Quante sostanze tossiche esistono?
La letteratura scientifica descrive uno svariato numero di sostanze tossiche sia per gli animali che per l’uomo, derivate da vegetali superiori, conosciute come fitotossine, che possono essere presenti in frutti e vegetali che fanno parte della nostra dieta.
Già nel papiro di Ebers, datato 1550 a.C., si descrivevano numerosi veleni presenti nelle piante. Gli antichi greci e i romani possedevano ampie conoscenze sui componenti tossici delle piante. La cicuta che contiene diversi alcaloidi tossici veniva infatti somministrata ai condannati a morte e fu utilizzata per l’esecuzione di Socrate (470-399 a.C).
Diverse piante, come la digitale, lo stramonio e la belladonna, pur essendo tossiche se ingerite, possono fornire principi attivi di valido aiuto nella terapia medica. È fondamentale, nella preparazione dei rimedi vegetali, stabilire il giusto dosaggio, nelle varie forme farmaceutiche, per ottenere la massima efficacia evitando i fenomeni tossici. Le piante velenose crescono in tutti gli ambienti; possono essere spontanee o coltivate, alcune di esse sono note specie ornamentali o piante da appartamento con le quali conviviamo quotidianamente.
Il principio venefico può essere distribuito in tutta la pianta o accumularsi solo in una sua parte, nella linfa, nel fogliame, nelle drupe o nei noccioli di alcuni frutti. Un paio di semi di ricino, se ingeriti da un bambino, possono essere letali, mentre l’olio, ottenuto mediante torchiatura a freddo dei semi, viene privato della ricina, sostanza altamente tossica, ed è impiegato come purgante.
Anche il contatto diretto con alcune piante può causare irritazioni cutanee o scatenare gravi reazioni allergiche o fenomeni di fotosensibilizzazione. La pianta di fico, ad esempio, contiene un lattice molto irritante e nelle foglie sono presenti le furocumarine, sostanze fotodinamiche presenti anche nel bergamotto. Molecole attive sono state trovate in succhi e oli ottenuti dal prezzemolo, dal limone e dal pompelmo.
L’oleandro, pianta molto diffusa e amata per i suoi fiori profumati, è tossico (per la presenza di glucosidi cardioattivi) in ogni sua parte e tale tossicità permane anche dopo il disseccamento, la bollitura e la combustione, di cui anche il fumo risulta nocivo. È riportato che alcuni soldati napoleonici morirono per aver usato il legno di oleandro come spiedo per arrostire le carni.
Si sono verificati casi di avvelenamento per ingestione di lumache che si erano alimentate con le foglie di questa pianta. Può risultare tossico perfino il latte di animali che hanno mangiato le foglie di oleandro o anche il miele prodotto dalle api che ne visitano i fiori. Perciò, innanzi tutto, sarebbe necessaria una corretta informazione per evitare gravi inconvenienti per la nostra salute e, come misura di prevenzione, sarebbe opportuno saper riconoscere con sicurezza le piante velenose, non infrequentemente confuse con specie eduli, disinfestare i campi coltivati dalle malerbe e impedire alle mandrie di pascolare sui terreni infestati.
Tossine e alimentazione
La conoscenza di tossici naturali nella dieta umana è di grande importanza per la prevenzione di numerose patologie. La tossicologia alimentare indaga sui fattori e sulle condizioni che concorrono a determinare la tossicità e la sicurezza dei principi presenti negli alimenti, e valuta le reazioni dell’ospite esposto. La tossicità è determinata da diversi fattori quali il tipo di molecola, le correlazioni tra questa e gli altri componenti dell'alimento, la suscettibilità biologica dell'ospite, l’interazione ospite-ambiente. Le sostanze tossiche, interferendo con i fenomeni fisiologici e metabolici dell’organismo possono determinare un avvelenamento mortale o una tossicità acuta, subacuta o cronica.
I processi di lavorazione, le modalità di conservazione e di consumo possono neutralizzare, ridurre o eliminare questi tossici ma anche renderli più pericolosi. È necessario perciò conoscere la natura chimica, il meccanismo d’azione e gli effetti tossici di queste sostanze, le materie prime in cui sono presenti e le relative concentrazioni poiché il rischio tossicologico è più spesso dovuto agli effetti cronici per un consumo prolungato degli alimenti che le contengono. Si tratta per lo più di alcaloidi, glucosidi, saponine, resinoidi, ossalati, tannini, ammine e composti fenolici.
Alcune sostanze tossiche presenti in frutti, spezie, oli essenziali, vengono utilizzati nell’alimentazione umana in modo saltuario o in quantità modeste, tali da non rappresentare un rischio tossicologico rilevante in soggetti sani sottoposti ad una alimentazione varia ed equilibrata.
Nello studio di un principio tossico introdotto nell’organismo è necessario tener conto di tre parametri fondamentali:
- esposizione;
- tossicocinetica;
- tossicodinamica.
La proprietà che condiziona maggiormente la tossicità di un composto è la sua reattività chimica; l’elevata reattività facilita infatti la combinazione del composto con i recettori molecolari di membrane cellulari, ormoni, enzimi, acidi nucleici, interferendo con le funzioni vitali. I principi tossici non assorbiti possono comunque alterare la mucosa intestinale limitando l’assorbimento dei nutrienti; la flora batterica intestinale può, inoltre, influenzare il grado di tossicità.
Come funziona l’avvelenamento da funghi?
Molte specie di funghi contengono veleni citotossici (come le amanitine) o neurotossici (come la muscarina) lesivi per l’apparato gastroenterico, il rene o il sistema nervoso. Cottura ed essiccamento non distruggono i principi tossici. È necessario perciò sapere distinguere con sicurezza le specie eduli.
Le amanitine, responsabili della sindrome falloidea, figurano tra i tossici a maggiore potere letale. Hanno come bersaglio il nucleo degli epatociti. La dose letale corrisponde a 0,1 mg/Kg di peso corporeo. Un cappello di circa 50 g di fungo fresco è sufficiente a determinare la morte di un adulto. La gravità della sindrome è dovuta alla lunga latenza, che non consente un’immediata terapia finalizzata all’eliminazione dal tubo digerente delle sostanze tossiche ingerite; la prognosi è legata alla gravità dell’epatite.
La muscarina è una tossina termolabile che stimola le terminazioni nervose del parasimpatico, dove esercita effetti simili a quelli dell’acetilcolina, importante neurotrasmettitore con cui compete; è responsabile della sindrome muscarinica. Il quadro clinico è caratterizzato da un periodo di latenza breve: compare miosi, ipersecrezione ghiandolare, vomito, diarrea, dispnea da broncocostrizione, ipotermia, insufficienza cardiaca. Possibile il decesso. Le specie fungine coinvolte sono almeno una cinquantina.
L’atropina costituisce la terapia di base; è l’unico caso conosciuto nella terapia delle intossicazioni da funghi in cui si usi un antidoto specifico.
Altre specie di funghi contengono allucinogeni come psilocibina e psilocina e composti simili all’acido D-lisergico (LSD) che agiscono a livello dei recettori serotoninergici.
Provocano manifestazioni psicotiche ma non danno dipendenza, tuttavia sono responsabili di tolleranza, per cui nei consumatori abituali, a scopo di piacere, sono necessarie dosi sempre maggiori nel tempo per ottenere lo stesso effetto. Un consumo prolungato di funghi allucinogeni può provocare gravi danni al SNC (attacchi di panico, psicosi e allucinazioni croniche). Vi sono nel mondo più di 120 specie di funghi allucinogeni di cui una ventina sono presenti anche in Italia. I principi tossici sono resistenti all’essiccamento ma la bollitura ne determina in parte la perdita.
Quali sono i funghi commestibili?
Paradossalmente la maggior parte di intossicazioni da funghi (circa 65%) sono dovute all’ingestione di funghi considerati eduli, diventati tossici in particolari situazioni (false intossicazioni).I funghi cosiddetti commestibili possono essere divisi in due grandi gruppi: quelli che non contengono tossine o ne contengono in quantità infinitesimali, e quelli che contengono tossine termolabili, che vengono distrutte con il calore, dopo prolungata cottura, per un tempo non inferiore ai 45 minuti.
Un fungo è commestibile se, dopo cottura completa, non determina alcun disturbo a chi ne consuma saltuariamente (non più di una volta alla settimana) e in modiche quantità (non più di 200 grammi di fungo fresco alla settimana o al massimo 300 grammi per pasto).
Se si seguissero queste linee guida in parte si eviterebbero le frequenti intossicazioni dovute al consumo di funghi crudi, o non sufficientemente cotti, o in pasti troppo ravvicinati, o consumati in quantità esagerate.
Avvelenamento da acido cianidrico
Nei semi di molte rosacee prunoidee, quali mandorle amare, pesche, albicocche, ciliegie, prugne, mele, pere, nespole del Giappone, fagiolo di Lima, fagiolo di Graiz, tuberi di manioca, sono presenti dei glucosidi come amigdalina, prunasina, durrina, linamarina e vicianina, che liberano acido cianidrico, dal caratteristico odore di mandorla amara. La dose letale di cianuro per l’uomo è compresa tra 0.5-3.5 mg/Kg di peso corporeo, per cui il rischio tossicologico è elevato nel consumo incontrollato di prodotti ad alto contenuto di glucosidi cianogeni. L’avvelenamento acuto determina una anossia istotossica (i tessuti non riescono a utilizzare l’ossigeno del sangue) con convulsioni, arresto respiratorio, collasso e morte repentina in 15-20 minuti dall’ingestione.
La manioca e il fagiolo di Lima (tipo di fagiolo tropicale), contengono elevati livelli di acido cianidrico (10-1120mg per 100g di prodotto la manioca; 100-300mg il fagiolo di Lima). La manioca è un’importante sorgente di carboidrati per le popolazioni dell’Africa e del Sudamerica. I componenti tossici vengono detossificati facendo bollire a lungo i tuberi di manioca e gettando via l’acqua o facendoli fermentare e macerare in acqua. Le mandorle amare e i dolci di pasta di mandorle contengono livelli relativamente alti di acido cianidrico. In letteratura è riportato che il consumo di 60 mandorle amare provoca la morte in un adulto. A basse dosi, l’acido cianidrico è responsabile di sintomi quali mal di testa, nausea, debolezza muscolare. Anche i semi di albicocca e di pesca contengono quantità elevate di acido cianidrico.
Alla fine degli anni ‘70 l’amigdalina, chiamata anche laetrile o vitamina B17, è stata proposta come farmaco anticancro; nel 2006 l’American Cancer Society ha stabilito che questo principio è tossico e non ha proprietà antitumorali.
Cos’è il latirismo?
È un disturbo neurologico, caratterizzato da debolezza muscolare, paralisi agli arti inferiori, paraplegia spastica, tremori, alterazioni scheletriche. È associato ad un eccessivo consumo di legumi della specie Lathyrus (pisello, fava, veccia) che contengono particolari amminoacidi, quali acido diamminobutirrico, acido N’-ossalil diamminobutirrico. È una malattia presente tra le popolazioni che basano la dieta quasi esclusivamente su tali legumi e sulla farina da essi ottenuta. La cottura in grandi quantità d’acqua, che deve essere poi eliminata, riduce in maniera considerevole la quantità di latirogeni presenti nell’alimento.
Favismo: cos'è?
È un difetto congenito di un enzima normalmente presente nei globuli rossi, la glucosio-6-fosfato deidrogenasi (G6PD), essenziale per i processi ossidoriduttivi che in essi si svolgono. La carenza di questo enzima provoca un’improvvisa distruzione dei globuli rossi, anemia emolitica, ittero, febbre, vomito, dolori lombari, prostrazione, emoglobinuria, quando il soggetto affetto ingerisce fave, piselli o alcuni farmaci che agiscono da fattori scatenanti, inibendo l’attività della G-6-PD eritrocitaria, già carente. Il rischio aumenta se le fave vengono consumate fresche; anche l'inalazione del loro polline può determinare una crisi emolitica. I sintomi compaiono 24-48 ore dopo ogni esposizione. Non esiste un rapporto tra quantità di fave ingerite ed insorgenza della crisi: sono stati osservati casi in cui è stata sufficiente l’ingestione di un solo seme o, nei lattanti, del latte della madre che aveva ingerito fave. Nella fava sono presenti due glucosidi tossici, vicina e convicina, che, mediante i corrispondenti agliconi, inibiscono il G6PD (13).
Ammine pressorie
Nella banana, nel succo di ananas e in altri frutti sono presenti delle sostanze vasoattive (dopamina, epinefrina, norepinefrina, serotonina, tirammina) che innalzano la pressione arteriosa. L’organismo umano possiede tuttavia un sistema enzimatico mitocondriale in grado di detossificare questi principi. Nel cioccolato, nei formaggi e nei vini rossi è stata trovata la feniletilammina, ammina vasopressoria che può risultare tossica.
Composti fenolici
Nei vegetali ne sono stati individuati oltre mille. Nei semi di cotone, dai quali dopo l’estrazione dell’olio si prepara una farina utilizzata per l’alimentazione del bestiame e umana, è presente un pigmento tossico: il gossipolo. Le piante di mango, anacardi, pistacchi producono un essudato oleoso: la sua polimerizzazione parziale da origine a composti fenolici, uruscioli, che causano gravi dermatiti.Nella buccia di alcuni agrumi, quali arancia e mandarino, sono presenti due flavoni, nobiletina e tangeretina, ad altissima tossicità acuta. L’aspetto tossicologico riguarda i succhi che vengono prodotti per pressione dei frutti interi. Anche nella buccia del pompelmo è stato trovato un altro flavone molto tossico.
Avvelenamento solaninico
In tutte le piante della famiglia delle solanacee, particolarmente nella patata, sono presenti due alcaloidi: la solanina e la tomatina, inibitori della colinesterasi, un enzima responsabile della trasmissione nervosa e neuromuscolare. Nella patata, il contenuto di solanina dipende da numerosi fattori, quali l’esposizione alla luce del sole, la varietà, il grado di maturazione, la quantità di fertilizzanti utilizzati nella coltura e le condizioni di conservazione, preparazione e cottura.
Normalmente il contenuto medio varia da 2 a 15mg/100g; nelle “chips” il contenuto varia da 2 a 60mg/100g (ciò è dovuto al reiterato utilizzo dell’olio di cottura, dove si accumula il tossico). La solanina è termoresistente e insolubile in acqua; l’azione tossica non viene neutralizzata con la cottura. Alla dose di 2mg/Kg di peso corporeo la solanina produce disturbi neurologici, nausea, vomito, depressione cardiovascolare e respiratoria, e nei casi più gravi coma e morte.
Avvelenamento da senecio
Diverse piante come la crotalaria, polmonaria, senecio, borrago officinalis, heliotropium, utilizzate come infusi o come alimenti, contengono alcaloidi pirrolizidinici che hanno dimostrato un notevole grado di epatotossicità, e causano cirrosi e ascite. Tale patologia viene definita malattia veno-occlusiva o senesciosi. Anche il miele, il latte o le uova di animali che avevano consumato piante di senecio sono risultati tossici.
Caffeina e composti psicoattivi
Nella noce moscata, nel pepe nero, nel prezzemolo e nella carota è presente la miristicina. A dosi elevate è un potente narcotico; a dosi modeste provoca emicrania, nausea, ipotensione, depressione, acidosi. Nel caffè, nel tè, nel cacao e nella cola sono presenti derivati della xantina ad azione stimolante. Sostanze tossiche sono presenti in piante usate come tisane o integratori dietetici. L’efedrina è un alcaloide presente in integratori utilizzati per perdere peso o per migliorare la performance degli atleti. La struttura chimica di questa molecola è simile a quella dell’adrenalina.
In dosi superiori a 50mg/die, causa palpitazioni, nausea, sudorazione, tremori, nervosismo, perdita dell’appetito, insonnia, euforia; a dosi superiori a 500-1000mg/die può portare a spasmi, convulsioni, fino al coma; a dosi di 2g è letale nell’adulto. Recentemente, diversi paesi hanno vietato l’uso dell’efedrina nei preparati alimentari.
Quali sono le altre sostanze tossiche?
Tra gli acidi grassi vegetali alcuni sono tossici; l’acido erucico, presente soprattutto nell’olio di colza, proveniente da varietà non selezionate, può determinare negli animali ritardo dell’accrescimento, lesioni epatiche e renali. L’acido glicirrizidico, estratto dalla radice della liquirizia, ha un potere dolcificante 33-200 volte maggiore del saccarosio e viene impiegato nel confezionamento di molti alimenti (caramelle, chewing-gum, tisane, liquori). Se utilizzato in larghe dosi e per periodi prolungati può dare squilibrio elettrolitico, ritenzione idrica, ipopotassiemia, ipersodiemia, edema, ipertensione e disturbi cardiaci.
L’assenzio è una pianta molto aromatica e viene utilizzata perciò nella preparazione di bevande come amari e vermouth; contiene una sostanza tossica, il thujone. Nell’avocado è presente il mannoeptulosio, un glucide che provoca iperglicemia e riduzione dell’insulina plasmatica.
Anche nell’aglio e nella cipolla sono presenti composti tossici. Il mentolo, presente nell’olio di menta e impiegato come aromatizzante alimentare e del tabacco, se consumato in maniera eccessiva può rivelarsi tossico. Negli esperimenti su animali, sono stati dimostrati effetti tossici per il metileugenolo e l’estragolo, (presenti anche nel basilico) e il safrolo (presente nello zafferano, nella cannella, noce moscata e in numerosi oli essenziali).
Sostanze antinutrizionali: cosa sono?
In natura esistono delle sostanze che possono determinare deficienze nutrizionali poiché interferiscono nell’assorbimento di nutrienti o nell’utilizzazione dei loro metaboliti. Possono agire in diversi stadi del processo digestivo, inibendo enzimi quali le carboidrasi e le proteasi, inibendo l’assorbimento o l’utilizzazione metabolica di elementi minerali, inibendo l’assorbimento o l’utilizzazione di vitamine o agendo con azione polivalente (antagonisti verso più classi di nutrienti).Le anticarboidrasi sono inibitori di enzimi diffusissimi nel regno vegetale ma non comportano effetti tossici rilevanti. Le antiproteasi (antitripsine) possono essere presenti sia in alimenti di origine vegetale (soia, patata, lenticchia, fagiolo) che animale (latte vaccino, albume dell’uovo). La maggior parte delle antitripsine sono termostabili. Per quanto riguarda il latte, il trattamento di pastorizzazione (a 72°C per 40 secondi) riduce l’attività antitripsinica al 96-97% mentre, un trattamento a 95°C per 60 minuti la riduce al 25%. Nella soia, trattata in autoclave a 120°C per 30 minuti, l’attività antitripsinica viene persa quasi completamente.
Inibitori dell’assunzione di elementi minerali
Sono sostanze che agiscono sull’assorbimento e sull’utilizzazione dello iodio e di altri elementi come calcio, ferro, magnesio, zinco, manganese e rame.Sostanze antitiroidee o goitrogene o gozzigene
Interferiscono con il metabolismo della tiroide, impedendo la normale fissazione dello iodio nella ghiandola; determinano ipertrofia della tiroide (gozzo). Tioglucosidi come progoitrina, sinigrina, glucobrassicina sono presenti in molte crucifere quali cavolo, broccolo, colza, rape e leguminose quali soia e arachidi; svolgono azione goitrogena tramite i loro derivati agliconi (isotiocianato, tiocianato). Azione analoga hanno anche i cianoglicosidi, sostanze molto diffuse nel regno vegetale, presenti nell’arachide, anacardo, mandorlo.L’attività goitrogena è dovuta anche a glucosidi polifenolici, amigdalina e prunasina, presenti in molte drupacee (pesco, ciliegio, albicocco) e pomacee (pero e melo). Anche nel fagiolo, pisello, lenticchia, ricino, sono state trovate sostanze ad azione goitrogena, così come nella cipolla e nell’aglio. Nella soia è presente la soina.
Alcune indagini hanno accertato lo sviluppo del gozzo in adolescenti che hanno consumato latte di soia per lungo tempo. Il gozzo si manifesta quando il rapporto tra tiocianati e iodio è maggiore di 500 e per superare il limite di sicurezza di questo rapporto è sufficiente, ad esempio, il consumo di circa 500 g di cavolo. Per compensare gli effetti antinutrizionali di queste sostanze è necessario aumentare l’apporto alimentare di iodio.
Acido fitico
È diffuso in molte graminacee, leguminose, semi oleaginosi e spezie; forma con diversi elementi minerali come calcio, ferro, magnesio, zinco, composti insolubili, fitati, che vengono eliminati con le feci.Acido ossalico
È contenuto in elevate concentrazioni nell’avena, cavoli, spinaci, barbabietole, rabarbaro, caffè e tè. Inibisce l’utilizzazione del calcio formando ossalato di calcio insolubile. Gli effetti antinutrizionali sono rilevanti quando il rapporto tra acido ossalico e calcio è maggiore di 1.
Inibitori dell’assorbimento delle vitamine
Le antivitamine sono sostanze antagoniste verso una o più vitamine, contenute in molti alimenti di origine vegetale. Molto diffuse sono le antitiamine, sia animali, presenti in varie specie di pesci, che vegetali, quali l’acido caffeico e il pirocatecolo, presenti in frutti come mora, ciliegia, lampone, ribes e nel caffè. Nell’albume dell’uovo è presente un fattore antibiotina, l’avidina, così come nel fegato di pollo. La cottura denatura queste proteine antinutrizionali. Nell’avena verde, come anche nel fieno e nella segale, si trova un fattore che inibisce l’attività antirachitogena della vitamina D. Un altro fattore rachitogeno è stato estratto dal fegato di maiale. Dal trifoglio è stato isolato il dicumarolo, che deriva per azione batterica dalla cumarina, e che ha mostrato notevole attività anticoagulante, in antagonismo con i naftochinoni, precursori delle vitamine K.
Sostanze ad azione polivalente
Le lectine, dette anche emoagglutinine, oltre ad avere attività goitrogena, interferiscono anche nell’assorbimento di amminoacidi, lipidi, glucidi e vitamine; sono presenti nella soia, nell’arachide, nel fagiolo, nella fava, nella veccia e nei semi di ricino e di abrus.
La fasina, presente nel fagiolo è la più attiva tra quelle presenti nelle sostanze naturali destinate all’alimentazione umana. I semi di abrus, noti anche come “occhi di granchio”, contengono l’abrina, altamente tossica, e venivano utilizzati nella fabbricazioni di monili o come perle di rosari.
I tannini sono dei composti polifenolici molto diffusi nei vegetali (es. amamelide, vite rossa, uva ursina), specialmente nei frutti, ad attività antinutrizionali; agiscono inibendo enzimi, ostacolando l’assorbimento delle proteine e l’utilizzazione di elementi minerali e vitamine. Tra i tannini idrolizzabili è particolarmente diffuso l’acido tannico, risultato epatotossico e a spiccata attività cancerogena. Anche le fibre, se consumate in eccesso, come i tannini, possono chelare i metalli.
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