Quanto sono comuni le distorsioni alla caviglia?

Gran parte dei pazienti che si rivolge al medico per una patologia muscolo-scheletrica, lo fa per una distorsione della caviglia. La diagnosi è comunemente clinica e le indagini strumentali vanno eseguite solo in casi selezionati, anche se in molti casi lesioni misconosciute o non trattate correttamente sviluppano sintomi cronici.

Illustrazione 1 - Ortopedia e Traumatologia

Tra le patologie muscolo-scheletriche, solo la lombalgia è più comune della distorsione della caviglia. In realtà è difficile avere un’idea precisa sulla frequenza di queste lesioni, perché la maggior parte delle distorsioni è probabilmente trascurata o trattata in modo autonomo dal paziente.

Grazie alla traumatologia dello sport è possibile avere a disposizione dati epidemiologici più precisi, che portano le distorsioni della caviglia al primo posto tra le lesioni traumatiche degli sportivi, con il 20-40% del totale. In alcune discipline come il basket, si arriva a oltre il 50%. Negli Stati Uniti si stima che più di 23.000 persone, sportive e no, si rechino ogni giorno dal medico per questo problema. Secondo altri autori, infine, nel mondo si arriverebbe all’astronomica cifra di una distorsione della caviglia ogni 10.000 persone al giorno.

La distorsione deriva dall’applicazione di una forza che eccede i limiti di resistenza tensile delle strutture capsulo-legamentose, ma che è inferiore alla resistenza delle ossa che compongono l’articolazione tibiotarsica. Solitamente (85% dei casi) la distorsione avviene in supinazione (inversione) e lede il legamento peroneo-astragalico anteriore. Le lesioni dell’apparato legamentoso mediale sono invece molto più rare (5%) e si verificano con un movimento opposto al precedente, vale a dire di pronazione (o di eversione) che stira i legamenti mediali. Il rimanente 10% delle lesioni interessa la sindesmosi tibio-peroneale.
 

Come funziona la caviglia?

La caviglia, più propriamente l’articolazione tibio-tarsica, è un congegno relativamente semplice dal punto di vista meccanico e assimilabile a una cerniera. Attorno al suo asse trasversale, infatti, si svolge il movimento principale: la flesso-estensione del piede. In pratica, è quello che consente all’avampiede di avvicinarsi alla parte anteriore della gamba (flessione dorsale) o di allontanarsene (flessione plantare). Sono movimenti che eseguiamo centinaia di volte al giorno per camminare o per azionare un pedale.

L’ampiezza complessiva della flesso-estensione è, in media, di circa 100°. Non può essere maggiore perché, oltre questo limite, le ossa del piede vanno a urtare contro la tibia. Questo blocco meccanico protegge le strutture caspulo-legamentose anteriori e posteriori e spiega perché, in caso di distorsione, le lesioni interessino soprattutto i legamenti mediali e laterali. Ad ampliare i gradi di libertà della tibio-tarsica contribuiscono le piccole articolazioni vicine, in particolare quella sotto-astragalica. Come indicato dal nome, questa è situata sotto l’articolazione tibio-tarsica, cioè tra l’astragalo e il calcagno. È grazie ad essa che è possibile l’altro movimento importante della caviglia che altrimenti sarebbe molto limitato, ovvero la prono-supinazione, che gli autori anglosassoni preferiscono definire “eversione-inversione”.

Si tratta del movimento di rotazione lungo l’asse longitudinale del piede. Nella supinazione (o inversione) la pianta del piede ruota medialmente. In pratica, l’astragalo e il calcagno si allontanano dal malleolo laterale, mettendo in tensione i legamenti laterali. Nella pronazione (o eversione) accade l’opposto: il bordo esterno del piede si solleva avvicinandosi al malleolo peroneale e mettendo in tensione le strutture legamentose mediali.

La stabilità articolare dipende soprattutto dalla buona congruenza delle componenti ossee e dall’apparato capsulare, a sua volta rinforzato da legamenti. Queste strutture fibrose sono composte da collagene di tipo A. Le sollecitazioni meccaniche applicate all’articolazione condizionano dinamicamente la densità e l’orientamento delle fibre di collagene.

Apparato legamentoso laterale

I legamenti più importanti dal punto di vista clinico, in quanto molto più frequentemente lesi dai traumi distorsivi, sono quelli laterali. Originano dal malleolo peroneale e si portano verso l’astragalo e/o il calcagno.

La loro funzione è quella di limitare la supinazione (o inversione) e la rotazione interna dell’astragalo. Essi sono tre:
  • legamento peroneo-astragalico anteriore (PAA): nastriforme, origina dal malleolo peroneale e, con decorso orizzontale, si porta anteriormente sull’astragalo. Si oppone alla supinazione quando il piede è in flessione plantare e alla traslazione anteriore dell’astragalo sulla tibia (cosiddetto “cassetto anteriore”). È il meno resistente dei tre legamenti laterali;
  • legamento peroneo-calcaneare (PC): di forma cilindrica, ha decorso verticale e s’inserisce sia sull’astragalo sia sul calcagno. In questo modo, oltre alla tibio-tarsica, stabilizza anche l’articolazione sotto-astragalica. Si oppone ai movimenti di supinazione quando il piede è in flessione dorsale;
  • legamento peroneo-astragalico posteriore (PAP). Ha decorso quasi orizzontale e s’inserisce sull’astragalo, subito dietro al legamento peroneo-calcaneare. È teso quando il piede è dorsiflesso e si oppone alla traslazione posteriore dell’astragalo sulla tibia (cassetto posteriore) e alla rotazione interna. È il più resistente dei tre legamenti laterali.

Apparato legamentoso mediale

È composto dal solo legamento deltoideo che origina dal malleolo mediale e si porta in basso, verso l’astragalo e il calcagno. In realtà è formato da due strati. Quello superficiale s’inserisce in gran parte sul versante mediale del calcagno. Lo strato profondo è più breve, perché termina esclusivamente sull’astragalo.

Il suo compito principale è di opporsi alle sollecitazioni in pronazione (o eversione) e di rotazione esterna. Ha una resistenza meccanica nettamente superiore a quella dei legamenti laterali e questo contribuisce a spiegare il minor numero di lesioni. La sua robustezza è tale che, in casi di distorsione, è più probabile che ceda l’osso (frattura del malleolo mediale) che il legamento.

Sindesmosi tibio-peroneale

È un insieme di robuste strutture legamentose, che tengono il perone accostato alla tibia. In questo modo la posizione del malleolo tibiale e di quello peroneale (cosiddetta “pinza malleolare”) è stabile e crea il giusto spazio per accogliere l’astragalo. Quando il legamento si rompe, il malleolo peroneale si allontana dall’astragalo (apertura della pinza malleolare). Le sollecitazioni in grado di rompere la sindesmosi devono essere particolarmente elevate e sono generate da movimenti di rotazione all’esterno del piede (es. Traumi da sci). Se invece il piede resta bloccato al suolo, come negli sport in cui si usano scarpe con tacchetti, è la tibia che ruota verso l’interno.

Illustrazione 2 - Ortopedia e Traumatologia

 

Perché le distorsioni alla caviglia sono così frequenti?

L’articolazione tibio-tarsica, snodo dinamico tra l’arto inferiore, con le sue potenti masse muscolari, e il piede, è un punto su cui convergono notevoli sollecitazioni. Quando poi il piede è a contatto con il suolo, come accade nella maggior parte delle circostanze, si aggiunge il peso del corpo.

Se la stazione eretta è normale e su un terreno piano, il peso si applica assialmente e l’equilibrio è garantito. La caviglia è più sollecitata medialmente, dove però è presente un robusto apparato legamentoso. Se invece il corpo subisce delle oscillazioni dovute ai movimenti, alla corsa e al terreno irregolare, il peso corporeo si trasforma in un momento di forza e la situazione diviene precaria dal punto di vista biomeccanico. Il piede e la caviglia, infatti, non sono concepiti per contrastare sollecitazioni significative in supinazione, poiché non è questa la posizione in cui normalmente lavorano. Quando la caviglia è forzata in questo senso, ne deriva spesso un danno ai legamenti laterali.

Le distorsioni di gran lunga più frequenti sono infatti quelle in supinazione, che derivano da una brusca presa di contatto del piede con il suolo, mentre la caviglia è flessa plantarmente e supinata. Peraltro, questa è la sua posizione naturale durante la fase di oscillazione del passo, in cui il piede è sollevato da terra. Il problema sussiste quando il piede prende contatto con il suolo (o con un altro oggetto) in modo inatteso. L’appoggio avviene solo lungo il bordo esterno del piede e il peso del corpo si riversa bruscamente su di esso. Queste situazioni sono frequenti non solo nello sport (corsa su terreno irregolare, atterraggio da un salto in posizione sbilanciata o sul piede di un altro giocatore, ecc.) Ma anche nella vita di tutti i giorni (gradino del marciapiede, buca del terreno, ecc.).
 

Quali sono i fattori di rischio?

A una situazione biomeccanica relativamente precaria si aggiungono dei fattori predisponenti. In realtà, esistono pochi dati sicuri su cosa rende più probabile una distorsione della caviglia. I fattori fisici che per molte altre patologie si dimostrano importanti (altezza, peso, dominanza dell’arto, atteggiamenti posturali, sesso, ecc.), in questo caso non risultano significativi. L’obesità, aumentando l’energia cinetica, peggiora l’entità del danno, ma non sembra costituire di per sé un fattore predisponente. Ancora da chiarire il ruolo della conformazione del piede e della presenza di una lassità legamentosa generalizzata.

In ambito sportivo, alcune attività (basket, calcio, pattinaggio su ghiaccio) sembrano essere più a rischio di altre, così come l’utilizzo di alcune scarpe (con supporto ad aria), un allenamento inadeguato o la mancata esecuzione dello stretching prima della gara. Fattori predisponenti certi sono invece episodi distorsivi precedenti, limitata escursione articolare, scarsa tonicità muscolare.
 

Come si effettua la diagnosi?

Esame clinico

Un accurato esame clinico è essenziale per evitare diagnosi errate o trascurare eventuali lesioni associate.

Il punto di partenza è come sempre l’anamnesi. Si comincia col chiedere qual è stato il meccanismo traumatico. Sapere, infatti, se il trauma è avvenuto in supinazione o in pronazione consentirà di ipotizzare quali sono state le strutture anatomiche coinvolte. È anche utile conoscere se il paziente ha percepito un rumore di lacerazione o schiocco, tipico delle lesioni gravi. La seconda domanda deve chiarire se questo è il primo episodio del genere o solo l’ultimo di una serie. In quest’ultimo caso, ci si orienterà verso un’instabilità articolare cronica.

L’ispezione aggiunge altri elementi importanti. Infatti, gonfiore ed ecchimosi sono, in genere, direttamente proporzionali all’entità del trauma e al danno anatomico. Abitualmente presenti in sede peri-malleolare esterna, possono però diffondere a tutto il collo del piede. Nei casi in cui il gonfiore è marcato e rende dubbia la rilevazione dei reperti clinici, può essere utile rivalutare il paziente dopo 3-5 giorni di riposo ad arto elevato e applicazione di ghiaccio locale.

La ricerca dei punti dolorosi mediante la palpazione è forse il parametro semeiologico più importante. Con un solo dito vanno palpate in modo sistematico le strutture più frequentemente coinvolte: i legamenti PAA, PC e deltoideo, il malleolo laterale e mediale (soprattutto il bordo posteriore) e la sindesmosi tibio-peroneale distale.

Poi è opportuno accertarsi dello stato delle strutture limitrofe, la cui lesione può simulare una comune distorsione tibio-tarsica e, pertanto, passare misconosciuta. Si procede quindi alla palpazione della base del V osso metatarsale e del calcagno ed infine dei tendini achilleo, tibiale posteriore e peronieri. Quando il quadro clinico depone per un trauma distorsivo grave, è necessario escludere lesioni dei nervi tibiale e peroneale. Si ricercheranno quindi eventuali deficit sensitivi e/o motori.

Si passa quindi alla valutazione funzionale, chiedendo al paziente di provare a mantenere la stazione eretta, con il peso equamente distribuito sui due piedi. Se il dolore è assente o è tollerabile, si invita il paziente a compiere qualche passo. Il superamento di questa prova, unito al reperto palpatorio di dolore assente o modesto, esclude la presenza di fratture e di gravi lesioni legamentose.

Integrando i reperti obiettivi descritti, i medici dell’accademia militare di West Point hanno formulato un sistema molto seguito di valutazione del danno legamentoso. Le manovre cliniche atte ad accertare la presenza di una lassità legamentosa (cassetto anteriore, supinazione forzata, ecc.), hanno un valore relativo, essendo di difficile esecuzione e di dubbia interpretazione nei casi acuti. Il loro ruolo è molto più rilevante negli esiti di distorsione.

È opportuno invece completare l’esame obiettivo dei casi acuti con le due manovre specifiche per la lesione della sindesmosi tibio-peroneale, frequentemente misconosciuta. Entrambe le manovre sono di facile esecuzione e sono positive se evocano dolore in corrispondenza della sindesmosi distale (subito prossimalmente alla rima articolare tibio-tarsica):
 
  • test della spremitura: la mano dell’esaminatore afferra la gamba al terzo medio e la comprime;
  • test della rotazione esterna forzata (o dell’accavallamento). La mano dell’esaminatore è appoggiata sul versante laterale del terzo prossimale della gamba, in modo da stabilizzarla. L’altra mano afferra il bordo mediale dell’avampiede e lo ruota all’esterno;
  • manovra alternativa: il paziente seduto accavalla la gamba lesa sul ginocchio controlaterale (che così spinge sul perone), mentre l’esaminatore applica una mano sulla faccia mediale del ginocchio omolaterale e spinge verso il basso.
 Illustrazione 3 - Ortopedia e Traumatologia


Esami strumentali

Un mito da sfatare è quello secondo il quale, dopo una distorsione della caviglia, si deve sempre eseguire un esame radiografico.

Al fine di evitare un’indebita esposizione alle radiazioni, è stato messo a punto un protocollo, definito “di Ottawa”, che stabilisce i criteri che devono guidare il medico in questa scelta e che, sottoposto a diverse validazioni cliniche, ha mostrato una sensibilità prossima al 100%. Come regola generale, si può affermare che l’esame radiografico non va mai eseguito di routine. Deve invece essere effettuato quando si sospetta la presenza di una frattura, cioè quando l’esame clinico ha rilevato:
 
  • dolore significativo alla palpazione delle strutture ossee della caviglia (malleolo mediale e laterale) e/o del piede (scafoide e base del V osso metatarsale);
  • incapacità a mantenere la stazione eretta in carico o a compiere qualche passo (4, secondo il protocollo).
Gli altri motivi d’esclusione dalla regola sono più rari: paziente poco o nulla collaborante (per l’età, per avere assunto droghe o alcol, per avere subito un trauma cranico o un politrauma che provoca dolori anche in altre sedi, ecc.), oppure in caso di ipoanestesia all’estremità coinvolta, possibile espressione di lesioni dei nervi peroneo e/o tibiale.

Radiografia convenzionale

Quando l’evidenza clinica suggerisce di eseguire la radiografia, questa deve comprendere le tre proiezioni della caviglia:
 
  • anteroposteriore;
  • laterale;
  • obliqua.

Se è presente dolore alla palpazione della base del V metatarsale e/o dello scafoide, vanno aggiunte due proiezioni del piede.
Lo studio radiografico, come detto, serve a confermare o escludere la presenza di una frattura, in genere di un malleolo. L’esame può essere positivo anche in assenza di fratture, quando si osserva un’anomala diastasi tra l’astragalo e il malleolo mediale (cosiddetta “apertura della pinza malleolare”), indice di una lesione della sindesmosi tibio-peroneale. Irregolarità o un piccolo distacco osseo del profilo posteriore del malleolo laterale devono invece fare sospettare una lesione del retinacolo dei peronieri, con possibile instabilità tendinea.

Radiografie dinamiche

Le radiografie dinamiche, eseguite applicando una sollecitazione meccanica all’articolazione, aiutano nel confermare una lesione legamentosa, ma non sono indispensabili per la diagnosi nei casi acuti. Il loro impiego principale è nei casi cronici, quando si vuole stabilire se la persistenza del dolore a distanza di tempo dalla distorsione sia dovuto a un’instabilità meccanica. In questi casi la sollecitazione meccanica produrrà un’anomala diastasi tra i capi articolari, misurabile sulla radiografia.

Risonanza magnetica

La risonanza magnetica conferma le lesioni acute dei legamenti, ma non è essenziale per la diagnosi. Questo esame è molto più utile per la valutazione dei casi di persistenza di dolore alla caviglia a distanza di mesi o anni dalla distorsione. L’indicazione, nei casi acuti, è quando si sospettano patologie non ben valutabili con l’esame clinico e con quello radiografico, come le lesioni osteocondrali dell’astragalo, l’edema osseo subcondrale, le lesioni dei tendini peronieri o le fratture occulte.

Tomografia computerizzata

È indicata come esame di secondo livello, quando si sospetta una lesione ossea non ben documentabile con la radiografia e quando non è possibile eseguire una RM.

Scintigrafia ossea

È un esame di terzo livello. Da riservare ai casi con sospetta lesione della sindesmosi tibio-peroneale che non provoca diastasi ossea (visibile sulla radiografia) e con reperto RM normale o dubbio.
 

Ci sono complicanze?

Le complicanze dopo una distorsione della caviglia sono abbastanza limitate. Il problema reale è invece costituito dalla frequente persistenza del dolore, anche a distanza di molti mesi o anni dal trauma iniziale. In questi casi, sarà opportuno considerare le seguenti ipotesi diagnostiche:

  • instabilità cronica della caviglia: il sintomo tipico è la sensazione d’incertezza, specie su terreno accidentato. Frequente è l’edema, anche dopo le comuni attività quotidiane;
  • esiti cicatriziali intra-articolari: la sinovite post-traumatica può esitare, nel comparto laterale della caviglia, in una cicatrice fibrosa (detta “meniscoide” per la sua forma). È responsabile di fenomeni d’attrito con le strutture ossee circostanti e di sinovite reattiva;
  • sublussazione dei tendini peronieri: dovuta alla lesione o al distacco del retinacolo dei peronieri (nastro fibroso che tiene in sede i tendini, dietro al malleolo peroneale), è causa di senso di cedimento e di dolore;
  • fratture composte o infrazioni dell’astragalo o del calcagno, spesso non visibili sulle prime radiografie. Il dolore residuo è in corrispondenza delle strutture ossee, piuttosto che lungo il decorso dei legamenti;
  • sindrome da algodistrofia riflessa localizzata. D’origine incerta, si osserva più spesso dopo un’immobilizzazione eccessivamente prolungata.
 

Quali sono i trattamenti principali?

Dopo una lesione, il legamento va incontro a una sequenza di fasi riparative che iniziano con il sanguinamento e la formazione dell’ematoma, seguiti da infiammazione, proliferazione dei fibroblasti, deposizione e maturazione del collagene.

Illustrazione 4 - Ortopedia e Traumatologia

Tanto più grave è la lesione, tanto più lungo è il periodo di riparazione. La mobilizzazione precoce dell’articolazione sembra favorire il corretto orientamento delle fibre e la guarigione, benché siano necessari diversi mesi perché il legamento raggiunga la massima resistenza.

L’obiettivo è quindi quello di recuperare al più presto una buona escursione articolare, evitando allo stesso tempo sollecitazioni sfavorevoli. Inoltre, sembra che il contenimento dell’edema e dell’ecchimosi successivi al trauma sia in grado di accelerare la guarigione.

Cure immediate

C’è un consenso sostanzialmente unanime sul trattamento da adottare subito dopo l’evento traumatico ed è basato sull’acronimo inglese PRICE (Protection, Rest, Icing, Compression, Elevation). L’applicazione di ghiaccio, la compressione con benda elastica e l’elevazione dell’arto sono essenziali nel limitare l’edema e l’ematoma che, quando cospicui, ritardano significativamente il recupero della mobilità. Anche l’uso di FANS si è rivelato efficace nel coadiuvare questo regime terapeutico, accorciando i tempi di recupero.

Mobilizzazione precoce

La caviglia è protetta da un’ortesi e il paziente è libero di camminare con l’ausilio di due stampelle, applicando il carico a tolleranza (non deve provocare dolore, né zoppia). Gli esercizi per il recupero della flesso-estensione iniziano al più presto (in media tre giorni dopo il trauma), compatibilmente con il dolore. Le stampelle sono abbandonate solo quando il passo è completamente indolore. Il trattamento con un tutore funzionale, ma in grado di limitare significativamente la prono-supinazione, è risultato superiore all’immobilizzazione rigida (stivaletto gessato) in termini di soddisfazione del paziente e di velocità nel recupero funzionale. Il periodo d’utilizzo dell’ortesi è variabile (in media 3-4 settimane) e i criteri per la dismissione sono l’assenza di edema e di dolore e un recupero completo o quasi dell’articolarità.

Riabilitazione

Il recupero funzionale inizia subito dopo la fase acuta e deve assecondare il trattamento descritto. Obiettivi sono il graduale recupero dell’escursione articolare e il rinforzo muscolare mediante esercizi isometrici. Una volta regrediti del tutto edema e dolore, può iniziare la vera fase riabilitativa con il recupero completo dell’articolarità e l’adozione di modalità più aggressive per contrastare ed eliminare l’ipotrofia muscolare (esercizi isotonici ed isocinetici).

Ottenuti questi risultati, si deve puntare al recupero propriocettivo. Negli atleti segue un’ultima fase centrata sulla rieducazione al gesto atletico e sul ritorno alla competizione.
La durata delle varie fasi dipende molto dall’entità del trauma. Basandosi sul sistema di classificazione di West Point, si è osservato che in media il ritorno alle attività sportive avviene dopo 11 giorni in caso di lesioni di grado 1, dopo 2-6 settimane in caso di lesione di grado 2 e dopo 4-26 settimane in caso di lesione di grado 3.
 

Risultati del trattamento conservativo

Il trattamento chirurgico delle lesioni legamentose acute è controverso. Alcuni autori ne hanno invocato l’opportunità negli atleti d’alto livello e nei giovani adulti, nella convinzione che la riparazione diretta possa accelerare la guarigione e ridurre la percentuale delle recidive. Tuttavia, non esistono dati in letteratura che supportano chiaramente la superiorità della chirurgia rispetto a un trattamento conservativo funzionale, anche se gli studi riportati sono disomogenei e difficilmente confrontabili tra loro. Entrambe le metodiche danno comunque risultati buoni e sostanzialmente sovrapponibili.

Anche le lesioni della sindesmosi tibio-peroneale che non abbiano provocato una diastasi della pinza malleolare né una frattura, possono essere trattate conservativamente con un’immobilizzazione rigida (stivaletto gessato o funzionale). Il periodo di disabilità è però più prolungato rispetto alle normali lesioni caspulo-legamentose ed i risultati a distanza sono meno soddisfacenti. Quando invece è presente un’alterazione radiografica dei rapporti tibio-peroneali, è necessario il trattamento chirurgico con l’inserzione temporanea di una vite attraverso il perone per ristabilire la corretta distanza con la tibia.

Quando operare

Le controversie sull’opportunità del trattamento chirurgico riguardano le lesioni del comparto laterale.

Infatti, c’è un consenso sostanzialmente unanime a favore della chirurgia nel caso delle lesioni della sindesmosi tibio-peroneale distale e di quelle da avulsione del legamento deltoideo (specie quando questo resta incarcerato tra la tibia e l’astragalo). Molto dibattuta è invece l’opportunità di una terapia chirurgica nelle lesioni del comparto laterale. In effetti, considerati i buoni risultati complessivi del trattamento conservativo, l’indicazione chirurgica sembra avere senso solo nelle lesioni di grado 3, in pazienti selezionati.

Le lesioni gravi, infatti, sono caratterizzate da lunghi tempi di guarigione e da risultati a lungo termine molto più incerti. Dall’analisi dei dati della letteratura, tuttavia, non emerge una chiara superiorità di una metodica rispetto all’altra e sono necessari ulteriori studi per fare chiarezza su questo aspetto. Il consenso è invece unanime sull’opportunità di una terapia chirurgica quando il trattamento conservativo non ha fornito risultati accettabili.
 

Prevenzione

Recenti analisi retrospettive della letteratura, basate sui concetti della medicina basata sull’evidenza, hanno confermato la validità di alcune misure nel ridurre la frequenza di recidive delle distorsioni della caviglia. In particolare, sono risultati particolarmente efficaci l’uso di un tutore di protezione nello sport e un protratto allenamento specifico della muscolatura della gamba e del piede. Riassumendo:
evitare l’uso di calzature con tacchi alti;
  • indossare un tutore semi-rigido per le attività sportive;
  • mantenere un buon tono-trofismo dei muscoli della gamba;
  • inserire nel programma d’allenamento gli esercizi di stimolazione propriocettiva;
  • eseguire sempre gli esercizi di stretching e un adeguato riscaldamento.
 

Bibliografia

  • Chen ET, Borg-Stein J, McInnis KC. Ankle Sprains: Evaluation, Rehabilitation, and Prevention. Curr Sports Med Rep. 2019 Jun;18(6):217-223. 
  • Czajka CM, Tran E, Cai AN, DiPreta JA. Ankle sprains and instability. Med Clin North Am. 2014 Mar;98(2):313-29. 
  • Kaminski TW, Needle AR, Delahunt E. Prevention of Lateral Ankle Sprains. J Athl Train. 2019 Jun;54(6):650-661.