Cos’è l’obesità?

L’OMS definisce l’obesità come una patologia cronica caratterizzata da un eccesso di grasso corporeo che può causare problemi medici, psicologici, fisici, sociali ed economici.

Non è considerata come una singola malattia, ma una condizione che si produce per l’intersecarsi di vari fattori genetici, nutrizionali, comportamentali, ambientali, socio-economici e culturali, che finiscono per determinare quadri estremamente variegati.
 

Illustrazione 1 - Dietologia


A tutt’oggi non è ancora del tutto chiara l’importanza dei vari fattori nei singoli casi, la maggioranza dei ricercatori è propensa a credere che i maggiori determinanti dell’incremento ponderale nella grande maggioranza dei casi siano gli eccessi alimentari e la sedentarietà. È, in ogni caso, il più appariscente risultato di un bilancio energetico cronicamente positivo, con deposizione nelle cellule adipose dell’eccesso calorico non utilizzato.

È considerata l’epidemia di più vaste proporzioni del terzo millennio, per cui è giustificato il suo inserimento fra i primi problemi di salute pubblica. Oggi non è più un’esclusiva delle società ricche, ma è sempre più diffusa anche nei paesi in via di sviluppo, a causa dei cambiamenti culturali, sociali ed economici, con complesse interazioni tra la facile disponibilità di cibo ad alto contenuto calorico e il ridotto dispendio energetico richiesto dagli stili di vita del mondo moderno.

 

Come si sviluppa l’obesità?

Il peso di un uomo giovane normale è costituito per l’80-85% di massa magra (liquidi corporei, muscoli, scheletro, visceri, ecc.) e dal 15-20% di massa grassa, cioè il tessuto adiposo in cui sono immagazzinati le riserve energetiche sotto forma di trigliceridi; nella donna giovane normale la massa grassa rappresenta il 20-30% del peso corporeo.

Se l’aumento di tessuto adiposo è tale da incrementare il peso corporeo ideale fra il 10 e il 20%, si parla di sovrappeso; se oltre il 20% si parla di obesità di vario grado. 

Utilizzando questi criteri di valutazione, secondo stime dell’Organizzazione mondiale della sanità relative al 2003, si ritiene che gli adulti in sovrappeso nel mondo siano almeno un miliardo e 100 milioni, di cui almeno 312 milioni sono clinicamente obesi.

In Italia l’obesità riguarda circa il 14% della popolazione adulta, il sovrappeso un ulteriore 30-40%. È sempre più allarmante l’eccesso ponderale infantile: una recente ricerca ha evidenziato che su 100 bambini della terza elementare 24 sono in sovrappeso e 12 sono obesi.

In ambito scientifico si usano metodi sofisticati per individuare la presenza e la distribuzione del grasso: la tomografia assiale computerizzata (TAC), la risonanza magnetica nucleare (RMN), la dual energy x-ray absorptiometry (DEXA), l’ecografia (ultrasonografia, USG).

Nella pratica clinica il parametro attualmente più utilizzato per esprimere il grado di adiposità è l’indice di massa corporea (IMC), o body mass index (BMI), metodo sicuramente più appropriato rispetto alle vecchie tabelle basate unicamente su peso e altezza.

Tuttavia anche l'IMC presenta limitazioni ben precise, derivanti dal fatto che viene calcolata la massa totale, prescindendo dal reale contenuto di grasso del corpo, per cui un soggetto molto muscoloso può avere un IMC alto pur essendo magro, e non dà informazioni sulla distribuzione della massa adiposa, in particolar sulla obesità viscerale che, come vedremo, è un importante fattore di rischio per le malattie cardiovascolari.

 

L’obesità come mistero

Il motivo per cui si ingrassa rimane per molti versi un mistero. È convinzione comune che ciò accada perché si introducono più calorie di quante se ne consumino. Cosa senz’altro vera, anche se non sempre così evidente. Sono di osservazione comune, infatti, persone che pur introducendo enormi quantità di cibo rimangono magri, mentre altre pur sostenendo di mangiare ingrassano a dismisura. 

Gli esperti sostengono che mentre è vero che ci sono persone magre che mangiano molto, non ci sono obesi che mangiano poco: la grande maggioranza degli obesi è convinta di mangiare poco perché mangia meno di quanto vorrebbe. Le disfunzioni ormonali, tanto accusate, hanno poche responsabilità. Esercitando l’umorismo inglese, l’endocrinologo Mason ha scritto che le uniche ghiandole che ci fanno ingrassare sono quelle salivari. 

 

L’obesità è legata alla genetica?

Tuttavia per alcuni grandi obesi, spesso colpevolizzati, sembra giunto il momento del riscatto morale: la loro condizione potrebbe dipendere più dal loro DNA che dalla loro golosità.

Va man mano chiarendosi che la quantità di tessuto adiposo nell’organismo è controllata da alcuni geni che presiedono a meccanismi per cui a ogni deviazione, in positivo e in negativo, viene attivata una contro-regolazione che si oppone al cambiamento. In altre parole, la massa corporea individuale, il fatto che uno sia magro o grasso, è regolato da un sistema omeostatico, di equilibrio con l’ambiente esterno, che bilancia ingestione di cibo e spesa energetica.

Da qualche decennio ormai è stato individuato un gene, battezzato ob (da obesità), che codifica per la sintesi della leptina (dal grco leptos=magro), un ormone prodotto dalle cellule adipose, che ha il compito fisiologico di informare i centri ipotalamici del cervello sullo stato della massa adiposa: se questa aumenta per un eccesso di introiti alimentari, aumenta anche la sintesi della leptina che, agendo sui centri nervosi, induce una riduzione dell’appetito e un aumento del dispendio energetico. Se invece si ha una riduzione della massa adiposa, per esempio a causa di un digiuno prolungato, si ha una riduzione dei livelli di tale ormone per cui a livello cerebrale giunge il segnale opposto, che è necessario aumentare l’assunzione di cibo e ridurre la spesa energetica.

Più recente è invece la scoperta di un altro gene che partecipa alla regolazione del bilancio energetico, dell’assunzione di cibo e del peso corporeo codificando per la sintesi della grelina, un ormone prodotto nello stomaco, la cui sintesi aumenta in modo naturale in risposta ad una perdita di peso o a un ridotto apporto calorico, trasmettendo al cervello il messaggio e stimolando l’appetito.

Poiché la grelina stimola l’appetito, è stato ipotizzato che inibendo il suo gene codificatore si sarebbe potuto inibire lo stimolo a nutrirsi e, di conseguenza, indurre dimagrimento. L’operazione non ha sortito l’effetto sperato, ma ha portato alla scoperta di un altro ormone, l’obestatina, prodotto, sembra, dallo stesso gene della grelina (caso raro di una stessa sequenza genetica da cui derivano due distinte proteine), che contrasta l’appetito: due ormoni derivanti dallo stesso gene.

Questi esempi a conferma dell’esistenza di meccanismi fisiologici con cui l’organismo segnala al cervello quando è ora di mangiare e quando è ora di smettere. Ne deriva che quale debba essere il ruolo di un soggetto non è stabilito dalle tabelle ma dall’azione regolatoria non del tutto chiarita dei propri geni. Se in alcuni individui, per un difetto genetico, vi è un’alterata produzione degli ormoni regolatori oppure una scarsa sensibilità agli stessi da parte dei loro specifici recettori cerebrali, vengono a mancare i segnali che dovrebbero bloccare i meccanismi di accumulo delle riserve adipose. Senza alcuna loro colpa.

Probabilmente le grandi obesità affondano le loro radici nella storia e nella preistoria. Per migliaia di anni, fino ad un recente passato, le disponibilità alimentari erano limitate, con lunghi periodi di carestia, per cui solo chi aveva un metabolismo e un valido sistema di accumulo del surplus calorico, quando era disponibile, riusciva a sopravvivere e a generare discendenza.

La selezione di individui con un genotipo risparmiatore per molto tempo ha avvantaggiato la specie umana, ma oggi, mutate le disponibilità alimentari, rappresenta per i loro discendenti la base dell’obesità e di tutte le patologie a essa collegata. Ne sono un esempio gli indiani Pima, originari del Messico, che popolarono il deserto dell'Arizona del Sud: avendo sperimentato un lunghissimo periodo di carestia e recentemente una larga disponibilità di cibo ipercalorico, sono ingrassati in modo impressionante, sviluppando un’enorme percentuale (circa l’80%) di diabete mellito. La progressiva identificazione di geni implicati nello sviluppo dell’obesità potrebbe indurre alcuni a pensare a una scarsa utilità della prevenzione, un alibi per non cambiare stili di vita poco corretti.

 

Il legame genetica-obesità è indissolubile?

Le cose non stanno propriamente così: in una civiltà come la nostra, in cui c'è stato e continua, sempre più a esserci un rimescolamento di cromosomi, i geni sono dispersi e diluiti nella popolazione, per cui la loro penetranza è sempre più attenuata. La genetica ha indubbiamente un ruolo, come dimostra il fatto che quando entrambi i genitori sono obesi l’80% dei figli tende ad avere lo steso problema; se è obeso uno solo dei genitori, il 40% dei figli tende a diventarlo, mentre se i genitori non hanno problemi di peso, solo il 7% dei figli incorre nella malattia.

La genetica non sembra tuttavia sufficiente da sola perché si verifichi la malattia. Studi effettuati sul peso corporeo di gemelli e di bambini adottati hanno consentito di distinguere l’importanza della costituzione genetica dai fattori ambientali e socio-familiari, per cui attualmente nell’evoluzione del sovrappeso e dell’obesità si tende a dare molta più importanza ai fattori acquisiti (socio-economici, culturali, ambientali). La genetica da sola non basta; può, tuttavia, rendere fertile il terreno ai fattori ambientali.

Molta importanza hanno anche i fattori emotivi: noia, tristezza, rabbia sono motivi per buttarsi sui cibi più proibiti. È stato evidenziato che anche avere amici obesi predispone all’obesità, per stili di vita condivisi. I condizionamenti ambientali cominciano molto presto nella vita di un uomo. Inconsapevoli comportamenti preparano ad un’inconsapevole creatura un destino da obeso. Molte donne in gravidanza probabilmente non sospettano che, quando danno lieta soddisfazione alle loro voglie, stanno forse mettendo le basi per l'obesità del loro figlio. Esistono infatti due periodi critici per lo sviluppo del grasso corporeo. Uno va dal terzo trimestre di vita intrauterina al diciottesimo mese di vita post-natale, simile nei due sessi, e uno comprende la pre-pubertà e la pubertà, durante il quale incomincia a delinearsi una diversa distribuzione del grasso corporeo nei due sessi.
 

Obesità iperplastica e obesità ipertrofica: cosa sono?

Il primo periodo è il più importante, essendo quello in cui più facilmente si innesca il processo della moltiplicazione delle cellule adipose, gli adipociti, venendosi così a creare una eccessiva ed irreversibile cellularità.

Il numero degli adipociti è geneticamente determinato, in ogni individuo, da 30 a 40 miliardi. Tuttavia, quando queste cellule raggiungono una dimensione critica per un eccessivo accumulo di grassi in conseguenza di un’iperalimentazione, avviene lo sviluppo di altre cellule non ancora completamente differenziate, i pre-adipociti, fino a giungere ad un numero di cellule adipose che può essere cinque volte quello predeterminato. Tale meccanismo è di prevalente, ma non esclusiva, insorgenza infantile

L’obesità iperplastica sarà il problema di tutta la vita perché difficilissima da trattare, per il motivo che, quand'anche si riuscisse a svuotare del contenuto adiposo ogni singola cellula (anche al di sotto dei valori normali), l'eccessiva massa cellulare non consentirebbe comunque il raggiungimento di una silhouette corrispondente ai canoni estetici ideali, e permarrebbe un'estrema facilità a riprendere gli eventuali chili perduti. Nell’obesità che insorge nell’adulto, invece, il numero degli adipociti è solo di poco aumentato, mentre aumentano molto le dimensioni delle cellule. In questo caso si parla di obesità ipertrofica, molto più semplice da trattare.

Questo è uno dei motivi per cui la lotta all'obesità (e di riflesso alle patologie ad essa correlata) deve essere spostata dall'adulto al bambino, anzi addirittura ancor prima del concepimento, con una corretta alimentazione della donna possibile madre e poi in gravidanza, e del bambino nei primissimi anni di vita, specialmente se si è in presenza di una familiarità per malattie metaboliche. È anche in quest'ottica che va difesa l'alimentazione al seno materno che non determina iper-nutrizione, sia per la composizione del latte nel corso della poppata, sia per l'autocontrollo del lattante, che partecipa attivamente al suo pasto. 

È stato dimostrato che proprio nel primo periodo della vita viene orientato il metabolismo energetico di tutta la vita successiva e si instaurano condizionamenti, anche psicologici, che si traducono in abitudini alimentari permanenti. 

 

Le trappole perverse dell’obesità

Ben lungi dall’essere soltanto una questione estetica o una variante costituzionale, come ancora molta gente pensa, l’obesità, tra tutti i fattori di rischio che possono essere corretti o prevenuti, è considerata, dopo il fumo, la più importante per la salute.

Sono state le compagnie di assicurazione sulla vita degli Stati Uniti a evidenziare per prime, sulla base di studi statistici condotti su milioni di persone, il rapporto tra peso corporeo e durata della vita, motivo per cui già da molto tempo fanno pagare polizze più care ai soggetti in sovrappeso rispetto ai magri.

 

Complicazioni cardiache dell’obesità

Il cuore di un grande obeso è messo a dura prova non tanto, come si potrebbe pensare, per dover portare a spasso, dalla mattina alla sera, molti più chili del normale, quanto per dover pompare un maggiore volume di sangue per irrorare la massa adiposa riccamente vascolarizzata. Se, inoltre, come capita spesso, l’obeso è anche iperteso, il sovraccarico lavorativo per il cuore è duplice e proporzionato all'entità della massa adiposa. Per sostenere un simile lavoro il cuore si ingrossa. Ma poiché all’aumento della massa muscolare non corrisponde un analogo sviluppo del circolo coronario, si determina un deficit nutrizionale del cuore (ischemia coronarica relativa), che gradualmente induce una insufficienza cardiaca, fino allo scompenso.

 
Illustrazione 2 - Dietologia

Complicanze osteo-articolari

Un peso eccessivo si ripercuote negativamente anche sull'apparato osteo-articolare, soprattutto nelle zone maggiormente sottoposte a carico statico e dinamico: la scarsa nutrizione da sovraccarico stimola la neoformazione di vasi e un’infiammazione dell’osso, con conseguente osteofitosi reattiva (artrosi). Associandosi spesso a ridotta attività fisica, l’obesità limita il movimento articolare, che è essenziale per il mantenimento dell’integrità anatomica e funzionale delle singole articolazioni. Nell'età infantile e adolescenziale le conseguenze più comuni sono i piedi piatti e le ginocchia valghe.

 

Complicanze respiratorie

L'obesità interferisce anche con la funzionalità respiratoria a causa dell’accumulo intra addominale e sulla parete toracica di tessuto adiposo che modifica la dinamica respiratoria. I grandi obesi sono in uno stato di ipossiemia (cronica scarsa ossigenazione), che si accentua in posizione supina e ancor più durante il sonno, soprattutto durante le fasi REM, quando il sonno è più profondo, a causa di un'atonia di tutta la muscolatura, compresa quella delle vie aeree superiori: la lingua e il palato molle si avvicinano alla parete posteriore della faringe, provocando una netta riduzione dello spazio respiratorio. L'impedimento al passaggio dell'aria determina una minore ossigenazione del sangue, per ovviare alla quale vengono attuati sforzi respiratori riflessi della gabbia toracica, che mettono in rumorosa vibrazione il velo pendulo palatino.

Questa è la causa del russamento, la cui magnitudo è direttamente proporzionale all'entità dell'obesità. Il russamento è un problema di non scarsa importanza, non tanto per il dormiente, che difficilmente se ne rende conto, quanto per il suo partner, che vive da sveglio la tragica realtà. Il russatore deve temere l'OSAS (Obstructive Sleep Apnea Syndrome), caratterizzata da interruzioni intermittenti del flusso aereo nelle vie respiratorie che si verifica involontariamente durante il sonno, determinando veri e propri periodi di apnea di oltre 10 secondi (nei casi molto gravi può raggiungere anche il minuto), seguiti da periodi di normale ripresa del ritmo respiratorio o da iperventilazione che possono innescare reazioni neuro-endocrine (reazioni d'allarme), possibili cause di spasmi coronarici, aritmie cardiache, fino a sia pur rari casi di morti improvvise.

A causa di tale frammentazione del sonno i grandi russatori lamentano un’eccessiva sonnolenza diurna e una compromissione delle performance quotidiane, con un aumentato rischio di incidenti stradali e sul lavoro. Nei russatori con più di cinque apnee per ogni ora di sonno, il rischio di infarto del miocardio, ictus, fibrillazione atriale, morte improvvisa aumenta notevolmente, indipendentemente dalla coesistenza di altri fattori di rischio. Le cause potrebbero essere una riduzione del flusso cerebrale, una ipercoagulabilità del sangue, l’insorgenza di un’aritmia cardiaca. A peggiorare il fenomeno del russamento, oltre l’obesità, contribuiscono l'uso di sonniferi e l'abuso di alcool.
 

Esistono complicanze psicologiche?

L'obesità non può non incidere anche sulla psiche, costituendo una fonte di malessere. Molti obesi vivono in una condizione di perenne frustrazione, hanno un concetto negativo della propria immagine, tendono a perdere la stima di sé, finendo in preda all’ansia e alla depressione. Spesso soffrono di insonnia e per dormire hanno bisogno di uno spuntino nel cuore della notte. Inoltre, avvertono un certo disagio sociale in termini di limitazioni delle funzioni quotidiane, impedimenti fisici alle attività lavorative e ricreative, perdita di vitalità, sentimenti di irritabilità.

Ciò si ripercuote su tutti i campi di interesse della vita, anche nella sfera sentimentale, sentendosi non competitivo nei confronti dell’altro sesso. Difficilmente un obeso ha un impatto positivo nei rapporti umani. Addirittura in alcuni concorsi pubblici (non in Italia) vige il criterio di esclusione delle persone obese o semplicemente in sovrappeso. Accade spesso che una simile condizione spinga il soggetto a condurre una vita ritirata e a cercare un compenso nel cibo, perpetuando un circolo vizioso.

Illustrazione 3 - Dietologia
 

Complicanze ormonali

Come già detto, il tessuto adiposo non è, come ritenuto fino a non molto tempo fa, un inerte tessuto con l’esclusiva funzione di immagazzinare e rilasciare sostanze energetiche. È ormai considerato un organo endocrino a tutti gli effetti: produce sostanze addette al controllo del comportamento alimentare e del bilancio energetico dell’organismo (leptina, neuropeptide Y) e, grazie a specifici corredi enzimatici, è in grado di produrre cortisolo dal cortisone, suo precursore inattivo, e di convertire una certa quota di androgeni (ormoni maschili) in estrogeni (ormoni femminili), in quantità proporzionale all'entità della massa adiposa.

Per quest’ultimo fenomeno si ha uno stato di iperestrogenismo permanente, che può determinare nella donna in età fertile un turbamento del delicato sistema ipotalamo-ipofisario, con diverse conseguenze: mancanza di ovulazione (e quindi infertilità), flussi mestruali diradati, fino alla loro scomparsa per periodi più o meno lunghi (amenorrea secondaria), mentre nella donna in età non più fertile può aversi una iperstimolazione della mucosa uterina, a cui possono conseguire emorragie uterine e induzione tumorale.

Tra le patologie endocrinologiche associate al sovrappeso va ricordata la sindrome dell’ovaio policistico, in cui si ha un’aumentata sintesi di androgeni da parte delle cellule follicolari ovariche e, di conseguenza, fenomeni di androgenizzazione che hanno notevoli ripercussioni sulla qualità della vita: alopecia (caduta dei capelli), irsutismo (aumento di peluria), turbe del ciclo mestruale, ipofertilità. 

Nell'uomo obeso l’iperestrogenismo determina una inibizione delle gonadotropine ipofisarie, per cui si ha una ridotta produzione di testosterone e, di conseguenza, un quadro, più o meno marcato, di ipogonadismo, con riduzione della libido, della potenza sessuale e dalla fertilità; non è raro uno sviluppo delle mammelle, simile a quella femminile (ginecomastia).

Nel ragazzo obeso può aversi un ritardo della maturazione sessuale, con un quadro che può essere confuso con la distrofia adiposo-genitale di Froehlich (sindrome con alterazione dello sviluppo delle caratteristiche sessuali di origine diencefalo-ipofisaria). In tutti i casi summenzionati il dimagramento è in grado di normalizzare il quadro ormonale, con regressione delle varie manifestazioni cliniche.

 

Complicazioni colecistiche

L’obesità facilita la calcolosi della colecisti (o cistifellea), il sacchetto dove si deposita la bile prodotta dal fegato, in attesa di essere riversata nel duodeno durante i processi digestivi, facilitando la digestione dei grassi contenuti negli alimenti.

Tale condizione fino agli inizi degli anni Ottanta era diagnosticata solo nei soggetti che lamentavano sintomi. Con l'avvento dell'ecografia addominale, è stato possibile conoscere la reale sua diffusione nella popolazione adulta italiana: circa il 15%, con una maggiore prevalenza nel sesso femminile e un progressivo aumento con l’età.

L’80% di coloro che ne sono affetti rimane asintomatico per tutta la vita. Un’indagine condotta negli Stati Uniti ha dimostrato un’incidenza di quasi il 50% di calcolosi della colecisti nei soggetti con un IMC superiore a 30, a conferma dell’importanza dell’obesità come fattore di rischio.

In condizioni normali la bile è composta da acidi biliari e fosfolipidi che mantengono in soluzione il colesterolo. Nell’obesità viene alterato questo equilibrio per cui si ha la precipitazione del colesterolo sotto forma di cristalli, che tendono ad agglomerarsi in calcoli.

Sebbene i calcoli siano costituiti in massima parte da colesterolo, non sembra esservi una correlazione con i livelli di colesterolo totale nel sangue. Correlazione che invece sembra esserci con gli elevati livelli di trigliceridi e i bassi livelli di colesterolo HDL.

Un dato interessante è la maggiore incidenza in coloro che hanno marcate oscillazioni di peso (altro motivo per evitare lo yo-yo), in quanto i cali ponderali molto rapidi si accompagnano a secrezioni di bile sovrasatura di colesterolo.


 

Bibliografia 

 
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