Cos’è la Sclerosi multipla?

La Sclerosi Multipla è una malattia infiammatoria cronica degenerativa del Sistema Nervoso Centrale che colpisce i soggetti tra i 20 e 40 anni di età e rappresenta una tra le principali cause di disabilità neurologica nell’età giovane-adulta.

L’introduzione dei cosiddetti “disease-modifying treatment” (DMT) ha radicalmente cambiato il volto della patologia, ritenuta incurabile fino a solo trent’anni fa.

Oggi esistono diversi farmaci approvati per il trattamento della patologia, che vengono somministrati in modo differente: tre formulazioni di IFNβ (IFNβ-1a 30 mcg i.m. monosettimanale, IFNβ-1b 250 mcg s.c. a giorni alterni, IFNβ-1a 22 o 44 mcg s.c. tre volte alla settimana); GA 20 mg s.c./die; Mtx e.v. 8-12 mg/mq ogni uno-tre mesi; Nat 300 mg e.v. ogni quattro settimane, Fin 0,5 mg per os/die.

Illustrazione 1 - Neurologia

 

Esiste una cura per la Sclerosi Multipla?

I farmaci di prima linea (IFNβ e GA) si sono dimostrati in grado di modificare la storia naturale della malattia, in particolare di ridurre il numero e la frequenza delle riacutizzazioni e, seppure in minor misura, di rallentare la progressione della disabilità. È stato inoltre osservato che tali DMT esercitano un drammatico impatto sull’attività subclinica di malattia evidenziata mediante RMN, sia per la precoce e prolungata soppressione delle lesioni captanti mdc, sia per la riduzione nell’accumulo di nuove lesioni iperintense nelle sequenze T2-pesate. Infine, IFNβ e GA sembrerebbero anche in grado di rallentare il processo di atrofia cerebrale, sebbene i risultati degli studi condotti finora su questo specifico tema non siano ancora definitivi. Studi osservazionali di estensione e diversi studi postmarketing hanno confermato anche nel setting clinico quotidiano l’efficacia delle terapie immunomodulanti, fornendo altresì dati sul medio-lungo termine. Ciononostante, la risposta ai DMT di prima linea si è rivelata estremamente eterogenea, e pertanto i pazienti trattati tali farmaci necessitano di periodici controlli clinici e di RMN per verificarne la reale efficacia nel singolo caso.

L’introduzione delle terapie di seconda linea, tra cui il Nat (primo anticorpo monoclonale per il trattamento dell’SM) e più recentemente il Fin (primo farmaco orale) ha ulteriormente ampliato l’armamentario terapeutico del neurologo contro l’SM a ricadute e remissioni (RR). L’opportunità di poter avere a disposizione una serie di farmaci molto “attivi” sulla malattia, impone dunque il riconoscimento precoce dei pazienti non-responder, onde la possibilità di somministrare farmaci alternativi in tempo utile a prevenire lo sviluppo di un deterioramento neurologico irreversibile in termini di disabilità.
 

E’ possibile definire chiaramente una risposta terapeutica?

Non esiste, ad oggi, una definizione universale e condivisa di risposta o non risposta ai DMT. Gli studi pubblicati finora hanno adottato definizioni arbitrarie, basandosi essenzialmente su due criteri: tasso di ricadute e progressione della disabilità misurata alla scala di Kurtzke (EDSS). Sebbene una diminuzione o addirittura la completa abolizione delle riacutizzazioni di malattia sia una prospettiva auspicabile, è stato documentato che il peggioramento della disabilità neurologica rappresenta il criterio più accurato per valutare l’efficacia del trattamento preventivo. Il tasso di ricadute stimato in un determinato lasso temporale, infatti, può risultare fuorviante, dal momento che nella storia naturale di malattia possono essere contemplati periodi (più o meno lunghi) liberi da ricadute cliniche; inoltre, le ricadute sono esposte al fenomeno statistico della regressione verso la media, per cui nel corso degli anni il loro numero tende a ridursi.

Il peggioramento di uno o più punti del punteggio relativo all’EDSS, confermato a sei mesi di distanza in corso di terapia, rappresenta il principale fattore predittivo dello sviluppo di una severa invalidità neurologica nel lungo termine. Uno studio condotto dal gruppo di Barcellona ha dimostrato che almeno due terzi dei pazienti con disabilità severa dopo sei anni di follow-up (EDSS maggiore o uguale a 6.0) erano stati considerati responder secondo criteri basati sulle ricadute, mentre solo il 3% dei pazienti clinicamente stabili durante i primi due anni di trattamento aveva raggiunto tale punteggio al termine dei sei anni di follow-up. In questo studio, i criteri di non-risposta al trattamento basati sulla progressione della disabilità avevano mostrato sensibilità pari all’85%, specificità del 93% e accuratezza diagnostica del 92%. Tuttavia è doveroso sottolineare che valutare l’efficacia della terapia in base alle variazioni dell’EDSS richiede un tempo prolungato di osservazione mentre oggi si è in cerca di marker della risposta terapeutica che ci possano fornire indicazioni in tempi brevi, nel termine di mesi piuttosto che di anni.

Uno studio canadese ha proposto un modello “analogico” che fornisce al neurologo raccomandazioni pratiche per definire il livello di risposta del singolo paziente al DMT in corso. Questo modello è basato sulla valutazione combinata delle ricadute (intese come frequenza, severità e grado di recupero), della progressione della disabilità, e dei dati di RMN convenzionale (lesioni attive dopo mdc, nuove / aumentate di volume lesioni T2-iperintense, nuove / aumentate di volume lesioni T1-ipointense, incremento dell’atrofia). Per ogni parametro viene stabilito un “livello di attenzione” sulla situazione del singolo paziente, che può essere definita “non preoccupante”, “degna di nota”, “preoccupante” o “richiedente un’azione immediata” (Tabella 1). 

Tale modello, tuttavia, non raccomanda l’utilizzo del follow-up di RMN come strumento adatto per prendere decisioni in merito ad una possibile variazione della terapia.
 

Il concetto di “freedom from disease activity”

Recentemente è stato suggerito che ottenere una completa remissione di malattia può essere considerato un obiettivo raggiungibile almeno per un terzo dei pazienti trattati con Nat. La totale assenza di ricadute e di progressione della disabilità alla scala EDSS è stata pertanto definita come libertà dall’attività clinica di malattia, mentre la totale assenza di lesioni captanti mdc e di nuove o (aumentate di volume) lesioni T2-iperintense è stata definita come libertà dall’attività radiologica di malattia. Il criterio più stringente prevede il concomitante raggiungimento della libertà dall’attività clinica e radiologica di malattia.

Cosa fare in assenza di chiara risposta terapeutica?

È verosimile che all’introduzione di ulteriori nuove terapie (altri anticorpi monoclonali e molecole orali) questo criterio sarà incorporato negli studi come misura di outcome, mentre saranno abbandonate le misure “relative” di efficacia, quali la diminuzione della relapse rate, o il change dello score EDSS. La vera sfida sarà quella di capire quanto a lungo queste nuove terapie possano indurre una completa remissione dell’SM, senza altresì causare eventi avversi, specialmente nel lungo termine.

Predittori clinici della risposta terapeutica

Praticamente tutti gli studi condotti finora e mirati ad identificare variabili predittive della risposta (o non-risposta) terapeutica sono stati condotti su pazienti trattati con IFNβ. Alcuni parametri clinici quali l’età, la durata di malattia, il punteggio EDSS, la frequenza delle ricadute prima del trattamento con IFNβ sono risultati essere potenziali fattori predittivi negli studi in aperto. I risultati di questi studi, tuttavia, sono discordanti e spesso sono basati su un follow-up a breve-medio termine (Tabella 2).

La proporzione di pazienti che non rispondono alla terapia con IFNβ può variare in maniera estrema a seconda della definizione di risposta terapeutica adottata (Tabella 3). Oltre a ciò, anche i predittori potenziali della risposta al trattamento sono strettamente dipendenti dalla definizione di risposta terapeutica adottata (Tabella 4).

In definitiva, è oggi abbastanza condiviso il concetto che le variabili cliniche considerate all’inizio del trattamento siano correlate alla prognosi di malattia, piuttosto che predittive della risposta al trattamento. Resta comunque il fatto che le possibilità di ottenere una risposta ottimale dai DMT aumentano quanto più la terapia è iniziata precocemente nel corso dell’SM.

 

Il ruolo della RMN nel monitoraggio della risposta terapeutica

L’RMN convenzionale sembra essere oggi lo strumento potenziale di maggior affidabilità per monitorare la risposta al trattamento. Oggi si ritiene che i parametri demografici, clinici e di RMN, considerati prima dell’inizio del trattamento, non siano in grado di predire la risposta clinica nel singolo paziente. Uno score EDSS elevato e un maggiore carico lesionale all’RMN sono ritenuti fattori prognostici sfavorevoli ma, se applicati alla pratica clinica, diventano poco utili nel singolo paziente. Lo sviluppo di anticorpi neutralizzanti (fenomeno osservato nel trattamento con IFNβ), per quanto imponga una sospensione del trattamento nel caso il titolo permanga ripetutamente alto, si è dimostrato in grado di spiegare solo in parte la mancata risposta alla terapia.

Perchè preferire la RMN?

Il grande vantaggio dell’RMN convenzionale è che essa è in grado di fornire un quadro sensibile ed oggettivo dell’attività di malattia, anche perché lo sviluppo di nuove lesioni attive nell’SM è circa cinque-dieci volte più frequente delle ricadute cliniche e può verificarsi anche in assenza di sintomatologia clinica. Un’analisi post hoc dello studio registrativo dell’IFNβ-1a i.m. monosettimanale ha documentato che i pazienti che avevano accumulato tre o più nuove lesioni T2-iperintense nel corso dei due anni di terapia avevano outcome clinici sovrapponibili a quelli osservati nel gruppo placebo, e dunque una maggiore probabilità di andare incontro a un significativo peggioramento della disabilità al termine del follow-up.

LA RMN ha un ruolo predittivo?

I diversi studi postmarketing che hanno considerato il ruolo predittivo dell’RMN convenzionale, eseguita a sei-dodici mesi di terapia, hanno prodotto risultati piuttosto convergenti, confermando che l’occorrenza di lesioni captanti mdc, e ancor di più l’accumulo di nuove lesioni T2-iperintense in corso di terapia con IFNβ, rappresentano parametri predittivi del futuro sviluppo di ricadute cliniche e/o progressione della disabilità. È stato inoltre suggerito che il rischio di progressione sostenuta della disabilità in corso di IFNβ sarebbe inoltre direttamente proporzionale al numero di nuove lesioni T2-iperintense osservate dopo un anno di terapia.

Quali sono i limiti della RMN?

Il limite principale di questo approccio è di natura tecnica: il confronto tra esami di RMN eseguiti a distanza di tempo richiede un accurato riposizionamento del paziente, l’utilizzo dello stesso magnete e la standardizzazione delle sequenze di RMN. Nella pratica clinica quotidiana non è sempre possibile, per motivi economici, logistici e di tempo, soddisfare tutti questi requisiti.

Il monitoraggio precoce con RMN della risposta al trattamento sembrerebbe, tuttavia, essere applicabile per ora solo ai DMT di prima linea. Mentre non esistono dati in merito al Fin, è stato recentemente suggerito che l’attività subclinica all’RMN, osservata dopo un anno di terapia con Nat, non precluda necessariamente una successiva efficacia del farmaco, a meno che non ci sia un concomitante riscontro di anticorpi neutralizzanti.

Sebbene tale dato sia stato evidenziato solamente da un’analisi post hoc dello studio AFFIRM su un follow-up a breve termine (due anni), nella pratica clinica quotidiana il ricorso all’RMN per i pazienti trattati con Nat per periodi superiori a due anni sembra più utile per ragioni di sicurezza (legati soprattutto alla possibilità di individuare precocemente la comparsa della PML), piuttosto che per valutare la reale efficacia del farmaco.

 

Conclusioni

Diverse evidenze hanno stabilito una migliore prognosi nel medio-lungo termine per quei pazienti che iniziano un DMT precocemente nel corso della loro SM, quando cioè prevale una componente infiammatoria, i meccanismi di riparazione del danno sono ancora relativamente efficienti e la neurodegenerazione è minima [8]. Tuttavia, la precocità di intervento non deve limitarsi alla mera prescrizione della terapia, ma anche ad un monitoraggio attento e scrupoloso della risposta terapeutica, privilegiando l’RMN convenzionale come strumento più affidabile per stabilire la prosecuzione della cura o il passaggio ad un diverso DMT.

In conclusione:

  • Non esiste una definizione univoca e condivisa di risposta ai DMT per l’SM;
  • La proporzione di pazienti responder o non-responder ai DMT, così come le variabili cliniche potenzialmente predittive della risposta, variano in base alla definizione che viene adottata per giudicare il fallimento o il successo della terapia.
  • L’esecuzione di un’RMN convenzionale a sei-dodici mesi dall’inizio del trattamento rappresenta lo strumento più sensibile ed affidabile per predire la risposta terapeutica ai DMT di prima linea (IFNβ e GA), mentre non è stato ancora stabilita l’utilità dell’RMN in caso di trattamenti con Fin o Nat.
  • Un attento monitoraggio della risposta terapeutica è fondamentale per ottimizzare ed individualizzare il trattamento dell’SM, al fine di scongiurare l’accumulo di disabilità neurologica progressiva.
 

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