservatezza. Si chiederà al familiare di fornire informazioni sullo stato di salute del paziente e dei parenti di primo grado. È in questa fase che il clinico deve formulare domande molto specifiche circa il grado di autonomia che il paziente ha preservato. In questo contesto, o in un momento successivo, avrà luogo un breve colloquio con il paziente, che servirà a valutare il suo grado di vigilanza, orientamento e consapevolezza.

L'esame neurologico generale ha lo scopo di evidenziare eventuali segni clinici associati al processo degenerativo.

La valutazione cognitiva e dello stato mentale è il cuore del processo diagnostico. Durante la valutazione neuropsicologica, vengono indagate le principali aree cognitive del paziente, quali memoria, linguaggio, abilità visuo-spaziali e visuo-percettive, prassia, funzioni esecutive etc. L'indagine viene condotta con il supporto di alcune batterie di test neuropsicologici. Nella valutazione, si parte sempre da una prima indagine generica - con il supporto di test come il Mini Mental State Examination (MMSE) e/o con il Montreal Cognitive Assessment (MoCA) - per poi entrare nello specifico delle diverse aree cognitive. 

Con gli esami di laboratorio si vuole dapprima indagare un'eventuale problematica di tipo infettivo o metabolico. Generalmente vengono prescritti: emocromo, prove di funzionalità tiroidea, epatica e renale, dosaggio dei livelli plasmatici di vitamina B12 e folati. Solo per casi selezionati, possono essere prescritte indagini genetiche e del liquor cefalorachidiano.  

Molto utile nella diagnosi è l'impiego di strumenti di neuroimaging. Ad esempio, nella Malattia d'Alzheimer, la RM cerebrale permette di evidenziare un'eventuale atrofia delle strutture temporo-mesiali. Ancora, indagini quali PET o SPECT forniscono informazioni su un eventuale ipometabolismo cerebrale in zona temporo-parietale bilaterale - altra caratteristica comune nel paziente con AD. TC e RM cerebrale sono anche indispensabili per valutare alterazioni vascolari

Cure e Trattamenti Cure e Trattamenti

La cura per la demenza senile contempla trattamenti farmacologici e non farmacologici. Dobbiamo però ricordare che il termine cura, in questo contesto, non può essere inteso come percorso che mira alla risoluzione della malattia, che per sua natura, ad oggi, risulta essere inevitabilmente progressiva. Curare la demenza senile vuol dire ridurre i sintomi, cercare di rallentarne la progressione, garantire una qualità della vita discreta al paziente; ma vuol dire anche prendere in carico la famiglia del paziente e guidare il caregiver nell'assistenza al familiare malato, fornendogli anche un buon supporto psicologico. 

La cura farmacologica dipende dal tipo di demenza diagnosticata.

Nel caso di Malattia di Alzheimer i farmaci impiegati per controllare i sintomi cognitivo-comportamentali sono inibitori dell'acetilcolinesterasi (Donezepil, Rivastigmina, Galantamina, etc.) e Memantina - inibitore non competitivo dei recettori glutammatergici NMDA.

Nel caso di demenza con corpi di Lewy diffusi, i sintomi cognitivi sono controllati da farmaci inibitori dell'acetilcolinesterasi; i frequenti sintomi psichiatrici sono preferibilmente controllati dai neurolettici atipici (come quetiapina e clozapina); per i parkinsonismi si consiglia L-Dopa.

Per il trattamento della demenza vascolare, innanzitutto il focus è posto sul trattamento delle cause di questa patologia, per evitare che si manifesti ulteriormente un evento cerebrovascolare (si controlla farmacologicamente la pressione arteriosa, il diabete, si somministrano anticoagulanti orali). Anche in questo caso si impiegano farmaci inibitori dell'acetilcolinesterasi per migliorare le funzioni cognitive. Neurolettici tipici o atipici possono migliorare i sintomi psichiatrici e gli SSRI possono giovare nel trattamento dei sintomi depressivi.

Oltre al supporto farmacologico, anche gli interventi di stimolazione cognitiva possono aiutare il paziente. Questi interventi sono calibrati sul livello di gravità del paziente e possono essere proposti come programmi individuali o di piccoli gruppi omogenei. La riabilitazione può essere generalmente multi-strategica/aspecifica o specifica per dominio cognitivo.

Pazienti anziani senza demenza, pazienti con MCI o nelle fasi iniziali di demenza possono partecipare a interventi di training cognitivo, volti a ritardare o evitare il declino delle funzioni cognitive, cercando di mantenerle stabili. Durante le sessioni di training cognitivo, vengono proposti al paziente degli esercizi che hanno lo scopo di rafforzare di volta in volta tutte le aree cognitive (memoria, attenzione, linguaggio, etc.).

Un programma di intervento riabilitativo per pazienti con malattia a uno stadio lieve-moderato è noto come 3R. Questo programma si svolge in piccoli gruppi di 4/5 pazienti che ricevono stimolazioni multimodali. Ogni incontro è condotto da un terapeuta formato che ha il compito di guidare i pazienti nelle 3R:

  • riorientamento (ROT) del paziente nel tempo, nello spazio e nella vita personale;
  • reminiscenza: si cerca di far rievocare al paziente elementi della sua storia personale, eventi autobiografici e ricordi del passato attraverso l'impiego di strumenti come foto, video, etc.;
  • rimotivazione: si promuove il coinvolgimento del paziente nel suo mondo sociale e si stimola il suo interesse verso l'attualità.

In casi medio-gravi, si propone la terapia della validazione. A questo livello non si tenta più di orientare il paziente alla realtà, ma ci si avvicina empaticamente al suo vissuto.

Nei casi lievi-moderati di demenza, si può "addestrare" il paziente all'utilizzo di strumenti ausiliari esterni per permettergli di ricordare i prossimi appuntamenti o le cose importanti da fare.  

Alcuni studi preliminari ma promettenti indagano il ruolo della stimolazione cerebrale non invasiva (rTMS e tDCS) come tecnica per migliorare le funzioni cognitive in pazienti con malattie neurodegenerative. 

Bibliografia

  • Angelini, C., & Battistin, L. (2022). Neurologia clinica. Società Editrice Esculapio.
  • Alvares Pereira, G., Silva Nunes, M. V., Alzola, P., & Contador, I. (2022). Cognitive reserve and brain maintenance in aging and dementia: An integrative review. Applied Neuropsychology: Adult, 29(6), 1615-1625.
  • Denes, G., Pizzamiglio, L., Guariglia, C., Cappa, S., Grossi, D., & Luzzatti, C. (2019). Manuale di Neuropsicologia. Normalità e patologia dei processi cognitivi (Terza edizione).
  • Mazzucchi, A. (2020, June). La riabilitazione neuropsicologica 4 ed.: Premesse teoriche e applicazioni cliniche. Edra.
  • Vallar, G., & Papagno, C. (2018). Manuale di neuropsicologia. Clinica ed elementi di riabilitazione. Il Mulino.

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