Era un oculista il giovane medico cinese che individuò, per primo, nella città' di Wuhan, l'infezione virale che avrebbe sconvolto di lì'a poco il mondo intero e, purtroppo la sua stessa vita fino alla morte. Per questo, ogni volta che mi capita in studio un paziente con una congiuntivite monoculare intrattabile tremo, ma mi sento tanto vicino al giovane Li Wenliang che con il suo sacrificio ha sancito l'amore per la sua professione e per i suoi pazienti.
Il Coronavirus strapazza le nostre vite da circa un anno e scandisce i tempi ed i gesti quotidiani che accompagnano la nostra esistenza che sembra non appartenerci più' veramente.
Non e' facile la vita del medico al tempo del contagio. E la passione e la dedizione che noi riserviamo a questa nostra ineguagliabile professione non sempre riesce a compensare l'ansia e il disagio che il contatto continuo con i pazienti comporta; ansia che tocca molto piu' la sfera familiare che quella personale, specie se si ha avuto la fortuna di lavorare come me nei villaggi interni dell'Africa subsahariana dove l'infezione e' sempre in agguato e la convivenza con essa fortifica un certo fatalismo indispensabile alla propria sopravvivenza.
Oggi, dopo un anno di pandemia selvaggia, abbiamo il rimedio: numerosi vaccini di grande qualità' hanno ridato speranza al mondo ed immensi dividendi alle aziende produttrici.
Come medico non posso che augurarmi che tutti possano usufruirne presto e bene, la scienza ancora una volta si e' rivelata funzionale all'essere umano.