Quando è meglio fare l'intervento di protesi d'anca?

Una delle domande più frequenti che si pone un paziente affetto da una malattia degenerativa dell’anca riguarda il corretto momento in cui si deve decidere di eseguire l’intervento di sostituzione protesica dell’articolazione.

Il buon esito del trattamento chirurgico consente, infatti, di risolvere la sintomatologia dolorosa con il recupero di una adeguata mobilità. Permette, quindi, il ritorno ad una vita normale e la ripresa di una soddisfacente attività motoria.

La decisione sul quando operarsi deve essere presa assieme al chirurgo, ricordando sempre che non si parla di un intervento salva vita, ma di un trattamento certamente in grado di migliorare in maniera considerevole la qualità della vita.

Questo comporta che il momento giusto per l’intervento può essere diverso da paziente a paziente ed, inoltre, che non risulta sufficiente una diagnosi radiografica per decidere l’intervento.

Solitamente dico ai miei pazienti che sono loro a comprendere chiaramente “quando è arrivato il momento” sulla base della gravità percepita della malattia, in relazione alle loro richieste e aspettative funzionali.

Risulta corretto tuttavia analizzare una serie di fattori utili a scegliere il momento più opportuno per operare.

Illustrazione 1 - Ortopedia e Traumatologia


Quali fattori prendere in considerazione per decidere quando operarsi all'anca?

Il dolore conseguente alla degenerazione e alla deformità articolare dell’anca. Si caratterizza, all’inizio, per il suo carattere intermittente, con periodi di remissione più o meno completi. Con la progressione della malattia diviene continuo, invalidante, e si accentua come intensità nel tempo.

Il peggioramento della cosiddetta “autonomia funzionale e motoria” dipende solo in parte dalla sintomatologia dolorosa. Risulta, infatti, direttamente proporzionale al grado di deformità articolare. L’anca diviene progressivamente meno mobile sui vari piani dello spazio e, inoltre, tale rigidità si ripercuote sui vari gesti della vita quotidiana (es. allacciarsi le scarpe, infilarsi le calze, ecc.)

La convivenza con il dolore e la ridotta autonomia conducono a variabili ripercussioni psicologiche dipendenti dal grado di accettazione della malattia rapportata alle richieste funzionali e motorie individuali. Le implicazioni negative sulla sfera psicologica possono condurre a veri e propri stati di depressione.
 

Illustrazione 2 - Ortopedia e Traumatologia


Quando si impiegano i farmaci antidolorifici?

Nelle fasi avanzate, i farmaci antidolorifici, antinfiammatori o cortisonici, risultano progressivamente meno efficaci ed il loro uso continuativo può condurre ad effetti collaterali anche gravi. Non va, inoltre, dimenticato che l’impiego di tali sostanze po' interagire negativamente con altre terapie croniche assunte dal paziente, in particolare con gli anticoagulanti.

Nelle patologie dell’anca ad alta componente infiammatoria (ad esempio nelle malattie reumatologiche), la risoluzione del problema articolare locale influisce in maniera estremamente positiva sull’intero decorso della malattia generale.

Ipotrofia muscolare 

Il dolore conduce il paziente ad assumere atteggiamenti di difesa durante la statica e la deambulazione. Tipicamente, si assiste ad un appoggio prevalente sull’arto sano e ad un modo di camminare che tenta di proteggere l’articolazione malata da sollecitazioni dolorose.
Questo comporta la comparsa di zoppia e la progressiva riduzione della massa muscolare della regione glutea e della coscia.

L’ipotrofia muscolare risulta ancor di più ridotta negli esiti di displasia dell’anca. In tali casi un eccessivo ritardo nel trattamento rende considerevolmente più lunga la fase di riabilitazione e di recupero funzionale, oltre che incrementare il rischio di complicanze legate all’instabilità articolare (lussazioni).

 

​​Ci sono ripercussioni delle alterazioni posturali sulle articolazioni vicine?

Il dolore dell’anca risulta spesso irradiato al ginocchio, per lo più a causa dell’atteggiamento in extrarotazione dell’arto durante la deambulazione. Se, come spesso avviene, coesiste anche un’iniziale artrosi del ginocchio, questa alterazione posturale rischia di causarne un significativo aggravamento. Lo stesso dicasi per un’artrosi della colonna, specie se la patologia dell’anca si associa ad una differenza di lunghezza degli arti (dismetria).
La presenza di tali fattori rappresenta, quindi, una buona ragione per anticipare il momento di applicazione della protesi per ripristinare un modo corretto di camminare.

Lo stato clinico dell’anca controlaterale è uno dei parametri più importanti per decidere quando operarsi. Infatti, quando un’anca diviene seriamente danneggiata, l’altra subisce inevitabilmente un carico aumentato. Se anch’essa presenta una forma iniziale di artrosi, un’attesa eccessiva rischia di accorciarne la sopravvivenza. Lo stesso dicasi in caso di presenza di una protesi d’anca controlaterale.

L’artrosi avanzata determina, dopo la scomparsa dello strato di cartilagine, anche diverse deformità strutturali ossee della regione dell’anca, che possono assumere diverse manifestazioni.

Si può assistere, ad esempio, ad un progressivo indebolimento del fondo acetabolare con protrusione di vario grado della testa femorale all’interno del bacino. In altri casi, invece,  si assiste alla formazione di vere e proprie cavità all’interno del bacino che rappresentano aree di indebolimento osseo.

Tali difetti possono rendere l’intervento più complesso e ridurre, allo stesso tempo, la qualità dei risultati ottenuti.

 

Quanto conta l'età per chi deve fare l'intervento di protesi?

Nei pazienti anziani ritardare l’intervento può significare semplicemente rimandarlo di poco, arrivando in fasce di età dove risulta certamente più probabile che vi siano delle patologie coesistenti che aumentano i rischi operatori. L’attesa, nella terza età, può condurre alla comparsa o all’accentuazione di una serie di complicazioni che si verificano in seguito alla riduzione della indipendenza motoria. Tra di esse, è importante ricordare

  • l’atrofia muscolare;
  • malattie cardiache e respiratorie;
  • insufficienza venosa degli arti inferiori;
  • deterioramento psichico

Si è oggi concordi che, dopo attenta valutazione, anche l'ultraottantenne vada operato se l’anca degenerata giunge a limitare seriamente la vita di relazione.

Per quanto riguarda l’indicazione chirurgica nelle fasce di età più giovanili, l’atteggiamento dei chirurghi ortopedici si è progressivamente modificato sulla base dei dati di sopravvivenza a lungo termine degli impianti protesici di nuova generazione. Il miglioramento qualitativo dei materiali impiegati, abbinato al perfezionamento delle tecniche chirurgiche, ha fatto sì che anche i pazienti più giovani possano affrontare il trattamento con giustificata fiducia di un’adeguata durata dei risultati nel tempo.

Ad oggi, le protesi d’anca presentano una sopravvivenza di circa il 90% a 18 anni di distanza dall’impianto, mentre i modelli più moderni presentano una sopravvivenza del 97% a 15 anni.

Una corretta scelta del giusto “timing operatorio“ deve necessariamente includere una valutazione di aspetti individuali di natura psichica legati al paziente ed alla sua sfera familiare.
Il grado di determinazione mostrato dal paziente, oltre che rappresentare una chiara dimostrazione di consenso al trattamento, risulta un presupposto fondamentale per una sua adeguata collaborazione durante il decorso postoperatorio e precoce e riabilitativo.
Le necessità lavorative del singolo paziente possono rappresentare senza dubbio un aspetto determinante sul processo decisionale.

 

Bibliografia

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