tratto dal Libro "Una Mela al Giorno", casa editrice Priuli & Verlucca

Nell'immaginario collettivo i Lipidi (dal greco lipos = grasso) non godono di buona reputazione, venendo associati a situazioni negative per la salute, quali le dislipidemie, l’aterosclerosi, le malattie cardiovascolari.

Eppure senza un adeguato apporto alimentare di lipidi la vita non sarebbe possibile.

Oltre a essere la più importante riserva energetica dell'organismo, accumulandosi  nel tessuto adiposo e, in parte minore, nei muscoli, i lipidi sono costituenti essenziali delle membrane cellulari e delle strutture intracellulari (grassi di struttura), ruolo importante soprattutto a livello cerebrale, specialmente nella fase di sviluppo; sono veicoli per l'assorbimento intestinale delle vitamine liposolubili; sono precursori della vitamina D, degli ormoni surrenalici e sessuali, degli acidi biliari e di composti (prostaglandine, trombossani, prostacicline, leucotrieni) che svolgono importanti funzioni regolatrici della circolazione.
Anche la mielina che avvolge le fibre nervose è costituita essenzialmente di lipidi, rendendoli, per la loro neutralità elettrica, isolanti ideali per ridurre la dispersione e favorire la trasmissione nervosa.

I lipidi possono essere introdotti sia in forma <visibile>, sotto forma di condimenti, sia  in forma <invisibile>, quali costituenti di diversi alimenti, soprattutto di origine animale. La quasi totalità (dal 98 al 99%) dei lipidi alimentari è costituita da trigliceridi, composti da 3 molecole di acidi grassi  legati a 1 molecola di glicerolo. I fosfolipidi e il colesterolo sono costituenti essenziali delle membrane biologiche.

Gli acidi grassi sono i componenti elementari dei lipidi, così come gli aminoacidi e il glucosio lo sono delle proteine e dei glicidi. Sono proprio gli acidi grassi a caratterizzare le peculiarità dei grassi introdotti con l’alimentazione. Le loro  proprietà biologiche dipendono essenzialmente dal numero e dalla posizione dei doppi legami fra gli atomi di carbonio presenti nella loro molecola. Iin base al loro numero - nessuno, uno o più di uno – gli acidi grassi sono definiti saturi, monoinsaturi o polinsaturi.
In genere nei grassi di origine animale prevalgono gli acidi grassi saturi, in quelli di origine vegetale i polinsaturi. Fanno eccezione a questa regola: l’olio d’oliva, in cui prevale un acido grasso monoinsaturo (l’acido oleico); gli oli di cocco e di palma, che hanno in larga misura acidi grassi saturi e i grassi degli animali marini (pesci, foche, balene) che contengono acidi grassi insaturi. A temperatura ambiente i grassi saturi si presentano allo stato solido (es. il lardo), mentre gli insaturi appaiono nella forma liquida (i vari oli).

L’assunzione di alimenti ricchi di acidi grassi tende a fare innalzare il colesterolo nel sangue più di quanto non faccia  l’assunzione di colesterolo stesso.
Sia gli acidi grassi monoinsaturi (l’acido oleico, contenuto prevalentemente nell’olio di oliva), sia i polinsaturi (contenuti prevalentemente nell'olio di soia, di girasole, di vinacciolo, di mais) hanno invece proprietà protettive sulla circolazione, essendo in grado di far diminuire i livelli di colesterolo, grazie alla capacità di aumentare i recettori per le LDL(1), attraverso i quali viene rimosso il colesterolo dal sangue circolante (vedi oltre).
Ma mentre i polinsaturi abbassano tutte le frazioni lipoproteiche, incluse le HDL (che hanno, come vedremo,  effetto protettivo), i monoinsaturi mantengono  inalterato  il livello di queste, per cui è ancora maggiore l’effetto protettivo nei riguardi delle malattie cardiovascolari.

Un problema dei doppi legami è quello di attrarre gli atomi di ossigeno, di essere cioè più facilmente ossidati, condizione che li coinvolge più facilmente nel processo di aterosclerosi.
Gli acidi grassi monoinsaturi, avendo un solo doppio legame, sono più resistenti all’ossidazione. Questa proprietà, unita al fatto di contenere antiossidanti naturali (polifenoli e vitamina E) rende l’olio extravergine d’oliva  maggiormente resistente al deterioramento ossidativo provocato dalle alte temperature, per cui si ha una minore produzione di radicali liberi, motivo per cui si fa preferire agli altri oli  vegetali  per le fritture.
Un sistema utilizzato dall’industria alimentare per evitare il processo di ossidazione dei lipidi è l’idrogenazione, processo attraverso cui tutti i doppi legami dei polinsaturi vengono rotti e saturati con molecole di idrogeno, creando, in tal modo,  acidi grassi di tipo trans, anch’essi non propriamente salubri, avendo la proprietà di innalzare il colesterolo LDL e di diminuire il colesterolo HDL, con riflessi negativi sul rapporto di rischio cardiovascolare.
Tra gli acidi grassi insaturi, un ruolo fondamentale è svolto dagli acidi grassi essenziali, così definiti in quanto l’organismo non è in grado di sintetizzarli partendo da altri elementi (proteine e carboidrati), come avviene per gli altri cidi grassi, per cui devono essere necessarimente assunti  dall’esterno con l’alimentazione. Questi sono l’acido linoleico e l’acido alfa-linolenico, capostipiti rispettivamente della serie omega-6 e della serie omega-3 (così detti in base alla posizione dell’ultimo doppio legame nella molecola).

(1) Low Density Lipoprotein = Lipoproteina a bassa deisità
(2) High Density Lipoprotein = Lipoproteina ad alta densità

L’acido linoleico (omega—6) è molto abbondante in natura e si trova nei semi di molte piante (tranne che nella noce di cocco, nel cacao e nelle palme); esso è il principale acido grasso polinsaturo di alcuni oli vegetali, tra cui l’olio di mais e di girasole). L’acido alfa- linolenico (omega-3) di origine terrestre è presente in notevole quantità nei cloroplasti delle verdure e nei semi di lino e di soia ed è particolarmente abbondante nel grasso degli animali marini (aringa, sardina, sgombro, salmone), pur essendo anch’essi  di origine vegetale: sono le microalghe, di cui tali pesci si nutrono, le vere produttrici di omega-3. Gli acidi grassi polinsaturi  delle due famiglie dovrebbero essere assunti in un rapporto ideale (omega-3/omega-6 compreso fra 1/5 e 1/10) per evitare che l’eccesso degli uni possa inibire l’utilizzazione degli altri, essendovi una competizione fra di essi per l’attività degli stessi enzimi. Negli ultimi decenni questo rapporto è notevolmente sbilanciato a favore degli omega-6 per diverse ragioni: aumentato consumo di oli vegetali, limitato consumo di pesce, minor presenza di omega-3 nel pesce di allevamento rispetto a quello pescato nei mari, che si nutre di fitoplancton (o microalghe).

Gli acidi grassi essenziali sono precursori degli eicosanoidi (leucotrieni, prostaglandine, trombossani e prostacicline), sostanze importanti per la regolazione della circolazione, per la modulazione dei processi immunitari, allergici e infettivi, e per essere  componenti delle membrane cellulari, in particolre delle cellule nervose.
Sono stati osservati danni nello sviluppo cerebrale e psichico in caso di carenza di acidi grassi polinsaturi essenziali. Il cervello è particolarmente avido di polinsaturi della serie omega-3. E’ stato ipotizzato che proprio un’alimenazione ricca di pesci e molluschi fu determinante per lo sviluppo cerebrale dell’Homo abilis nell’area africana della Rift Valley,  tanto da farne l’Homo sapiens.
In una corretta alimentazione, la quantità di lipidi  da assumere quotidianamente non dovrebbe superare il 30% delle calorie totali (circa 60-70  g) ed essere costituita per un terzo da grassi saturi, un terzo da grassi monoinsaturi e un terzo da  grassi polinsaturi.

L’assunzione del colesterolo, presente negli alimenti di origine animale,  mentre è del tutto assente nei vegetali,  non dovrebbe  superare i 300 mg al giorno: si tratta di una prescrizione non sempre facile da seguirsi, dato che il colesterolo è contenuto in moltissimi alimenti: nelle uova (un solo uovo ne fornisce 250 mg), nel burro, nei formaggi grassi, nelle carni grasse, nelle cervella e nei pesci grassi.
Per la proprietà dell’organismo di trasformare tra di loro le tre diverse classi di nutrienti, se si introducono più calorie di quante ne servano sotto forma di glucidi e di  proteine, questi possono esse trasformati  e depositati come grassi.


IL PARADOSSO ESCHIMESE

Negli anni Settanta aveva suscitato notevole sorpresa e interesse il fatto che gli Inuit, popolazione eschimese della Groenlandia, e gli abitanti dei villaggi costieri del Giappone e dell'Alaska, pur avendo un’alimentazione  costituita da oltre il 60% di grassi, presentavano una  bassa incidenza di malattie cardiovascolari, tanto che si  parlò di  <<paradosso eschimese>>.
In un primo tempo si ipotizzò una qualche protezione genetica, ma questa ipotesi cadde quando si osservò che l'invidiabile prerogativa veniva persa da quei soggetti che, emigrando in altre zone, assumevano abitudini alimentari diverse.

L'attenzione dei ricercatori si spostò, allora, sull’alimentazione di tali popolazioni, caratterizzata da  un elevato consumo di pesce (aringhe, sardine, acciughe, sgombri, tonni, salmoni) e di carni di mammiferi (foche e trichechi), che di tali pesci si nutrono. Fu ipotizzato che i reconditi fattori protettivi di quelle popolazioni fossero gli acidi grassi polinsaturi della serie omega-3, eicosapentaenoico (EPA) e decosaesaenoico (DHA), che in questo modo fecero la loro comparsa sulla scena della Medicina, contenuti in grande quantità nel grasso dei pesci dei mari freddi, assunti  dal  fitoplancton e dal  zooplancton, di cui quei pesci si nutrono.
Il motivo per cui queste sostanze avessero un tale  effetto positivo venne chiarito poco per volta negli  anni successivi, scoprendo sempre nuove prerogative.

Oggi sappiamo che gli omega-3:
- stimolano la sintesi di molecole dotate di attività vasodilatatrice, antinfiammatoria e antiaggregante (leucotrieni e prostacicline) con un effetto finale sull’aggregazione piastrinica simile a quello dell’aspirina;
- entrando nella composizione delle membrane cellulari dei globuli rossi ne aumentano la fluidità, favorendo la circolazione di tali cellule nel microcircolo;
- garantiscono anche la fluidità e la funzionalità della  membrana di cellule  altamente specializzate (retiniche,  dei neuroni, del miocardio), migliorando gli scambi con l’ambiente extra-cellulare;
- riducono  il livello dei trigliceridi in circolo di circa il 30%, un pò meno il livello  del colesterolo e  aumentano il livello del colesterolo-HDL;
- riducono la pressione arteriosa, sia negli ipertesi sia nei non ipertesi, riducendo la sintesi di sostanze vasocostrittrici (prostanoidi, noradrenalina) e aumentando la produzione di ossido nitrico (NO);
- esercitano un effetto protettivo nei confronti delle aritmie cardiache, soprattutto di quelle ventricolari indotte da ischemia, per una maggiore stabilità della membrana plasmatica delle cellule cardiache  nei confronti di stimoli elettrici depolarizzanti.

Ecco alcune spiegazioni del <paradosso eschimese> e il motivo per cui le maggiori società scientifiche cardiologiche incoraggiano un  maggiore consumo di pesce (meglio se di mare e meglio se  <<azzurro>>) da parte di tutti, ma soprattutto di chi presenta già qualche fattore di rischio,  associando l'utile  al dilettevole. Per chi non trova nel pesce motivo di diletto, sono disponibili in farmacia gelatinose, fredde e insapori capsule di fish oil, piene di EPA e di DHA.