Figli adolescenti: aspettative e emozioni
In questo articolo metterò a fuoco le criticità relazionali che si vengono a determinare in famiglia soprattutto quando si verifica un insuccesso scolastico.
Perché i ragazzi vanno male a scuola e cosa si può fare?
Il mio convincimento è che la qualità delle prestazioni di tutti noi, a qualsiasi età, dipenda dalla capacità di essere tranquilli.
Penso in particolare che i ragazzi vadano più o meno bene a scuola in base a quanto sono tranquilli i loro genitori. Tuttavia i genitori si sentono più o meno tranquilli in base a come vanno i figli a scuola.
La scuola è il “pentolone” in cui si cucina il benessere di tutti.
In particolare negli anni delle scuole superiori, si possono avere situazioni critiche, perché i genitori e gli insegnanti si sentono molto responsabilizzati: questi anni, oltre ad essere l’ultima occasione per acquisire le competenze culturali di base, sdoganano l’essere umano dall’infanzia all’età adulta.
Nell’arco di questi anni di scuola, oltre a studiare la letteratura, la matematica e tutte le altre materie, i ragazzi devono imparare a conoscere e gestire le loro capacità e i loro limiti: devono trovare le strategie per muoversi nel mondo e nelle relazioni.
Arrivano bambini e se ne vanno “maturi”.
Prima di entrare nel tema specifico, mi occorre fare due premesse: una sulla genitorialità, l’altra sull’adolescenza.
Genitorialità: cosa ci spinge a mettere al mondo una nuova creatura?
Mettiamo al mondo i figli per aggiungere senso al mistero della vita, perché ci aiutino ad andare col pensiero oltre la contingenza del presente, per poter sognare. Ci aspettiamo che portino una ventata di novità e freschezza, ma poi, inevitabilmente, ci ritroviamo spesso a non sapere come gestirli.
Come affrontare l’adolescenza di mio figlio?
L’adolescenza è una stagione della vita cruciale per lo sviluppo della persona.
Occorre tenere conto che nella prima infanzia si sono poste le basi per l’organizzazione della struttura (diciamo lo “scheletro”) della mente: in adolescenza si consolida definitivamente la stabilità emotiva, relazionale e corporea. In base a come è andata l’infanzia, il funzionamento futuro potrà essere più o meno armonico.
Nel processo evolutivo dell’adolescenza si entra con il fardello delle difficoltà psicologiche e delle possibili lesioni (del corpo e della mente), che nell’infanzia non sono state risolte o sono passate inosservate, ma che in adolescenza emergono e diventano evidenti. Come si può ben comprendere, nella vita non tutto può sempre andare alla perfezione, e quindi ognuno avrà vissuto le sue criticità: l’importante non è proteggere i figli da ogni possibile inciampo, ma capire e cercare di provvedere.
Il temperamento, lo stile relazionale, i modelli educativi e le paure dei genitori, inevitabilmente si riflettono sui figli: l’adolescenza è un’occasione unica per i genitori per trovare nuovi equilibri relazionali, aiutare i figli ad acquisire compensazioni più efficaci e anche per riparare le lesioni pregresse.
Un aspetto cruciale è anche che in questa fase dello sviluppo neuro-psichico si impara a “mentalizzare”, cioè a contenere nella mente gli stati d’animo, capirli, tradurli in pensieri e parole, elaborarli. Diversamente si può determinare una tendenza a somatizzare le tensioni e una difficoltà a capire cosa accade nella mente.
Occorre tenere conto che l'adolescenza è sempre un momento di crisi, perchè è una fase di passaggio, in cui si realizza una profonda discontinuità dell’equilibrio fisico e mentale raggiunto nell’arco dell’infanzia. Nel corpo succede che tutto si trasforma, a partire dagli organi sessuali, per arrivare fino al cervello, ed è molto importante capire cosa succede: distinguere la crisi fisiologica da quella che si può considerare come patologica.
Cosa accade al cervello di un adolescente?
Dalla fine degli anni ’90 numerose ricerche svolte presso il National Institute of Mental Health (Bethesda, Maryland) si sono dedicate allo studio in follow-up dello sviluppo del cervello in centinaia di adolescenti: tali studi hanno mostrato che attorno ai 10/11 anni inizia un importante rimaneggiamento strutturale della corteccia prefrontale, la cui ottimizzazione si protrae fino ai 30 anni.
In particolare all’inizio dell’adolescenza si ha una nuova massiccia sinaptogenesi, simile a quella dell’età neonatale: è un fatto unico nella vita e irripetibile.
Cos’è il “darwinismo neurale”?
In seguito, in tempi diversi e specifici per ogni area corticale, si osserva uno sfoltimento delle sinapsi. I circuiti vengono così ridefiniti e acquistano maggiore efficienza funzionale, fenomeno che il premio Nobel Gerald Edelman ha definito “darwinismo neurale”.
Tuttavia le modifiche che determinano la maturazione funzionale, si realizzano con un notevole scarto temporale tra le aree deputate ai processi automatici intuitivi/affettivi rispetto a quelle legate ai processi cognitivi. Esistono quindi motivi specifici per cui gli adolescenti tendono ad operare scelte impulsive, sulla base di spinte emozionali e con effetti a breve termine, mentre possono essere in difficoltà nel valutare consapevolmente gli effetti sul medio e lungo termine dei loro comportamenti e delle loro scelte.
E’ sbagliato sentirsi diversi?
I ragazzi dunque hanno molti buoni motivi per sentirsi diversi da prima e vogliono essere diversi: provano un forte impulso a liberarsi da tutto quello che c’era nella loro vita di bambini e vogliono affrontare il futuro sperimentando le loro nuove risorse.
Da questa trasformazione deriva tuttavia un inevitabile senso di estraneità, che in parte è attivamente cercata, ma che può creare momenti di difficoltà.
Adolescenza come età di crisi
Nei confronti della nuova conquistata libertà, sul piano emotivo sono cruciali due sentimenti molto contrastanti tra loro: l’ebbrezza e la paura.
Diverso è infatti spingersi oltre i confini di ciò che era noto, superare i limiti precedentemente fissati, diverso è cercare una totale destrutturazione, come accade a volte con l’abuso delle varie sostanze.
Nel primo caso la trasformazione si svolge, pur con le inevitabili turbolenze, entro parametri di adeguatezza, diversamente si osserva un arresto, o una deriva che sconfina in quadri patologici.
E’ normale che un adolescente sia “in crisi”?
La crisi è fisiologica quando l’adolescente, potendo contare su una sufficiente fiducia nelle proprie risorse, affronta il cambiamento con la consapevolezza che si cresce per gradi e che lo scorrere del tempo è un alleato e non un nemico. Se ha chiaro questo, allora può tollerare l'incertezza e l'attesa con il sentimento che "non è ancora grande, ma lo sarà…”, "non sa ancora chi è... Non sa ancora cosa farà, ma matureranno nuove chiarezze...", “non sa tante cose, ma le può imparare…”.
Quand’è che la crisi adolescenziale diventa un problema?
Ci si trova invece di fronte ad una distorsione del processo evolutivo se l’adolescente è completamente sfiduciato, perde la percezione del valore del tempo e si convince che la crisi durerà per sempre. In questo caso non riesce ad immaginare di poter evolvere per piccoli passi e pensa di doversi magicamente trasformare in un'altra persona: era un moccioso e all’improvviso deve saper dimostrare a sé e al mondo di essere grande.
In questo caso può pensare che a scuola, per sapere le cose non serve studiarle, ma bisognerebbe averle già tutte magicamente nella mente. Può capitare allora che si scoraggi e si arrenda.
Perchè l’adolescente è distratto a scuola?
Voglio ribadire che si può incorrere in molte di queste criticità pur in situazioni fisiologiche. Anche l’adolescente sano è infatti sempre alle prese con un’ inevitabile serie di paure, che possono produrre nella sua mente un rumore di fondo, a volte fortemente fuorviante
Spesso si sente annichilito dai propri difetti, fisici o psichici: spia ansiosamente la loro comparsa, li percepisce come insormontabili e definitivi.
Può pensare ad esempio, che se gli altri scoprono che non sa tutte le cose che dovrebbe aver studiato, penseranno che sia un fallito, i suoi genitori si vergogneranno di lui, deluderà gli insegnanti, tutti lo prenderanno in giro, sarà considerato un essere spregevole e in definitiva non potrà mai essere amato.
E’ evidente che questa attività esplorativa dei propri difetti consuma molte energie e distoglie l’attenzione dai compiti scolastici. Per questo motivo si osservano frequentemente dei cali di prestazione, e anche dei blocchi, in tutte le attività: nello studio come nello sport e anche nelle capacità di relazione.
Da fuori si nota solo la distrazione (“Perde un sacco di tempo! Ha la testa tra le nuvole!”), ma dentro è una folla di pensieri che invadono la mente: come si fa a mettersi lì tranquilli a studiare l’inglese o la fisica?
Adolescenti e adulti
Gli adulti (genitori, insegnanti, dottori) sono spettatori partecipi di questa avventura, ed è importante che capiscano il lavoro che si svolge nella mente. Anche la difficoltà a concentrarsi, la svogliatezza e la bizzarria fanno parte dell’evoluzione: l’adolescente sta cambiando e cambierà ancora, crescerà.
Gli adulti possono avere un fondamentale ruolo stabilizzatore, ma a loro volta possono avere ansie, insicurezze e ferite irrisolte, che creano un allarme di fondo, e riducono le loro capacità riparative: anzi si può determinare un contagio della paura.
Ci sono oggi molti buoni motivi di essere preoccupati per il futuro dei ragazzi: il mondo appare inquietante e sembra avere sempre meno da offrire alle nuove generazioni. Per questo gli adulti possono cadere nella trappola di un eccessivo sentimento di responsabilità, come se la possibilità dei ragazzi di costruirsi un decoroso futuro dipendesse esclusivamente dalle capacità di chi li educa.
Adolescenti e società: cos’è l’ansia da prestazione?
La nostra civiltà è per certi versi patogena, perché propone modelli molto competitivi e tempi accelerati.
I genitori sono ingaggiati in una gara: sentendosi osservati e giudicati dal mondo (parenti, amici, insegnanti) crescono i figli in un clima frettoloso, per cui bisogna essere già tutto da subito. Possono essere orgogliosi del proprio bambino solo se arriva alle elementari che sa già leggere e scrivere, va in piscina e gioca a tennis. Se appena ce lo si può permettere, i figli vengono cresciuti bilingui.
E saper fare tutte queste cose non è per divertirsi, per sviluppare il piacere di funzionare al meglio! Un bambino deve essere il primo della classe e vincere le gare per vedere i genitori tranquilli. E questa è la premessa psicopatogenetica degli attacchi di panico: non si può mai dire “non ce la faccio” senza avere il timore della catastrofe.
Come posso capire se mio figlio soffre di ansia da prestazione?
L’ansia prestazionale degli adulti, non è per pretese ambiziose o arroganti, ma è dovuta ad eccessivo sentimento di responsabilità: alle prese con il compito di crescere i figli, perdono di vista il fatto che il tempo è determinante nei processi di apprendimento e hanno fretta di vedere i risultati.
Questo disturbo inizia da subito, fin dalle elementari, ma può restare subdolamente nascosto ed esplodere al liceo, quando le trasformazioni del corpo determinano nella mente un particolare stordimento, e quando improvvisamente le aspettative diventano esplicite.
Cosa posso fare contro l’ansia da prestazione?
E’ importante che gli adulti trasmettano l’idea che per crescere e per imparare occorre prendersi del tempo. Diversamente si crea nei ragazzi molta confusione: non è previsto che, per poter studiare, bisogna avere la mente tranquilla.
Tutto questo si complica, perché in adolescenza occorre maturare un più chiaro sentimento della propria identità: per sapere “chi sono” e diventare un adulto sano, è necessario prendere confidenza con le proprie capacità e con i limiti, anche in quanto studente.
Adolescenza e identità: chi sono io?
Negli anni di scuola l’adolescente deve abbandonare le strategie adottate per imitazione dei genitori (o per obbedienza) e imparare a capire come funziona la sua mente: studia meglio alla mattina o alla sera? E’ più concentrato se si mette a fare i compiti appena torna da scuola o ha bisogno di fare uno stacco, magari anche una dormita? Ricorda meglio sottolineando il libro, con gli appunti presi a lezione, ripetendo ad alta voce o facendosi degli schemi? Studia meglio da solo o in compagnia? E l’adulto che assiste, che strumenti ha per aiutarlo?
Come educare un adolescente?
Il pungolo del castigo per il brutto voto o la minaccia di una bocciatura possono evocare, è vero, una reazione di maggiore impegno, ma si tratta di un impegno transitorio e parziale: lo stress che ne deriva attiva anche paura e vergogna, sentimenti che ingombrano in modo negativo lo spazio mentale dell’apprendimento.
Premio e punizione: si o no?
E’ importante ricordare che il più potente motore nella vita è “il piacere di funzionare”: esattamente come nello sport, anche nello studio, la motivazione principale si ricava dall’esperienza che prima si soffre, ma poi si prova il piacere di essere diventati capaci.
In tutta la fase evolutiva bisognerebbe interferire il meno possibile con questa esperienza di contatto con la propria natura, le proprie caratteristiche, la propria identità, di modo che possano essere chiaramente percepite.
Esiste un modello educativo efficace?
Il modello educativo che utilizza il premio e la punizione distoglie l’attenzione: fondamentale è poter verificare che la mente ha le sue strategie e risorse, che si studiano alcune cose, che queste restano e sono la base per altri apprendimenti, e che è molto bello sentirsi competenti.
Questo processo può avvenire con naturalezza o con difficoltà, ma può essere gravemente interferito dalle intemperanze frettolose degli adulti, che pensano di sapere come si deve fare e si sentono inadempienti se non si impegnano a trasmetterlo ai figli. Ma i figli non sono come una creta da plasmare: hanno delle intrinseche propensioni, che possono svilupparsi solo se lasciate libere di esprimersi. Attraverso una difficile sperimentazione, per prove ed errori, troveranno il proprio metodo.
E’ naturale che gli adulti si sentano chiamati a fornire ai ragazzi tutti gli strumenti necessari per affrontare la crescente complessità del mondo, ma questo può far insorgere un eccessivo sentimento di responsabilità, e far perdere di vista i fondamentali elementi affettivi della relazione educativa.
Cosa vuol dire educare?
L’educazione infatti è un atto sostanzialmente relazionale, che si esprime anche al di là della dimensione dell’imparare, e comporta emozioni e sentimenti: gli adolescenti imparano per identificazione amorosa.
Educare o appassionare: cosa dovrebbero fare gli adulti?
E’ evidente che la funzione degli adulti dovrebbe essere quella di fare in modo che gli studenti apprendano, ma se alla loro età si studia la materia dell’insegnante che prende il cuore, qual è la via per raggiungere il cuore degli studenti, oltre che la loro mente?
Anche il docente funziona bene se si sente libero di trasmettere la sua passione per la disciplina che insegna: se è troppo preoccupato dei risultati, perde di vista questi fondamentali aspetti affettivi.
Di fronte a difficoltà specifiche di apprendimento, naturalmente è fondamentale poter fare una corretta diagnosi: se si tratta di un ostacolo emotivo o di eventuali disturbi dell’apprendimento, che ormai sono ben codificati.
Se invece l’insegnante pensa che dipenda solo da lui “far funzionare” bene quell’allievo, se è vittima dello stress ingenerato dalla competitività con i colleghi, dalle pretese dei genitori, dal prestigio della scuola, allora soccombe alla paura di essere inefficace e perde di vista il suo fondamentale ruolo di educatore.
Chi è considerato un ragazzo educato?
L’educazione si realizza aprendo la mente ai ragazzi, rendendoli capaci di pensare, di accogliere i diversi punti di vista, di porsi delle domande di senso (questo pensiero dove mi porta?), di vedere al di là delle apparenze, di trovare le argomentazioni per far valere le proprie ragioni e di avere una capacità di ascolto dell’altro. Il processo dell’educazione avviene solo nella misura in cui, aiutando i ragazzi ad acquisire strumenti di conoscenza, li si aiuta a diventare più sicuri di sé, più solidi e capaci di critica.
Quanto si deve essere tolleranti nei confronti di un adolescente?
Per realizzare ciò, gli adulti devono poter tollerare di percepire che i ragazzi hanno le loro timidezze, insicurezze, blocchi della mente, nella consapevolezza che queste fragilità sono anche la ricchezza dell’essere umano. Deve essere chiaro che la dimensione dell’imparare comporta emozioni e sentimenti. Se questi vengono connotati negativamente, si crea un pregiudizio, che ha ripercussioni spaventose sullo studente: finirà col pensare che il suo essere timido e bloccato, e le sue difficoltà di rendimento a scuola, siano fattori irrimediabili di fallimento nella vita.
E’ mio figlio o sono io?
Ma se i figli vanno male a scuola, la frustrazione per questa “bocciatura in quanto educatori” produce un fastidioso effetto nei genitori: non solo si sentono loro stessi bocciati ad uno dei fondamentali esami della vita, ma rischiano di sentirsi “persone fallite”, si vergognano di fronte ai parenti, agli amici, ai colleghi, possono venire travolti dalla paura del futuro.
Essere genitori diventa un incubo.
Ne risulta un malumore e spesso una reazione fortemente rancorosa, che ricade sui figli con un’escalation di atteggiamenti punitivi, restrittivi e di controllo, a volte francamente maltrattanti.
Perchè i figli adolescenti portano rancore ai genitori?
Più gli adulti si arrabbiano perché sono preoccupati di non riuscire a mettere a regime la situazione, e più i ragazzi si spaventano e peggio vanno a scuola.
Non si può dire che il ragazzo deve fare da solo per una sorta di punizione “perché tanto non ascolta più i consigli, … si ribella… deve imparare,… deve responsabilizzarsi…”, altrimenti si sente “scaricato” e abbandonato a sé stesso.
L’insuccesso scolastico può mandare in crisi tutto il sistema delle relazioni: ci si avvita in una difficoltà, che può sfociare in un vero e proprio clima di guerra: si può alterare profondamente l’accordo all’interno della coppia genitoriale e anche l’atteggiamento della famiglia nei confronti della scuola.
I genitori possono ferire i figli?
Per un figlio è molto doloroso quando litiga continuamente con i genitori, o percepisce che, a causa delle sue difficoltà, i genitori litigano tra di loro, oppure litigano con i docenti.
Può accadere allora che l’adolescente sperimenti un sentimento di profonda solitudine di fronte alle difficoltà dello studio, ma anche della vita.
In questa situazione ci sono due possibilità: o l’adolescente si scatena contro la scuola, gli insegnati, i genitori, le istituzioni, le regole; oppure si deprime, si vergogna e si isola nella solitudine della sua stanza e del mondo virtuale di internet.
Cosa posso fare per migliorare il rapporto con mio figlio adolescente?
Non basta dunque fare il passo indietro, per rispettare e anzi proteggere il delicato momento della crescita: è importante che questo avvenga in un clima di fiduciosa e affettuosa comprensione.
Adolescenza e scuola
In una civiltà dove il successo deve essere immediato e pieno, andare bene a scuola finisce con l’essere la “prova del nove” per tutti gli attori della scena: è “l’esame della vita” per gli studenti e per gli educatori.
Se dunque lo studente inizia ad andare male, si crea facilmente un clima di panico, che travolge genitori, studenti e anche gli insegnanti: i ragazzi sono sovraccaricati dalla colpa di produrre negli adulti sentimenti anche violenti di scontento, frustrazione e sconfitta.
L’adolescente va male a scuola: di chi è la colpa?
Invece di impegnarsi per capire come si è inceppato il meccanismo dell’apprendimento, si realizza una “caccia alle streghe” per scoprire di chi è la colpa: è degli studenti pigri e menefreghisti, è dei docenti inetti e sadici, del ministero che cambia i programmi, è della società o dei genitori, che non hanno saputo infondere un adeguato senso del dovere? E’ colpa del genitore permissivo e assente o dell’altro, che è intrusivo e troppo controllante?
Il risultato di tutto ciò è purtroppo l’inasprirsi dei problemi e quasi sempre un peggioramento delle prestazioni scolastiche.
Accade allora che per effetto delle paure degli adulti, lo sguardo sui giovani finisca col diventare molto miope: i figli vengono guardati solo per il profitto scolastico, e non più come persone, con una loro storia, vicissitudini di vita, relazionali e affettive.
La miopia dello sguardo fa perdere di vista il fatto che il funzionamento cognitivo dei ragazzi (e quindi la loro “prestazione scolastica”) è inevitabilmente condizionato dal loro benessere generale: parliamo di salute nel senso più strettamente fisico, ma anche di salute in termini di serenità. La miopia dello sguardo degli adulti rende asfittica la relazione, creando i presupposti per la sofferenza.
In questa fase della vita invece i ragazzi possono avere molto bisogno di solidi punti di riferimento affettivo e di spazi tranquilli di conforto, che aiutino a calmare la paura del mondo e del vivere.
Scuola…di vita
Uscendo dalla logica limitata della scuola, si trovano sempre anche i motivi esistenziali della crisi, perché non c’è solo la scuola, ma anche la vita.
E nella vita dei ragazzi possono esserci tanti altri motivi che distolgono dallo studio: oltre alle difficoltà intrinseche alla loro età (i primi amori e le amicizie, e il corpo che cambia, e la sessualità, e la mente confusa), possono esserci anche le malattie, i lutti, la disoccupazione e il divorzio dei genitori, e infine le preoccupazioni per come va il mondo.
Ci dimentichiamo troppo spesso che i giovani ci osservano, a volte impotenti, partecipano affettivamente con grande intensità alle nostre vicende e desiderano immensamente vederci contenti. La loro stabilità emotiva dipende strettamente dalla nostra.
E’ per esempio accertato che i figli di genitori in corso di divorzio, specie se molto conflittuale, vadano incontro più frequentemente a bocciatura.
Ma sarebbe davvero importante studiare quanto interferisce la condizione di disoccupazione dei genitori, oggi tanto frequente: si crea in famiglia un clima di grande apprensione, con l’idea che sia necessario far crescere ancora più in fretta e bene i figli, per collocarli rapidamente negli ultimi spazi residuali del mondo del lavoro.
E infine, queste generazioni sono state cresciute dai nonni: l’invalidità, la malattia, la morte dei nonni cambia completamente la loro vita. Sono stati sempre coccolati, e improvvisamente arrivano a casa e sono soli.
Ricostruire la complessità della crisi restituisce una maggiore dignità alla difficoltà scolastica, e aiuta i genitori ad abbandonare la funzione di controllori, per imparare ad essere alleati più soccorrevoli dei loro figli.
Se si riesce a mantenere la sufficiente calma per esplorare i motivi della difficoltà, l’adolescenza dei ragazzi può essere una buona occasione di crescita anche per gli adulti: si impara ad avere fiducia nelle loro risorse evolutive e nelle proprie capacità riparative, si impara ad essere pazienti e si può finalmente apprezzare il piacere di evolvere insieme.
Nessuno è perfetto, nemmeno i genitori
Infatti anche i genitori non nascono imparati: se possono osservare con curiosità quali attitudini sviluppano i loro figli e che soluzioni trovano per le loro difficoltà, come attingono al fisiologico e sano coraggio, allora possono anche imparare a sviluppare la fondamentale funzione di essere di conforto.
Occorre infatti tranquillizzare i genitori, con l’idea che possono avere fatto del loro meglio, ma che strafare a volte comporta il danno di un’ansia che ricade a cascata su tutto il sistema.
E’ importante accompagnare i genitori a stabilire delle priorità chiare: per un buon funzionamento della mente è fondamentale che prima venga la qualità affettiva della relazione.
I figli hanno bisogno di sentire che i genitori hanno profonda fiducia nelle loro risorse, e che credono fermamente nelle loro capacità di uscire dalla crisi.
In definitiva si tratta di interrompere il circolo vizioso della paura e attivare una meccanismo virtuoso che faccia sentire tutti “in sicurezza”.
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