G. SERAFINI* - A.F. SABATO
II Università degli Studi di Roma "Tor Vergata" *Scuola di Specializzazione in Anestesia e Rianimazione (Dir. Prof. G. Leonardis) Cattedra di Anestesia Generale e Speciale Odontostomatologica
 

Introduzione

Il mosaico del dolore si arricchisce, di anno in anno, di nuove tessere, che, invece di un'immagine più precisa, ne ampliano continuamente il profilo e quindi i confini.

Da semplice segnale neurofisiologico si è andati, via via, individuando un "modello nocicettivo" espressione di un complesso fenomeno neuropsicofisiologico. Tale complessità ha messo sul tappeto, in modo per lo più caotico, un insieme di problemi che attendono risposta e che, comunque, già da ora impongono di parlare di algologia più che di terapia del dolore.

Illustrazione 1 - Medicina del Dolore

 

Che cos’è, in medicina, il dolore?

I progressi compiuti dagli studi sulla natura del dolore hanno condotto all'individuazione dell'esperienza dolorosa come esperienza di natura multidimensionale, in cui, accanto ad una dimensione "somato dinamica" con le sue modulazioni (periferica, segmentaria, sopra-segmentaria), svolgono un ruolo cruciale, nel determinare il profilo che il dolore assume all'interno del paziente, fattori strutturali, affettivi e motivazionali, costituenti la dimensione "psicodinamica" del fenomeno doloroso.

Questa natura multidimensionale da una parte amplia enormemente l'intero ambito delle situazioni e dei meccanismi che potrebbero causare o perpetuare il dolore in un dato paziente, dall'altra lo rendono sempre più un campo specifico in cui l'intero fenomeno, nel suo complesso, è qualcosa di più e di diverso della somma delle sue parti. Se ad una prima deduzione, infatti, sembrerebbe indispensabile un approccio interdisciplinare, configurando l'esperienza dolorosa come un puzzle al completamento del quale ogni specialista, attraverso le proprie metodologie di valutazione, aggiunge la propria tessera di diagnosi e terapia, all'analisi clinica questa configurazione si rivela più che un puzzle, una frammentazione diagnostica e terapeutica da cui il paziente non trae alcun beneficio ed il fenomeno dolore rimane nel suo mistero. 

Nel rispetto, quindi, delle specifiche conoscenze e competenze di ogni settore specialistico, la valutazione del fenomeno nella sua globalità non può che, come anche Bonica sostiene, essere affidata al medico specialista algologo, che sappia impostare e descrivere un piano generale di valutazione (metodologia algologica) da cui trarre indirizzi di trattamento del paziente con programmi multimodali e multidisciplinari di terapia del dolore ( strategia terapeutica).
 

Che cos’è la clinica algologica?

E' evidente, a questo punto, che si profili la necessità, in campo algologico, di definire un ambito clinico proprio, che abbia come metodologia generale la pianificazione di un procedimento che consenta di gestire il paziente algico programmando uno sviluppo a 4 fasi:

  • analisi clinica (anamnesi, es. obiettivo, tests di valutazione del dolore, tests diagnostici);
  • identificazione diagnostica (anche nella sua espressione differenziale);
  • strategia terapeutica;
  • revisione valutativa del quadro clinico avendo come obiettivo fondamentale quello di fornire al paziente la migliore soluzione analgesica possibile, in accordo con un buon giudizio clinico e psicodinamico.

Non sempre l'obiettivo primario deve essere riferito all'analgesia completa, vuoi perchè, in alcuni casi, il paziente può essere improvvisamente disancorato da una struttura circolare di equilibrio, in cui il dolore trovava una sua funzione stabilizzante, vuoi perchè, in altri casi, viene perso il significato diagnostico e prognostico del sintomo, vuoi perchè, in altri casi ancora, l'unica possibilità sembra relegata al raggiungimento di obiettivi parziali. Non si può e non si deve prescindere dalla necessità di mettere in atto un procedimento che sappia tener conto delle diverse realtà che impongono scelte e gestioni diverse; va sottolineato, cioè, che la necessità è quella di elaborare una strategia terapeutica adeguata rispetto ai problemi che deve affrontare e non può, quindi:

  • non differenziarsi in interventi di tipo multimodale (attuazione di più tecniche all'interno di una stessa competenza) e/o multidisciplinare (integrazione coordinata di interventi diagnostici e/o terapeutici appartenenti a più competenze); 
  • proporsi nell'ottica della minor invasività possibile, della partecipazione del paziente alla terapia, del miglioramento della qualità di vita, del controllo dei disturbi collaterali invalidanti. 

Il ricorso ad una strategia terapeutica sottintende, inoltre, una scala di priorità nell'impiego dei mezzi antalgici, e un uso sequenziale preciso delle procedure terapeutiche, che sappiano adattarsi alle specifiche esigenze del singolo paziente, e in cui siano privilegiate, almeno inizialmente, terapie non invasive, farmacologiche e non farmacologiche (Tab. II).

 

Cos'è il dolore toracico?

L'interessamento doloroso del torace è un'evenienza comune ad uno svariato numero di patologie (Tab. I), che occasionalmente può creare seri problemi di diagnosi differenziale. Il più delle volte, comunque, ponendo in atto una corretta metodologia algologica, il rilievo diagnostico diventa relativamente semplice.

In ogni caso è bene tenere sempre a mente che l'approccio diagnostico varia a seconda delle circostanze cliniche. Quadri acuti richiedono un'analisi rapida ed orientata ad escludere o confermare severe patologie dell'apparato cardiorespiratorio quali l'infarto, l'embolia polmonare, l'aneurisma dissecante dell'aorta, avendo cura, in talune circostanze di particolare gravità, di porre in essere un'immediato trattamento supportivo (pervietà delle vie aeree, ossigenazione, supporto cardiaco e pressorio) al di là di ogni formulazione diagnostica.

Illustrazione 2 - Medicina del Dolore

Nè la localizzazione nè la qualità del dolore sono in grado di fornire con certezza dati circa l'origine e la natura del processo algogeno. Queste informazioni possono essere ottenute solo:

  • attraverso un'analisi algologica completa che esamini la modalità d'esordio del dolore, la sede, l'eventuale irradiazione o l'area di riferimento, la qualità e l'intensità, le caratteristiche temporali della sintomatologia dolorosa (in particolare la curva tempo-intensità, l'eventuale relazione con i pasti e con le posture);
  • attraverso un’indagine accurata circa l'effetto che hanno sul quadro doloroso gli sforzi fisici e psichici, la tosse, la respirazione superficiale e forzata, la deglutizione, la minzione e il ponzamento, i movimenti del tronco, degli arti e del collo, la deambulazione;
  • determinando se vi sono circostanze o fattori che riproducono, peggiorano, migliorano o non hanno alcun effetto sulla sintomatologia dolorosa;
  • evidenziando ogni segno, sintomo o condizione associata alla patologia dolorosa quale febbre, dispnea, tachicardia, tosse, espettorato, emottisi, nausea, vomito, disfagia o odinofagia (dolore alla deglutizione), pallore, sudorazione, immobilizzazione, assunzione di farmaci, ecc.

Come si classifica il dolore al torace?

Un aiuto all'inquadramento diagnostico può venire dall'utilizzazione della classificazione, suggerita da Bonica, Levene e coll. e da noi modificata, che raggruppa il dolore toracico in 4 categorie:

  • dolore viscerale centrale di prevalente origine intratoracica;
  • dolore parietale laterale di origine pleurica, muscoloscheletrica o neurologica;
  • dolore riferito Σ "afferente" a strutture extratoraciche;
  • dolore di origine psicologica.


Che cos’è il dolore toracico viscerale?

In questo caso l'aggettivazione "centrale" va riferito non, come comunemente parlando in tema di dolore, al sistema nervoso, ma alla sede di espressività della sintomatologia algica che è, appunto nelle patologie che andremo descrivendo, la zona centrale della gabbia toracica. 

Ad essa possono far riferimento, con quadri clinici dolorosi, patologie dell'esofago, del miocardio, della trachea e dei bronchi, del pericardio, delle arterie polmonari e dell'aorta, del mediastino, in ordine decrescente di frequenza. C'è da sottolineare, inoltre, che una sintomatologia dolorosa localizzata in regione sternale può facilmente essere causata da fratture sternali, condrite, distrazione muscolare o sindrome dolorosa miofasciale, motivo per cui preferiamo includere tra parentesi il termine viscerale. Elementi di diagnosi differenziale, in patologie il più delle volte a prognosi severa, possono e devono essere rintracciati già nella prima raccolta anamnestica.

Un esordio drammatico e fulmineo deve sempre dare un primo orientamento verso l'aneurisma dissecante o la rottura dell'esofago, specie se il dolore ha un' irradiazione dorsale, o l'embolia polmonare massiva. Nel caso di un interessamento esofageo va posta diagnosi differenziale con lo spasmo dell'esofago e con l'esofagite da reflusso, situazioni cliniche entrambe ad esordio meno drastico, con insorgenza tipica postprandiale (l'attenzione, in questo caso, va rivolta anche ad una ischemia del miocardio) ma non precedute da vomito (sintomo che orienta decisamente verso la rottura), semmai da pirosi. 
 

Perché ho dolore al torace dopo lo sforzo fisico?

L'irradiazione  alle mandibole e/o all'arto sup. di un dolore insorto dopo uno sforzo fisico o uno stress psichico particolarmente intenso ci inducono ad ipotizzare un'origine nel miocardio, anche se non va dimenticato che il sovraccarico può causare patologie muscolari (mm. pettorali) e articolari (art. sterno-clavicolare, sterno-condrali) in grado di simulare un 'ischemia miocardica. A questo proposito va sottolineata la sindrome di Tietze, condrite costale di solito unilaterale, a carico della 2° e 3° cartilagine costale, che laddove si manifesti con un dolore severo può far pensare ad un infarto miocardico. Ma la presenza caratteristica di una tumefazione non suppurativa vicino all'articolazione sterno-clavicolare, la viva dolorabilità dei punti costo-condrali, e la giovane età (quasi sempre sotto i 40 anni) orientano decisamente la diagnosi. 
 

Perché ho dolore al torace quando respiro?

In questa differenziazione può venirci in aiuto l'effetto sull'intensità dolorosa che hanno la respirazione profonda, i colpi di tosse, gli starnuti, ridere, situazioni tutte che aggravano una sintomatologia di origine pleurica o muscoloscheletrica (infrazione o frattura costale, sternale, vertebrale, distrazione o strappo muscolare), mentre un peggioramento dovuto a posture in flessione del tronco, soprattutto se accompagnato a dispnea, rivelano un'origine pericardica della sintomatologia.

Nel sospetto di un interessamento del miocardio è utile anche l'uso dei nitroderivati, efficaci nell' abolire un dolore anginoso, nel ridurre quello da angina instabile o da spasmo esofageo, ma incapaci di avere alcun effetto sull'infarto miocardico.

La presenza di dispnea può essere significativa di insufficienza sinistra da infarto miocardico o destra da embolia polmonare massiva, specie in un paziente immobilizzato o proveniente da una recente immobilizzazione post chirurgica o in trattamento con contraccettivi.

E' evidente, poi, che il completamento dell'analisi clinica con i reperti dell'esame obiettivo e dei risultati di laboratorio e strumentali fornirà ulteriori elementi diagnosticamente utili.
 

Che cos’è il dolore toracico parietale?

Essendo gli alveoli polmonari e la pleura viscerale insensibili a stimoli algogeni, le cause principali di questo tipo di dolore sono affezioni con interessamento della pleura parietale (non di quella diaframmatica o mediastinica responsabili per lo più di dolori riferiti efferenti, come vedremo più avanti), patologie di natura muscolo-scheletrica parietale e vertebrale toracica, o di origine neurologica.

Generalmente il dolore non è diffuso, ma localizzato, facendo attenzione, come già ricordato, a non esasperare l'utilità diagnostica della localizzazione. Anche per questo gruppo di dolori vale la raccomandazione di dare metodo alla propria indagine clinica attravero un'analisi algologica completa.

Quali sono le cause?

Un esordio brusco di dolore laterale suggerisce, in ordine decrescente di frequenza, una distrazione muscolare, una frattura costale, l'embolia polmonare, o uno pneumotorace. Una distribuzione segmentale del dolore deve far pensare ad una neuropatia (herpes zoster acuto se con presenza di vescicole, o post-erpetico se successivo ad un episodio acuto), a un dolore riferito di I tipo (sia somatico che viscerale), o ad un interessamento pleurico parietale. Per inciso va sottolineato che un dolore toracico laterale di origine pleurica può essere dovuto anche:

  • ad una patologia ad esclusiva localizzazione pleurica;
  • ad un interessamento pleurico secondario (embolia polmonare, pneumotorace spontaneo, processo broncopneumonico, atelettasia massiva, neoplasie, ecc.)

Laddove il peggioramento del dolore con gli atti della respirazione profonda ci orienta per un processo pleuritico o muscoloscheletrico, la sua scomparsa con l'immobilizzazione depone per una frattura costale o una distrazione muscolare. In quest'ambito è utile ricordare che i dolori costo-condrali sono presenti a riposo, specie la notte, e non vengono esacerbati dai movimenti toracici. A volte, inoltre, possono dar luogo a dolori riferiti segmentali tali da simulare una neuropatia, o un dolore riferito di I tipo da patologie intratoraciche o intra addominali.

Va sottolineato, inoltre, che le costo- condriti sono la causa più comune di dolore toracico nei bambini (dolore toracico che, è bene ricordare, si situa al 3° posto per frequenza, dopo cefalea e dolore addominale, come causa di dolore pediatrico). Spesso insorge dopo un episodio infettivo delle vie respiratorie superiori, può irradiarsi dorsalmente e durare da pochi giorni a molti mesi; caratteristicamente può essere riprodotto dalla palpazione dell'area dolente o dalla mobilizzazione del braccio o della spalla. A latere c'è da aggiungere che se l'aumento dell'intensità dolorosa con gli atti respiratori è notevole, può essere causa di ipoventilazione alveolare, dovuta alla tachipnea conseguente alla necessità di mantenere un basso volume corrente.

E' estremamente utile, poi, per dare un significato diagnostico al quadro doloroso la raccolta di ogni indizio concomitante o immediatamente precedente l'insorgenza del dolore. Così:

  • se un dolore grave e persistente si verifica a poca distanza da un intervento chirurgico e si accompagna ad ipossiemia arteriosa e tachipnea, è probabile che sia legato allo svilupparsi di un'embolia polmonare;
  • se preceduto dai sintomi di un quadro influenzale o da una generica cenestopatia, in presenza di uno stato febbrile, anche discreto, il pensiero e la diagnosi vanno rivolti all'esistenza di un processo infettivo broncopneumonico in atto, con probabile interessamento pleurico reattivo. 

 

Sindrome toracica: cos'è?

Crediamo sia utile ricordare, in questo ambito, la cosiddetta "sindrome toracica" che si verifica nel corso delle crisi vaso-occlusive dell'anemia falciforme, caratterizzata da dolore acuto delle strutture ossee vertebro-toraciche, spesso a impronta pleurica, con la frequente associazione di tachicardia e dispnea o iperventilazione e, meno frequentemente, di tosse non produttiva. 

L'eziopatogenesi è discussa, ma un esordio acuto o la presenza di emottisi fanno propendere per un infarto polmonare

Non va dimenticato, inoltre, il dolore cronico (che perdura, cioè, oltre il normale corso di un dolore postoperatorio) che può far seguito ad una toracotomia, anche a seguito di interventi di escissione chirurgica o chimica, a scopo antalgico, di nervi intercostali.

 Il dolore può essere:

  • di tipo neuropatico: con iperalgesia/allodinia (dolore acuto) dovuta ad intrappolamento di fibre nervose nel tessuto cicatriziale o alla formazione di un neurinoma, o, soprattutto nei pazienti affetti da tumore polmonare o della mammella, a recidiva cancerosa che si configura nella cosiddetta sindrome costo-pleurica (in questo caso con prevalente coinvolgimento di nervi intercostali), a metastasi vertebrali, o a compressione metastatica epidurale del midollo spinale; 
  • di tipo tissutale profondo o (somatico/viscerale), con una notevole partecipazione affettiva, contratture, spasmi o vere e proprie crisi cloniche o dolore acuto, urente o pulsante, spesso ben localizzato e riferito, dovuto ad un quadro mialgico da ipersensibilità da denervazione per escissione nervosa, all'attivazione di punti triggers con sindrome dolorosa miofasciale, o allo svilupparsi di una sindrome costo-pleurica metastatica ( a prevalente interessamento coste/tessuti molli,pleura). 

Analogamente post-chirurgico, ma non di tipo postoperatorio, è il dolore che si produce nella sindrome dolorosa post mastectomia. Dolore tipicamente neuropatico

  • può far seguito ad una qualunque procedura chirurgica sulla mammella, anche se è più frequente dopo una mastectomia radicale
  • si localizza sulla parete toracica anteriore, ascella e parte mediale e posteriore del braccio ipsilaterale;
  • è dovuto alla lesione del nervo intercostesbrachiale, branca cutanea laterale del 2° nervo intercostale. 

In entrambe queste sindromi post-chirurgiche ( post-toracotomia e post mastectomia), alcuni pazienti possono sviluppare una distrofia simpatico riflessa a carico dell'arto superiore interessato, oppure, laddove l'intervento terapeutico è insufficiente, andare incontro al quadro della "spalla gelata".

Anche in questo tipo di dolori l'esame va completato con gli indispensabili accertamenti obiettivi, di laboratorio e strumentali, che, il più delle volte, dirimeranno ogni eventuale dubbio diagnostico.

 

Dolore toracico riferito: cos'è?

Va distinto in dolore riferito afferente ed efferente a seconda che la struttura toracica sia sede di espressione o sede di origine del dolore.

Quali sono le cause del dolore toracico riferito afferente?

  1. Patologia del tratto vertebrale cervicale: da patologia del tratto vertebrale cervicale, una compressione delle radici degli ultimi nervi cervicali, soprattutto da erniazione discale, può scaturire in un vivo dolore, oltre che nel proprio territorio, nella regione pettorale. La lesione di C8 in particolare, se localizzata a sinistra, può simulare perfettamente un quadro di ischemia miocardica, con dolore centro-toracico e riferimento al lato ulnare dell'arto sup. sinistro. In tutti i casi, la presenza di dolori al collo e agli arti aggravati dalla flessione ipsilaterale del collo, dalla compressione del capo (Spurling test), dalla tosse, dagli starnuti e dallo sforzo muscolare, i segni di deficit sensoriali e motori, l'alterazione dei riflessi a carico degli arti interessati, aiutano a recuperare una diagnosi corretta;
  2. Patologia dell’apertura toracica superiore: da patologia dell'apertura toracica superiore, o da varie sindromi dell'inlet toracico (sindrome dello scaleno anteriore, costa cervicale, anomalia della 1^ costa toracica, anomalie costoclavicolari) così come dalla sindrome di Pancoast possono causare un dolore della regione supero-anteriore del torace ( nel Pancoast più spesso a livello scapolare), ma la sintomatologia algica più importante è sempre a carico della spalla e dell'arto, è di tipo francamente neuropatico ed è dovuto al vario interessamento del plesso brachiale. L'osservazione che il dolore è insensibile agli sforzi ma è aggravato dall'iper-abduzione del braccio con segni di compressione vascolare orienteranno per una delle sindromi dell'inlet toracico; la presenza, invece, dei segni di Horner, di una localizzazione del dolore nella parte ulnare dell'avambraccio e della mano, oltre che scapolare, faranno pensare piuttosto ad una sindrome di Pancoast;
  3. patologia addominale: in queste patologie l'interessamento algico del torace è, per lo più, di tipo irradiato piuttosto che riferito: la sintomatologia dolorosa, cioè, si estende per continuità e contiguità dalla sede di origine ( che può essere in questo modo identificata) all'area toracica attigua. Così nelle sindromi meteoriche (da cosiddetto intrappolamento gassoso) il dolore si estende facilmente dall'area interessata ( stomaco, flessura epatica o splenica) alle zone inferiori del torace anterolaterale, con riferimento, talvolta (distensione gastrica o della sindrome della flessura splenica), alla spalla sinistra. Il quadro clinico addominale e le evidenze radiografiche completano e definiscono le conclusioni diagnostiche; 
  4. Patologie del tratto biliare: problemi diagnostici possono darne, invece, le patologie del tratto biliare, in grado di simulare un ischemia del miocardio sia dal punto di vista clinico (precordialgia) che ECGco (con alterazioni dell'onda T), specie in pazienti con preesistente patologia coronarica. Stessa ambiguità, e stesso possibile errore diagnostico, può essere prodotto dai quadri di pancreatite acuta la cui unica espressione sintomatologica è data dal dolore toracico. Aiuta, diagnosticamente ( purtroppo non prognosticamente!), la frequente irradiazione dorsale del dolore (presente spesso anche nell'interessamento biliare), l'osservazione che migliora con la postura in flessione anteriore del tronco, e l'associazione, per irritazione diaframmatica, di un dolore costale di tipo pleuritico. Quest'ultimo, sempre per interessamento diaframmatico, può essere l'espressione sintomatologica di un ascesso subfrenico, di un processo distensivo o infiammatorio del fegato o della milza; ad esso facilmente si associa, per motivi che vedremo più avanti, un dolore alla spalla, o in regione scapolare, ipsilaterale; 
  5. Processi ulcerosi: meno frequente è l'interessamento algico del torace per processi ulcerosi peptici: solo nel caso di una localizzazione cardiale (evento abbastanza infrequente) di un'ulcera gastrica ci può essere il coinvolgimento sintomatologico dell'area retrosternale bassa.
     

Dove si localizza il dolore toracico efferente?

1. Alla regione addominale 

Varie patologie viscerali intratoraciche ( infarto miocardico, pericardite, embolia polmonare, processi broncopneumonici, pleuriti) possono dar luogo a manifestazioni dolorose a carico delle regioni addominali superiori ( epigastrio, ipocondri). L'intermediazione patogenetica, il più delle volte, è data dall'interessamento pleuritico parietale o dall'irritazione della parte muscolare del diaframma. A questo proposito vale la pena di sottolineare l'importanza del segmento spinale nel determinare la zona a cui viene riferito il dolore profondo, somatico o viscerale. Di tale importanza il diaframma e la pleura costituiscono uno degli esempi più significativi. La regione centrale del diaframma, così come la pleura diaframmatica e mediastinica, sono innervati dal terzo e quarto segmento spinale cervicale  attraverso il nervo frenico. Gli stessi segmenti spinali (C3-C4) innervano la cute e i muscoli del collo e della spalla. Così un interessamento patologico irritativo e/o meccanico del diaframma centrale, della pleura diaframmatica o mediastinica, provoca un dolore che non viene percepito (solo) nella reale sede centro-toracica o toraco-lombare, ma nelle regioni del collo e della spalla corrispondenti agli stessi segmenti spinali. Al contrario, quando ad essere interessata è la parte muscolare periferica del diaframma, o la pleura parietale, il dolore viene percepito localmente in corrispondenza del territorio  dei nervi intercostali da cui sono innervati.

2. Al collo e al cingolo scapolare 

Alla luce di quanto detto sopra, è facile comprendere come patologie di varia natura, più spesso di tipo infiammatorio o neoplastico, che vanno ad interessare la pleura diaframmatica o mediastinica,  esitano in quadri dolorosi coinvolgenti la spalla, il collo e /o il bordo superiore del trapezio, come risultato di impulsi nocicettivi trasmessi dal n. frenico. 

Diagnosticamente, la presenza solo di questo dolore riferito, specie nelle fasi iniziali di una patologia, può creare seri problemi e terapie mal indirizzate. Devono suscitare sospetti (benedetti) la particolare resistenza di questi dolori finti-cervicobrachialgia a qualunque trattamento, la recrudescenza notturna, l'eventuale accentuazione con gli atti respiratori profondi, la presenza di sintomi associati ( soprattutto la tosse), che obbligano ad approfondimenti clinici e strumentali.
 

Dolore toracico psicogeno

La cassa toracica, e in particolare l'area precordiale e la regione apicale cardiaca, costituiscono uno dei target preferenziali (insieme con testa e apparato gastrointestinale) di focalizzazione dei tratti di instabilità psichica. 

Illustrazione 3 - Medicina del Dolore

Quali sono le cause del dolore psicogeno?

Ansia, depressione, ipocondria, meccanismi operanti, disturbi di somatizzazione e conversione isterica, possono tutti dar luogo a dolori toracici, il più delle volte simulanti quadri anginosi o di franca ischemia miocardica. L'atipia della qualità e della durata (laddove non anche di localizzazione) del dolore, la quasi costante refrattarietà a qualsiasi trattamento, la variabilità sintomatologica, l'assenza o l'estrema povertà di reperti obiettivi, indirizzano verso un'origine psicogena dei disturbi. Teniamo a sottolineare, comunque, che la diagnosi di dolore psicogeno deve essere sempre una diagnosi d' esclusione, supportata dall'intervento di colleghi esperti, e vale, in ogni caso, la regola che il dolore è vero, se è sentito come tale dal paziente, salvo astenersi da interventi terapeutici traumatici. 
 

Esiste una terapia per il dolore al torace?

L'elevato numero di cause che possono determinare l'espressione di un dolore toracico rimanda, per uno schema completo e specifico di trattamento, all'affronto dei singoli quadri patologici, impossibile in questo ambito. In varie patologie, posta una corretta diagnosi, la terapia causale, laddove anche non modificasse significativamente il decorso prognostico, può sortire benefici effetti, sino alla remissione completa della sintomatologia dolorosa. In ogni caso, la terapia antalgica si dovrà integrare con le necessità terapeutiche, mediche e/o chirurgiche, imposte dal caso clinico. Dal punto di vista di un inquadramento generale, non possiamo non riporre con enfasi l'accento su quanto già scritto (vedi sopra 2.1-2.2). 

La selezione integrata di una delle numerose tecniche antalgiche a disposizione (Tab.II) dipende:

  • dall' accurata analisi clinica e algologica (qualità, intensità, altre caratteristiche del dolore, meccanismi patogenetici);
  • dallo stato fisico e nutrizionale del paziente;
  • dalla diagnosi eziologica.

 A completare il quadro che ci consentirà di formulare un piano terapeutico, occorre tenere in conto l'età del paziente, le sue funzioni epatiche e renali, lo stato mentale, il sostegno familiare e la capacità di seguire le indicazioni mediche. In ogni momento, poi, è possibile, se non auspicabile, intervenire a supporto psicologico del paziente, specie nei casi di dolore severo, anche con l'ausilio di adiuvanti psicotropi (tranquillanti, ansiolitici, antidepressivi), con un' attenzione particolare nel caso di una concomitante somministrazione di narcotici, per il possibile agonismo sedativo.

Nonostante la consolidata e, spesso,insostituibile, attitudine all'uso di trattamenti sistemici, non va dimenticato che, almeno in questo range di intensità, possono trovare efficace collocazione le tecniche antalgiche non anestesiologiche, prevalentemente regionali, quali:

  • mesoterapia;
  • agopuntura-elettroagopuntura;
  • TENS. 

La loro utilità si rivolge soprattutto al controllo del dolore acuto a prevalente espressività locale, come nel dolore toracico di origine muscoloscheletrica, anche se è possibile disegnare schemi terapeutici integrati che rendono possibile una loro applicazione in numerosi quadri patologici, specie, detto per inciso, nei pazienti con dolore cronico, ai fini di una riduzione del dosaggio di analgesici sistemici, o in quei pazienti in cui un trattamento farmacologico è controindicato, o sono a rischio, attuale o potenziale, di patologia iatrogena, o non rispondono ad altri metodi di terapia antalgica non invasiva (laddove questa è di prima scelta). 

Nell'ambito di una terapia sistemica preferenziale rimane l'utilizzazione degli analgesici non oppioidi (Tab.III) a dosaggi iniziali medi. La scelta del farmaco va operata dettata non solo dal quadro clinico, ma anche sulla base della propria esperienza, dei problemi concomitanti, del tempo previsto di terapia. 

Nelle patologie a prevalente componente infiammatoria ci si indirizzerà decisamente verso i FANS, tra cui di prima scelta rimane l'ac. acetilsalicilico e analoghi (sali di lisina ad es.), tenendo sempre ben presente l'aiuto che può essere apportato, nei casi selezionati, dall'uso di corticosteroidi; nel caso in cui si voglia privilegiare un'azione più eminentemente analgesica, si userà il Paracetamolo (magari nella sua associazione con la Codeina, nei dolori moderati), il Diflunisal, il Nefopam (specie in associazione con FANS). I

l Paracetamolo, oltre ad essere la migliore alternativa ai salicilati, è l'analgesico non-narcotico di prima scelta nei pazienti in terapia antitumorale con farmaci steroidei, o in trattamento con agenti antiaggreganti o anticoagulanti, o con tumori che coinvolgono la mucosa gastrointestinale. Va, comunque, valutato che tutti questi farmaci hanno un "EFFETTO TETTO" (ceiling effect), in termini di analgesia, un dosaggio, cioè, oltre il quale ulteriori incrementi posologici non producono ulteriore analgesia, per cui va prevista la possibilità, nel medio termine, di vari passaggi farmacologici. 

E' bene sottolineare , peraltro, che si deve fornire al paziente un protocollo terapeutico adeguato del farmaco scelto, protocollo che prevede:

  • la somministrazione a intervalli di tempo prefissati, evitando, per quanto possibile, l'assunzione al bisogno;
  • l'associazione con farmaci adiuvanti (Tab.IV): ad es. nei pazienti che manifestano segni di ansia o depressione reattiva, sarebbe bene associare un ansiolitico o un antidepressivo. In  alcuni si associa Idrossizina, ansiolitico che potenzia l'azione analgesica; nei pazienti con insonnia ai farmaci non oppioidi si associa Amitriptilina;
  • l'incremento posologico graduale fino ai massimi livelli tollerati dal paziente, o alla comparsa dell'"effetto tetto".   

Spesso si dimentica che gli analgesici non oppioidi costituiscono la prima linea di approccio farmacologico sistemico nel dolore oncologico. Risultano, infatti, particolarmente efficaci nel dolore associato a metastasi ossee, nel dolore da compressione e distensione tissutale meccanica, nei quadri reattivi infiammatori risultanti da terapie antitumorali, specie radiante. 

Se la somministrazione di analgesici non oppioidi, sinergizzata anche dai farmaci adiuvanti non provvede un adeguato controllo del dolore, o se la sedazione del dolore avviene al prezzo di effetti tossici e collaterali insopportabili, o se l'intensità è, sin dall'inizio marcatamente ad impronta moderata-severa, ci si rivolge alla Buprenorfina o alle cosiddette associazioni analgesiche che, in questo stadio, sono costituite essenzialmente da ASA/Paracetamolo + Codeina/Destropropossifene, Analgesici non-narcotici + Idrossizina, associazioni che hanno il loro razionale nel potenziamento antalgico sinergico, che consente una buona analgesia senza raggiungere i dosaggi tossici.

La Codeina, e gli oppiacei in generale (Tab. V), vanno somministrati con cautela anche estrema, nel dolore da fratture costali e, comunque, in ogni situazione clinica che comporti una ventilazione polmonare ridotta o compromessa, che ne verrebbe ulteriormente depressa, anche se nei traumatismi multipli con interessamento dei quadranti superiori dell'addome si può assistere ad un miglioramento dei valori spirometrici per riduzione del blocco antalgico a fine inspirazione. Ricordiamo, inoltre, che l'induzione del vomito e la depressione dello stimolo della tosse dovuti alla Codeina e, ancora di più, alla Morfina, possono favorire l'insorgenza di complicazioni a carico del parenchima polmonare (atelettasie, superinfezioni, ecc.). Trovano specifica indicazione, specie la Morfina, quando il paziente è sottoposto a ventilazione meccanica. In tale caso, infatti, si ottiene migliore adattabilità alla protesi respiratoria, sedazione psichica e motoria, azione antimutagena.

Nei casi di severo dolore segmentale, specie per interessamento primitivo o secondario della pleura parietale, accanto ad un adeguato trattamento antalgico sistemico, occorre prendere in considerazione l'esecuzione di un blocco intercostale posteriore del segmento coinvolto, usando un anestetico locale ad azione protratta, ad es. bupivacaina. Questa procedura garantisce un controllo completo del dolore per 8-12 ore ed elimina, inoltre, le risposte riflesse segmentali e soprasegmentali. Laddove il quadro sia evoluto verso una forma di pleurite adesiva, che interferisca decisamente con le funzioni polmonari sino a produrre, oltre che dolore, una severa dispnea, può essere indicato un intervento di decorticazione chirurgica

Nel dolore neuropatico trova indicazione l'uso di  Amitriptilina (antidepressivo triciclico) 50-100 mg. (in dose unica serale, iniziando da 50 mg. -20 nei pazienti anziani-) con 2-3 mg. di Flufenazina (una fenotiazina), oppure la somministrazione di anticonvulsivanti quali la Carbamazepina e la Fenitoina. Nel severo dolore neuropatico da infiltrazione di nervi periferici e plessi e da metastasi peridurali e perimidollari è giustificato e utile l'uso di corticosteroidi (Metilprednisolone, Betametasone, Desametasone).

Capisaldi, comunque, della terapia del dolore moderato-severo, soprattutto di origine viscerale, restano sempre gli analgesici oppioidi maggiori,  la Morfina in particolare. L'uso dei narcotici nella pratica clinica è sovente elemento di controversie e perplessità. Occorre sicuramente una buona conoscenza delle diverse vie di somministrazione e dei loro diversi meccanismi farmacodinamici e farmacocinetici, una buona informazione e pratica clinica sul controllo degli effetti collaterali e sulla loro possibile associazione con altri farmaci. Nel caso di trattamenti domiciliari, poi, va valutata accuratamente l'adeguatezza dell'assistenza familiare per la corretta somministrazione dei protocolli terapeutici. Utilizzando queste informazioni, infatti, è possibile evitare insuccessi da inadatta modalità di somministrazione, ridotto dosaggio o brevità dell'azione antalgica, oltre ad ovviare o ridurre quelli che sono, clinicamente, gli effetti collaterali che più limitano l'uso dei narcotici: la depressione respiratoria e l'azione anoressizzante. 

Nell'infarto miocardico, il trattamento antalgico deve essere attuato tempestivamente per impedire che il dolore e lo stato ansioso del paziente, aumentando il lavoro cardiaco, la richiesta d'ossigeno e il tono catecolaminergico, favoriscano l'instaurarsi di aritmie e l'estendersi della lesione: Morfina solfato data, per via iv., alla dose iniziale di 4-5 mg. diluiti in 5 ml di soluzione salina, iniettata lentamente in 2-3 min. Questo dovrebbe produrre risultati antalgici in 5 min. e pieno effetto in 10-15 min., altrimenti si somministra una seconda o una terza dose (nel caso in cui non si ottenga pieno controllo del dolore in 15-20 min. dalla seconda) di 5 mg, sotto stretta sorveglianza del paziente. Il trattamento dovrebbe proseguire poi con un infusione venosa continua di Morfina o con la P.C.A. (Patient-controlled analgesia). 

Derivata dall'infusione endovenosa, con la analgesia controllata dal paziente il controllo del dolore è ottenuto tramite una pompa d'infusione programmabile, collegata al paziente mediante una linea venosa. E' il paziente stesso ad attivare la pompa, mediante un dispositivo esterno computerizzato per una cessione programmata prestabilita di farmaco, per ottenere un'azione antalgica a richiesta, senza correre il rischio di un sovradosaggio. Vari studi hanno evidenziato che, con questa metodica, il paziente utilizza dosaggi inferiori rispetto alla somministrazione "al bisogno" da parte del personale d'assistenza.

La morfina è indicata anche nel trattamento antalgico della pericardite acuta, in caso di inefficacia degli analgesici minori e della codeina. Nell'edema polmonare acuto, la Morfina è prevalentemente indicata come sedativo e vasodilatatore: infatti aumenta la capacità splancnica e cutanea e riduce il lavoro cardiaco. Qualora l'edema polmonare fosse secondario ad agenti irritanti, la Morfina, come tutti gli oppiacei, non è indicata. Nelle fratture costali, e negli stati di ipoventilazione polmonare in generale, vale, con maggiore enfasi per la morfina, quanto già detto a proposito della codeina, così come è bene controindicare l'uso nel dolore toracico riferito afferente da coliche biliari, per lo spasmo indotto che può aversi a carico dello sfintere di Oddi con conseguente quadro di stasi biliare. La morfina, così come altri oppioidi o anestetici locali ad azione protratta, viene utilizzata nel dolore segmentale di tipo pleuritico severo o neuropatico mediante l'applicazione di un catetere peridurale o spinale a livello toracico basso per brevi periodi di tempo. Va ricordata, infine, l'associazione analgesica ASA/Indometacina + Morfina, oppure Idrossizina + Morfina. Quest'ultima, in particolare, fa sì che 25-100 mg di Idrossizina PO o IM aumenti l'efficacia analgesica della morfina almeno del 50% e riduca lo stato ansioso associato al dolore acuto; l'azione antiemetica dell'Idrossizina, poi, riduce o abolisce l'incidenza di nausea e vomito indotti dagli oppioidi.
 

Cosa significa dolore cronico?

Dolore cronico toracico significa essenzialmente dolore oncologico, neuropatico, muscoloscheletrico e psicogeno. La difficoltà, complessità dei meccanismi patogenetici, i pesanti riflessi psicologici, l'effetto amplificatore che il tempo ha, quando trascorso penosamente, su sintomi e comportamenti algici, lo scarso range di manovra, fa sì che debbano essere attuate vere e proprie strategie terapeutiche di natura multimodale e multidisciplinare, nella convinzione che la multifattorialità in atto impedisca un affronto meramente farmacologico. Per questo è preferibile e auspicabile che l'affronto di uno stato doloroso cronico sia rimandato decisamente allo specialista algologo. Così come sarebbe meglio  astenersi laddove l'inesperienza condurrebbe all'evoluzione cronica di un dolore acuto mal gestito (Tab. VI). 

Quali sono le linee guida per il trattamento del dolore cronico?

Riteniamo, comunque, utile riaffermare dei principi guida:

  • è indispensabile la definizione di una diagnosi algologica precisa, l'identificazione, cioè, dei meccanismi patogenetici alla base del sintomo in atto in quel paziente, anche se il trattamento del dolore non va rinviato al completamento dell'iter diagnostico;
  • non confondere stato cronico con stato terminale, momento in cui alcuni provvedimenti terapeutici possono trovare giustificazione e conseguente attuazione al di là e al di fuori di una correttezza metodologica formale;
  • il momento terapeutico è sempre frutto di una strategia che, come già ricordato (par.2.2), va declinata in interventi di tipo multimodale e multidisciplinare, prendendo in esame tutte le possibilità, farmacologiche e non, di trattamento del dolore, con gli obiettivi primari della minore invasività possibile, della partecipazione del paziente alla terapia ( con l'utile collaborazione familiare), del miglioramento della qualità della vita e del controllo dei disturbi collaterali, specie se invalidanti;
  • fornire al paziente la migliore soluzione terapeutica nella chiarezza che questo non significa, improrogabilmente, il raggiungimento di un permanente stato di analgesia completa, in ogni caso e ad ogni costo (economico, fisico, psico-emotivo);
  • va previsto e sostenuto un intervento di supporto psicoterapico, per i sempre presenti riflessi ( ma spesso, molto più che riflessi) psicologici della patologia dolorosa, che non vanno mai nè sottovalutati nè affrontati con presuntuosa improvvisazione fornita dal cosiddetto "buonsenso";
  • a nostro giudizio, nelle patologie ad esito infausto, va, altresì, evitato di definire, anche in maniera generica, la presunzione di sopravvivenza.
 

Conclusioni

Il dolore toracico può essere l'espressione, talvolta l'unica, di uno svariato numero di patologie di diversissimo significato prognostico. E' sicuramente importante che il medico sappia porre in atto una capacità diagnostica, nel breve termine, in grado di differenziare quadri minacciosi per la vita del paziente da patologie meno gravi, talora banali. Errori diagnostici grossolani (una colica biliare simulante un ischemia miocardica ad es.), al di là delle pur importanti conseguenze psicoemotive, si ripercuotono sulle procedure diagnostiche, indirizzandole verso una invasività inutile, ulteriormente dannosa, oltrechè orientare verso l'attuazione di protocolli terapeutici inefficaci, qualora non addirittura controindicati, e consentire, specie per i processi neoplastici, una gravissima perdita di tempo. E' senza dubbio auspicabile che si proceda con metodo nella valutazione dei quadri algici, laddove il dolore non è più solo un sintomo tra i tanti, ma un ambito complesso e specifico in cui il medico non può essere solo dispensatore di terapie, e il paziente solo un'unità fisica.
 

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