Come si effettua la diagnosi prenatale?

Le tecniche di diagnosi prenatale comprendono indagini strumentali e di laboratorio, che hanno lo scopo di monitorare il concepito e la gravidanza. Sempre più attenzione è rivolta all’applicazione di queste metodologie in epoche gestazionali precoci o, comunque, nel primo trimestre al fine individuare eventuali patologie.

La diagnosi prenatale comprende:

  • tecniche di tipo invasivo (le più diffuse amniocentesi e villocentesi);
  • tecniche di screening non invasive (Bi test e ricerca del DNA fetale su sangue materno).
Illustrazione 1 - Ginecologia e Ostetricia


Quali sono le principali tecniche invasive?

 
  •  L’amniocentesi, consiste in una puntura transaddominale sotto controllo ecografico con lo scopo di prelevare del liquido amniotico, attorno alla 16^ - 18^ settimana gestazionale. Nel liquido sono, infatti, contenuti gli amniociti, cellule di sfaldamento del feto provenienti da cute e mucose sulle quali si possono eseguire indagini al fine di conoscere il cariotipo (il corredo cromosomico) del prodotto del concepimento. Questa procedura non è priva di complicanze. Si pensi, infatti, che il rischio di aborto, causato dall’invasività della tecnica, è calcolato in circa 1:200;
  • la villocentesi, anch'essa eseguita mediante puntura transaddominale, sotto controllo ecografico, attorno alla 12 ^ settimana di gravidanza. In questo caso, sono prelevati frammenti di placenta (villi coriali) dai quali si possono ottenere informazioni sul corredo cromosomico del feto. Anche per questa metodica il rischio abortivo si aggira intorno a 1:200.
 

Quali test di screening fare nel primo trimestre?

Per comprendere a pieno l’utilizzo delle tecniche di screening attualmente messe in atto nel primo trimestre si deve comprendere cosa significhi screening. Esso consiste in una serie di indagini ritenute accettabili dai pazienti, utilizzate per identificare, all’interno di una popolazione, i soggetti a rischio per una patologia, che costituisce un problema importante di salute pubblica in termini di prevalenza (elevata) e di sintomi clinici (gravi) e per cui sia disponibile un trattamento accettabile per quei pazienti che risultino positivi al test 1-2.

A cosa servono i test di screening in gravidanza?

Nel caso in questione, lo screening per le aneuploidie (cioè le anomalie nel numero dei cromosomi) fetali si è evoluto notevolmente negli ultimi decenni, portando complessivamente al miglioramento dei tassi di rilevamento delle stesse.

I test di screening, rispetto alla diagnosi prenatale invasiva, non permette di conoscere numero e forma dei cromosomi del feto, ma stabiliscono la probabilità che il feto sia affetto da una delle principali aneuploidie (trisomia 21 o sindrome di Down, trisomia 18 o sindrome di Edward e trisomia 13 o sindrome di Patau).

Illustrazione 2 - Ginecologia e Ostetricia

In che consiste il bi-test?

Il bi-test (o test combinato) utilizza il sangue materno acquisito attorno all’ 11^ settimana, sul quale vengono dosati due ormoni di origine placentare: la Beta gonadotropina corionica (β-hcg) e la Pregnancy Associated Plasma Protein A (PAPP-A). Tale analisi è in seguito integrata con un’ecografia transaddominale da eseguirsi fra la 11^ e la 13^ in cui viene misurata la translucenza nucale (raccolta di liquido che è presente nella regione della nuca del feto). L’esame deve essere condotto da operatori esperti che abbiano ottenuto una certificazione (rilasciata dalla Fetal Medicine Faundation di Londra).

Questo test di screening è in grado di predire circa l’80% delle Sindromi di Down, con una percentuale di falsi positivi (cioè che alla fine non presenta la condizione che il test farebbe ipotizzare) di circa il 5%. L’aggiunta di ulteriori markers ecografici (la visualizzazione dell’osso del naso del feto , la valutazione della frequenza cardiaca e della funzionalità della tricuspide fetale e del dotto del dotto venoso) migliora la sensibilità, cioè la capacità di individuare feti affetti sino al  95%.

Mediante questo esame, è possibile individuare quindi quali siano quelle gravidanze ritenute a basso rischio per le tre principali aneuploidie (trisomia 21, 18 e 13). Inoltre, permette un primo studio morfologico del feto già a 12 settimane di gravidanza. L’operatore, alla fine del test, può riconoscere quali siano le pazienti con feto a elevato rischio per difetti cromosomici o morfologici a cui proporre successivi accertamenti (se esse lo desiderassero), rispetto a quelle a basso rischio che proseguiranno con i controlli di routine.

È importante ribadire come i test di screening prenatali (come tutti i test di screening) non siano volti a diagnosticare una data patologia, ma abbiano lo scopo di  identificare quali siano i feti ad elevato probabilità di esserne portatori senza sottoporre tutte le pazienti a test invasivi con un potenziale rischio abortivo.

 

Cosa si può scoprire con l'esame del DNA fetale?

La ricerca del DNA libero di origine fetale consiste in un semplice prelievo di sangue venoso materno. Infatti, già dal primo trimestre di gravidanza, ed in particolare dalla 10^ settimana di gestazione, sono presenti nel circolo ematico materno DNA libero di origine fetale (cffDNA dall’acronimo inglese “cell free fetal DNA”). Sottoponendo dunque la donna a un prelievo di sangue, è possibile isolare tali cellule.

La percentuale di concentrazione di DNA libero fetale può variare tra meno del 4%, quantità non sufficiente per la diagnosi, ed il 40%, con una valore medio attorno al 10%, alla 12^ settimana 7. Una buona concentrazione per l’impiego clinico e l’esecuzione del test si raggiungono a partire dalla 10^ settimana di gestazione. La metodica utilizzata da questo esame si basa sul rapporto proporzionale di quantità di cromosoma individuati nel prelievo della gestante e quelli che ci aspetteremmo di trovare in una paziente con un feto portatore di un assetto cromosomico normale. Se tale rapporto è maggiore di 1 vi è la probabilità che il feto sia affetto da una trisomia (presenza di cromosoma soprannumerario).

Secondo la percentuale della quota di cffDNA presente nel campione varia l’accuratezza dell’esame. Se essa è inferiore al valore considerato soglia di almeno il 4%, il test di screening non risulta statisticamente significativo e dunque l’esame non è attendibile. È quindi sempre opportuno verificare la percentuale di frammenti liberi che vengono individuati nel campione in esame 1,7. In tutti gli studi condotti su questa tipologia di screening nelle gravidanze singole per le tre principali anomalie del numero dei cromosomi sono state riscontrate percentuali di sensibilità (capacità del test di individuare i soggetti affetti – DR) e di specificità (capacità del test di individuare i soggetti sani - FPR) del test come riportato nella tabella sottostante.

 

Illustrazione 3 - Ginecologia e Ostetricia

Questo test di screening ha dimostrato di possedere anche una buona sensibilità e specificità nell’individuare eventuali aneuploidie dei cromosomi sessuali X e Y nelle gravidanze singole anche se inferiore rispetto a quello dei cromosomi precedentemente elencati.  Per la monosomia X è stata dimostrata una sensibilità del 90,3% (95% CI, 85,7-94,2%) ed una specificità dello 0,23% (95% CI, 0,14-0,34%)8.

Per tutte le altre aneuploidie dei cromosomi sessuali la sensibilità è risultata del 93,0% (95% CI, 85,8-97,8%) e la specificità dello 0,14% (95% CI, 0,06-0,24%) 8.
Sono inoltre in via di sviluppo pannelli che analizzano alcune sindromi clinicamente riconoscibili. I risultati preliminari indicano tuttavia una ancor bassa sensibilità ed una elevata specificità 3, 9 – 14.

Dunque, in questo caso, la maggior parte di questi protocolli sono sperimentali e non proponibili nella pratica clinica quotidiana 15.

In conclusione oggi l’impiego di algoritmi dedicati permette di definire quale sia la probabilità che il feto sia affetto da una delle principali trisomie autosomiche (trisomia 21, trisomia 18, trisomia 13) o da un’aneuploidia dei cromosomi sessuali (X, XXX, XXY, XYY). Vengono, infatti, analizzati il numero di cffDNA di ciascuno dei cromosomi oggetto del test.

 

Quali sono i limiti di esecuzione del DNA libero fetale?

Questo esame presenta alcuni casi in cui gli esiti non sono considerati attendibili:

  • è stato stimato che, in circa il 2% dei campioni prelevati al termine del primo trimestre di amenorrea, la percentuale di DNA libero non superi la soglia del 4% e non sono, dunque, utilizzabili al fine di questo esame;
  • se la madre è portatrice di un assetto cromosomico che differisca dal normale. In alcuni casi queste alterazioni (mosaicismi cromosomici) non sono note alla paziente in quanto non associate a segni clinici. In queste pazienti il risultato dell’esame può non essere attendibile;
  • farmaci, agenti fisici o virali possono danneggiare il DNA e, in tal modo, influire sulla quantità e la tipologia di DNA libero circolante isolabile;
  • presenza di placente evanescenti da pregressi aborti;

Tutte queste possibilità sono comunque molto rare nella pratica clinica e necessitano sempre di consulenze e approfondimenti maggiori.

 

Quando e come eseguire il test?

I principali studi internazionali consigliano di anteporre a questo test un accurato controllo ecografico (ancor meglio il bi - test) dopo l’ 11^ settimana. Va infatti ricordato che il bi-test dà ulteriori informazioni e non studia il solo rischio di alterazione del numero dei  cromosomi. Tramite l’ecografia condotta da un operatore certificato infatti è possibile individuare già a 12 settimane di gravidanza anomalie fetali maggiori (malformazioni cardiache, anomalie della parete addominale, degli arti o dell’estremo cefalico). Per tale motivo non sarebbe corretto considerare il cffDNA come un esame sostitutivo al bi – test, ma per lo più un esame integrante.

Nel caso in cui vengano rilevate anomalie morfologiche del feto o l’esito del bi-test suggerisca un aumento del rischio di patologia cromosomica, deve essere valutata l’opportunità di eseguire direttamente una diagnosi prenatale invasiva (amniocentesi o villocentesi) e non il DNA libero fetale.

Il test del DNA libero dovrebbe essere proposto a quelle donne che richiedano ulteriori approfondimenti a fronte di un bi-test che mostri un basso rischio per le tre aneuploidie e una morfologia fetale ecograficamente indagabile nella norma per epoca gestazionale. È necessario che le donne che intendano sottoporsi a tale prelievo siano informate mediante un colloquio che trasmetta loro le informazioni necessarie per comprendere a pieno le caratteristiche del test di screening, i suoi benefici e i limiti. Le stesse pazienti dovranno inoltre firmare un consenso informato scritto prima di sottoporsi a tale prelievo.
Il Centro che offre il test deve essere in grado di garantire la consulenza genetica post-test ed il completo supporto alla paziente durante l’intero iter diagnostico prenatale.

Va sempre ricordato alla donna che si tratta di uno screening prenatale che ha una sensibilità più elevata in particolare per la trisomia 21 rispetto agli attuali test di screening che combinano le analisi biochimiche e la translucenza nucale (bi-test). Il DNA libero fetale che non si sostituisce però al bi-test né esclude la possibilità di poter eseguire ulteriori test diagnostici invasivi.

Lo scopo del DNA libero fetale è quello di fornire informazioni aggiuntive alle coppie che lo desiderano nelle gravidanza considerate a basso rischio per la presenza delle tre principali aneuploidie, senza dover mettere a rischio la gravidanza con tecniche invasive.

Illustrazione 4 - Ginecologia e Ostetricia


Raccomandazioni sullo screening prenatale non invasivo del DNA fetale

Lo screening prenatale non invasivo basato sul DNA non è un test diagnostico. Il test verifica la possibilità che il feto sia affetto dalle più comuni aneuploidie, con una specificità e sensibilità elevata. Esso esprime, su base probabilistica, la presenza nel feto di una specifica patologia indagata. Pertanto, ogni risultato positivo deve essere confermato con una tecnica invasiva tradizionale (villocentesi/amniocentesi).

Il test deve comunque essere preceduto da un’ecografia e dalla consulenza pre-test, che ha il compito di illustrare il significato del test e tutte le opzioni alternative disponibili per il monitoraggio della gravidanza.

L’indagine è al momento mirata e validata per le principali aneuploidie (trisomia 21,13 e 18).
Bisogna inoltre ricordare che le anomalie cromosomiche indagate riguardano solo una parte, sia pure significativa (50-70%), delle aberrazioni cromosomiche eventualmente presenti nel feto. Uno studio morfologico del feto già a partire dalla 12^ settimana è a maggior ragione necessario. Tale test non è sostitutivo e perciò non evita di effettuare le altre indagini cliniche, laboratoristiche e strumentali che fanno parte integrante del monitoraggio della gravidanza.

I Centri e gli operatori che erogano il test devono:

  • avere competenze nella diagnosi ecografica e nella diagnosi prenatale;
  • essere in grado di offrire la consulenza pre-test e post-test.
  • essere collegati con il laboratorio certificato che partecipi a programmi della qualità nazionali ed internazionali;
  • la tipologia di analisi e la metodica di screening proposta deve essere resa pubblica e devono essere presenti validazioni scientifiche.
 

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