I dolcificanti causano il diabete?

A volte nel campo della medicina si svelano paradossi impensabili, che scardinano tutte le precedenti certezze su cui si basavano comportamenti, prescrizioni e indirizzi terapeutici. Questo è il caso. Recenti studi condotti quest’anno, di cui il più importante pubblicato su Nature, mostrano che l’impiego di dolcificanti artificiali acalorici determina alterazioni di una serie di parametri metabolici riconducibili ad una intolleranza al glucosio e insulino-resistenza.

Illustrazione 1 - Dietologia


I dolcificanti messi sotto la lente di ingrandimento sono l’aspartame e la saccarina, quindi i più diffusi sostitutivi dello zucchero, ampiamente utilizzati e, sinora, suggeriti proprio per la popolazione diabetica. Sul mercato sono presenti numerose linee di prodotti da forno dolciari a base di questi dolcificanti, con lo scopo di rendere accessibili anche ai diabetici alimenti altrimenti banditi. In realtà, gli edulcoranti artificiali si sono diffusi su larga scala soprattutto per ridurre l’apporto calorico in funzione di accorgimenti dietetici nelle diete dimagranti; il loro uso è diventato una frequente abitudine per quanti sono attenti alla linea, nella convinzione di esercitare un’abitudine corretta sostituendoli allo zucchero.

 

Cos’è l'aspartame?

Da quando è stato introdotto sul mercato, nel 1965, l’aspartame ha sempre destato sospetti e preoccupazioni. Molti studi di approfondimento sono stati condotti per dimostrare l’assenza di dannosità e consentire all’aspartame di rimanere sul mercato. In particolar modo, il metabolismo della sostanza è stato sempre indicato come possibile punto di criticità. Nel fegato, infatti, l’aspartame è scomposto nei suoi elementi principali: fenilalanina, acido aspartico e metanolo. Quest’ultimo è stato da sempre incriminato come la molecola tossica, poiché, a livello epatico, è convertito in acido formico, composto altamente pericoloso per lo sviluppo di acidosi metabolica ed insufficienza epatica.

La fortuna commerciale dell’aspartame (indicato con la sigla E951) deriva proprio dalle sue caratteristiche intrinseche: infatti, scoperto per caso dal chimico James Schlatter, sembra rispondere esattamente a tutte le esigenze che il mercato dell’industria alimentare presenta e soddisfa pienamente la domanda di surrogati dello zucchero a basso costo da parte della popolazione diabetica e non. Con un potere edulcorante 160-220 volte maggiore rispetto al saccarosio e un apporto calorico è più o meno equivalente (4 Kcal/grammo, come qualunque proteina), pochissime quantità di aspartame dolcificano in modo gradevole cibi e bevande. 

L’aspartame, inoltre, ha il grande vantaggio di non alterare la glicemia, non seguendo la via metabolica del glucosio (è un dipeptide e non un disaccaride come il saccarosio). È acariogeno, diversamente dal saccarosio. In più, ha un’alta stabilità al calore, seppure per breve esposizione (per lunghe esposizioni al calore ciclizza in dichetopiperazina o si idrolizza). È controindicato in gravidanza e allattamento poiché piccole quantità ciclizzano anche spontaneamente e la dichetopiperazina è tossica per feto e neonato.

 

Cos’è la saccarina?

La saccarina ha una storia più antica dell’aspartame: è stata scoperta nel 1878 dai chimici Remsen a Fahlberg. Esiste in tre forme: acido saccarifico, saccarina di sodio (la più diffusa) e saccarina di calcio. Ha un potere edulcorante 200-600 volte maggiore dello zucchero, con un retrogusto amaro-metallico ad alte dosi. Viene spesso utilizzata in associazione al ciclamato, per correggere i rispettivi aromi difettivi. Viene utilizzata talvolta anche in associazione ad aspartame. Ha un’altissima stabilità a variazioni di pH e temperatura.

La saccarina è assorbita al 90% e non è metabolizzata dall’uomo, viene escreta nelle urine immodificata. È totalmente acalorica e acariogena. In realtà, sembra che la saccarina non sia proprio una molecola inerte. Alcuni studi ipotizzano che possa interferire con alcune proprietà enzimatiche della glucosio-6-fosfatasi, l’enzima che consente al glucosio libero di tornare nel torrente circolatorio. Questa tesi non è stata mai confermata e non sono note interazioni di sorta tra insulina e saccarina.

È stata oggetto di studi nell’ipotesi che fosse cancerogena soprattutto verso le cellule della vescica, senza mai giungere a conclusioni definitive. È raccomandata prudenza in gravidanza perché attraversa la placenta.
 

Lo studio sperimentale

Lo studio più vasto ed attendibile è una sperimentazione di un gruppo israeliano, condotto su animali da laboratorio e successivamente sugli uomini. Gli studiosi hanno valutato ampie casistiche sulla base di una dieta contenente dolcificanti (aspartame o saccarina), monitorandoli strettamente con un sensore che rilevava la glicemia ogni 5 minuti.

Lo scopo del lavoro è di chiarire come i dolcificanti espongono a rischio diabete, per l’uso prolungato e per dosi massicce, dovendo essere i meccanismi completamente diversi da quelli che segue il saccarosio. Infatti, è conosciuto che gli edulcoranti artificiali sono molecole non saccaridiche e quindi non seguono la via del glucosio né sono direttamente connessi con la stimolazione insulinica.

Lo studio dimostra che gli edulcoranti artificiali selezionano una popolazione batterica che favorisce un maggior assorbimento dei carboidrati e una maggiore conversione degli zuccheri in grassi. A lungo andare, la modificazione del microbiota intestinale favorisce la condizione clinica del diabete, ma probabilmente anche di neoplasie o malattie infiammatorie intestinali.

È conosciuto che vi è decrescita proporzionale di popolazioni batteriche intestinali appartenenti ai Firmicutes e Bacteroides, rispettivamente, in soggetti con diabete di tipo 2 ed obesi. Altri studi rivelano che 12 settimane di dieta ricca di sucralosio riduce il numero di colonie di batteri commensali come Bifidobacterium, Lactobacillus e Bacteroides, nei ratti. Questi cambiamenti nell’ambiente intestinale sono stati correlati con lo sviluppo di insulino-resistenza, iperglicemia, aumento della deposizione di tessuto adiposo e stato di infiammazione di basso grado.

 

Niente allarmismi

Questi studi rappresentano un importante contributo scientifico per chiarire vantaggi e svantaggi dell’uso di dolcificanti nella dieta. Però, prima di diventare una raccomandazione nutrizionale e di essere traslati nella pratica clinica bisognerà aspettare ulteriori conferme. 

L’uso sconsiderato di edulcoranti per le bevande o di prodotti contenenti dolcificanti è sempre stata sconsigliata dalle più autorevoli Società Scientifiche di Diabetologia, piuttosto si è incentivata la terapia rieducazionale di questi pazienti volta a correggere la percezione dell’eccessivo sapore dolce e a convertire le proprie scelte alimentari verso aromi naturali.

In ogni caso, è necessario ricordare che la dose giornaliera ammissibile (indicata dall’EFSA) è stata fissata in 40 mg/Kg di peso corporeo. Per una persona adulta di 70 Kg, equivarrebbe all’assunzione di 4-5 litri di bibite dolci, di 300-350 gomme da masticare oppure circa 140 compresse dolcificanti.

 

Bibliografia

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  • Choudhary AK. Aspartame: Should Individuals with Type II Diabetes be Taking it? Curr Diabetes Rev. 2018;14(4):350-362.