Le tecniche ambulatoriali per le emorroidi sono state superate?
Quando si parla di una vecchia tecnica chirurgica bisognerebbe sempre ricordare la massima che ognuno di noi ha una zia, magari anche vecchia, ma che, non per questo pensa di buttar via. In effetti sarebbe insensato, alla luce delle novità emergenti, dismettere totalmente e dimenticare il patrimonio che la storia della chirurgia ci ha tramandato.
Tuttavia, anche l'introduzione e la validazione di nuove tecniche chirurgiche ha sempre, giustamente, suscitato dubbi e timori, in genere legittimi e costruttivi, ma altre volte razionalmente immotivati. L'avvento della prolassectomia muco-emorroidaria meccanica (PPH), introdotta da Longo ormai da 12 anni, ha rivoluzionato l'approccio chirurgico alla malattia emorroidaria, con proselitismo esponenziale da parte del mondo medico e con ampia richiesta e compliance da parte dei pazienti.
Nonostante uno zoccolo duro di ostinati sostenitori delle tecniche cosiddette tradizionali, con preclusione assoluta alla PPH, la maggior parte del mondo scientifico, a livello internazionale, ha assimilato, applicato, sperimentato e approvato l'efficacia e la sicurezza del metodo Longo che, attualmente, assurge, senza dubbio, a tecnica leader e "gold-standard" nel settore. Le percentuali di impiego della tecnica PPH stanno aumentando in tutte le casistiche, sebbene, tranne da parte di pochi altri integralisti seguaci di Longo, la gran parte degli operatori di maggiore esperienza, non rinunci all'utilizzo di un mix di tecniche, tra cui le tradizionali "resettive" e quelle ambulatoriali.
Sicuramente il metodo PPH presenta presupposti teorici e riscontri pratici che confermano l'indicazione al suo utilizzo nella maggior parte dei casi di prolasso muco-emorroidario di interesse chirurgico. Tuttavia considerare, aprioristicamente, la tecnica di Longo, come l'unica risorsa nel trattamento della malattia emorroidaria sarebbe non solo limitativo, ma anche poco razionale, dato che nessuna panacea in realtà esiste.
Chi ha avuto occasione di ascoltare direttamente le disquisizioni di Antonio Longo (pochi, in realtà, tra gli addetti ai lavori, non l'hanno avuta) sui principi e sui vantaggi del suo metodo, basate su solidi presupposti anatomici e fisiopatologici, con convincenti argomentazioni scientifiche, confortate da approfonditi studi strumentali, anatomo-isto-patologici, radiologici, clinici e da numerosissimi, importanti e affidabili lavori scientifici, sulle più prestigiose riviste mondiali, è rimasto sicuramente colpito dalla verve con cui i concetti vengono esposti e propugnati dall'autore: sicuramente non mancano a Longo doti oratorie, capacità espositiva e didattica, chiarezza di idee e tenace forza interiore, che gli ha permesso di affermare la propria tecnica, a fronte di un iniziale scetticismo e ripetuti atteggiamenti di diffidenza ed ostilità della comunità chirurgica, soprattutto a livello nazionale.
Anche oggi Longo, con enfasi sempre maggiore, supportato dalle proprie incrollabili certezze, sostiene a spada tratta le proprie idee e, ormai abituato alle dispute congressuali, non concede spazio a malcapitati interlocutori, istintivamente considerati come "avversari", distruggendo sistematicamente, con argomentazioni logiche e affermazioni perentorie, ogni loro parere dissimile, ritenendolo, aprioristicamente, non allineato e, per questo, inesatto.
In questo atteggiamento, che fa parte di un personaggio sicuramente al di sopra delle righe, Longo, per chi lo conosce, è sicuramente sincero e in buona fede, anche se, per molti, potrebbe balenare, facilmente, la logica probabilità di un lampante "conflitto di interessi": in realtà così non è e l'onestà intellettuale di Longo non può essere messa in discussione.
Tuttavia la negazione integralistica dell'efficacia di tutte le altre tecniche, costituisce, paradossalmente, uno dei maggiori limiti del "Longo-pensiero" che ne risulta indebolito e sminuito in misura proporzionale a quella della forza con cui pretende di affermarsi. L'equilibrio, sicuramente difficile, va ricercato nel vasto ambiente moderato della chirurgia proctologica, costituito da specialisti esperti e competenti, lontani dagli estremismi Longhiani o Pescatoriani, ma sempre aperti ad amichevoli e costruttivi contatti bipartisan.
Storia della chirurgia proctologica
La storia della medicina, della chirurgia e della proctologia in particolare, tramandano, da oltre 6000 anni, rimedi farmacologici, topici e chirurgici, che ben poche variazioni evolutive hanno subito nel tempo: le tecniche demolitivo-resettive, basate sulla distruzione dei tessuti prolassati con legature, taglienti, ferri arroventati (o, più recentemente con freddo, laser, radiofrequenza ed altro), sono sempre andate per la maggiore, riscuotendo il favore dei chirurghi di ogni tempo (meno quello dei pazienti); solo meno di un secolo fa, Salmon e poi Milligan e Morgan, hanno meglio inquadrato gli aspetti anatomici e fisiopatologici della malattia emorroidaria, mettendo a punto le tecniche cosiddette tradizionali che tutti conosciamo ed abbiamo utilizzato.
Più recentemente (da 60 anni circa) sono state affinate anche le tecniche parachirurgiche basate sulla legatura; inoltre, sono state introdotte altre tecniche conservative che sfruttano la sclerosi tissutale, indotta con iniezioni di sostanze farmacologiche o con fotocoagulazione mediante radiazione infrarossa. L'impiego della crioterapia, molto di moda qualche anno fa, oggi è stato quasi del tutto abbandonato, alla luce dei modesti risultati e dell'alta percentuale di complicazioni e recidive. Solo da pochi anni viene utilizzata una tecnica di legatura arteriosa su guida Doppler (DGHAL).
Tralasciando i moderni presidi farmacologici, utili solo per certi aspetti e nelle forme iniziali della malattia emorroidaria, nonché come coadiuvante al trattamento chirurgico, alla luce della sempre maggiore diffusione del metodo PPH, nasce il quesito: "In campo emorroidario, dopo Longo, quali altre tecniche sopravvivono e quale spazio conservano?" Analizzando i vantaggi, i limiti e gli svantaggi dei diversi metodi si può tracciare il seguente schema:
Tecniche parachirurgiche (crioterapia, scleroterapia, fotocoagulazione, legatura elastica):
- vantaggi: ambulatorialità, ripetibilità, dolore e fastidi moderati;
- svantaggi: non radicalità, necessità di sedute multiple, recidive frequenti;
Tecniche resettive aperte o chiuse (classiche, LASER, Ultracision, Ligasure, ecc.):
- vantaggi: intento radicale e definitivo, in unica seduta
- svantaggi: frequenti e importanti complicanze, dolore e fastidi rilevanti, ripresa lenta
Tecnica di Longo:
- vantaggi: tutti quelli delle tecniche di cui ai punti A e B;
- svantaggi: ancora da definire precisamente (urgency, sanguinamento, dolore, follow-up brevi).
Doppler Guided Haemorrhoidal Artery Ligation:
- vantaggi: complicanze quasi assenti e di minima importanza;
- svantaggi: come al punto non radicalità, necessità di sedute multiple, recidive frequenti, indicazioni imprecise, risultati contraddittori, assenza di studi validanti, difficoltà tecniche, ampia learning curve, lunghi tempi operatori.
Un famoso proctologo anglosassone, di cui si tralascia opportunamente il nome, alla domanda di quale fosse, a suo avviso, il miglior fattore di selezione del paziente con indicazione a chirurgia emorroidaria, aveva risposto che il criterio era "l'ingresso nel suo studio privato".
Ma esistono davvero indicazioni inopinabili all'impiego di un metodo in preferenza di un altro? Quante classificazioni, vecchie e nuove, semplici o complesse, pratiche o meno, sono state proposte al fine di poter sistematizzare le indicazioni chirurgiche?
Sicuramente la stadiazione TNM del carcinoma mammario ha permesso di stilare delle ben definite linee guida in tale campo, tali da indicare con precisione il tipo di intervento da eseguire, in ogni singolo caso; ma in campo proctologico le variabili sono così numerose da rendere estremamente ardua la codifica: considerato che bisogna "guardarsi da chi non ha dubbi" e a parte le estremistiche, nonché pericolose certezze di alcuni, il buon senso seguita a guidare le scelte pratiche della maggior parte dei proctologi, indipendentemente dalle schematiche affermazioni enunciate nelle sedi congressuali.
Quali sono i vantaggi delle tecniche non invasive?
Nelle fasi iniziali della malattia emorroidaria, di fronte all'inefficacia delle norme igienico-dietetiche e della terapia medica, prima di porre una indicazione ad un trattamento chirurgico di qualsiasi tipo, è obbligo deontologico (nonché giuridico) esporre al paziente la possibilità di trattamenti poco invasivi, illustrandone, con onestà, i punti di forza e di debolezza, discutendone l'opportunità, senza, naturalmente, tralasciare di sottolineare la propria opinione personale, da offrire come autorevole consiglio, al fine della scelta migliore.
Molti pazienti, dopo corretta informazione e adeguata comprensione delle procedure, accettano di buon grado metodiche ambulatoriali poco invasive (legatura elastica, fotocoagulazione all'infrarosso, scleroterapia), gravate di minimi fastidi e complicanze, pur con la consapevolezza dell'assenza di radicalità, della discreta possibilità di insuccesso e della necessità di sedute ripetute: evitare un ricovero e una degenza, seppur breve, un'anestesia, una convalescenza impegnativa e prolungata, è una soluzione accolta, spesso, con molto favore; oltretutto, in caso di risultati positivi, i ringraziamenti al proctologo non finiscono mai. Da segnalare, infine, che la legatura elastica rappresenta ancora la tecnica di prima scelta delle scuole proctologiche del Nord America.
Nei casi in cui il sanguinamento sia il sintomo unico o predominante o quando siano prevedibili, già in partenza, numerose sedute di legatura elastica o in presenza di determinate condizioni cliniche (paziente con alterazioni emocoagulative spontanee o in TAO, paziente ASA3) o in particolari situazioni, come lo stato di gravidanza, appare ideale l'applicazione di tecniche che non richiedono anestesia o impiego di qualsiasi altro farmaco e minimizzano i rischi di emorragia postoperatoria; anche in situazioni sociali (professionali, sportive, ecc.) in cui il paziente richieda, come condizione irrinunciabile, un rapido recupero (a fronte anche della possibilità di insuccesso), è opportuno poter offrire una soluzione adeguata che, nello specifico, può essere rappresentata dalla DGHAL.Il metodo, tuttavia, a parte le particolari indicazioni, con i vantaggi esposti, presenta molti aspetti controversi: oltre gli svantaggi comuni alle altre tecniche ambulatoriali (sedute multiple, bassa percentuale di successo, ecc.), la HAL necessità di accurata selezione del paziente, richiede laboriosa curva di apprendimento e comporta discrete difficoltà tecniche nella realizzazione pratica e lunghi tempi operatori (in genere richiede 5-6 legature, che durano circa 3 minuti ciascuna). Le troppo numerose "varianti personali", tra cui la performance in anestesia, spesso snaturano totalmente le caratteristiche di praticità e ambulatorialità della tecnica. Inoltre, la scarsità di letteratura scientifica, l’assenza di adeguati trials e la mancanza di validazione EBM, contribuiscono a limitare notevolmente la diffusione della metodica.
In ogni modo, è degno di segnalazione il fatto che il gradimento soggettivo degli operati è altissimo (97% nella casistica personale di 250 HAL) e la maggior parte dei pazienti, anche in caso di insuccesso (verificatosi in percentuale del 40%), sia sotto forma di inefficacia totale , che parziale, si dichiara disponibile a ripetere il trattamento, rispettivamente, nei due gruppi, nel 61% (22/36 ) e 100% (44/44) dei casi.
I procedimenti di emorroidectomia trovano ancora un ampio consenso e una vasta applicazione, anche se la tendenza si orienta ad una sempre maggiore limitazione delle indicazioni, con viraggio verso la tecnica di Longo. I punti di forza di tali tecniche, millenaria tradizione a parte, consistono soprattutto nel presupposto intento radicale e definitivo in unica seduta; il loro sviluppo, nell'ultimo secolo, è dovuto all'applicazione della metodica di Milligan-Morgan (e similari) che, insieme al miglioramento delle tecniche anestesiologiche, ha permesso di ridurre molti aspetti sfavorevoli, tra cui, soprattutto, la componente dolorosa e complicanze importanti come l'incontinenza sensoriale.
Se correttamente condotta da mani esperte, la Milligan-Morgan offre ottimi risultati.
Tuttavia la presunta e ricercata radicalità è più teorica che pratica e le recidive, anche nelle migliori casistiche, risultano percentualmente significative; inoltre, tali tecniche risultano ancora gravate da discreta incidenza di complicanze, anche gravi, come stenosi, incontinenza, esito in piaghe torpide o ragadi; infine, i lunghi tempi di guarigione e di ripresa delle attività sociali, inducono sempre più chirurghi ad evitare questi interventi e sempre più pazienti, correttamente informati, a chiedere trattamenti alternativi.
Spesso, purtroppo, per le opinioni personali del chirurgo, per il suo mancato aggiornamento tecnico e, peggio, per aspetti economici legati al "prezzo della tecnologia", la scelta di trattare un paziente con una tecnica "tradizionale" piuttosto che con una PPH o con una metodica maggiormente conservativa, può risultare condizionata ed arbitraria o francamente scorretta.
È vero, però, che tale discorso può valere anche per scelte forzate nella direzione opposta. Anche l'abbandono assoluto di queste tecniche sarebbe, comunque, poco razionale e poco opportuno e, anche in questo caso, a volte, è possibile ravvisare aspetti di preclusione immotivata e scorretteza ideologica: permangono ancora indicazioni ben precise a performare una Milligan-Morgan, come la necessità di eseguire accertamenti istologici sul tessuto emorroidario o dell'ultimo tratto del canale anale, l'opportunità di trattare ed asportare patologie e lesioni concomitanti come fistole, ragadi sclerotiche, fibropapillomi o altre neoformazioni. Ma esistono anche richieste di asportazione della componente emorroidaria e/o cutanea, procidente, fibrosa e "fissa", non a scopo funzionale, ma puramente psicologico o estetico, ad esempio da parte di pazienti, soprattutto donne, utilizzatrici di perizoma o che lamentano una "inibizione sessuale" (diretta o del partner) a causa della visibilità di evidente "componente esterna". Nessuna variazione sostanziale è scaturita dalla recente realizzazione della MM mediante ultrasuoni, radiofrequenza o laser, che rappresentano solo un "modo nuovo" di eseguire una "tecnica vecchia".
Quali vantaggi porta la tecnica di Longo?
La tecnica di Longo ha, in pratica, accorpato i vantaggi di tutte le procedure precedentemente enunciate, sia in termini di risultato che di gradimento: fornisce una efficace soluzione terapeutica per i sintomi della malattia emorroidaria, di cui corregge immediatamente e in maniera duratura, sia gli aspetti anatomici che funzionali, con tempi di degenza ridotti al minimo e convalescenza breve e, generalmente, con assenza o limitatezza di dolore o altri fastidi rilevanti.
Tutto ciò a fronte di svantaggi spesso più pregiudiziali che reali: con il diffondersi e l'affinarsi della tecnica e l'aumentata esperienza degli operatori, alcune conseguenze, oltretutto comuni a tutti gli altri interventi proctologici, hanno subito una drastica riduzione dell'incidenza, ma, soprattutto, non sono stati sopravvalutati, come in passato. Dopo 12 anni di applicazione della Longo, ampie casistiche, ripetuti studi e un numero consistente di lavori scientifici, il "follow-up" troppo breve è divenuto un falso problema e deve essere definitivamente sfatato e accantonato.
Fenomeni come urgency, dolore, sanguinamento, sebbene possibili e reali, se affrontati con la giusta competenza e serenità, non rappresentano problemi drammatici e insormontabili. Nell'esperienza personale, ad esempio, la percentuale di sanguinamento post-Longo, di qualsiasi entità, inizialmente (1997-2000) superiore al 20% (nel 5% sintomatologicamente importante), si è stabilizzata intorno a valori inferiori al 5% (con episodi clinicamente rilevanti in meno del 2% dei casi), semplicemente grazie ad una più attenta revisione a termine dell'intervento e a qualche punto emostatico in più.
A parte alcune sacche residue di critica pregiudiziale e faziosa, il tempo, la pratica e i risultati hanno minimizzato i timori del mondo scientifico, inizialmente allarmato dai paventati "danni da Longo", segnalati in lavori, italiani ed anglosassoni, del resto rivelatisi sporadici e poco significativi per numeri e metodologia.
L'avvento della prolassectomia di Longo ha senz'altro ridotto gli spazi per qualsiasi altra tecnica, limitandone drasticamente le indicazioni, ma i variegati aspetti della malattia emorroidaria e la ampia tipologia di pazienti, per caratteristiche, non solo cliniche, ma anche di ordine sociale e psicologico, fornisce ancora, in molti casi, indicazione al ricorso a metodiche diverse, ognuna adattabile al singolo caso, purché nel rispetto dei criteri di efficacia, sicurezza e gradimento.
Conclusioni
Molti autori si sono cimentati nella classificazione e nella sistematizzazione delle indicazioni chirurgiche in base agli aspetti anatomici e funzionali della patologia emorroidaria e società scientifiche, di diverso orientamento, hanno organizzato consensus conferences e stilato protocolli e linee guida, nell'intento di trovare soluzioni condivise, omogenee e ripetibili, applicabili a tutti i casi: i risultati sono stati non completamente soddisfacenti e, soprattutto, non attinenti alle necessità pratiche quotidiane.
In realtà, ogni chirurgo proctologo, dimenticando più o meno volutamente, le linee guida, ha seguitato, come sempre, ad orientare le proprie scelte sulle convinzioni personali, sulle necessità contingenti, sulle opportunità estemporanee, sull'habitus fisico e psichico del paziente, a cui, come un bravo sarto, cuce addosso un abito su misura: verosimilmente, oggi, questa seguita ad essere la soluzione più frequente.
Nell'ultimo decennio si è passati da iniziali affermazioni che la tecnica di Longo potesse essere applicata al massimo nel 20% dei pazienti candidati a chirurgia emorroidaria, a quelle, successive che invertivano le percentuali (80% Longo), fino ad arrivare a quelle che segnalano la Longo come applicabile pressoché alla totalità dei casi, per poi assistere a reflussi isolati di autori che paventano gravissimi rischi, insiti nel metodo PPH, sconsigliandone, praticamente, del tutto l'impiego.
Nelle ormai frequentissime sessioni congressuali, dedicate alla patologia emorroidaria, si sentono ripetere, fino alla noia, cifre e percentuali, di casistiche personali e altrui, perlopiù esposte in modo "soft", tale da non turbare la suscettibilità di alcuni Ras del quartiere, presenti in ogni società scientifica, sempre pronti ad aggredire (verbalmente), contestare radicalmente o ridicolizzare il malcapitato relatore, altrimenti reo di pensieri ed atti gravissimi: così, segnalando onestamente la percentuale delle proprie complicazioni, si corre il rischio da una parte di essere accusati di "malpractice" per interventi che, invece, devono essere "dogmaticamente puri ed esenti da difetti", dall'altra di essere tacciati di menzogna riduttiva, poiché, in realtà, gli "eventi avversi rappresentano la regola" e pochi sono i pazienti che non ne presentano.
Per tali motivi i dati esposti non rispecchiano sempre la realtà: capita a molti di aver modo di osservare complicazioni in pazienti operati da altri colleghi, quando poi gli stessi, relazionando, presentano casistiche con complicanze zero.
Casistica personale
Personalmente ho eseguito, in passato, diverse centinaia di Milligan-Morgan e, dal 1997 ad oggi, oltre 1000 interventi di Longo, più di 250 HAL-Doppler, circa 150 STARR e 20 Transtar: ritengo di aver superato tutte le curve di apprendimento, di poter presentare adeguate statistiche su risultati e complicanze e di poter esprimere, serenamente, pareri personali.
Attualmente impiego la Longo in oltre l'85% dei casi (circa 120 interventi ogni anno), ritenendola la tecnica di scelta, ma non rinuncio, ove l'opportunità sia lampante (prolasso di ogni grado, se localizzato), a impiegare frequentemente la legatura elastica (circa 50 pazienti per anno), in piccola misura la Milligan- Morgan (circa 10 casi l'anno, secondo i criteri prima esposti) e, in casi selezionati, la HAL (Doppler o non-Doppler, meno di 10 interventi in 1 anno).
Questo lavoro, tuttavia, non ha la pretesa, né lo scopo, di assumere una valenza statistica o scientifica, in senso stretto, ma solo di dare un quadro di insieme della realtà delle opinioni sull'argomento, volutamente basate sul discorso e sul pensiero, al fine di dare risposta pratica al quesito iniziale: "C'è ancora spazio per le tecniche ambulatoriali e tradizionali nella patologia emorroidaria?".
Per chi ha ancora desiderio di esaminare elaborati e preziosi numeri, unica e inconfutabile certezza scientifica, si consiglia di consultare altri lavori (vedi voci bibliografiche), con tradizionale e corretta impostazione, allineati con i dettami e le consuetudini scientifiche. Invece, il problema in questione ha, sicuramente, dei risvolti "filosofici" che sarebbe riduttivo non affrontare: in qualche occasione, una impostazione discorsiva può svelare aspetti di un argomento, solitamente dimenticati o considerati estranei al ragionamento scientifico e per questo trascurati o snobbati.
Tralasciando, quindi, le analisi sui dati, è possibile privilegiare, una volta tanto, la raccolta dei pensieri di tanti proctologi, soprattutto al di fuori della ufficialità: negli anditi della sale congressuali, nei corridoi, al bar o durante la cena sociale di un convegno, in un'atmosfera di maggiore rilassatezza, apertura e sincerità, complici l'amicizia e le eventuali libagioni, si ascoltano tante opinioni e verità nascoste che non emergono mai durante i dibattiti ufficiali e che, in definitiva, rappresentano lo specchio effettivo della realtà.
È in tali occasioni che si ammette il ricorso ad un intervento piuttosto che ad un altro, che si raccontano le complicanze osservate e le preoccupazioni conseguenti; è in questi momenti che, tra curiosità ed aneddoti, si afferma che "...questo non lo farò mai più...." o che "...lui può dire ciò che vuole, ma io ...." Allora appare inutile che dotti relatori enunciano regole per cui "nel prolasso di II grado si fa la legatura elastica, nel III grado la Longo e nel IV grado la Milligan-Morgan", quando poi, in pratica, la legatura elastica, la Longo e la Milligan-Morgan, vengono impiegate da tutti in tutti i gradi di malattia, con criteri personali ed estemporanei, calzati sul paziente, con una complessità di variabili che nessuna linea guida è mai riuscita e riuscirà mai a considerare completamente.
Il tempo e l'esperienza insegnano a riconoscere quello che è utile, quello che diventa meno utile o superfluo e quello che è inutile, dannoso e pericoloso: per questo l'intervento di Whitehead o la crioterapia, al pari delle causticazioni con ferro rovente, sono state pressoché abbandonate, per metodi più razionali, come la Milligan-Morgan e meno invasivi, come la legatura elastica.
L'intervento di Longo ha impresso una decisa spinta evolutiva in campo proctologico e si va affermando, nel mondo, come “gold standard”; tuttavia non è completamente scevro di complicanze e sequele, non sempre e solo conseguenza di malpractice, ma anche, che dir si voglia, di imponderabili fattori legati al paziente o al puro caso: anche i maggiori esperti di PPH hanno avuto modo di riscontrare sanguinamenti immediati o tardivi, dolore prolungato, urgency, per interventi condotti sicuramente "a regola d'arte".
La chirurgia insegna come una tecnica mediocre, se ben eseguita, sia preferibile a un buon intervento mal condotto e che, quindi una buona Milligan-Morgan, in mani esperte, risulti migliore di una sommaria PPH: ciò non toglie che, a parità di correttezza della procedura, la PPH, in termini di risultati, gradimento, sicurezza, complicazioni e sequele, presenti risultati di gran lunga superiori e indiscutibili vantaggi, rispetto alla Milligan-Morgan. L'opzione verso l'intervento di Longo è primaria, ma non esclude, comunque, totalmente, le altre tecniche, alcune delle quali conservano un margine di impiego discretamente ampio, secondo i concetti già esposti. Si ribadisce che l'argomento è difficilmente sistematizzabile con criteri obiettivi e che l'esperienza e l'intuito dell'operatore risultano fondamentali nella scelta della più opportuna e, di conseguenza, migliore procedura possibile.
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