Cos’è la sindrome metabolica?

Con il termine di sindrome metabolica si definisce una costellazione di sintomi che non appartengono ad una specifica condizione patologica ma che predispongono piuttosto allo sviluppo di una serie di malattie che colpiscono diversi organi e sistemi.

Si tratta, cioè, di una serie di fattori di rischio di origine metabolica che hanno come esito finale lo sviluppo di eventi patologici importanti quali le malattie cardiovascolari (infarto, ictus, etc.), il diabete di tipo 2, molte malattie infiammatorie ed alcuni tumori. Nelle popolazioni che vivono nei paesi industrializzati la prevalenza della sindrome metabolica è molto alta e costantemente in crescita. 

Illustrazione 1 - Dietologia


Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, essa si attesta in Italia su valori del 28% riguardando circa 17 milioni di persone, le quali sono pertanto a rischio di sviluppare una o più di queste malattie. Ciò significa che si tratta di una problematica in crescita che predispone moltissimi italiani a soffrire di patologie che – anche se sono oggi meno mortali che nel passato – portano in ogni caso a gradi importanti di invalidità fisica e sociale con costante lievitazione di costi sanitari.

 

Come si diagnostica la sindrome metabolica?

I fattori da considerare per la diagnosi sono sia di tipo chimico che di tipo fisico. Tra i parametri chimici si utilizzano i valori della glicemia, dell’insulinemia, della trigliceridemia e della colesterolemia HDL, misurati al mattino a digiuno. Tra i parametri fisici si utilizzano la misurazione della pressione arteriosa e della circonferenza addominale.

Quali valori identificano la condizione?

  • Glicemia > 100 mg./dl,
  • trigliceridi > 150 mg./dl,
  • colesterolo HDL < 40 mg./dl (50 se femmina),
  • circonferenza addominale > 102 cm (88 se femmina),
  • pressione arteriosa > 85-130 mm Hg.

Questi sono i parametri diagnostici che vengono attualmente utilizzati dall’American Heart Association. Una volta che si conoscano i valori di glicemia e insulinemia è possibile inserirli in una formula, detta HOMA (Homeostatic Model Assessment) che permette di valutare il livello di insulino-resistenza.

L’alterazione di questo valore – la cui norma è compresa tra 0,3 e 2,5 – aggiunto al riscontro di anomalie di due o più degli altri valori, permette di diagnosticare una sindrome metabolica.

Si considera, in primo luogo, il valore riferito all’insulino-resistenza in quanto, come si è già detto nel testo, la teoria più accreditata sulla genesi della sindrome metabolica è quella che ne fa risalire l’origine allo sviluppo quest’ultima.

 

Insulino-resistenza e obesità

Abbiamo già visto come l’insulino-resistenza sia conseguenza di un'alimentazione eccessivamente abbondante in carboidrati raffinati a basso indice glicemico e come questa possa essere corretta con semplici modifiche dell’alimentazione.

Non deve dunque stupire il fatto che la diffusione di questa sindrome vada di pari passo con la diffusione dell’obesità, la quale purtroppo aumenta ogni anno nella popolazione italiana riguardando sia i maschi (28%) che le femmine (32%) che i bambini (23%) e, se a questi numeri andiamo a sommare anche gli individui che sono semplicemente in sovrappeso (ma non ancora obesi), queste percentuali di prevalenza lievitano ulteriormente di un quarto.

Né deve stupire che, con l’obesità, lievitino consensualmente anche le percentuali di prevalenza del diabete di tipo 2, che si attestano attualmente intorno al 14%. Continuando a giocare con i numeri, si scopre anche che – statistiche alla mano – circa il 7% dei costi delle cure mediche erogate in Italia sono attualmente attribuibili all’obesità. Se a tutto questo aggiungiamo anche i costi derivanti dalla cura delle malattie cardiovascolari, scopriamo che riuscire a invertire la prevalenza della sindrome metabolica (insegnando agli italiani come alimentarsi in modo più salutare) significa salvare vite umane, risparmiare sofferenza e disabilità a moltissime persone e diminuire sensibilmente i costi di gestione della salute pubblica.

Teniamo presente infine che queste problematiche sono molto più diffuse negli strati più poveri della popolazione e in quelli a più bassa scolarità. Per quanto il livello di scolarità possa non cogliere altre condizioni sociali che possono influenzare il rischio di contrarre malattie – quali ad esempio l’occupazione – tuttavia ci dà un’indicazione di quello che sta accadendo nella popolazione con livello culturale meno elevato.

È oggi necessario ripensare tutta una serie di strategie di prevenzione in grado di ridurre la prevalenza della sindrome metabolica soprattutto nelle famiglie a basso livello socio-economico. Il beneficio che ne può derivare – a breve e a lungo termine – sia nei confronti delle malattie cardiovascolari che delle altre patologie cronico-degenerative potrà influenzare in maniera importante la salute delle nuove generazioni.

 

Bibliografia

  • Palmieri L, Lo Noce C, Vanuzzo D et al. Osservatorio Epidemiologico Cardiovascolare: andamento dei fattori di rischio cardiovascolare. Giornale Italiano di Cardiologia 2010; 11(5, suppl.3): 31-6.