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Agorafobia

Dr. Claudio Donadoni

Dr. Claudio Donadoni

Psicologo Medico Chirurgo - Psicoterapeuta Creato il: 25/07/2017 Ultimo aggiornamento: 19/09/2023

Nel 1872, il neurologo tedesco Westphal introdusse il concetto di Agorafobia, inquadrandola come disturbo neurologico, in quanto l’angoscia nell’attraversare una piazza era legata ad una sintomatologia vertiginosa, caratterizzata, soprattutto, dalla paura di cadere a terra.

Da un punto puramente descrittivo, l’agorafobia è caratterizzata dal manifestarsi di ansia e paura nei confronti dei luoghi aperti, quali piazze, strade, ponti, o nel trovarsi in luoghi chiusi, vissuti come costrittivi: in auto (in autostrada), in autobus, sul treno, in galleria, l’essere in un locale affollato o in un supermercato.

Altre situazioni, in cui si può manifestare l’ansia agorafobica, sono rappresentate da:

  • essere in coda ad una cassa o ad uno sportello;
  • essere fermi ad un semaforo;
  • all’opposto, dall’improvvisa realizzazione di un senso di isolamento.

In questi casi, il soggetto può sperimentare vissuti che vanno da uno stato di ansia e di preoccupazione, fino ad un bisogno impellente di allontanarsi dal luogo in cui si trova o, perlomeno, di guadagnare una posizione spaziale, che possa consentire un veloce allontanamento dalla situazione fobigena (ad esempio, trovar posto vicino ad una porta).

L’impossibilità ad allontanarsi velocemente, o di reperire subito una “via di fuga” dal luogo in cui si trova, può aumentare considerevolmente lo stato di angoscia, che può tradursi, in alcuni casi, in quella esperienza molto spiacevole, denominata anche attacco di panico (DAP).

Agorafobia

Cause Cause

L'agorafobia presenta cause bio-psico-sociali e, in tal senso, sono stati descritti alcuni fattori di rischio, che facilitano la comparsa dell’agorafobia quali, ad esempio:

  • la presenza di una familiarità per i disturbi d’ansia
  • la presenza, nel soggetto, di disturbi d’ansia e, ancor più, di attacchi di panico precedenti all’insorgenza dell’agorafobia. Uno sviluppo possibile è quello fra attacco di panico e agorafobia;
  • la presenza di esperienze traumatiche anteriori, quali abusi, aggressioni, ecc. 
Ci sono, poi, cause psicologiche, dal punto di vista della Psicoanalisi, che cerca di comprendere le cause, i motivi profondi che stanno alla base dei disturbi psichici, al di là della loro descrizione fenomenologica.

In questo senso, Freud, in una delle sue prime interpretazioni psicoanalitiche dell’Agorafobia, riteneva che il soggetto agorafobico si tenesse lontano dalle piazze, dagli spazi aperti, in quanto tali luoghi potevano favorire l’emergenza di fantasie o impulsi sessuali inaccettabili per lo stesso soggetto, a differenza degli spazi familiari, vissuti, invece, come luoghi che davano maggior protezione nei confronti dell’emergere della propria sessualità.

Ciò che più è importante da sottolineare, in questa concettualizzazione, è il meccanismo psicologico che ne sta alla base, e che d’altronde caratterizza tutte le fobie, ovvero la percezione, da parte del soggetto, di contenuti mentali (pensieri, desideri, fantasie, ecc.), che sono per lui inaccettabili (i motivi di tale rifiuto sono diversi) . Ciò lo porta come ad “espellere” (a proiettare) dalla propria mente tali contenuti all’esterno e su oggetti ben precisi, che si prestano, in varia forma, a rappresentare i contenuti da lui espulsi. 

Il soggetto, pertanto, reagirà allora come se il pericolo provenisse dal mondo esterno, invece che dal proprio interno, e potrà così farvi fronte, mettendo in atto comportamenti di distanziamento e di evitamento, nei confronti di quella realtà sulla quale ha “depositato” quegli aspetti di Sé, vissuti come intollerabili, e che da quel momento diventeranno la sua fobia. Tale meccanismo darà la sensazione, al soggetto, di poter controllare l’insorgenza dell’angoscia attraverso un distanziamento esterno dall’oggetto fobico.

Attualmente, l’agorafobia (o fobia spaziale) viene interpretata come espressione di disturbi precoci, relativi alla elaborazione mentale degli spazi esterni/interni del soggetto, e dei propri confini psicologici.

Ogni persona può percepire, anche se in forma intuitiva, al proprio interno, uno spazio psichico relativo alla propria mente, nella quale sono contenuti i pensieri, le emozioni, e che intuitivamente sente come separato dallo spazio relativo al mondo esterno. Possiamo dire che, in questi casi, il soggetto ha sviluppato un senso dei suoi confini personali rispetto al mondo esterno, e rispetto alle persone con le quali si mette in relazione. 

Nei soggetti futuri agorafobici, tali processi di differenziazione Sé/Altro, Interno/Esterno, e che implicano una contemporanea elaborazione dei confini psicologici del proprio Sé, non si sono compiuti adeguatamente. Si ipotizza che tali soggetti abbiano dovuto sperimentare, nelle fasi precoci della loro vita, esperienze traumatiche legate a brusche separazioni, o un contenimento materno deficitario, che ha determinato rotture improvvise e ripetute della naturale relazione simbiotica con la figura materna, lasciandoli in preda a forme di angoscia, o di “terrore senza nome”, che rimangono come esperienze non elaborate dentro di loro.

Rimane, nel soggetto, un senso di un Sé fragile e precario, che potrebbe non contenerlo, vivendo l’esperienza che parti del proprio Sé fluiscano fuori “da sé”, in uno spazio esterno senza limiti (così come lui stesso si sente con limiti precari ed incontinenti) quando si rompe la simbiosi.

Il soggetto agorafobico ha bisogno di ricostruire una relazione simbiotica di contenimento, di stabilità psichica con una “seconda pelle”, rappresentata ad esempio dalla propria casa. In altre parole, il mancato sviluppo di confini esterno/interno e di confini all’interno di sè, porta il soggetto agorafobico a produrre, all’esterno, barriere e limitazioni compensative esterne, come a voler ricostruire all’esterno quelle parti mancanti del Sé, che egli fatica a ritrovare dentro di sé, per evitare la minaccia di una sua disintegrazione.

L’uscire dalla propria abitazione verso l’esterno lo fa sentire come sguarnito e costretto a rivivere stati di angoscia libera primaria, accompagnata dalla paura di cadere a terra, di svenire, e da tutto quel corteo sintomatologico più sopra descritto. Si riattiva cioè una rottura simbiotica, già esperita nel passato, che ora si ripresenta con una manifestazione di angoscia panica.
 

Sintomi Sintomi

Lo stato di ansia e di preoccupazione, che caratterizza l’accesso agli spazi aperti, può evolvere in veri e propri attacchi di panico, che si manifesta con:

  • tachicardia;
  • dispnea;
  • sudore freddo;
  • senso di svenimento;
  • nausea;
  • senso di vomito;
  • vertigini;
  • paura di impazzire o di morire.

A volte, sono presenti vissuti di depersonalizzazione e derealizzazione. A causa di ciò, il soggetto svilupperà un‘ansia anticipatoria, relativa alla paura di nuovi attacchi, che progressivamente lo porterà ad evitare i luoghi per lui fonte di ansia.

Con il tempo, si può instaurare una spirale di progressiva restrizione dei suoi spazi di libero movimento, con le comprensibili ricadute sulla sua vita sociale e lavorativa, insieme ad un possibile deterioramento globale della qualità di tutta la sua vita. In alcuni casi, il soggetto può riprendere a frequentare alcuni degli spazi aperti, prima evitati, solo se accompagnato da una persona fidata.

Nelle situazioni prettamente claustrofobiche, invece, ciò è raro che accada: la presenza di una persona fidata non attenua di molto il vissuto angoscioso del soggetto. Ad esempio, un attacco di panico in ascensore, del soggetto claustrofobico, non è molto modificato dalla presenza di un’altra persona conosciuta.

Diagnosi Diagnosi

La diagnosi clinica dell’agorafobia viene attuata soprattutto attraverso il resoconto delle difficoltà del paziente, insieme all’esame clinico ed alla sua storia psicologica e psicopatologica personale e familiare.

L’agorafobia, insieme alle altre fobie, sono sintomi che possono accompagnare svariate manifestazioni psicopatologiche e necessitano, pertanto, di una diagnosi approfondita del disturbo sottostante.

Possiamo poi osservare come, nella maggior parte delle descrizioni dell’agorafobia, sono contenuti sia elementi agorafobici (paura dello spazio aperto, es. di una piazza) che claustrofobici (ansia suscitata dall’essere in un locale affollato). Per questo motivo, più correttamente, la sua sintomatologia potrebbe essere denominata claustro-agorafobica, pur ammettendo l’esistenza di sintomatologie agorafobiche e claustrofobiche pure.

L’Agorafobia appare, soprattutto, nei momenti di cambiamento di vita del soggetto, legati alla necessità di assumere un ruolo scolastico, sociale, lavorativo, affettivo, che richiede la messa in campo di una maggiore individuazione e maturità affettiva ed emotiva rispetto al passato. In questi momenti di passaggio, il soggetto può sviluppare la sintomatologia agorafobica come segnale importante della presenza di aree di fragilità dei suoi confini psichici.                         

In alcuni soggetti, possiamo distinguere il disturbo agorafobico da una angoscia di separazione. In quest’ultimo caso, l’ansia appare più legata all’abbandonare un luogo vissuto come sicuro (ad es., la propria casa) che alla percezione di uno spazio aperto, accompagnata da sentimenti di emorragia del Sé o di potersi perdere e disintegrarsi in uno spazio infinito, anche se, a volte, tale distinzione non appare così agevole. La presenza di una persona, che a volte accompagna il soggetto agorafobico, può rappresentare un’esperienza rassicurante, unico deterrente nei confronti della minaccia di un attacco di panico.

Nei casi in cui prevalga una difficoltà di separazione, il significato della persona accompagnante è quella di ripristinare il bisogno di contatto simbiotico del paziente, che in tal modo si prolunga anche fuori casa e gli evita l’esperienza di essere solo nel mondo. Nelle forme agorafobiche più primitive e più gravi, la persona accompagnante rappresenta il ripristino dei confini di un Sé deficitario, attraverso la presenza di un contenitore ausiliario che impedisce o contiene nel paziente l’esperienza di vissuti emorragici, relativi al proprio Sé nello spazio infinito.

Nel primo caso, l’accompagnatore agisce sul ripristino della relazione simbiotica del soggetto, nel secondo caso “medica” la falla del Sé.

Cure e Trattamenti Cure e Trattamenti

L’agorafobia e il disturbo di Panico, ad essa spesso associato, possono certamente avvalersi sia di cure psicofarmacologiche che di una cura di psicoterapia psicoanalitica per contenere la sintomatologia ansiosa ed agorafobica.

I farmaci maggiormente utilizzati appartengono alla classe degli ansiolitici e degli antidepressivi. I farmaci sono prescritti in collaborazione con il paziente, discutendo con lui i vantaggi e gli eventuali svantaggi legati alla loro assunzione. La cura farmacologica ha lo scopo di contenere la sintomatologia ansiosa ed agorafobica, ma non agisce sulle motivazioni profonde dei suoi sintomi.

Un percorso di psicoterapia psicoanalitica, volto alla comprensione profonda dei sintomi presentati dal soggetto e a sostenere una elaborazione ed un superamento del disagio interiore che li ha determinati, rappresenta certamente l’approccio terapeutico più importante.

Nelle fasi iniziali della presa in carico del paziente agorafobico, può essere certamente utile affiancare al percorso di psicoterapia psicoanalitica una cura psicofarmacologica, la cui durata sarà da valutare periodicamente nel tempo.

Bibliografia

  • Bion W.R. (1962). Apprendere dall’esperienza. Armando, Roma, 1972.
  • DSM-5-TR. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Cortina 2023.
  • Freud S. Opere. Vol 2° 1892-1899 Boringhieri. 1984.
  • Gabbard O.G.. Psichiatria psicodinamica. Cortina.
  • Gaddini E. Scritti 1953 1985. Cortina 1989.
  • La Scala M. Spazi e limiti psichici, fobie spaziali, funzionamento borderline, la vergogna, la melanconia. F. Angeli.
  • Semi A. (a cura di) Trattato di psicoanalisi. Vol 2°.
  • Weiss E. (1966) La Formulazione psicodinamica della agorafobia. Riv. Psicoanal.,12.

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