Che cosa si intende per demenza?

Con il termine Demenza si designa un insieme di condizioni cliniche che interferiscono sulle funzioni cognitive, causando disturbi di memoria, linguaggio e ideazione  causate da differenti patologie a carico del cervello.

La malattia di Alzheimer è la più conosciuta, avendo un’incidenza tra il 60 e l’80% circa di tutti i casi di demenza, seguita dalla demenza vascolare, secondaria ad episodi di ictus. La m. di Alzheimer si ritiene sia causata dalla formazione di placche di beta-amiloide negli spazi intercellulari e da ammassi fibrillari nell’interno delle cellule, dovuti alla disintegrazione della proteina tau. La sede che viene per prima interessata da questo processo è la regione dell’ippocampo, considerata l’area cerebrale della memoria e dell’apprendimento, per cui il primo segno della malattia è una disfunzione della memoria.

La malattia a corpi di Lewy, con un’incidenza del 10-20%, è per frequenza la seconda forma di demenza.

Il Declino Cognitivo Lieve, caratterizzato unicamente da disturbo della memoria a breve termine, si considera invece uno stato fisiologico dell’invecchiamento e differisce dalla demenza in cui sono presenti almeno due o tre sintomi abbastanza severi da coinvolgere il normale funzionamento delle attività quotidiane.

A lato delle demenze causate da lesioni irreversibili del cervello, esistono altre forme di demenze dovute a cause reversibili, come depressione, deficit vitaminici, abuso di alcol, patologie della tiroide, idrocefalo normo-teso, etc., che sono passibili di migliorare se appropriatamente trattate.

Illustrazione 1 - Neurologia

 

E' possibile eseguire una diagnosi di demenza?

La diagnosi di demenza si basa innanzitutto su una attenta raccolta dell’anamnesi, alla ricerca della fenomenologia di deterioramento psichico che è peculiare per ogni tipo di demenza; inoltre, è essenziale eseguire un approfondito esame neurologico, indagini di laboratorio e strumentali ed i test neuropsicologici specifici per i differenti domini cognitivi. Ciò malgrado la diagnosi esatta è resa difficile dalla presenza di sintomi comuni nelle diverse forme di demenza, per cui si rende necessaria una valutazione da parte di un Neurologo ed in casi selezionati anche di un Neurochirurgo.
 

Esiste una cura per chi soffre di demenza?

Una diagnosi esatta è condizione essenziale per un approccio terapeutico appropriato, tenendo comunque conto che nelle forme primitive, e principalmente nella m. di Alzheimer, non si dispone al presente di terapie in grado di bloccare la progressione della demenza. Tuttavia il ricorso odierno a terapie farmacologiche e riabilitative riesce ad apportare temporanei miglioramenti delle disabilità che si traducono in un migliore livello di vita del paziente.
 

Un caso particolare: la demenza senile

La demenza senile, con la popolazione mondiale che invecchia, sta diventando l’emergenza medica e sociale più temuta del terzo millennio con una incidenza di circa il 5% nella popolazione oltre i 65 anni di età e del 24 - 30% negli ultraottantenni. Si prevede che gli anziani con demenza fra 15 anni saranno quasi 90 milioni destinati a triplicare nei successivi 20 anni.

Quali sono i principali sintomi della demenza senile?

La demenza consiste in un deterioramento cognitivo progressivo di cui il primo e più evidente sintomo è il declino della memoria; poi con i ricordi del passato si disgrega la memoria delle azioni più semplici della vita quotidiana: mangiare, lavarsi, vestirsi. L’insorgenza della demenza è subdola perché avanza in modo lento e graduale; per questo la Medicina odierna si sforza di individuarne le fasi iniziali, quando cioè la malattia è già presente ma in forma lieve ed il soggetto è ancora autonomo nella vita di tutti i giorni. La condizione iniziale, che insorge intorno ai 60 anni, è definita Declino Cognitivo Lieve o MCI (acronimo di Mild Cognitive Impairment) e non coinvolge le funzioni cognitive generali né le abilità funzionali, come inesorabilmente accade nella demenza, e può rappresentare uno stato di transizione tra l'invecchiamento normale e la demenza. Per questo motivo il declino cognitivo lieve deve essere considerato come un campanello di allarme quale fattore di rischio che potrebbe precedere lo sviluppo negli anni successivi di una forma di demenza.

Illustrazione 2 - Neurologia

 

Definizione e classificazione della demenza

Il termine “demenza” cominciò ad essere utilizzato dai Medici del Rinascimento dopo il ritrovamento e la pubblicazione, da parte del papa Niccolò V nel 1478, del trattato “De Medicina” scritto dall'enciclopedista e medico romano Aulo Cornelio Celso, probabilmente tra l'impero di Augusto e quello di Tiberio. Celso aggiunse alle classiche categorie ippocratiche della chirurgia, dietetica e farmaceutica la nuova scienza denominata medicina empirica in  cui descrisse in un latino elegante e semplice, che favorì l'ampia diffusione del suo trattato, anche le condizioni di alterazione dell’intelligenza e del comportamento che, in modo generico, venivano indicate come demenza. Il termine fu ripreso da Jean-Étienne Dominique Esquirol nel trattato “Des maladies mentales, considérées sous les rapports médicaux, hygiénique et médico-légal 2 vols “ (Parigi 1838), ancorché con un significato ampio e generico e senza alcuna distinzione fra disturbi su base organica o funzionale, per indicare un quadro clinico caratterizzato da perdita della memoria, della capacità di giudizio e dell’attenzione. Nel 1883 Emil Kraepelin pubblicò il suo primo grande lavoro clinico: il Compendium der Psychiatrie, prima edizione di un'opera considerata un lavoro classico del XX secolo, in cui esponeva un sistema nuovo di classificazione delle malattie mentali divise in disturbi endogeni (dovuti a cause organiche) e in disturbi esogeni (dovuti a cause esterne all'organismo) che fu per decenni il punto di riferimento della nosologia psichiatrica. Successivamente, nell'ottava edizione, pubblicata tra il 1910 e il 1915, presentò un’esposizione completa e dettagliata della demenza senile di cui rimane ancora oggi traccia nelle principali classificazioni diagnostiche (ICD e DSM).

Demenza: come viene definita dal manuale DSM?

Il DSM-IV-TR, ossia il manuale per la diagnostica delle affezioni psichiatriche adottato in tutto il mondo con periodici aggiornamenti, definisce la demenza come

una condizione clinica acquisita di natura organica espressa da assenza di alterazioni della coscienza e da un disturbo multiplo delle funzioni cognitive, con “ricaduta ecologica” cioè con effettive ripercussioni sulla vita di relazione del soggetto.


Infatti, la demenza non è caratterizzata solamente da compromissione della memoria ma da molteplici deficit cognitivi concernenti il linguaggio (afasia), l’organizzazione delle azioni (aprassia), il riconoscimento degli oggetti (agnosia), sufficientemente gravi da provocare una menomazione delle attitudini esecutive e che rappresentano un deterioramento rispetto a un precedente livello di normale funzionamento lavorativo e sociale. Infatti, secondo l’ICD-10 (International Classification of Diseases) la diagnosi di demenza è consentita solo se esiste una durata di malattia di almeno 6 mesi. Da una attenta valutazione neurologica, promossa da una perdita di memoria, può scaturire una diagnosi precoce di demenza e di corretta differenziazione di forma (primaria, secondaria o pseudo demenza) che consenta di attuare idonee strategie terapeutiche e riabilitative che ne blocchino la progressione, permettendo così al paziente e ai suoi familiari di affrontare la malattia in modo adeguato.
 

Quali sono le principali cause di demenza?

Il criterio corrente di classificazione delle demenze è basato sulle cause  ed individua forme primarie, o degenerative, e forme secondarie. Le forme primarie principali sono: la malattia di Alzheimer (42% di tutte le forme organiche), la demenza fronto-temporale e la demenza a corpi di Lewy. Le demenze secondarie sono costituite innanzitutto dalla demenza vascolare-ischemica e poi da un insieme di altre forme che possono essere conseguenza di malattie infettive, intossicazioni croniche, disturbi endocrini, traumi, tumori, etc.

Sotto il profilo clinico le demenze si distinguono anche in corticali e sottocorticali a seconda della sede in cui prevale l’aspetto degenerativo e quindi il coinvolgimento di specifiche strutture  funzionali. Le Demenze corticali, caratterizzate da estesa atrofia corticale e da lesioni degenerative intra- ed extra- neuronali (placche di amiloide) con progressiva perdita di cellule nervose nelle aree cerebrali vitali per la memoria e per altre funzioni cognitive, sono rappresentate in primo luogo dalla malattia di Alzheimer e secondariamente  dalla malattia di Pick, dalla demenza fronto-temporale e dalla demenza a corpi diffusi di Lewy. Queste demenze clinicamente sono caratterizzate da  precoce alterazione della memoria e successivamente da perdita del pensiero astratto, deficit del linguaggio, delle prassie, della percezione e  della cognizione spaziale. Questi deficit  considerati "corticali" non sono invece presenti nelle Demenze sottocorticali, ove invece predominano il rallentamento dei processi cognitivi ed alterazioni della personalità e disturbi affettivi di tipo depressivo. Al riguardo della depressione nell’anziano è opportuno fare una puntualizzazione. La MCI, come si è detto, potrebbe rappresentare il prodromo di una demenza che diviene successivamente conclamata anche se una tale progressione spesso si rivela inesistente; nel contempo, va rimarcato che il deterioramento cognitivo è legato a doppio filo alla patologia della depressione nel senso cioè che un deterioramento cognitivo potrebbe essere una conseguenza della depressione; ma è anche possibile il contrario: un sintomo depressivo nell’anziano potrebbe indicare l’esordio di una demenza. Distinguere i sintomi delle due patologie risulta molto complesso. Per questo una diagnosi differenziale costituisce il primo passo per indirizzare il paziente verso una terapia corretta. Sebbene le modalità di esordio e la progressione della demenza siano molto variabili, il decorso generalmente varia tra i 2 e i 10 anni.
 

Malattia di Alzheimer (Alzheimer’s Disease, AD)

Illustrazione 3 - Neurologia

Cos'è l'Alzheimer?

La malattia di Alzheimer è la forma più comune di demenza e prende il nome da Aloysius (Alois) Alzheimer, neurologo tedesco, ma sarebbe più giusto denominarla malattia di Alzheimer-Perusini poiché fu individuata con l’italiano Gaetano Perusini studiando sotto il profilo clinico e neuropatologico il caso della paziente Augusta Dester, ricoverata per demenza nell’Ospedale Psichiatrico di Monaco di Baviera. Alzheimer ne enunciò i caratteri per la prima volta nel 1907 al Congresso di Psichiatria di Tubinga descrivendone i sintomi ed i reperti anatomo-patologici evidenziati dall’autopsia, costituiti da uniforme atrofia del cervello e da strani agglomerati, identificati poi come le famose placche di proteina beta amiloide.

L'Alzheimer è ereditario?

Si tratta di una patologia degenerativa e progressivamente invalidante che colpisce le cellule cerebrali, provocandone la morte. In più del 90% dei casi l’esordio è sporadico; nel 5-10% dei casi si osserva familiarità, nel senso che la presenza dell’Alzheimer nei parenti di primo grado costituisce fattore di rischio di contrarre la malattia. La ricerca genetica rivolge attualmente grande attenzione allo studio dei geni di suscettibilità. Con questo termine si intende che esistono dei geni che regolano la probabilità di insorgenza delle malattie.
L’essere portatore di un determinato assetto genetico, piuttosto che di un altro, comporta un diverso rischio di ammalarsi. Ciò che si eredita pertanto, non è la causa di una malattia ma il rischio di sviluppare la malattia. Sono state ipotizzate, specialmente nei casi in cui la malattia si manifesta in età relativamente precoce (early-onset AD), mutazioni genetiche sul cromosoma 21 (dove risiede il gene responsabile della codificazione della proteina APP -Amyloid Precursor Protein- da cui avrebbe origine il peptide beta-amiloide che è il maggior costituente delle placche amiloidi), sui geni PS-1 o presenilina 1 (cromosoma 14) e PS-2 o presenilina 2 (cromosoma 1). Per quanto riguarda il morbo di Alzheimer ad esordio tardivo (late-onset AD) è stata ipotizzata una mutazione del gene che codifica la proteina che normalmente veicola il colesterolo nel sangue ossia l’apolipoproteina (ApoE) a livello del cromosoma 19. Ma è opportuno sottolineare che l’analisi dei geni di suscettibilità (e quindi del DNA) non è al presente utilizzabile nella pratica clinica per la predizione di demenza ed essa resta pertanto ancora confinata nel settore della ricerca scientifica. L’orientamento odierno, in definitiva, depone per una origine multifattoriale della AD per la quale non è sufficiente la predisposizione genetica essendo necessaria l’interazione tra questa ed i diversi fattori causali ed  ambientali invocati: ipertensione arteriosa, diabete, alimentazione, stile di vita (inteso quale attività fisica, mentale e sociale), ipercolesterolemia, traumi cranici violenti, etc.

Qual è la principale causa dell'Alzheimer?

Il meccanismo con cui si produce la degenerazione caratteristica della AD è legato alla produzione anomala da parte dei neuroni di una proteina (beta amiloide), a partenza dalla APP che è invece un elemento del normale funzionamento cellulare. Questa sostanza non riesce ad essere eliminata dai processi fisiologici di pulizia (fagocitosi) esplicata dalla microglia e si accumula sotto forma di placche amiloidi. Secondo un recentissimo studio cooperativo del 2014, condotto da un team internazionale di ricerca (Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco, Universitat Autònoma de Barcelona e Sant Pau Biomedical Research Institute), basse concentrazioni neuronali della proteina TREM2  sono correlate ad un rischio elevato di Alzheimer ma anche di altre patologie neurodegenerative come il Parkinson e la SLA. Il ruolo della proteina TREM 2 consiste nel governare la funzione fagocitaria delle cellule microgliali che viene persa dalle forme mutate della proteina TREM 2; di conseguenza le cellule non riescono più ad effettuare il normale processo di pulizia consistente nell’eliminazione dei rifiuti amiloidi che si accumulano nel cervello. I Ricercatori di questo studio hanno dimostrato bassi livelli di TREM 2 nel liquido cerebrospinale di malati di Alzheimer. Inoltre, nei neuroni normali esistono strutture definite microtubuli, attraverso i quali sono trasportate le sostanze nutrienti; queste strutture  sono sorrette da un’impalcatura di neuro-fibrille nella cui costituzione entra  la proteina tau che nell’Alzheimer è anomala per cui i microtubuli si collassano trasformandosi in un groviglio di neurofibrille. Questi ammassi neurofibrillari si addensano, principalmente nel lobo temporale mediale, intorno ai depositi di amiloide formando placche dure insolubili. E questo è il contrassegno peculiare della malattia, come fu evidenziato da Alzheimer e dall’Italiano Perusini: placche diffuse di amiloide dette anche placche senili  nella neocorteccia ed ammassi di neurofibrille.

Quali sono le principali fasi della AD?

Nel decorso della AD si distinguono cinque fasi che sinteticamente possono essere così schematizzate:
  • fase  preclinica: in questa fase non vi è alcun sintomo ma la malattia, sul piano biologico, è già presente. Al momento, la possibilità di identificare una condizione di questo tipo è pressoché solo teorica.
  • fase prodromica: il soggetto ha sintomi aspecifici, tra cui soprattutto la depressione, che potrebbero poi rivelarsi premonitori della malattia ma anche essere espressione di altre condizioni.
  • fase iniziale: nella fase iniziale il soggetto è consapevole del proprio decadimento anche se ostenta negazione della malattia e tende a manifestare più evidenti disturbi di tipo depressivo, accompagnati talvolta da forme d’ansia legate al rapporto con l’ambiente circostante. ll paziente incontra difficoltà a rievocare parole del lessico comune e nomi di persone (anomia) cui rimedia con l’utilizzo di frasi stereotipate e di parole passe-partout; compaiono lievi deficit di scrittura, tuttavia la comprensione linguistica è ancora conservata. Ai test valutativi neuro-psicologici, in questa fase, si evidenzia aprassia costruttiva per disegni 3D. La fase iniziale ha una durata media di 2/3 anni.
  • fase intermedia : la persona ha difficoltà ad orientarsi nello spazio e nel tempo, fino a perdere familiarità con gli oggetti che lo circondano. I deficit di memoria peggiorano talché perde progressivamente i ricordi in ordine di apprendimento cosicché risultano compromessi eventi sempre più nel passato del paziente e autobiografici. Inoltre vi è un peggioramento del linguaggio, agnosia, aprassia ideativa, ideo-motoria, e aprassia per l’abbigliamento. Compaiono alterazioni della personalità e del comportamento quali irritabilità, aggressività, disinibizione, vagabondaggio; non sono infrequenti allucinazioni (vedere o sentire cose che nella realtà non esistono) e delirio (ossia pensare cose che non corrispondono al vero); il paziente non riesce più a valutare le conseguenze delle proprie azioni, si comporta in modo inadeguato rispetto a un determinato contesto mettendo a rischio la propria e l’altrui incolumità. È questa la fase di durata maggiore (4/5 anni).
  • fase finale: in questa fase si verifica una progressiva disintegrazione delle funzioni mentali con perdita dell’autonomia e riduzione ad una condizione di vita vegetativa. Sono evidenti una gravissima alterazione del linguaggio e l’annullamento di una vita autonoma. Infatti vi è difficoltà di comprensione linguistica, di strutturazione ed emissione del linguaggio con tendenza alla ripetizione (ecolalia) fino al mutismo ed è evidente l’incapacità di riconoscere l’identità delle persone, anche dei familiari. Il paziente non è più autosufficiente per la perdita della memoria procedurale, ossia la capacità di eseguire le azioni automaticamente sia nelle attività strumentali che in quelle di base (igiene, alimentazione) della vita quotidiana.
 

Demenza a corpi di Lewy (LBD)

Illustrazione 4 - Neurologia

Cos'è la demenza a corpi di Lewy?

Dopo la malattia di Alzheimer, la demenza a corpi di Lewy è il disturbo cronico degenerativo più frequente. L’eponimo deriva dal neurologo tedesco Friederich H. Lewy, che nel 1912 scoprì particolari agglutinazioni proteiche, definite in seguito corpi di Lewy, nella corteccia cerebrale di pazienti deceduti ed a cui era stata posta la diagnosi di morbo di Parkinson. Questa malattia infatti è caratterizzata da disturbi motori analoghi al morbo di Parkinson (rallentamento motorio o bradicinesia e rigidità muscolare) e da  un quadro demenziale di tipo alzheimeriano.

Alzhaimer o Lewy: quali sono le differenze?

La differenza fondamentale con la m. di Alzheimer risiede  nel fatto che nella LBD è presente sin dai primi stadi un quadro psicotico (allucinazioni visive spaventose o inquietanti e delirio generalmente di tipo persecutorio), mentre il decadimento cognitivo è secondario.

Quali sono i principali sintomi della demenza di Lewy?

Caratteristiche di questa malattia sono anche le fluttuazioni dello stato di attenzione e del livello di coscienza, per cui il paziente mentre è sveglio, attivo ed intraprendente poco dopo appare passivo, confuso ed insensibile ad ogni sorta di stimolo. Sono tipiche anche alterazioni comportamentali nel sonno: quando il soggetto è nella fase REM (ossia mentre sogna) la muscolatura non si rilassa, come normalmente avviene nelle persone sane, ed emette urla e compie movimenti bruschi per cui tende anche a ferirsi.

Da quanto è stato esposto si desume che la diagnosi di LBD non è agevole perché spesso è indistinguibile dal morbo di Parkinson o dalla m. di Alzheimer.
 

Cosa sono le demenze fronto-temporali?

Con il termine di demenze fronto-temporali  oggi si identifica un gruppo eterogeneo di demenze neurodegenerative, il cui contrassegno anatomopatologico è costituito da atrofia corticale confinata  nell'area frontale e temporale. Poiché il danno atrofico interessa zone diverse dell'encefalo si hanno differenti pattern sintomatologici: ad esempio, se l’atrofia corticale è rappresentata principalmente a livello temporale prevale il coinvolgimento del linguaggio mentre se l’atrofia è prevalentemente frontale vi è supremazia  dei disturbi dell’attenzione cui consegue un atteggiamento del paziente di marcata apatia.

Quante sono?

Per questa ragione si distinguono molteplici quadri clinici nell’ambito delle demenze fronto-temporali: afasia primaria progressiva, demenza semantica, demenza con amiotrofia, demenza e parkinsonismo, etc. L’elemento clinico che accomuna questo gruppo di malattie  è costituito dal fatto che i quadri di demenza progressiva fronto-temporale non sono dominati ab initio dalle turbe cognitive e della memoria, costanti invece nella malattia di Alzheimer. Di queste demenze è capofila la malattia di Pick,  così denominata dal nome di Arnold Pick, neurologo e psichiatra austriaco, che per primo la descrisse nel 1921.
 

Che cos'è la malattia di Pick?

La malattia di Pick è molto più rara della malattia di Alzheimer, è più comune nelle donne rispetto agli uomini ed ha una insorgenza presenile: inizia di solito tra i 40 e i 60 anni, ma può verificarsi anche in ventenni.

La malattia di Pick è ereditaria?

La m. di Pick ha una spiccata familiarità, talora intorno al 50% dei casi. Sotto il profilo anatomo-patologico è contraddistinta dalla presenza di caratteristiche alterazioni neuronali costituite dai corpi di Pick che sono inclusioni intracellulari composte da neurofilamenti, simili alle inclusioni osservate nella malattia di Alzheimer. I corpi e le cellule acromatiche di Pick, che istologicamente hanno un aspetto tipicamente rigonfio, contengono una quantità abnormemente elevata di proteina tau, che è normalmente presente in tutte le cellule nervose.

Quali sono i sintomi della Malattia di Pick?

Sotto il profilo clinico, è caratteristica un'alterazione della personalità e del carattere con tipica abolizione dei freni inibitori, che è uno dei sintomi più inquietanti della malattia, per cui il paziente tende a comportarsi nel modo sbagliato in diversi contesti sociali, con agitazione progressiva e logorrea.

La malattia di Pick è pericolosa?

La malattia peggiora lentamente con il progredire dell’atrofia nei lobi temporali e frontali del cervello e compaiono, unitamente ai disturbi del comportamento,  difficoltà di parola ed alterazione del pensiero. Anche questa forma di demenza presenile peggiora in modo rapido e costante fino ad un completo quadro demenziale; il paziente diventa totalmente disabile già nelle prime fasi della malattia per una marcata compromissione delle funzioni intellettive con turbe della memoria ed incapacità al contatto con la realtà esterna per perdita irreversibile dell’orientamento spaziale e precoce alterazione delle funzioni simboliche  cui consegue afasia, agnosia ed aprassia. A differenza però della malattia di Alzheimer, il soggetto con m. di Pick pur perdendo molto più rapidamente le proprie capacità espressivo-espositive, conserva più a lungo nel tempo quelle di lettura e di scrittura.

Illustrazione 5 - Neurologia

Come eseguire una diagnosi di malattia di Pick?

L'orientamento diagnostico verso la malattia di Pick o un’altra entità clinico-patologica di demenza fronto-temporale viene suggerito dalla comparsa di disordini della condotta sociale (comportamento inappropriato per disinibizione, disinteresse per la cura della persona, wandering  o deambulazione afinalistica: è un po' come se il paziente fosse una tigre in gabbia che cammina avanti ed indietro); disturbi dell’umore (bruschi cambiamenti di umore dall’apatia all’euforia); deficit intellettivi (cristallizzazione del pensiero, delirio, problemi di attenzione, e disordini di programmazione - sindrome frontale disesecutiva-) e disturbi neurologici (aumento del tono muscolare,  difficoltà di movimento e coordinamento, aprassia).
 

Cos'è la demenza vascolare?

Analogamente al precedente,  anche con questo termine si designa un gruppo di demenze accomunate dalla patogenesi vasculopatica, che è responsabile del danno di tipo ischemico od emorragico, e dalla fenomenologia di un deterioramento cognitivo che insorge secondariamente all’evento ictale. Pertanto, perché si possa porre una corretta diagnosi di demenza vascolare è necessaria la antecedenza di un danno vascolare, cui abbia fatto seguito in immediata contiguità temporale il deterioramento cognitivo. La diagnosi differenziale con le demenze primarie  risiede nella rapidità di insorgenza del decadimento nonché nella variabilità del deterioramento cognitivo, essendo questo in dipendenza della sede e dell’entità della zona cerebrale lesionata. A differenza della malattia di Alzheimer vi è una ridotta consapevolezza della malattia ed inoltre si osserva  una migliore risposta alla riabilitazione. Per ultimo, va menzionato che in un 15 – 20 % dei casi di malattia di Alzheimer tendono a verificarsi contemporaneamente lesioni cerebrali ischemiche creandosi in tal modo una sovrapposizione di ambedue le patogenesi: è la cosiddetta demenza mista.

Pseudodemenza depressiva

Nelle fasi iniziali della demenza, come è stato detto, si osservano costantemente sintomi depressivi; ma è altrettanto ben noto come l’alterazione del tono dell’umore comprometta le capacità cognitive del paziente. Infatti, nel DSM, nella stessa definizione di episodio depressivo maggiore, sono riportati tra i criteri: il rallentamento psicomotorio e la ridotta capacità di concentrarsi. Pertanto, ogni qualvolta si valuta un quadro di tipo demenziale o un deterioramento cognitivo di lieve entità in un soggetto anziano,  è essenziale porre una diagnosi differenziale con gli  episodi depressivi, per escludere che le alterazioni delle funzioni cognitive possano essere secondarie ad una depressione. Al riguardo, giova una attenta ricerca nell’anamnesi remota di eventuali antecedenti di una condizione depressiva.

Nel paziente affetto da pseudo-demenza depressiva, una accurata osservazione clinica integrata dai test specifici della valutazione neuropsicologica metterà in evidenza solo una minore capacità attentiva ed un ridotto potere di concentrazione, con un quadro cognitivo in sostanza lievemente deteriorato. Va comunque sottolineato che circa il 50% di questi pazienti sviluppa una demenza irreversibile nell’arco di 5 anni.
 

Cos'è il Declino Cognitivo Lieve?

Negli ultimi anni è stato introdotto il concetto di MCI ( Mild Cognitive Impairment ) che, per il vero, risulta alquanto problematico da definire e di conseguenza difficilmente inquadrabile sotto il profilo clinico. Si tratta in sostanza di uno stage di transizione fra la fisiologica riduzione delle prestazioni intellettive legate all’invecchiamento ed i severi deficit prestazionali legati alla demenza.

Declino cognitivo e demenza senile sono la stessa cosa?

Secondo uno studio estensivo statunitense risulta che vi è un’incidenza di MCI tra il 12 ed il 18% della popolazione ultrasettantenne. L’MCI può interessare molti domini cognitivi (linguaggio, attenzione, ragionamento, etc.) ma peculiarmente si tratta di soggetti in cui le attività di base risultano conservate ed il quadro deficitario si esprime essenzialmente nell’ambito della memoria (cosiddetto MCI amnesico). Allorché siano coinvolti più domini, in realtà diviene molto discutibile se si tratti di MCI o piuttosto di una forma di demenza in evoluzione.  L’elemento saliente di differenziazione con la malattia di Alzheimer è costituito dall’assenza di incompetenza ecologica, ossia la progressiva incapacità del soggetto a svolgere le attività quotidiane. Deve comunque essere segnalato che i soggetti il cui profilo neuropsicologico soddisfa i criteri per la diagnosi di MCI hanno da 3 a 4 volte maggiori probabilità di sviluppare un quadro di demenza rispetto alla popolazione integra della medesima età. Va ancora sottolineato che al deficit di prestazione intellettiva del MCI  si associa di frequente una condizione di c.d. depressione dell’anziano, fortemente caratterizzata da autocommiserazione e svalutazione di se stesso per cui il soggetto presenta introversione e rifiuto del contatto sociale, che aggrava ulteriormente il quadro cognitivo.
 

Cos'è l'idrocefalo normoteso?

Nel luglio 1965 Salomon Hakim, un giovane neurochirurgo colombiano, descrisse alcuni malati di demenza affetti da idrocefalo nei quali pose in correlazione la sindrome neurologica che essi presentavano, denotata da difficoltà progressiva nella deambulazione, alterazione delle funzioni mentali e incontinenza urinaria, con il quadro di dilatazione dei loro ventricoli cerebrali. Gli studi successivi hanno evidenziato che si tratta di idrocefalo comunicante, in cui la pressione intracranica è solo lievemente elevata, malgrado il notevole accumulo di liquido cefalorachidiano. Per questa la ragione l’idrocefalo dell’anziano, accompagnato da quella caratteristica triade sintomatologica, viene definito  “normoteso”. È una condizione patologica che colpisce prevalentemente il sesso maschile e, il più delle volte, tende ad essere primitiva; tra i fattori causali più invocati vi sono traumi, meningite ed emorragia sub-aracnoidea,  in ragione del fatto che il meccanismo patogenetico, sebbene non ancora definitivamente chiarito, si suppone legato ad un deficit di riassorbimento del liquido cerebrospinale da parte delle granulazioni del Pacchioni.

Illustrazione 6 - Neurologia

Quali sono i sintomi dell'idrocefalo normoteso?

Caratteristici sono i disturbi del cammino, che rappresentano il segno più costante della sindrome; tale difficoltà è stata descritta come se il paziente sentisse i piedi incollati al terreno. Generalmente si tratta di una forma di atassia costituita da una marcia esitante a larga base d’impianto. Altro sintomo cardinale per la diagnosi è costituito dalla incontinenza urinaria, precoce ed abbastanza severa. Il paziente lamenta una urgenza minzionale che lo costringe a raggiungere il bagno velocemente, tentativo che spesso può fallire viste le difficoltà motorie. La demenza è invece relativamente lieve, non è precoce ed è contraddistinta da prevalenza dei deficit mnesici, rallentamento ideativo e fatuità del pensiero. Generalmente il danno delle funzioni cognitive è di entità fluttuante da un giorno con l'altro e nell’insieme è molto meno severo che nella demenza di Alzheimer; le abilità verbali sono conservate.

Conclusioni

A conclusione di questo excursus sulla demenza, emerge che i sintomi di esordio che impongono di avviare un iter diagnostico o quanto meno un iniziale test di screening sono rappresentati da una difficoltà progressiva ad imparare nuove informazioni, a ricordare recenti conversazioni, eventi e appuntamenti, ad eseguire compiti complessi che richiedono numerose azioni, a mostrarsi stranamente poco riguardoso delle regole sociali di comportamento, a perdersi anche in luoghi che gli sono familiari, a trovare le parole che esprimano ciò che vuole comunicare, ad essere più irritabile e sospettoso del solito, a riconoscere i volti familiari (prosopoagnosia).

 

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