Liberi dal dolore  per una migliore qualità della vita”. In questo titolo è racchiuso e ben espresso

il concetto dell’enorme difficoltà e della grande fatica che segna tutti coloro i quali, in maniera diretta e non, con il dolore hanno a che fare e sono spesso costretti a viverlo inutilmente, in silenzio, a subirlo in nome e per conto di una ben non identificata e chiarita Dignità che li vuole eroi per forza e a tutti i costi in contesti sociali dove sofferenza, paura e debolezza tendono, in qualche modo, ad essere rimosse, dimenticate, non viste né ascoltate.

“Divinum sedare dolorem”. L’essenza dell’atto medico si è primitivamente incentrato su un sintomo che è la massima espressione psico-fisica della malattia. Esso può assumere tutti i toni e le sfumature del caso, dai più accesi ai più tenui con variabilissime modalità di espressione, intensità, frequenza nel tempo, ma è  e rimane pur sempre un sintomo dal quale bisogna risalire alla causa che lo determina per applicare un trattamento che ne permetta un efficace controllo La difficoltà diagnostica è cresciuta dal fatto che il sintomo non è valutabile e rilevabile con dati obiettivi ma è soggettivo e cioè espressione della valutazione  che quell’individuo ,in quel momento e in quel contesto, è capace di esprimere. Spesso è solo l’esame dei comportamenti del paziente che permette al medico di effettuare, in modo indiretto, una valutazione di esso. La sensazione dolore non è solo espressione di un processo anatomico di trasmissione di un impulso nocivo dalla periferia al centro ma subisce una percezione e cioè una elaborazione o modulazione prima di essere integrato a livello corticale e divenire emozione con tutti i toni relativi alla personalità, esperienza, cultura del soggetto. E’ comprensibile, quindi, come l’indagine diagnostica debba essere condotta a 360° in quanto il dolore può essere espressione di un grave ed evidente danno di organi e tessuti fino a manifestarsi in completa assenza di lesione del soma, cioè del corpo, ed essere quindi totalmente  generato dalla mente (psicogeno) in quanto, timori, preoccupazioni, contrasti, ansie e depressione, possono “convertirsi” in dolori e “somatizzarsi” in varie zone del corpo (crampi muscolari, spasmi addominali, cefalee e dolori al collo ed al rachide ecc.). Il dolore è uno dei sintomi di allarme fra i più frequenti della patologia umana; tuttavia nella cronicizzazione esso perdura anche senza una causa perdendo “l’utilità” della fase acuta: il segnale di malfunzionamento dell’organismo diviene afinalistico e quindi il sintomo di malattia diventa esso stesso “la malattia”.

Attualmente in Italia una persona su quattro soffre di dolore cronico-dolore malattia:stiamo parlando di circa 15 milioni di persone solo nel nostro paese.

Questi pazienti sono spesso costretti ad una sorta di pellegrinaggio da un ambulatorio all’altro alla ricerca di un medico che abbia le competenze per trattare la patologia dolorosa divenuta una vera e propria malattia a se stante. Il paziente si può considerare statisticamente fortunato se entra in contatto con un medico che sia perlomeno a conoscenza dell’esistenza di percorsi diagnostici e di terapie specificatamente mirate al dolore o che sappia indirizzare verso un collega esperto in Medicina del Dolore. Fa ancora fatica in Italia ad essere pienamente riconosciuta e a conquistarsi un posto di prim’ordine in campo medico e scientifico, la moderna algologia. Essa è attualmente da considerare una specializzazione medica che include le fasi della procedura clinica comune alle altre discipline, vale a dire la diagnosi, la decisione terapeutica e l’esecuzione della terapia. Il compito primario dell’algologo non è quindi soltanto di eseguire “la terapia del dolore” ma anche di “porre la diagnosi patogenetica del dolore” e “scegliere la cura” e solo quando il dolore non può essere controllato agendo sulla causa, viene curato sintomatologicamente e cioè in modo palliativo. Nonostante il diffondersi e lo svilupparsi di una nuova cultura della salute, tesa a curare il malato più che la malattia e malgrado l’istituzione nel 2002 della Giornata del Sollievo, momento ed occasione di riflessione generale su un problema complesso, non privo di sfaccettature morali, etiche e religiose, la spinosa ed annosa questione che coinvolge operatori sanitari, malati e famiglie con un’incidenza economica e sociale di un certo rilievo, è da sempre sottostimata e non adeguatamente trattata in molti suoi aspetti, come quello della formazione professionale, per certi versi ancora carente ed insufficiente, o l’istituzione di centri e strutture specifici, a dire il vero tuttora scarsi e poco conosciuti. Inoltre la ricerca di base è quasi completamente assente come è carente il ruolo delle Università nella formazione e nella ricerca algologiche.

Diventa importante allora portare il “malato di dolore” ad una sua dignità clinica. Recentemente,nel nostro paese, è stata approvata una specifica legge dello Stato (legge n.38 del 15 marzo 2010) che “ tutela il diritto del cittadino ad accedere alle cure palliative ed alla terapia del dolore “(art.1) e che definisce la terapia del dolore: “l’insieme degli interventi diagnostici e terapeutici volti a individuare e applicare alle forme morbose croniche idonee e appropriate terapie farmacologiche, chirurgiche, strumentali, psicologiche e riabilitative, tra loro variamente integrate, allo scopo di elaborare idonei percorsi diagnostico-terapeutici per la soppressione ed il controllo del dolore “(art. 2). Inoltre viene scritto che “ le cure palliative e la terapia del dolore costituiscono obiettivi prioritari del Piano sanitario nazionale “(art. 3) e che “devono essere riportate le caratteristiche del dolore rilevato e della sua evoluzione nel corso del ricovero, nonché la tecnica antalgica e i farmaci utilizzati, i relativi dosaggi e il risultato antalgico conseguito” (art.7). Pertanto ciò che prima era solo una raccomandazione è ora un obbligo vero e proprio a occuparsi del dolore come principale sintomo vitale. Diventa pertanto indispensabile individuare “le figure professionali con specifiche competenze ed esperienza nel campo….della terapia del dolore”(art.5) ed attivare centri di Medicina del Dolore che siano in grado di porre una diagnosi specifica e di individuare il dolore “inutile ed evitabile”. Il paziente ha diritto al riconoscimento del proprio dolore, quindi ad essere creduto ed a ricevere ascolto e comprensione; ad essere informato sulle terapie e sugli interventi di controllo del dolore, superando non solo l’inadeguatezza delle strutture sanitarie ma soprattutto i pregiudizi culturali presenti anche nella classe medica e legati spesso ad una carenza di aggironamento professionale specifico. Una nuova cultura di salute deve mettere finalmente in discussione la credenza che il dolore va sopportato. Anche i pazienti con dolore persistente e cronico possono e devono avere una prospettiva di guarigione con reinserimento nella società e nel mondo del lavoro: concetti questi troppo spesso inspiegabilmente dimenticati per la sottovalutazione della subdola capacità  del dolore cronico di sconvolgere la vita delle persone.

Combattere il dolore deve essere considerato un dovere e non un privilegio.