Sembra che almeno 15 milioni di italiani abbiano avuto o abbiano esperienza di queste invalidanti patologie. Quali sono le cause? E' possibile curarle? Se si, a chi rivolgersi?
Ne parliamo ad Ostuni (Br) con il Prof. Giovanni D’attoma, specialista in Neuropsichiatria, Cefalee, Neuroendocrinologia, Psicoterapeuta, Autore di libri ed articoli originali su questi argomenti.
Perchè alcuni pazienti guariscono, altri migliorano, altri ne soffrono per una vita?
Tutte le patologie hanno un arco di gravità che va da un minimo ad un massimo: ad esempio vi sono degli attacchi di panico di modesta entità che guariscono spontaneamente o con qualche farmaco che ti prescrive il medico di famiglia, altri girano a vuoto, frequentando gli psichiatri più famosi senza risultati apprezzabili: molto dipende dalla predisposizione genetica, dalle cause psicologiche o fisiche alla base del disturbo, dall’impegno e dalla disponibilità del terapeuta, dalla pazienza del paziente e dalla comprensione della famiglia. Nella pratica professionale si hanno pazienti che “guariscono” in poche settimane, altri hanno bisogno di un lasso di tempo maggiore ma il più delle volte preferiscono sperare in un farmaco miracoloso con inevitabile frustrazione e peggioramento.
Che cosa hanno in comune queste patologie?
Ognuna di queste patologie viene generalmente curata con farmaci che agiscono sulla serotonina, sulla noradrenalina e/o sulla dopamina: queste sostanze (neurotrasmettitori) rappresentano un vero e proprio carburante per il nostro cervello; quasi tutti gli psicofarmaci in commercio agiscono direttamente o indirettamente su questi sistemi:generalmente, dopo qualche mese i pazienti stanno meglio, ma, il più delle volte, dopo un certo periodo, i disturbi ritornano come prima.
Quali sono le cause e come si curano?
Per tutti questi disturbi è indispensabile partire da due fattori: la predisposizione ereditaria e le condizioni di stress correlato a problemi psicologici o fisici che innescano la malattia. Un esempio: una ragazza abbandonata dal suo ragazzo normalmente non sviluppa un attacco di panico o una depressione, ma se questa ragazza ha uno dei genitori depressi “potrebbe” sviluppare una tale patologia.
Quali sono i primi sintomi che possono allarmare?
Due esempi: Marco (nome fittizio ma storia vera) 26 anni e Luciana di 32 anni.
Marco è un ragazzo che fin da piccolo si manifesta abbastanza timido, impacciato con gli amici a tal punto che i suoi amici e, qualche volta i suoi insegnanti lo deridono; quando viene interrogato, Marco arrossisce facilmente, balbetta e non raramente si lamenta di disturbi diffusi (dal mal di testa a dolori addominali a vertigini); dal periodo delle scuole medie i genitori si sono preoccupati di consultare uno psichiatra che diagnosticò una “fobia sociale”consigliandogli alcuni farmaci e psicoterapia presso una psicologa che lo ha seguito per molto tempo con risultati molto scarsi. Comunque Marco ha superato gli esami di maturità e frequenta la facoltà di giurisprudenza, anche se gli esami che ha superato sono pochi: è rimasto quel ragazzo timido, impacciato e dipendente dai suoi amici che non gli hanno mai consentito di emergere nonostante le buone capacità intellettive di cui è dotato. L’anno scorso ha effettuato presso il nostro Centro un trattamento psicoterapico con una tecnica recente (psicoterapia neurobiologica) che gli ha consentito un sostanziale recupero di sicurezza e di stima nelle sue qualità che gli hanno consentito di risolvere i suoi problemi.
Luciana ha una storia diversa: molto intelligente, è sempre stata timida per cui i suoi amici la maltrattavano, le usavano strani nomignoli; Mariella ha spesso pianto di nascosto, ne parlava con i genitori e questi si lamentavano coi docenti senza ottenere grandi risultati: questa sofferenza si è tramutata in paura di uscire, timore di star male da un momento all’altro, palpitazioni cardiache, dolori in regione sternale fino a presentare, dopo la maturità classica, delle paure molto intense, senso di soffocamento, dei veri e propri attacchi di panico (PAD), per i quali veniva portata d’urgenza in Ospedale, diversi inutili elettrocardiogrammi e tanti ansiolitici ed antidepressivi. L’ho vista tre mesi fa, non voleva utilizzare farmaci per cui l’ho aiutata con tecniche di psicoterapia breve strategica, ora sta molto meglio, è felice di non dipendere dai farmaci.
Lo stress subito da questi pazienti come si è tradotto sul piano biologico?
Ogni volta che siamo sottoposti a stress si innesca un fisiologico meccanismo di difesa che impegna l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene con produzione di sostanze glucocorticoidi che hanno la funzione di proteggere l’organismo dallo stress:questo meccanismo di difesa, se non viene frenato da complessi meccanismi neurochimici (strettamente correlati all’espressione genetica della vasopressina e dell’ossitocina), si può tradurre in una disfunzione vera e propria a livello ipotalamico cori l’innesco di queste patologia (dall’ansia alla depressione, ecc). Si sta lavorando ad una serie di ricerche per documentare, anche sul piano neurochimico, il ruolo centrale dell’ipotalamo, vera a propria centralina d’allarme del nostro organismo nella patogenesi di questi complessi disturbi.
Se tali disturbi hanno una base organica, che fine farà la psicoterapia?
Freud ha il grande merito di aver individuato nell’inconscio e nei conflitti che lo attraversano fin dalla nascita le vere cause di questi problemi ma le moderne ricerche di neurochimica, di neurofisiologia e del neuroimaging forniscono dati concreti per attribuire ad un danno biologico, indotto da situazioni conflittuali, la causa di questi disturbi. Un esempio: se una persona la offende o la gratifica, nel suo cervello si sviluppano risposte biochimiche ben diverse che la fanno stare male o la fanno felice; immaginate cosa può accadere in una persona stuprata, in un soggetto sottoposto a mobbing dal suo capo-reparto o semplicemente vivendo accanto a parenti apprensivi o in una ragazza abbandonata dal suo partner... Per quanto riguarda Freud e gli psicoterapeuti, fino a quando non si scopriranno terapie che incidano più direttamente (ce ne sono già in fase sperimentale), potranno sopravvivere perché talune forme di psicoterapie, associate eventualmente a psicofarmaci o a terapie strumentali recentissime, gestite da specialisti che conoscono bene questi nuovi sviluppi della neurobiologia, sono tuttora molto efficaci.
In che cosa Consiste la “psicoterapia neurobiologica”?
Si tratta di una tecnica che associa a ben note tecniche di psicoterapia breve strategica modulate da un periodico controllo di parametri neurochimici e della soglia corticale saggiata col TMS ed eventualmente dall’uso equilibrato di psicofarmaci. La maggior parte di queste persone guarisce.
Quali sono i nuovi farmaci e le nuove tecniche per guarire?
A volte, per i motivi espressi in precedenza, la patologia è più grave per cui sono indispensabili trattamenti combinati: dalla psicoterapia, agli psicofarmaci (ce ne sono tanti e conta spesso l’esperienza del terapeuta) alle moderne tecniche strumentali come la TMS, la tDCS, la deep brain stimulation (DBS) ed altre ancora che oggi si utilizzano con successo.
Bibliografia
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