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Distorsione alla caviglia

Prof. Valerio Sansone

Prof. Valerio Sansone

Ortopedico Medico Chirurgo - Professore Associato, specialista in Ortopedia e Traumatologia Creato il: 29/06/2017 Ultimo aggiornamento: 10/10/2023

La distorsione alla caviglia, comunemente detta anche “distorsione di caviglia”, in genere, interessa solo una delle articolazioni presenti nella regione anatomica della caviglia, vale a dire quella tibio-tarsica, detta anche articolazione tibio-astragalica.

La distorsione deriva dall’applicazione di una violenta forza esterna, che supera i limiti di resistenza delle strutture che stabilizzano l’articolazione (legamenti), ma che è inferiore alla resistenza delle tre ossa che la compongono: 

  • tibia;
  • perone;
  • astragalo.

In pratica, a seguito di un movimento innaturale, si verifica una temporanea perdita di contatto tra la tibia e l’astragalo. In questo modo, i legamenti vanno incontro a un brusco allungamento, che ne provoca la rottura parziale o totale. Oltre alla lesione dei legamenti, possono verificarsi anche lesioni della cartilagine articolare.

Distorsione alla caviglia

Cause Cause

La causa più frequente delle distorsioni gravi è l’infortunio sportivo (circa il 50% dei casi), ma è frequente anche nella vita di tutti i giorni. Tra le discipline sportive, al primo posto c’è la pallacanestro, seguita dalla pallavolo e dal calcio.

Nella maggior parte dei casi (85%), la distorsione avviene con un movimento di rotazione lungo l’asse longitudinale del piede e che prende il nome di “supinazione”. Gli anglosassoni preferiscono il termine “inversione”. In pratica, il bordo esterno del piede tocca violentemente il suolo, mentre il bordo interno del piede si solleva. Questa brusca rotazione provoca lo stiramento dei legamenti della parte esterna dell’articolazione, fino a causarne la rottura. Quello più frequentemente coinvolto è il legamento peroneo-astragalico anteriore. Come dice il nome, è un robusto nastro di tessuto fibroso (legamento), che unisce il malleolo peroneale con l’astragalo.

Nel 5% dei casi, il movimento traumatico è quello opposto e prende il nome di “pronazione” o “eversione”: il bordo esterno del piede si solleva e il bordo interno urta contro il suolo. In questo modo, si rompe l’unico legamento che è presente sulla parte interna e che si chiama legamento deltoideo. Le distorsioni di questo tipo sono, in genere, più gravi dell’altro precedentemente descritto.

C’è, infine, un terzo tipo di lesione che provoca l’allontanamento del perone dalla tibia, dovuto alla rottura di un legamento che tiene unite le due ossa e che si chiama sindesmosi tibio-peroneale distale.

Sintomi Sintomi

Gli elementi che caratterizzano la distorsione sono:

  1. dolore nell'area interessata dalla distorsione;
  2. gonfiore, talvolta accompagnato da ecchimosi. 
  3. limitazione funzionale.

Il gonfiore, essendo la lesione dei legamenti laterali quella di gran lunga più frequente, è presente intorno al malleolo peroneale, vale a dire, sul versante laterale e anteriore della caviglia. A seconda della gravità del trauma, possono essere presenti i segni della lesione dei vasi sanguigni locali e che si manifesta con la formazione di un ematoma o di ecchimosi (macchie cutanee rosso-violacee).

La limitazione funzionale si valuta chiedendo al paziente di provare a mantenere la stazione eretta, con il peso equamente distribuito sui due piedi. Se il dolore è assente o è tollerabile, s’invita il paziente a compiere qualche passo. Il superamento di questa prova, unito al reperto palpatorio di dolore assente o modesto, in genere, esclude la presenza di fratture e di gravi lesioni legamentose.

In base a questi parametri, è stata messa a punto una classificazione nota come “West Point”, perché creata e utilizzata dai medici dell’Accademia Militare Americana, dove questi tipi di traumi sono molto frequenti tra le reclute. È un sistema di valutazione molto seguito, perché semplice e affidabile. Si distinguono tre gradi di lesione, di gravità crescente:

  • Grado 1: dolore, gonfiore e limitazione funzionale minimi. Ecchimosi assente. Appoggio non doloroso. Una lesione legamentosa è probabilmente assente; 
  • Grado 2: dolore, gonfiore e limitazione funzionale discreti. Ecchimosi frequente. Appoggio doloroso, ma possibile. Probabile lesione legamentosa parziale;
  • Grado 3: dolore, gonfiore e limitazione funzionale marcati. Ecchimosi presente. Appoggio molto doloroso o non possibile. Lesione legamentosa probabilmente completa.

Diagnosi Diagnosi

La diagnosi è soprattutto clinica e si basa sul racconto del paziente, che riferisce come ha fatto a farsi male. Utile anche chiedere al paziente se ha percepito un rumore di lacerazione o schiocco, tipico delle lesioni più gravi. Un’altra domanda è se questo è il primo episodio del genere o se, invece, è solo l’ultimo di una serie. In quest’ultimo caso, ci si orienterà verso un’instabilità articolare cronica (v. “Rischi”). Oltre alla storia clinica, si osserverà se c’è gonfiore e dove è situato e se la palpazione provoca dolore in alcuni punti. 

Nella maggior parte dei casi, questi semplici elementi sono sufficienti per fare la diagnosi. Quando però ci sono dei dubbi, si deve ricorrere agli accertamenti radiologici. Come regola generale, si può affermare che l’esame radiografico non va mai eseguito di routine. Deve invece essere effettuato quando si sospetta la presenza di una frattura, cioè quando l’esame clinico ha rilevato dolore significativo alla palpazione delle strutture ossee della caviglia e/o del piede oppure l’incapacità a mantenere la stazione eretta, applicando il peso sull’arto coinvolto o a compiere qualche passo.

Quando si vuole accertare se un legamento è integro o meno, l’ecografia è il mezzo più semplice, affidabile ed economico. Altrimenti si deve ricorrere alla risonanza magnetica, che in più ha il pregio di svelare la presenza di eventuali lesioni della cartilagine articolare e di sofferenza dell’osso sottostante. Questo esame, in realtà, è molto più utile nei casi di persistenza di dolore alla caviglia a distanza di mesi o anni dalla distorsione.

Rischi Rischi

Il rischio principale è che i legamenti colpiti non guariscano adeguatamente. In questi casi, la caviglia diventa instabile ed è esposta ad altre distorsioni, a volte anche per movimenti banali della vita quotidiana. Il sintomo tipico è la sensazione d’incertezza, specie su terreno accidentato.

Un’altra complicanza piuttosto frequente e che spesso si accompagna alla precedente, è il perdurare del dolore e del gonfiore, anche diversi mesi dopo il trauma.

Cure e Trattamenti Cure e Trattamenti

Dopo una distorsione di grado medio o grave, i primi due elementi da contrastare sono il dolore e il gonfiore. Per questo, è opportuno mettere a riposo la parte lesa e utilizzare la crioterapia (impacchi di ghiaccio). Non è dimostrato che l’applicazione di un bendaggio compressivo aiuti il processo di guarigione. Però, un breve periodo di immobilizzazione (non deve superare i 10 giorni), con un tutore rigido, può essere di aiuto per il comfort del paziente.

Sull’uso dei farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), occorre prestare attenzione. Sono spesso usati per ridurre il dolore e il gonfiore, ma il loro impiego non è privo di complicazioni. Ci sono dei dati di ricerca che affermano che queste sostanze possono contrastare il naturale processo di guarigione.

Le moderne linee-guida sostengono che i risultati migliori si ottengono con la mobilizzazione precoce. La caviglia è protetta da un’ortesi o da un bendaggio funzionale e il paziente è libero di camminare con l’ausilio di due stampelle, applicando il carico a tolleranza (vale a dire, che non deve provocare dolore, né zoppia). Gli esercizi per il recupero del movimento iniziano al più presto (in media 3 giorni dopo il trauma), compatibilmente con il dolore. Le stampelle sono abbandonate solo quando il passo è completamente indolore

Il periodo d’utilizzo del tutore o del bendaggio è variabile (in media 3-4 settimane) e i criteri per la dismissione sono l’assenza di gonfiore e di dolore, accompagnati da un recupero completo o quasi del movimento articolare. I programmi basati sull'esercizio fisico sotto il controllo del fisioterapista sono da preferire alle modalità passive, in quanto stimolano il recupero della stabilità funzionale dell'articolazione.

Una volta regrediti del tutto gonfiore e dolore, può iniziare la vera fase riabilitativa, con il recupero completo dell’articolarità e con l’adozione di modalità più aggressive, per contrastare ed eliminare la perdita di volume dei muscoli. Ottenuti questi risultati, si passa al recupero propriocettivo, vale a dire, il ripristino dei meccanismi di controllo neuromuscolare del movimento e della coordinazione motoria. Negli atleti, segue un’ultima fase, centrata sulla rieducazione al gesto atletico e sul ritorno alla competizione.

L'intervento chirurgico dovrebbe essere riservato ai casi che non rispondono a un trattamento completo e prolungato basato sull'esercizio fisico.

Per la prevenzione delle distorsioni ricorrenti, l’uso di un tutore per l’attività sportiva è un'opzione efficace.

Bibliografia

  • G. Vuurberg et al. Diagnosis, treatment and prevention of ankle sprains: update of an evidence-based clinical guideline. Br J Sports Med; 52:956, 2018.
  • JD Tiemstra. Update on acute ankle sprains. Am Fam Physician.;85(12):1170-6, 2012.
  • F. Halabici et al. Acute ankle sprain in athletes: clinical aspects and algorithmic approach. World J Orthop.11(12):534-55, 2020.

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