Il carcinoma tiroideo rappresenta il 3,8% di tutti i carcinomi maligni ed è la più frequente patologia neoplastica del sistema endocrino. Rappresenta infatti il 70-90% di tutti i casi di neoplasia maligna alla tiroide. È più frequente nelle donne che negli uomini (F:M = 2-3:1). La sua distribuzione rispetto all’età mostra per entrambi i sessi un’incidenza maggiore i 30-50 anni per il PTC e i 50-60 per il FTC.
Ha un’incidenza di 4,1 casi ogni 100.000 abitanti per gli uomini e 12,5 nuovi casi ogni 100.000 abitanti per le donne. L’incidenza varia a seconda della popolazione esaminata, dell’apporto di iodio nella dieta e dalle indagini diagnostiche utilizzate. Anche se negli ultimi decenni l’incidenza si è triplicata non si riscontra un aumento della mortalità, la quale rimane di circa 8 casi/mln di persone/anno. Questa apparente discrepanza può essere spiegata con il miglioramento delle tecniche diagnostiche, e con la diffusione di campagne di prevenzione, che permettono di diagnosticare il tumore più precocemente, quindi in uno stadio più precoce, e con un miglioramento delle procedure terapeutiche.
I dati riportati dall’American Cancer Society mostrano un aumento della frequenza del carcinoma tiroideo in particolare nel sesso femminile, passando dalla 6° posizione nella classifica dei carcinomi più diffusi del 2008 alla 5° del 2011.
L’aumentata incidenza del carcinoma della tiroide è particolarmente evidente in Italia, con una prevalenza delle forme di tipo papillifero e una distribuzione simile in entrambi i sessi. Un’ampia variabilità nei tassi d’incidenza si osserva nelle diverse regioni italiane, con un massimo a Ferrara (37,5/100.000) e un minimo nel Trentino Alto Adige (7,3/100.000) nel periodo 2001 – 2005.
Si tratta in genere delle forme di carcinoma differenziato (DTC) o ben differenziato papillifero e follicolare, che sono le più comuni e costituiscono circa il 90% dei tumori della tiroide. Tra i carcinomi differenziati il PTC rappresenta circa l’85% dei casi rispetto a circa il 12% dei carcinomi con istologia follicolare, mentre i carcinomi scarsamente differenziati rappresentano meno del 3%. La prognosi dei PTC e dei FTC a parità di stadio è simile.
L’istotipo rappresenta iI fattore prognostico più significativo per la valutazione della sopravvivenza. Nei carcinomi papilliferi della tiroide (PTC) il tasso di sopravvivenza a 20 anni è circa del 98-99% e per i carcinomi follicolari (FTC) del 80-90%. L’affinamento delle tecniche diagnostiche permette di individuare carcinomi tiroidei in particolare papillari, di dimensioni inferiori al centimetro, definiti come “microcarcinomi” o “carcinomi occulti”, che spesso rimangono latenti anche per tutta la vita. La prevalenza del carcinoma occulto nelle casistiche autoptiche è dello 0,1-2,7%.
Nonostante la bassa mortalità, il carcinoma tiroideo è la seconda causa di morte per neoplasia endocrina dopo il carcinoma ovarico.
Istologia
I tumori maligni della tiroide si suddividono dal punto di vista istologico in:
Inoltre, il FTC, può differenziarsi per una minima infiltrazione e invasione della capsula tiroidea in “minimamente invasivo” e, quando questa si presenta più diffusa, in “ampiamente invasivo”.
Nello sviluppo del carcinoma tiroideo sono implicati diversi fattori di rischio:
La caratteristica comune delle diverse isoforme è l’espressione ubiquitaria di questo prodotto di fusione: la porzione tirosin-chinasica non è più ancorata alla parte extracitoplasmatica della cellula ma si trasferisce nel citoplasma, dove esplica in modo continuativo la sua attività enzimatica. Nelle forme sporadiche, la presenza di RET/PTC nelle sua varianti non supera il 45%. Tale percentuale aumenta nelle popolazioni esposte a radiazioni ionizzanti, fino a raggiungere l’80% dei casi. Nelle forme sporadiche prevale l’isoforma 1 di RET/PTC, mentre p.e. nelle persone esposte all’incidente nucleare di Chernobyl si assiste ad un aumento di RET/PTC di tipo 3 che esprime una maggior aggressività biologica.
Mutazioni somatiche di BRAF, una serina-treonina chinasi espressa a differenti livelli nei vari tessuti, sono state riscontrate nel 45% dei PTC senza che sia stata rilevata la contemporanea presenza di RET/PTC. La sostituzione dell’aminoacido valina con l’acido glutammico in posizione 600 è la mutazione più frequente. La mutazione di BRAF è tipica del PTC soprattutto nelle sua variante follicolare, mentre non si riscontra in altri tipi di patologia tiroidea. La mutazione di BRAF non è di per sé indice di prognosi infausta. Tuttavia, la sua associazione con altre mutazioni, quali quelle della famiglia Ras, identifica un sottogruppo di carcinomi ad elevata metastatizzazione e ridotta aspettativa di vita.
Nella carcinogenesi tiroidea sono inoltre da considerare le mutazioni dei geni della famiglia RAS. Le mutazioni H-RAS, N-RAS e K-RAS sono state riscontrate nei carcinomi tiroidei sia papillari che follicolari ed anche in lesione benigne, compreso il gozzo nodulare, tanto da far ipotizzare che rappresentino un evento precoce, ma non sufficiente, della carcinogenesi.
Nel FTC è stato osservato anche il coinvolgimento di una proteina di fusione PAX8/PPAR?, riscontrata nel 10% degli adenomi e nel 40% dei carcinomi.
I carcinomi tiroidei sono stati associati anche alla mutazione inattivante di alcuni oncosoppressori come la p53, descritta più di rado rispetto alle precedenti, soprattutto in associazione con carcinomi indifferenziati.
Si ritiene che una singola mutazione non sia sufficiente ad innescare la carcinogenesi e che siano necessarie più mutazioni per indurre la trasformazione maligna. È stato ipotizzato che un primo evento, quale la mutazione di RAS causa una prima trasformazione cellulare a cui ne segue una seconda, che scatena il fenotipo tumorale. Cosi mentre le mutazioni di BRAF, RET/PTC o TRK indirizzano verso il PTC, quelle di PAX8/PPAR sono associate più frequentemente al FTC.
Nel caso del carcinoma tiroideo differenziato il tumore è quasi sempre asintomatico. Solo nelle forme più avanzate o nelle forme indifferenziate vi possono essere segni clinici di compressione o infiltrazione chiaramente sospetti per tumore come la difficoltà a parlare (disfonia), a deglutire (disfagia) o a respirare (dispnea).
All’esame obiettivo, il nodulo tumorale può presentare alla palpazione una maggiore durezza e margini irregolari, può essere poco mobile rispetto ai piani sottostanti ed è solitamente non dolente. La presenza di linfonodi laterocervicali duri e indolenti, invece, va sempre considerata con sospetto. Nel complesso l’esame fisico pur non rappresentando uno strumento preciso per la valutazione della tiroide, ha tuttora un suo valore nel processo diagnostico e decisionale del tumore della tiroide.
Il carcinoma papillifero della tiroide dà metastasi linfonodali con localizzazione limitata, spesso per lungo tempo, ai soli linfonodi del collo. Solo successivamente il tumore metastatizza fuori dal collo. Per questo motivo il carcinoma papillifero può presentare metastasi linfonodali nel 30% dei casi, già al momento della diagnosi. Oltre ad essere il più frequente, il carcinoma papillifero è, fortunatamente, anche quello con prognosi migliore, soprattutto se al momento della diagnosi non sono presenti metastasi.
Il carcinoma follicolare, invece, dà metastasi prevalentemente per via ematica con localizzazione al polmoni, all’osso ed al cervello. Compare più frequentemente come nodulo solitario e presenta spesso dimensioni maggiori rispetto al carcinoma papillifero.
Il carcinoma scarsamente differenziato e l’indifferenziato o anaplastico si presentano solitamente in soggetti di età più avanzata ed hanno una consistenza dura, lignea, con rapido accrescimento ed invasione delle strutture contigue che determina sintomi (disfagia, dispnea, disfonia) che peggiorano rapidamente. In breve tempo diffonde infiltrando la trachea, l’esofago ed il mediastino causando spesso emorragie e soffocamento.
La diagnosi di carcinoma della tiroide è una diagnosi istologica, formulata dall’anatomo-patologo in seguito all’esame del pezzo operatorio della ghiandola asportata chirurgicamente. Prima di giungere alla diagnosi istologica però possiamo ottenere, tramite un iter pre-operatorio, una serie di dati che possono indurre il sospetto più o meno forte di patologia neoplastica. I diversi fattori di rischio del paziente, che otteniamo tramite un’accurata anamnesi personale e familiare, l’imaging strumentale ed infine le indagini citologiche permettono all’endocrinologo di valutare la presenza più o meno probabile di un carcinoma tiroideo all’interno della ghiandola.
Tra tutte le metodiche strumentali l’ecografia ha un ruolo fondamentale Questa metodica non invasiva, ripetibile ed operatore-dipendente permette di ottenere informazioni morfo-strutturali della ghiandola e degli eventuali noduli tiroidei e linfonodi del collo utili per selezionare quelli da sottoporre eventualmente ad agoaspirato eco-assistito. In base alla classificazione SIUMB, le caratteristiche di sospetto del nodulo tiroideo per cui richiediamo la valutazione citologica sono: l’ipoecogenicità, i margini sfumati o irregolari, la presenza di micro calcificazioni e l’intensa vascolarizzazione. Anche i linfonodi possono avere delle caratteristiche di sospetto all’ecografia, che possono mettere in allarme il clinico quali la forma tondeggiante (asse corto/asse lungo > 0,5), l’ipoecogenicità, l’assenza dell’ilo, la presenza di microcalcificazioni e una vascolarizzazione irregolare.
Le altre tecniche di imaging (TC, RM, PET ed altro) hanno un ruolo complementare nella diagnostica preoperatoria della patologia nodulare della tiroide.
L’agoaspirato tiroideo eco-assistito (Fine Neddle Aspiration Biopsy-FNAB) è la miglior metodica diagnostica che abbiamo a disposizione per selezionare i noduli tiroidei con caratteristiche sospette di malignità all’esame ecografico da indirizzare all’intervento chirurgico. Il risultato citologico permette di attribuire il paziente ad una categoria diagnostica ben definita ed identificabile con un codice numerico. Dal Maggio 2014, è entrata in vigore la nuova Consensus italiana (SIAPEC 2014) che prevede una nuova classificazione che si differenzia dalle altre utilizzate in precedenza per l’introduzione di alcune nuove categorie, come la TIR 1C (riguardante i noduli cistici), o la suddivisione della categoria TIR3 in TIR 3A e TIR 3B (quest’ultima suddivisione è sostanzialmente finalizzata a ridurre la percentuale di noduli con citologia indeterminata da sottoporre all’intervento chirurgico dividendoli in lesioni a basso ed alto rischio).
Infatti, con la precedente classificazione, in considerazione che il risultato TIR3 comprendeva una possibilità di neoplasia tiroidea del 15-25%, l’atteggiamento più indicato anche dalle linee guida, tra cui quelle ATA del 2009, era l’intervento chirurgico. Con la nuova classificazione, invece, i pazienti risultati TIR 3A possono essere seguiti nel tempo, con periodiche valutazioni ecografiche del nodulo e con la eventuale ripetizione dell’agoaspirato, senza dover necessariamente ricorrere alla chirurgia, che viene riservata, invece, ai noduli maggiormente sospetti (TIR 3B).
Biologia molecolare
Il FNAB, pur rappresentando un indagine fondamentale nell’iter diagnostico del nodulo tiroideo, ha come limite le diagnosi di citologia indeterminata o sospetta di carcinoma, che porta il paziente a sottoporsi all’intervento chirurgico per ottenere la definizione istologica della malattia. Per questo motivo si è cercato di identificare ulteriori parametri predittivi di malignità, in modo che, associati alla diagnosi citologica, possano migliorarne la performance diagnostica, consentendo la selezione più accurata dei pazienti da candidare all’intervento chirurgico, stabilire meglio l’estensione della resezione chirurgica, riducendo così anche la morbidità e i costi derivanti da interventi di tiroidectomia non necessari.
Negli ultimi anni, a seguito della scoperta di alterazioni genetiche che sono coinvolte nello sviluppo del carcinoma differenziato della tiroide, è stata proposta l’analisi molecolare applicata alla citologia tiroidea. In particolare è stato osservato che, nel carcinoma papillifero della tiroide, il riarrangiamento dei recettori trans-membrana ad attività tirosin-chinasica quali RET o NTRK1 e le mutazioni attivanti RAS, BRAF e RAF hanno un ruolo importante nella genesi del tumore, mentre, nel carcinoma follicolare, tale ruolo è maggiormente svolto dal riarrangiamento PAX8/PPARϒ e da quelle attivanti RAS. Attualmente sta trovando larga diffusione la ricerca per singola mutazione genica nel campione citologico.
Molti studi hanno valutato la mutazione BRAF V600E nelle citologie indeterminate e/o non diagnostiche, riscontrandola nel 15-39% dei casi, con un tasso di malignità pari al 99,8% dei casi. Tale mutazione è tipicamente presente in circa il 45% dei casi dei carcinoma papillifero (variante classica e a cellule alte; più raramente nella variante follicolare), mentre è meno frequente nel carcinoma scarsamente differenziato e anaplastico (correlato con la presenza di aree di carcinoma papillifero ben differenziato nel contesto del carcinoma anaplastico) e difficilmente osservabile nel carcinoma follicolare e nei noduli benigni. La mutazione di BRAF V600E secondo alcuni studi sarebbe associata a una prognosi meno favorevole correlata alla presenza di metastasi linfonodali, estensione extra-tiroidea della malattia, stadio più avanzato alla diagnosi, riduzione dell’intervallo libero di malattia e del tasso di sopravvivenza.
Indicazioni al trattamento chirurgico
Le indicazione al trattamento chirurgico del nodulo tiroideo sono le seguenti:
Chirurgia
Il trattamento di prima linea del carcinoma tiroideo è l’intervento chirurgico.
A tutt’oggi esistono molte controversie riguardo al tipo di approccio chirurgico ottimale, l’indicazione o meno alla contestuale dissezione dei linfonodi del collo e l’eventuale necessità del successivo trattamento con radioiodio.
I scopi del trattamento chirurgico sono:
L’approccio chirurgico più comune è quello dell’esecuzione di una tiroidectomia totale o quasi totale. Per molti anni questa tipologia d’intervento ha rappresentato la modalità chirurgica più comune di rimozione di questa ghiandola in quanto vi è la possibilità di riscontrare la presenza di focolai di PTC in entrambi i lobi tiroidei nel 36-85% dei pazienti (lesioni multifocali indipendenti o metastasi intra-tiroidee). Inoltre, essa consente il trattamento ablativo con radioiodio dei residui tiroidei e la specificità del dosaggio della Tireoglobulina (Tg) come marcatore tumorale. La tiroidectomia totale sembra ridurre il rischio di recidiva e di morte nei pazienti con tumore primitivo ≥ 1 cm (9).
Quindi, per i pazienti con noduli > 1 cm, con estensione extratiroidea o metastatica della malattia e/o pregressa esposizione a radiazioni ionizzanti nella regione del collo, il trattamento chirurgico d’elezione deve comprendere la tiroidectomia totale o quasi totale, a meno che non vi siano controindicazioni a tali procedure. Per i pazienti con carcinoma papillifero a basso rischio di dimensioni ≤ a 1 cm, senza estensione extratiroidea né presenza di metastasi, la terapia indicata è la lobectomia associata a istmectomia, in quanto questo approccio può risultare sufficiente al trattamento iniziale dei pazienti con carcinoma della tiroide a basso rischio di recidiva, per la buona prognosi con cui sono caratterizzati (la sopravvivenza media a 30 anni è del 100%). Pertanto, la lobectomia da sola è sufficiente a trattare i carcinomi piccoli, unifocali e intratiroidei, in assenza di precedente irradiazione nella regione del collo, e/o forte familiarità per neoplasia tiroidea.
Nei casi di nodulo citologicamente indeterminato (TIR3B), l’approccio chirurgico iniziale raccomandato, in caso di nodulo singolo e senza fattori di rischio, è la lobectomia, in quanto il rischio di malignità è del 15-25%. Questo tipo di approccio potrebbe essere modificato in base alle caratteristiche cliniche e anamnestiche del paziente. A causa dell’aumentato rischio di malignità, il clinico può tuttavia scegliere di proporre la tiroidectomia totale, come avviene in caso di presenza di nodulo indeterminato > di 4 cm , in presenza di atipie cellulari, positività degli anticorpi anti-tireoperossidai (Ab-TPO) o di altri fattori di rischio quali la familiarità e l’esposizione a radiazioni.
I noduli che citologicamente sono risultati TIR2 o TIR3A non vengono sottoposti ad intervento chirurgico ma si seguono con periodici controlli clinico-strumentali, tramite l’ecografia tiroidea o la eventuale ripetizione del FNAB.
L’intervento chirurgico di rimozione della neoplasia tiroidea può prevedere anche l’asportazione di alcune stazioni linfonodali loco-regionali, quando pre-operatoriamente tramite un ecografia del collo o un FNAB con misura della Tg su liquido di lavaggio dell’ago è stato messo in evidenza un interessamento linfonodale.
Si riconoscono 2 tipi di linfoadenectomia:
a) Linfoadenectomia terapeutica: tiroidectomia totale + dissezione del compartimento centrale o laterale, in pazienti con evidenza clinica o strumentale d’interessamento linfonodale di tali livelli.
b) Linfoadenectomia profilattica:tiroidectomia totale + dissezione profilattica del compartimento centrale, in pazienti con carcinoma tiroideo senza evidenza clinica o strumentale di interessamento linfonodale, specialmente nei carcinomi avanzati (T3-T4). Di solito la dissezione profilattica dei linfonodi può essere evitata in caso di carcinoma differenziato della tiroide T1 e T2, non invasivi ed in assenza di apparente coinvolgimento linfonodale.
Lo stato linfonodale non è considerato un fattore prognostico rilevante nei pazienti a “basso rischio”, di età < 45 anni, con tumore ad estensione intratiroidea, mentre le metastasi linfonodali rappresentano un fattore prognostico significativo nei pazienti ad “alto rischio”, di età > 45 anni, con invasione capsulare, per i quali la dissezione linfonodale del collo può migliorare la prognosi.
Stadiazione
La stadiazione del carcinoma tiroideo differenziato si basa sul sistema TNM del AJCC/UICC (American Joint Committee on Cancer) (5), tramite il quale si ottiene anche una valutazione del rischio oltre che un orientamento più preciso sulle diverse opzioni terapeutiche da scegliere ed una prognosi più corretta.
Stratificazione dei pazienti in base al rischio
Le linee guida dell’American Thyroid Association (ATA) del 2015 classificano tutti i pazienti affetti da carcinoma differenziato della tiroide in 3 categorie che si basano sugli aspetti clinico-patologici all’inizio del trattamento: basso, intermedio ed alto rischio di recidiva o persistenza di malattia.
La stratificazione del rischio iniziale richiede una dettagliata descrizione delle caratteristiche pre-operatorie, intra-operatorie e istologiche del tumore primitivo e dei foci metastatici sottoposti ad exeresi al momento dell’intervento primario. Le prime includono la valutazione macroscopica, attraverso l’esame obiettivo e/o le tecniche di imaging,della estensione extratiroidea (stridor/raucedine, fissaggio alle strutture sottostanti), delle metastasi locoregionali (N1) e a distanza (M1 sintomatiche o scoperte incidentalmente all’imaging pre-operatorio). Allo stesso modo sono fondamentali l’estensione extratiroidea riscontrata intra-operatoriamente (definita dal coinvolgimento dei tessuti molli sottocutanei circostanti, di laringe, trachea, esofago e nervi laringei ricorrenti), e la completezza della resezione chirurgica, costituendo i maggiori fattori di rischio di recidiva.
Nella revisione delle linee guida ATA 2015 sono state apportate alcune modifiche rispetto alle precedenti del 2009, per integrare al meglio le nuove informazioni, provenienti dall’aggiornamento della letteratura per quanto riguarda i rischi connessi con l'estensione del coinvolgimento linfonodale, con lo stato mutazionale, e con gli specifici istotipi di FTC. Nel sistema di stratificazione più recente si classificano come PTC intratiroidei, oltre ai carcinomi senza invasione vascolare a basso rischio, anche quelli con piccole metastasi linfonodali (cliniche N0 o > 5 micrometastasi, N1 patologiche, <0,2 cm in più dimensioni), la variante follicolare incapsulata, il carcinoma follicolare intratiroideo ben differenziato con minima invasione capsulare o vascolare,e i microcarcinomi papillari intratiroidei BRAF wild-type o BRAF mutati. Allo stesso modo anche nelle altre classi di rischio sono stati apportati degli aggiornamenti: nella classe a rischio intermedio è stata incluso solo un sottoinsieme di pazienti con metastasi linfonodali, con un tumore <3 cm di dimensione maggiore e con microcarcinoma papillifero multifocale con estensione extratiroidea e BRAF mutato (se conosciuto). Infine, la categoria ad alto rischio non ha subito particolari cambiamenti eccetto l’introduzione nel gruppo dei pazienti con il coinvolgimento di un grande numero di linfonodi (qualsiasi linfonodo metastatico di dimensione maggiore a 3 cm), e FTC con una vasta invasione vascolare (> 4 focolai di invasione vascolare o invasione vascolare extracapsulare).
Terapia radiometabolica con I131
Gli obiettivi principali della terapia radio metabolica con131I (RAI) sono l’ablazione dell’eventuale tessuto residuo tiroideo post-chirurgico (distruzione del normale tessuto tiroideo residuo, che può impedire di visualizzare i siti tumorali metabolicamente meno attivi e può ridurre l’utilità della Tg come marker tumorale nel monitoraggio del cancro tiroideo) o la distruzione di foci neoplastici, noti (a scopo di trattamento) od occulti (a scopo adiuvante).
In base alla classe di rischio di recidiva di appartenenza del paziente, le indicazioni alla RAI sono le seguenti:
Il trattamento con I131 viene effettuato previa sospensione del trattamento farmacologico con Levotiroxina al fine di raggiungere la condizione di ipotiroidismo che permette una predisposizione maggiore dell’eventuale tessuto residuo all’incorporazione del radioiodio. Vengono considerati adeguati valori di TSH> 30 µU/ml. In caso che la RAI venga programmata a più di 40 giorni di distanza dall’intervento chirurgico, si inizia la somministrazione di triiodotironina fino a 2 settimane antecedenti la somministrazione dello 131I. Se la diagnosi istologica segue l’inizio della terapia con Levotiroxina è necessario sospendere il farmaco almeno 3-5 settimane prima della somministrazione dello I131 e sostituirlo con triiodotironina. Nel caso si vogliano ottenere valori elevati di TSH senza sospendere il farmaco, come nel caso di pazienti anziani con importanti comorbidità in particolare di pertinenza cardiologica, è attualmente possibile somministrare il TSH umano-ricombinante (rh-TSH - Thyrogen®) ottenendo una equivalente stimolazione delle cellule tiroidee. Il rh-TSH è ottenuto con tecnica ricombinante e la sua sequenza aminoacidica è identica a quella del TSH ipofisario umano. Il legame tra rh-TSH e i recettori del TSH sulle cellule tiroidee normali o neoplastiche stimola la captazione e l’organificazione dello iodio, la sintesi e la secrezione della Tg. Nei pazienti a basso rischio la somministrazione di rh-TSH permette di eseguire la terapia con radioiodio a bassi dosaggi (30mCi) con ottima efficacia, evitando di esporre il paziente ai sintomi dell’ipotiroidismo e ad uno stimolo prolungato delle eventuali cellule tumorali da parte del TSH, mentre in pazienti con un rischio medio-alto di recidiva si consiglia di eseguire la RAI usando dosaggi più elevati (> o =100 mCi) in modo da ridurre il rischio di recidiva e di mortalità (13).
Terapia medica
Dopo l’intervento chirurgico si inizia la terapia con LT4. La dose deve essere sempre adattata al paziente (dosaggio 1,8-2,3 µg/Kg/die), alle caratteristiche del tumore e alla stadiazione postoperatoria.
I DTC esprimono il recettore del TSH sulla membrana cellulare e le cellule rispondono a tale stimolazione aumentando la velocità di crescita cellulare. La soppressione del TSH tramite l’uso di dosi sopra-fisiologiche di L-T4 viene utilizzata nei pazienti con DTC per ridurre il rischio di recidiva.
I target terapeutici da raggiungere sono:
Altre terapie
Quando nel corso del follow up si individua la persistenza o la ripresa di malattia, le possibili opzioni terapeutiche sono :
Follow-up
Il follow-up del carcinoma tiroideo ha come obiettivo quello di mantenere una terapia sostitutivo/soppressiva adeguata alle caratteristiche della/del paziente, di identificare precocemente la comparsa di recidive e/o metastasi della malattia e di rilevare gli eventuali effetti indesiderati tardivi della terapia radiometabolica. Il controllo deve essere proseguito per tutta la vita perché le recidive, anche se generalmente presenti nei primi anni del follow-up, possono comparire anche tardivamente.
Il dosaggio della Tg sierica, dopo l’intervento chirurgico di tiroidectomia totale, è un marcatore biochimico affidabile, specifico e sensibile nel suggerire la presenza di malattia in atto. La Tg è una proteina prodotta soltanto dalle cellule follicolari, per tanto tiroide-specifica. Un aspetto importante di questo marcatore è la sua interferenza con gli autoanticorpi anti-Tg (Ab-Tg). Questi sono presenti in una percentuale significativa (circa il 20%) dei pazienti con carcinoma tiroideo e la loro presenza produce, con le metodiche radioimmunologiche,un’interazione nel dosaggio della Tg che può dare risultati falsamente positivi.
Fondamentale nel follow-up è l’ecografia del collo per lo studio della loggia tiroidea e delle stazioni linfonodali loco-regionali, che permette la eventuale localizzazione di malattia locale residua e/o metastatica. Questo è l’esame più sensibile per la diagnosi delle recidive locali, in particolare nei pazienti con 131I WBS e Tg sierica negativi. Essa deve costituire, insieme all’esame obiettivo, parte integrante del regolare follow-up (da ripetere ogni 6-12 mesi) del paziente con carcinoma differenziato della tiroide. Nei casi di chirurgia parziale (lobectomia o tiroidectomia subtotale), l’ecografia permette di individuare recidive nel parenchima tiroideo residuo e nelle strutture contigue (muscolari, vascolari, linfonodali) e di guidare un successivo ago aspirato eco-assistito per la conferma citologica. L’ipoecogenicità, l’irregolarità dei margini, la presenza di microcalcificazioni e la vascolarizzazione con flusso intra e perilesionale al color doppler sono le tipiche caratteristiche sospette di lesioni presenti nelle logge tiroidee. Nel caso di linfoadenopatie loco-regionali la forma tondeggiante (rapporto tra asse corto/asse lungo > 0,5), l’assenza della stria ipercogena centrale tipica dei linfonodi reattivi, la presenza di microcalcificazioni, con componenti cistiche o con struttura simil parenchimatosa e la vascolarizzazione anomala all’esame eco-colordoppler, pongono il sospetto di linfonodi metastatici. Questo dovrà essere confermato dalla citologia e dal dosaggio della Tg sul liquido di lavaggio prelevato.
Dopo la tiroidectomia totale per carcinoma e l’ablazione con 131I dei residui, teoricamente non permane tessuto capace di produrre Tg, pertanto, dopo 3-4 settimane dall’intervento, le concentrazioni di Tg circolante dovrebbero ridursi a livelli indosabili, a meno che non siano ancora presenti residui tiroidei normali e/o metastasi locali o a distanza. La quantità di Tg secreta dai residui tiroidei è variabile e dipende dalle dimensioni del residuo e dal grado di stimolazione del TSH endogeno. Livelli elevati di Tg si associano alla presenza di metastasi locali o a distanza, mentre livelli di Tg indosabili sono caratteristici dei pazienti in remissione completa. Di regola, le metastasi a distanza (prevalentemente polmonari e ossee) sono associate ad elevate concentrazioni di Tg in circolo, mentre le metastasi linfonodali loco-regionali sono associate a lievi o moderati incrementi della Tg, spesso indistinguibili dai livelli presenti in pazienti con residui tiroidei normali. Indipendentemente dal valore di Tg circolante, ogni paziente sottoposto ad ablazione che presenta livelli dosabili di Tg al di sopra del cut-off (o comunque superiori a 1 ng/ml) deve essere considerato come potenzialmente non guarito e deve essere sottoposto ad un iter diagnostico completo per localizzare la sede di secrezione della Tg. Al contrario, ogni paziente con Tg indosabile e nessuna evidenza clinica o strumentale di malattia residua può essere considerato in remissione, posto che gli Ab-Tg siano indosabili e il tumore primitivo non fosse scarsamente differenziato. Alcuni pazienti seguiti per carcinoma tiroideo presentano, in condizioni di ipotiroidismo, livelli dosabili o elevati di Tg associati a WBS diagnostico negativo. Questa evenienza è da attribuirsi, in prima ipotesi, alla presenza di tessuto tiroideo residuo o metastatico dotato di scarsa attività iodocaptante. I residui di malattia sono meglio evidenziabili con il WBS eseguito 5-7 giorni dopo la somministrazione di terapia RAI.
Nel follow up possono essere inoltre utili anche altre metodiche d’imaging:
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