Una coppia, dopo dodici mesi di tentativi senza successo nella ricerca di una gravidanza, dovrebbe iniziare un iter diagnostico per l’infertilità. Questo perché il concepimento è realizzato normalmente entro dodici mesi nell’80-85% delle coppie “fertili” che non usano misure anticoncezionali.L’infertilità rappresenta un importante problema sociale e sanitario, molto stressante in quanto l’impossibilità a non avere figli rappresenta, per l’uomo, una minaccia della propria autostima e per la donna, la ricerca esasperata di una gravidanza rischia di trasformarsi in un meccanismo a tempo, con rapporti esclusivi e mirati nel giorno e nell’ora dell’ovulazione, che conduce alla cosiddetta “medicalizzazione” della stessa ed il ricorso spesso a tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA) non solo legato a motivi strettamente medici, ma anche al fattore età ed ai ritmi frenetici e stressanti che “inducono” la coppia a considerare l’utilizzo di tali tecniche come unica via d’uscita per risolvere la loro problematica.
Le cause d’infertilità maschile si possono distinguere in:
Infine vi è un 10-15% di infertilità detta idiopatica o “sine causa” per la quale, ad oggi, ancora non è riconosciuta una possibile causa apparente diagnosticabile.
Sebbene l’infertilità riguardi la coppia nell’insieme, spesso l’aspetto femminile è quello più seguito e studiato e, sebbene numerosi studi epidemiologici evidenziano come circa il 30% dei casi l’infertilità sia da attribuire all’uomo e un altro 20% a fattori ascrivibili ad entrambi i partner, con il maschio che si trova così coinvolto nel 50% dei casi di infertilità, lo studio del partner maschile viene spesso messo in secondo piano e non è insolito imbattersi in coppie nelle quali solo il partner femminile è stato studiato a fondo e si arrivi ad eseguire tecniche di fecondazione assistita senza che il maschio sia stato mai visitato.
Al contrario la valutazione andrologica dell’uomo deve sempre essere considerata ogni volta che una coppia inizia un iter diagnostico per infertilità e, a conferma di ciò, è il fatto che sono documentati tassi di gravidanza maggiorati fino al 50% quando anche l’uomo viene valutato e trattato farmacologicamente. Di fronte a tali dati è d’obbligo uno studio graduale di entrambi i partner per una corretta diagnosi di infertilità con un approccio il meno invasivo possibile, al fine di valutare la soluzione terapeutica migliore a seconda del problema evidenziato.
Lo studio del maschio infertile deve basarsi prima di tutto su una attenta raccolta anamnestica e sull'esame obiettivo dei genitali. Quest'ultimo, se correttamente eseguito, permette di sospettare un evento patologico e indirizzare gli esami appropriati. A questo deve sempre seguire lo spermiogramma, che rimane l'esame principale per lo studio della fertilità maschile, che valuta numero, motilità e morfologia degli spermatozoi insieme ad altri parametri estremamente significativi. L'esame seminologico deve essere eseguito al microscopio ottico in centri di riferimento che prevedono la figura di un/una seminologo/a con maturata esperienza pluridecennale nel settore. Un andrologo sa immediatamente discriminare un esame seminologico eseguito correttamente, secondo i principi dettati dalla attuale manualistica di riferimento (WHO 2010), rispetto ad altri eseguiti senza alcuna competenza.
Solo dopo aver individuato la possibile causa dell’infertilità nell'uomo si può procedere con l’iter terapeutico che, a secondo dei casi, può limitarsi ad una terapia antibiotica in presenza di flogosi dell’apparto urogenitale, oppure alla correzione del varicocele (se presenta) o l'utilizzo di una terapia ormonale (FSH) che nel maschio può fare aumentare significativamente il numero di spermatozoi, oppure utilizzare specifiche terapie non ormonali per migliorare la spermatogenesi. In caso di azoospermia (completa assenza di spermatozoi), vi è la possibilità di recupero degli spermatozoi con tecniche di prelievo testicolare o epididimario e ricorrere successivamente a tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA).
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