Quando parliamo di gonorrea e blenorragia ci riferiamo ad una infezione batterica da parte del gonococco, un batterio che vive sempre in forma accoppiata, ha una parete che lo rende gram-negativo e preferenzialmente tende a stare dentro le cellule infiammatorie, prevalentemente i neutrofili.

La presenza del batterio produce una secrezione in quantità variabile, ricca di cellule infiammatorie e in particolare dei cosiddetti neutrofili… insomma si produce il “pus”.

La secrezione contiene quindi sia i neutrofili che i batteri liberi, sia i neutrofili contenenti i batteri.

I nomi di gonorrea e blenorragia derivano proprio dalla secrezione che ha un aspetto bianco-giallastro simile allo sperma che fuoriesce continuamente (gonos: seme; reo: scorro), ma anche simile a del muco che sempre fuoriesce con intensità e continuità (blenos: muco; ragoo: erompo).

Il batterio tende preferenzialmente a localizzarsi nei canali di comunicazione con l’esterno, ovvero l’uretra, l’ano, la vagina a cui giunge per trasmissione diretta ma anche se raccolto in un ambiente sporco dove sia stato depositato da poche ore.

Una volta penetrato diffonde in profondità dove si moltiplica rapidamente e induce l’alta risposta secretiva infiammatoria che è il principale segnale della sua presenza in un tempo che può variare tra i due e gli otto giorni dalla penetrazione nell’organo interessato (uretra, vagina, ano).

I sintomi sono caratterizzati dai segnali generali di una infezione, ovvero il prurito e il bruciore, associati o meno al dolore nel canale interessato e nella sua area immediatamente vicina. Nelle 24-48 ore successive a tali sintomi si osserva la secrezione più o meno abbondante che ha una alta capacità infettiva soprattutto se rimane umida.

Nell’uomo, infettato in sede uretrale, la secrezione è spesso ben osservabile al mattino prima di urinare con la cosiddetta “goccia del mattino o del buongiorno” associata alla macchia della secrezione emessa durante la notte; la minzione successiva può essere solo fastidiosa o molto dolorosa e bruciante in relazione al grado di reazione infiammatoria e di proliferazione del batterio.

In soggetti, uomini o donne, poco attenti alla propria igiene genitale e/o anale la secrezione iniziale abbondante può passare inosservata e l’infezione può cronicizzare con segnali molto bassi che rendono il soggetto ad alta capacità infettiva.

La diagnosi è, fortunatamente, abbastanza semplice e un medico attrezzato con un microscopio può farla rapidamente raccogliendo e strisciando su un vetrino una goccia di secrezione, colorandola con un colorante per i nuclei (blu di toluidina o blu di anilina). Al microscopio saranno visibili i neutrofili circondati e contenenti i batteri a coppie.

Nei casi dubbi o di scarsa o invisibile secrezione si può eseguire la coltura di un campione prelevato con un tampone (vaginale, anale, uretrale anche dopo spremitura prostatica) in cui un marcatore blu confermerà la crescita del batterio.

A seguito della coltura si può poi eseguire l’antibiogramma per scegliere il miglior antibiotico utile.

La mancanza della diagnosi porta alla cronicizzazione dell’infezione nella sede di impianto del batterio con riduzione dei sintomi e impercettibilità della secrezione, lasciando tuttavia il soggetto capace di infettare i/le partner, ma anche con la diffusione (fortunatamente rara) a distretti lontani dalla sede di infezione per migrazione del batterio tramite il sangue e la rete linfatica.

In tali casi e ove il dubbio diagnostico possa permanere in assenza dopo l’esecuzione dei testi citati sopra si può oggi ricorre alla analisi PCR (amplificazione del DNA) eseguito sulla materiale raccolto con il tampone o sul sangue o su una biopsia; la PCR può anche essere utile per rilevare il DNA batterico nello sperma.

E’ importante tenere presente che è relativamente frequente la trasmissione di questo batterio con altri (in particolare con il treponema, responsabile della sifilide) la cui presenza può essere così nascosta e quindi è fondamentale che siano sempre eseguiti i test utili a porre in evidenza l’eventuale presenza di essi, per quanto ciò richieda tempi di esecuzione decisamente anche più lunghi in quanto prevalentemente si devono determinare gli anticorpi specifici che possono comparire ad un livello diagnostico utile anche 2-3 mesi dopo l’infezione.

La terapia è tutt’oggi, in tempo di costituzione delle resistenze batteriche, ancora abbastanza semplice e richiede la somministrazione di un antibiotico (rifampicina, azitromicina, ceftriaxone: salvo diversa dimostrazione dell’antibiogramma, ove sia necessario eseguirlo) assunto ad alta dose per 2-3 volte, raramente oltre.

Ovviamente è fondamentale la adeguata igiene locale.