Mobbing

A cura del Dr. Mario Magini
Psicologo Psicologo Clinico, specialista in Psicoterapia GestalticaIndice
Cos'è
Con il termine Mobbing si definisce: “una forma di terrore psicologico sul posto di lavoro, esercitata attraverso comportamenti aggressivi e vessatori ripetuti, da parte di colleghi o superiori” (Ege, 1997). La vittima di questa serie di atti viene, a vario titolo, progressivamente o immediatamente emarginata, calunniata, criticata, affidata a compiti dequalificanti o umilianti. L’obiettivo di queste azioni negative è sempre provocare una esperienza di limitazione e dolore, psicologico o emotivo, inducendola alle dimissioni volontarie o provocandone un motivato licenziamento.
Questo breve articolo, divulgativo ed informativo, ha come scopo quello di fornire elementi circa il fenomeno del mobbing. Riconoscere le azioni mobbizzanti è di estrema importanza nell’ambito lavorativo e sociale ma, allo stesso tempo, risulta centrale avere informazioni dettagliate dell’ambiente lavorativo, del livello operativo e professionale di chi compie tali azioni e di chi a sua volta le subisce, dello scopo per cui sono state messe in atto, la loro durata ed i probabili motivi.
Una ulteriore definizione è di Leymann, secondo cui il mobbing è “un’azione (o una serie di azioni) ripetute per un lungo periodo di tempo, compiuta da uno o più attori (mobber) per danneggiare uno specifico soggetto (il mobbizzato), in modo sistematico e con scopo preciso”. Si tratta in definitiva di una serie di azioni e comunicazioni ostili, aggressive, non etiche, attuate in modo ripetitivo e protratte nel tempo per un periodo di almeno sei mesi. In seguito a questi attacchi la vittima progressivamente precipita verso una condizione di estremo disagio che cronicizzandosi si ripercuote negativamente sul suo equilibrio psico-fisico, sulla qualità del suo sistema di relazioni sia privato che lavorativo.
In questo senso possiamo ulteriormente definire il mobbing come un processo degenerativo delle relazioni interpersonali relativo e conseguente a una visione patologicamente performante e competitiva dei processi lavorativi, produttivi e di conseguimento di un goal specifico in ambito prestazionale. Ancora è possibile dire e specificare in questo senso se consideriamo che, una delle forme più usate ed abusate di mobbing, è la sua forma declinata alla non assunzione di donne con prospettiva di prole o alla ostracizzazione delle stesse in concomitanza con lo stato di gravidanza o di cura congiunta con il partner di un figlio, condizione che possiamo definire come mobbing primitivo o mobbing di genere giustificato dai goal ed achievement aziendali.
Come si attuano i comportamenti di mobbing?
Il mobbing può essere attuato in due modalità:
a) orizzontale, fra colleghi di pari grado, responsabilità e mansioni;
b) verticale, fra colleghi di grado diverso con rispettive differenti responsabilità e mansioni.
Può essere attuato dall’alto al basso e viceversa. Nel primo caso abbiamo una forma di mobbing che viene identificata come bossing ad esempio quando è l’azienda stessa a mettere in atto quelle strategie persecutorie ed umilianti tese a costringere alcuni dipendenti a dimettersi o a richiedere altro incarico. Nel secondo caso, dal basso verso l’alto, abbiamo azioni coalizzate tese ad inficiare il progetto e gli obiettivi stabiliti da una superiore catena di comando, in questo caso è possibile usare l’espressione similare di “ammutinamento focalizzato”.
Le azioni di mobbing, ovvero violenza psicologica e sabotaggio delle responsabilità altrui sul posto di lavoro, possono essere così descritte:
• palesi e violente: effettuate attraverso aggressioni verbali e fisiche, urla, commenti inopportuni alla sfera sessuale e privata;
• indirette e silenti: la vittima viene isolata ed esclusa;
• disciplinari: lettere di richiamo ingiustificato;
• competenza e logistica: la vittima viene trasferita in sedi periferiche, scomode e lontane dagli affetti;
• mansionali: si affidano alla vittima compiti al di sotto delle sue reali competenze e capacità;
• parossistici: si affidano compiti superiori alle sue capacità con la speranza che la vittima sbagli (Menelao et al., 2001).
Chi è il mobber?
La struttura di personalità e le azioni del mobber debbono essere identificate e messe in relazione l’ambiente di lavoro, la cultura condivisa in quell’ambiente specifico e le condizioni lavorative di tipo operativo (qualifiche, mansionario, obiettivi, gerarchia, risultati attesi e portati), in questo senso Harald Ege ed altri ricercatori hanno delineato i 14 più ricorrenti profili di mobbers, qui di seguito descritti associati un termine riassuntivo:
l’istigatore: colui/colei che è sempre alla ricerca di nuove cattiverie e maldicenze volte a colpire gli altri;
il casuale: è colui/colei che diventa mobber per caso, quando trovandosi all’interno di un conflitto prende il sopravvento sull’altro;
il conformista: è un tipo di mobber spettatore, nel senso che è una persona che non prende direttamente parte al conflitto attaccando la vittima, però la sua non reazione equivale ad un’azione favorente il mobbing;
il collerico: è la persona che non riesce a contenere la rabbia e far fronte ai suoi problemi e solo prendendosela con gli altri riesce a scaricare la forte tensione interna; il megalomane: è colui/colei che ha una visione distorta di se stesso considerandosi sempre al di sopra, un senso di Io grandioso che lo autorizza a colpire gli altri ritenuti inferiori;
il frustrato: è l’individuo insoddisfatto della sua vita che scarica il suo malessere sugli altri, alla stregua del collerico;
il sadico: è colui/colei che prova piacere nel distruggere l’altro e che non è disposto a lasciarsi scappare la vittima; questo individuo, identificato da altri come il perverso narcisista, rappresenta il modello più pericoloso in quanto è da considerarsi uno psicotico senza sintomi che rifiuta di prendere in considerazione i suoi conflitti interni e trova il suo equilibrio scaricando il dolore su di un altro;
il criticone: è la persona perennemente insoddisfatta degli altri che crea un clima di insoddisfazione e di tensione;
il leccapiedi: è il classico carrierista, che si comporta da tiranno coi subalterni ed ossequioso coi superiori;
il pusillanime: è colui/colei che ha troppa paura per esporsi e si limita ad aiutare il/la mobber o, se agisce in prima persona, lo fa in maniera subdola, con cattiverie e sparlando della vittima;
il tiranno: è simile al sadico, non sente ragione ed i suoi metodi seguono uno stile dittatoriale;
il terrorizzato: è colui/colei che teme la concorrenza e inizia a fare azioni di mobbing per difendersi;
l’invidioso: è colui/colei che è sempre orientato verso l’esterno e non può accettare l’idea che qualcun altro stia meglio di lui;
il carrierista: è la persona che cerca di farsi una posizione con tutti i mezzi possibili, anche non legali, non puntando invece sulle sue reali capacità.

Cause
Esistono diversi modelli che hanno spiegato e chiarificato il fenomeno del mobbing e le principali motivazioni per cui esso si verifica; questi modelli ci inducono a pensare che non esiste un ambiente tipo, specifico, o una caratteristica di personalità – del mobber o del mobbizzato - che da soli bastino a scatenare questo fenomeno, perché è dalla interpolazione di diversi fattori, elementi della relazione tra le molteplici variabili in gioco che esso si sviluppa e manifesta. Il conflitto a livello personale è il presupposto essenziale alla nascita del mobbing ed a riguardo individuiamo sei ambiti nei quali si può sviluppare il conflitto interpersonale ostracizzante e di conseguenza il mobbing vero e proprio:
1. L’organizzazione del lavoro: una carente organizzazione e distribuzione del lavoro è causa di stress e di tensioni che vengono scaricate su un colpevole.
2. Le mansioni lavorative: se un lavoratore svolge mansioni ripetitive, monotone e sottoqualificate è più probabile il ricorso al mobbing per sfuggire alla monotonia.
3. La direzione del lavoro: una direzione aziendale carente, che non tiene conto delle esigenze dei lavoratori è più facile che favorisca la nascita del mobbing all’interno della sua organizzazione: bisogna fare molta attenzione alla catena di montaggio ed al lavoro a turni che isolano le persone in quanto un ambiente con una carente socializzazione è più a rischio di mobbing.
4. La dinamica sociale del gruppo di lavoro: riguarda le relazioni intercorrenti tra i membri del gruppo di lavoro che possono essere più o meno tranquille a seconda del carico di lavoro che grava sul gruppo: è infatti noto che lavorare ‘sotto-pressione’ porta gli individui a ritrovare l’equilibrio scaricando le tensioni all’esterno.
5. Le teorie sulla personalità: il mobbing è indipendente dal carattere delle persone, non è possibile dare alcun credito alle teorie che vogliono identificare dei gruppi maggiormente a rischio, in quanto sostiene che dipende sempre dalle circostanze e dall’ambiente.
6. La funzione nascosta della psicologia nella società: Leymann ed altri autori muovono una critica contro tutti coloro che identificano le vittime come delle persone con “problemi” o che hanno fragilità caratteriali connaturate. Il mobbing, piuttosto, è una diretta espressione di una patologia dei processi produttivi e decisionali all’interno delle aziende e dei luoghi di lavoro.
Sintomi
Dallo svilupparsi delle continue ricerche sul fenomeno mobbing, l’attenzione si è focalizzata sugli effetti negativi clinici e relazionali che quest’esperienza ha sulle vittime giungendo alla conclusione che l’esposizione al mobbing è stata classificata come “una significante sorgente di stress sociale sul lavoro e come il problema più paralizzante e devastante per i lavoratori rispetto a tutti gli altri stressori correlati al lavoro messi assieme” (Wilson, 1991 in Einarsen e Mikkelsen, 2003).
L’esposizione ed il protrarsi nel tempo di tale molestia, sia essa fisica, morale che psicologica comporta:
- alterazioni dell’equilibrio socio-emotivo (ansia, depressione, ossessioni, attacchi di panico, anestesia emozionale);
- alterazioni dell’equilibrio psicofisico (cefalea, vertigini, disturbi gastrointestinali, ipertensione arteriosa, dermatosi, mal di schiena, disturbi del sonno e della sessualità);
- disturbi a livello comportamentale (modificazioni del comportamento alimentare, reazioni autoaggressive ed eteroaggressive, passività).
I soggetti mobbizzati possono, inoltre:
- diventare reattivamente solitari e taciturni;
- perdere interesse verso la propria famiglia e il circolo di amicizie;
- possono ricorrere all’alcool, all’uso di sostanze o ad un uso non pertinente di psicofarmaci.
Sulla base di osservazioni cliniche in terapia individuale, di gruppo e con l’ausilio di interviste strutturate, nel 1976 Brodsky identificò tre pattern generali di reazione:
a) alcune vittime svilupparono sintomi fisici vaghi come debolezza, perdita di forza, fatica cronica, dolori e vari mali.
b) altri reagirono con depressione e sintomi correlati come impotenza, perdita di autostima e insonnia.
c) altri riportarono vari sintomi psicologici come ostilità, ipersensibilità, perdita di memoria, vittimizzazione, timidezza e ritiro sociale.
Altri studi sul mobbing suggeriscono due varianti nodali:
- la prima è che le donne possono essere percentualmente più colpite rispetto agli uomini in quanto il sistema sociale vigente, dentro e fuori l’azienda, è eminentemente maschile e maschilista.
- la seconda, sulla base di una vasta analisi dei sintomi riportata dai soggetti osservati, è che i disturbi di cui generalmente soffrono i lavoratori-vittime possono rientrare nella categoria dei disturbi post-traumatici da stress (PTSD).
Inoltre, vi è da notare che a causa del forte bisogno delle vittime di cercare supporto in questa loro situazione, diviene difficile per i colleghi non rimanere coinvolti o neutrali in casi come questi; gli effetti del mobbing si ripercuotono, perciò, sull’intero gruppo di lavoro sotto molteplici e differenti aspetti:
- deterioramento del clima aziendale;
- influenza nei livelli di produttività e della prestazione lavorativa, sia in gruppo che di gruppo;
- abbassamento degli standard di efficacia ed efficienza.
Cure e Trattamenti
Ad oggi gli orientamenti di intervento per il mobbing sono concentrati su quella che è l’elaborazione dei sentimenti negativi provocati da esso (De Falco) nonché alla gestione dell’autostima impattata dalle conseguenze tangibili di atteggiamenti mobbing-oriented. In tale senso due sono gli approcci valutati come efficaci:
- Approccio terapeutico di tipo Gestaltico espressivo;
- Terapia cognitivo comportamentale orientata alla comprensione e desensibilizzazione;
ambedue gli approcci mirano alla gestione delle emozioni interne, alla elaborazione della rabbia e della depressione reattiva concomitante. Gli incontri previsti possono essere strutturati in due modalità, se necessario, ovvero in individuale o in gruppo. In individuale il lavoro è sugli aspetti meta cognitivi ed emozionali del soggetto; in gruppo è possibile strutturare una realtà auto-centrata di accoglienza, ascolto, condivisione e sostegno alle difficoltà sia personali che relazionali col team di lavoro.
Sul versante invece del contesto lavorativo e delle risorse sociali direttamente correlate sarebbe utile cercare alleati. Se si decide di ricorrere alle vie legali non bisogna essere impazienti, la durata di una causa di lavoro è solitamente incredibilmente lunga e anche in caso di vittoria in primo grado, ci si deve aspettare un ricorso in appello da parte dell’azienda; quindi si può calcolare da un minimo di quattro anni fino ad otto-dieci anni. Nella scelta tra procedimento penale e/o civile (causa di lavoro, risarcimento del danno biologico), è meglio preferire dapprima il procedimento civile. Ci si rivolga, in questo caso, ad avvocati o associazioni che già hanno specificatamente maturato una esperienza in questo campo chiarendo con i legali gli obiettivi che si intendono raggiungere (danno biologico, demansionamento, reintegra nel posto di lavoro, patteggiamento, risarcimento dei danni, ecc.). Sul versante della vita privata, intaccata indubbiamente dal fenomeno mobbing, fondamentale non isolarsi, ma coltivare le relazioni sociali, frequentare gli amici, ampliare le amicizie, coltivare interessi vecchi e nuovi, rinsaldare i rapporti familiari. Inoltre scrivere e dialogare a riguardo ha dei grandi effetti terapeutici poiché rende i conflitti visibili a tutti. Si deve spiegare ai propri familiari cos’è il mobbing e quello che si sta subendo, non vergognandosi della propria situazione. Ma non si deve passare all’estremo opposto, parlando incessantemente del proprio problema e focalizzando l’attenzione unicamente sul proprio dramma. Si realizzerebbe così il fenomeno del “doppio mobbing”.
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A cura del Dr. Mario Magini
Psicologo Psicologo Clinico, specialista in Psicoterapia Gestaltica Creato il: 15/10/2019 Ultimo aggiornamento: 19/12/2019Articoli correlati
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