Osteoartrite
Prof. Valerio Sansone
Ortopedico Medico Chirurgo - Professore Associato, specialista in Ortopedia e Traumatologia Creato il: 18/01/2018 Ultimo aggiornamento: 19/09/2023L’osteoartrite, o anche artrosi, è la più comune patologia muscolo-scheletrica progressiva ed è una delle principali cause di disabilità nella popolazione anziana. Ad esempio, si stima che la prevalenza dell'artrosi del ginocchio (gonartrosi), tra i soggetti di 60 anni o più, sia di circa il 10%, negli uomini, e il 13%, nelle donne.
Questi dati la pongono come tra le principali voci di spesa dei sistemi sanitari, con un andamento stimato crescente in modo esponenziale negli anni a venire, anche a causa dell’aumento dell’età media della popolazione, in molte parti del mondo.
Un tempo, si pensava che l’osteoartrite fosse una malattia dovuta alla perdita della cartilagine, che è quel tessuto che riveste le superfici ossee a livello delle articolazioni. Oggi, sappiamo invece che si tratta di una patologia che interessa tutti i componenti dell'articolazione, causando una degenerazione della struttura dei tessuti, con alterazioni del loro metabolismo e della loro funzione. I tessuti coinvolti sono tutti quelli che compongono un’articolazione. Quindi, oltre alla cartilagine:
- l’osso sottostante;
- la membrana sinoviale;
- i legamenti;
- i menischi (nel caso del ginocchio).
Nelle fasi finali, si assiste a un completo scompenso dell’articolazione, che non riesce più a svolgere i suoi compiti.
Cause
L'osteoartrite è una patologia complessa, per la quale non è stata individuata una causa specifica. Ci sono, però, molti elementi che possono favorire l’insorgenza. Una volta iniziata, può progredire o meno, in base a diversi fattori di rischio, che possono agire in combinazione tra loro (origine multifattoriale), dando esito a sviluppi non sempre prevedibili.
Sicuramente, l’età è un fattore di rischio importante. Con l'invecchiamento, la cartilagine va incontro a un processo di degenerazione naturale, diventando meno elastica e resistente.
Gli uomini hanno meno probabilità di sviluppare l'osteoartrite (OA) rispetto alle donne. Probabilmente entrano in gioco fattori anatomici, che rendono il movimento articolare (cinematica), diverso tra i due sessi, a sfavore di quello femminile.
Un ruolo sempre più rilevante è attribuito ai traumi o alle lesioni articolari subiti in passato. Fratture, lussazioni o lesioni legamentose, aumentano sicuramente il rischio di artrosi, anche a distanza di molti anni dall'evento traumatico. Anche l’instabilità di un’articolazione, congenita o acquisita, è un fattore di rischio importante. Altro elemento di rilievo è una condizione di infiammazione cronica, che può essere di natura reumatica o metabolica, come il diabete o l’accumulo di sostanze che provocano una risposta infiammatoria (es. l’acido urico nella gotta).
In questo ambito, rientrano anche il sovrappeso e l’obesità, con un duplice meccanismo. Il primo, intuitivo, è che un peso corporeo eccessivo aumenta il carico meccanico sulle articolazioni degli arti inferiori e del rachide. Il secondo è dovuto alle alterazioni del metabolismo dei grassi, che provoca una situazione di infiammazione cronica dell’organismo e, quindi, anche delle articolazioni.
Il sovraccarico può essere dovuto anche ad altre situazioni diverse dall’obesità, come l’attività lavorativa e quella fisica. Il fattore occupazionale è significativo, quando le condizioni di lavoro richiedono movimenti ripetitivi, il sollevamento di pesi rilevanti o l’assunzione prolungata di posizioni scomode (es. stazione in ginocchio).
Analogamente, un’attività fisica eccessiva espone le articolazioni interessate a sollecitazioni ripetute che, sommate tra loro, portano a una condizione di sovraccarico articolare. Si riscontra, infatti, una percentuale più alta di artrosi nei soggetti che praticano alcuni tipi di sport. Al contrario, un livello di attività fisica insufficiente può causare una perdita di forza muscolare e di resistenza delle strutture articolari, aumentando il rischio di artrosi.
Infine, ha sicuramente un ruolo la predisposizione genetica: quando ci sono casi di artrosi in famiglia, si ha un rischio leggermente maggiore di sviluppare la malattia. Analogamente, alcune etnie hanno una prevalenza di artrosi significativamente superiore alle altre.
Sintomi
Nelle fasi iniziali, spesso il paziente è asintomatico. Quando si manifestano i primi sintomi, in genere consistono nella presenza di dolore a livello dell’articolazione coinvolta, ma che talvolta si irradia anche nelle zone circostanti. Il dolore è spesso peggiore dopo i periodi di inattività o quando si esercitano sollecitazioni eccessive sulle strutture colpite.
Frequente è anche il gonfiore, quasi sempre accompagnato da una minore mobilità articolare. La riduzione del movimento è dovuta a un insieme di cause concomitanti:
- il gonfiore;
- la deformazione della componente ossea;
- la progressiva riduzione di elasticità dei tessuti molli, come i legamenti e la capsula articolare.
Le articolazioni colpite, inoltre, si deformano e si ingrossano.
Infine, il dolore spesso fa sì che il paziente riduca la propria attività fisica e da questo scaturisce una diminuzione della massa (ipotrofia) e della forza (ipostenia) muscolare nei distretti coinvolti.
Diagnosi
La diagnosi si sospetta già dall’anamnesi, cioè da quando il paziente riferisce al medico i suoi sintomi, come il tipo di dolore o le limitazioni della funzionalità di una o più articolazioni. Ci sono poi delle manovre che l’ortopedico esegue per accertare la reale origine del dolore e le sue caratteristiche. Tuttavia, la conferma richiede l’esecuzione di esami strumentali, anche perché ci sono altre malattie che possono simulare i sintomi dell’artrosi.
Nella maggior parte dei casi, sono sufficienti delle semplici radiografie, che però sono quasi sempre normali nelle fasi iniziali. Nei casi dubbi, può essere necessario un ulteriore approfondimento con metodiche più sofisticate come: la risonanza magnetica (Rm) o la tomografia assiale computerizzata (Tac). Gli esami strumentali, oltre a confermare la diagnosi, servono anche a definire il grado della malattia che, a sua volta, condiziona il trattamento.
Per quanto riguarda gli sviluppi futuri, si sta cercando di mettere a punto dei sistemi di rilevamento di biomarcatori. Vale a dire delle sostanze misurabili nel sangue, nel liquido sinoviale o nelle urine, che compaiono anche nelle fasi iniziali dell’osteoartrite, e che ci permetterebbero di avere una diagnosi precoce della malattia.
Rischi
L’osteoartrite è una malattia delle articolazioni e, quindi, non mette in pericolo la vita dei pazienti. Tuttavia, negli stadi avanzati delle forme più comuni (quelle degli arti inferiori e della colonna vertebrale), determina una netta riduzione delle capacità del soggetto di muoversi.
È ben noto come nell’anziano, ma non solo, la drastica riduzione del movimento determina una serie di scompensi sugli altri apparati come:
- quello cardio-vascolare;
- quello respiratorio;
- quello endocrino-metabolico;
- quello cognitivo.
Cure e Trattamenti
Per molto tempo, si è detto che per l’osteoartrite non c’erano cure. L’affermazione è vera solo in parte. Mentre, in effetti, non esiste ancora una terapia in grado di guarire dall’artrosi, ora siamo però in grado di rallentare il decorso naturale della malattia e di stabilizzarlo.
Sono infatti stati conseguiti molti progressi nello sviluppo delle terapie conservative (non chirurgiche) e molto ha aiutato lo sviluppo della medicina rigenerativa. L’obiettivo è quello di posticipare o, nei casi migliori, evitare interventi chirurgici invasivi, come l’impianto di una protesi articolare.
Tuttavia, il primo passo del trattamento consiste nel:
- raggiungere e mantenere un peso corporeo adeguato;
- proteggere le articolazioni dai sovraccarichi;
- rimanere fisicamente attivi;
- incrementare la forza dei muscoli circostanti l’articolazione colpita (ruolo della fisioterapia).
La stimolazione biofisica, come le onde d’urto e la magnetoterapia, hanno mostrato di essere efficaci e di coadiuvare le altre terapie, come le infiltrazioni con acido ialuronico, che danno buoni risultati nelle fasi iniziali e intermedie. Anche in questo caso, la ricerca ha messo a disposizione preparati via via più efficaci. Ci sono poi i condroprotettori, sostanze ingerite per bocca, che mirano a proteggere e a preservare la salute della cartilagine articolare, come la glucosammina, il condroitin solfato, il collagene e molte altre.
Lo stadio successivo delle cure è basato sulla medicina rigenerativa, con i trattamenti biologici, quali:
- le infiltrazioni intra-articolari di plasma ricco di piastrine (PRP), ottenuto dal sangue del paziente;
- le infiltrazioni di cellule staminali mesenchimali: queste sono prelevate dal tessuto adiposo o dal midollo osseo del paziente stesso.
Oltre ai buoni risultati, l’aspetto positivo di queste cure è che non hanno effetti collaterali negativi.
Nei casi in cui non si registrano buoni risultati dai trattamenti conservativi, si interviene con la chirurgia protesica dell’articolazione danneggiata. In pratica, si applica un rivestimento artificiale sulle due estremità ossee, che compongono l’articolazione. Lo scopo è quello di sostituire i tessuti danneggiati o distrutti dalla malattia, restituire funzionalità all’articolazione e abolire il dolore. L’anca e il ginocchio sono le sedi più frequenti, ma sta crescendo anche il numero delle protesi impiantate nella spalla e nella caviglia.
Nel prossimo futuro, la ricerca dovrebbe metterci a disposizione anche la terapia genica e una serie di nuovi farmaci, in grado di contrastare le molecole responsabili della degenerazione dell’articolazione.
Bibliografia
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