Cos’è un attacco di panico?

 

Un attacco di panico è caratterizzato dall’insorgere repentino e inaspettato, tipo “fulmine a ciel sereno”, di una angoscia intensa accompagnata da una imponente sintomatologia neurovegetativa, avvertita sia psichicamente sia attraverso il corpo.

La sua origine è multifattoriale in quanto riunisce in sé fattori biologici, ambientali e sociali. Per la diagnosi di “disturbo di panico” sono richiesti almeno due attacchi inaspettati e la preoccupazione (per un mese e più) di avere ulteriori crisi.

La terapia deve, preferibilmente, svolgersi su due piani: quello psicoterapico e quello psicofarmacologico. La terapia farmacologica è da istituire con antidepressivi, dal ruolo effettivamente terapeutico, e da ansiolitici dagli effetti prevalentemente sintomatici, ma utili per interrompere un attacco di panico al suo insorgere. 

La psicoterapia deve essere mirata ad instaurare un’atmosfera di alleanza e di cooperazione, affinché il soggetto possa ricomporre i segni corporei di emozioni negative non integrate, favorendo la capacità di gestirle attraverso il recupero e l’arricchimento del proprio senso di sé.

Illustrazione 1 - Psicologia

Come si manifestano gli attacchi di panico?


Gli attacchi di panico si manifestano con la comparsa improvvisa di una crisi di ansia di particolare intensità, una crisi angosciosa che arriva inaspettatamente e con sintomi tanto severi (paura di svenire, di impazzire, di morire) da convincere di stare sperimentando qualcosa di veramente grave, qualcosa che induce a chiedere immediatamente aiuto al pronto soccorso oppure alla guardia medica.


Da dove deriva il termine panico?


Prima di procedere alla descrizione del disturbo, una piccola curiosità: il termine “panico” deriva dal nome del “dio pan”, lo spaventoso dio dei pascoli e della natura, dal corpo mezzo umano e mezzo caprino che, secondo il mito, attaccava, all’improvviso, le ninfe del bosco suscitando in loro un vivissimo e bloccante “timor panico”. 
 

Quali sono i sintomi?


Da questo mito, dunque, deriva il termine attacco di panico la cui imponente sintomatologia può interessare diversi sistemi:
 
  • il sistema cardiovascolare (palpitazioni, tachicardia, sudorazione o brividi, dolore o oppressione al torace);
  • il sistema respiratorio (paura di soffocare, dispnea);
  • il sistema gastrointestinale (difficoltà a deglutire, nausea, diarrea);
  • il sistema urinario (bisogno impellente di urinare);
  • il sistema nervoso (vertigini, sbandamenti tremori, formicolii, ipersensibilità alla luce ed ai suoni). 

Comunque, durante una crisi di panico le cui manifestazioni differiscono da soggetto a soggetto, si verificano, normalmente, solo alcuni di questi sintomi.

In aggiunta, in circa un terzo dei casi, possono associarsi episodi di “depersonalizzazione” (sentirsi distaccati dal proprio corpo) o di “derealizzazione” (non riconoscere il posto in cui ci si trova o sentire il mondo esterno come irreale).

I sentimenti di apprensione, di paura e, qualche volta, di vero e proprio terrore che accompagnano l’attacco di panico, raggiungono, generalmente, la massima intensità entro dieci minuti.  Solitamente, si risolvono in 30 minuti, seguiti da sensazione di confusione, spossatezza e, qualche volta, da dolori muscolari.

La paura di un nuovo episodio (la cosiddetta “ansia anticipatoria”) spinge a “condotte di evitamento”, vale a dire ad evitare tutte le situazioni ritenute pericolose e scatenanti ed a sviluppare un proprio modo di fare le cose che si pensa possa proteggere da un nuovo episodio.
 

Come si esegue la diagnosi?


Secondo il DSM-V (ultima edizione del manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali utilizzato da psichiatri e psicologi di tutto il mondo), per fare diagnosi di disturbo di panico, gli attacchi devono essere:
 
  • ricorrenti (almeno due);
  • presenti almeno quattro dei sintomi sopra elencati;
  • inoltre, per almeno un mese, il soggetto deve sentire una persistente paura e preoccupazione di avere altri episodi.

Per una completa valutazione diagnostica, è di particolare significatività conoscere la storia della malattia presente e la storia psichiatrica pregressa, prestando particolare attenzione allo sviluppo psicologico ed alle fasi evolutive di transizione. 
 

Perché vengono gli attacchi di panico?


Per quanto riguarda le cause, sembra che entrino in gioco basi neurofisiologiche, con predisposizioni familiari e genetiche. Ciò viene dimostrato dal fatto che i parenti di primo grado hanno una probabilità di soffrire di attacchi di panico molto più alta delle altre persone.

La predisposizione familiare ed il fattore biologico non escludono che un periodo particolarmente stressante dovuto alla presenza di lutti, di malattie e, soprattutto da cambiamenti importanti nella vita (matrimonio, separazioni o situazioni lavorative difficili) possa indurre un attacco. inoltre, considerando l’enorme diffusione di questo disagio psichico nella società contemporanea, il disturbo può essere sia espressione della propria storia personale, sia fenomeno emergente in un periodo, com’è quello attuale, caratterizzato da un malessere sociale diffuso per l’incertezza e per la frammentazione che caratterizzano il nostro contesto storico.

L’attacco di panico si manifesta tra i 15 ed i 35 anni, anche se può esordire sia nell’infanzia che dopo i 40 anni, vale a dire nell’entrata dell’età adulta con la conseguente crisi dovuta alla frequente caduta di assetti narcisistici precedentemente strutturati. Le donne hanno una probabilità doppia di esserne colpite. 


Come si curano?


Riguardo alla cura è importante che chi ne soffre comprenda che non si tratta di una malattia cardiaca, polmonare o neurologica, ma di un disturbo psichico che non fa correre il rischio di morire, o di impazzire e che il ricorrere a specialisti diversi, prima che ad uno psichiatra o ad uno psicologo, non fa che ritardare l’inizio di un trattamento mirato, all’interno del quale sia la farmacologia che la psicoterapia hanno un ruolo fondamentale.

La terapia farmacologica si avvale di antidepressivi che in media dopo tre- sei settimane bloccano gli episodi di ansia acuta e, nella maggior parte dei casi, conducono ad una remissione del disturbo. Spesso, nelle fasi iniziali del trattamento, agli antidepressivi vengono associate delle benzodiazepine (ansiolitici).

La psicoterapia è efficace per fornire strumenti con i quali il paziente può gestire l’ansia ed acquisire gradualmente la capacità di fare appello a risorse interiori (attraverso la ricostruzione e l’elaborazione della sua storia familiare) al fine di accettare le emozioni negative legate alla difficoltà della vita e, soprattutto, al fine di recuperare il senso di un sé ben funzionante.

Il processo di guarigione può essere facilitato da uno stile di vita che rispetti il regolare ciclo sonno veglia ed in cui sia evitato l’uso di droghe, anche leggere, ed il ricorso frequente a sostanze stimolanti quali il caffè ed il the. 

Ad evitare rischi di ricaduta è bene prolungare l’assunzione del farmaco (utilizzando la dose minima efficace che varia da persona a persona), anche dopo un anno dalla remissione del sintomo, ed approcciare un percorso psicologico, basato su una stretta alleanza terapeutica con un analista dotato di intensa partecipazione empatica.
 

Bibliografia 

 
  • Taylor S. (2006). Disturbi di panico.  Monduzzi.
  • Infrasca R. (2006). Inquadramento psicopatologico e approccio psicoterapeutico nel disturbo da attacchi di panico. Ma.gi. 2006
  • Kumar s., Malone D (2008). Panic disorder. BMJ clinical evidence. Vol.2008. 
  • Nice Guidelines (2019). Generalised anxiety disorder and panic disorder in adults management clinical guideline 113 guidance.