Quali esami una donna deve fare per sapere se ha un tumore?

La diagnosi dei tumori femminili si avvale di esami clinici, di laboratorio e strumentali volti ad individuare la presenza di patologie tumorali benigne o maligne nella loro fase precoce, quando non hanno ancora dato manifestazioni cliniche o, talvolta,  a precisare la natura e l’estensione di una lesione tumorale già individuata.

Alcuni esami per la diagnosi precoce, come ad esempio il pap-test, possono essere impiegati come test di screening, cioè si eseguono su tutte le donne anche se asintomatiche, perché hanno dimostrato di poter ridurre la mortalità causata dalla patologia tumorale che essi individuano.

 Illustrazione 1 - Ginecologia e Ostetricia

 

Cosa si fa durante una visita ginecologica?

La visita ginecologica comprende tre fasi:

  • anamnesi, nella quale il medico raccoglie la storia clinica e la sintomatologia passate e presenti della paziente;
  • palpazione bimanuale: si esegue con la paziente in posizione ginecologica, cioè sdraiata sul lettino a gambe divaricate e con le cosce appoggiate a dei reggicosce. Il ginecologo introduce l’indice o l’indice ed il medio della mano destra nella vagina fino a toccare il collo dell’utero mentre, con la mano sinistra, palpa la parte inferiore dell’addome. Se la paziente non ha ancora avuto rapporti e risulta doloroso inserire un dito nella vagina, si può eseguire una visita rettale, inserendo l’indice nel retto. Tramite la visita, si possono valutare le dimensioni e la consistenza degli organi sessuali interni (utero e ovaie), e l’eventuale presenza di dolore alla palpazione. E’ possibile, in questa fase, evidenziare la presenza di neoformazioni a carico dell’utero o delle ovaie, la cui natura e dimensioni verranno in seguito precisate con esami più approfonditi (vedi in seguito). A volte, la visita può non dare informazioni sufficienti ad escludere la presenza di patologie, o perché la paziente non la tollera e non rilassa la muscolatura addominale, o perché c’è un pannicolo adiposo addominale molto spesso, che rende difficoltosa la palpazione degli organi. Anche in questo caso, può essere necessario ricorrere ad altri esami.
  • esame con lo speculum: quest’ultimo è uno strumento in metallo - o in plastica - costituito da due valve articolate tra loro (come il becco di un uccello) che, infilato nella vagina e divaricando le valve, permette la visualizzazione delle pareti vaginali e del collo dell’utero (cervice), consentendo di valutare visivamente se vi siano infiammazioni o lesioni.
 

Che cosa si vede con il Pap test?

Il pap-test, altrimenti detto prelievo citologico o striscio cervico-vaginale, è un metodo di diagnosi del tumore del collo dell’utero (uno dei tumori più frequenti nel sesso femminile) messo a punto negli anni ‘40-’50 dal medico americano di origine greca George Papanicolaou. Applicando lo speculum, si gratta con una spatola il collo dell’utero e si infila un piccolo spazzolino (brush) nel canale cervicale; quindi si strisciano questi due oggetti su un vetrino e si fissa con un fissatore (sostanza che evita il deterioramento delle cellule) il materiale raccolto. Il vetrino viene, poi, esaminato da un citologo (laureato in biologia o medicina, esperto nello studio al microscopio delle cellule), per individuare se siano presenti alterazioni cellulari di tipo infiammatorio e/o tumorale.

Il pap-test è ormai da molti anni eseguito con regolarità da un numero molto elevato di donne e, questo, ha permesso di ridurre drasticamente la mortalità per tumore del collo dell’utero. Il tumore del collo dell’utero è, infatti, preceduto da alterazioni cellulari (displasie o neoplasie intraepiteliali) che possono venire curate con ottimi risultati con trattamenti conservativi, cioè rimuovendo solo la lesione senza ricorrere alla rimozione di tutto l’utero, e conservando, quindi, anche la fertilità. Negli ultimi anni, si sta cercando di mettere a punto la lettura del pap-test eseguita dal computer, piuttosto che dall’occhio umano (pap-net), al fine di eliminare gli errori causati da erronea interpretazione o disattenzione. I risultati preliminari sono incoraggianti ma quest’esame non è ancora entrato nella pratica clinica corrente.

 

Cos’è il Vira-pap?

Il tumore del collo dell’utero è causato da un virus, il papova o papilloma virus (HPV, Human Papilloma Virus). Ciò non vuol dire che ogni donna con infezione da HPV debba avere o avrà un tumore ma che, sicuramente, si tratta di una paziente a maggior rischio. Si è, quindi, pensato di eseguire un prelievo cervicale per evidenziare la presenza del virus (Vira-pap) e di sottoporre le pazienti con Vira-pap positivo a controlli più approfonditi e frequenti. Si tratta, tuttavia, di un esame molto costoso che, difficilmente, potrà essere esteso a una grossa fascia di pazienti, e la cui utilità è ancora dubbia (la maggior parte della pazienti con HPV non sviluppa mai il tumore).

Il test di tipizzazione virale si esegue quando il pap-test indica un’infezione da HPV. Questo virus, infatti, possiede numerosi sottotipi, di cui solo alcuni hanno la capacità di determinare alterazioni tumorali. Le pazienti con HPV a potenziale oncogeno, essendo a maggior rischio, verranno sottoposte a controlli più approfonditi e/o terapie più aggressive.

 

Come si svolge l'esame di colposcopia?

La colposcopia è un esame che il ginecologo esegue usando uno strumento chiamato colposcopio, tramite il quale è possibile esaminare il collo dell’utero con delle lenti che consentono di ottenere ingrandimenti progressivi.

La paziente è sdraiata in posizione ginecologica e viene esaminata la vagina dilatata dallo speculum. Questo esame si esegue nel caso vi siano delle alterazioni al pap-test, per valutare la natura della lesione, la sua estensione e localizzazione, ed individuare il punto migliore in cui eseguire la biopsia. La biopsia si esegue con una pinza tagliente, non è affatto dolorosa (non richiede un’anestesia perché il collo dell’utero non ha un’innervazione sensitiva) e determina un sanguinamento di solito molto blando che non richiede trattamento. Il piccolo pezzo di tessuto asportato viene messo in un liquido fissatore e quindi esaminato da un anatomopatologo (medico esperto in istologia, cioè lo studio dei tessuti).

 

Per quale motivo si fa l'isteroscopia?

Questo esame si esegue nel caso vi siano dei sintomi che fanno pensare ad un’alterazione dell’endometrio (la mucosa che tappezza l’interno della cavità uterina e che sfaldandosi dà luogo alla mestruazione) come, ad esempio:

  • si presentano sanguinamenti irregolari;
  • nel caso in cui l’ecografia abbia evidenziato delle alterazioni endometriali
  • nei casi di infertilità da sospetta malformazione uterina; 
  • quando sia già stato diagnosticato con altri metodi un tumore dell’endometrio e si debba quindi valutare l’estensione.

Essa consente di osservare l’endometrio tramite una sonda alla cui estremità è applicato un sistema ottico (isteroscopio). Con la paziente in posizione ginecologica ed il collo dell’utero visualizzato dallo speculum, si inserisce l’isteroscopio all’interno della cavità uterina passando attraverso il canale cervicale.

L’esame può essere un po’ doloroso, perché il collo dell’utero subisce una piccola dilatazione, per cui di solito viene praticata un’anestesia locale e/o una lieve analgesia.
Con l’isteroscopia si può evidenziare qualsiasi alterazione della cavità uterina e dell’endometrio (malformazioni congenite, polipi, miomi, iperplasie, tumori). La biopsia dell’endometrio viene con questo esame eseguita in modo mirato, cioè sulla lesione, e non alla cieca come con le altre metodiche (vedi in seguito). Oltre che la diagnosi delle patologie dell’endometrio (isteroscopia diagnostica) questa metodica può consentirne il trattamento, ad esempio rimozioni di polipi o miomi (isteroscopia operativa).

 

Quando bisogna effettuare un esame citologico ed istologico dell’endometrio?

Con questo esame si studia l’endometrio osservando al microscopio le cellule (esame citologico) o un pezzetto di tessuto (esame istologico). Il campione di cellule o di tessuto si può ottenere con vari tipi di sonde o cannule da inserire all’interno dell’utero (cytobrush, endocyte, curette Perma, curette di Novak, Vabra curettage, lavaggio endometriale). Questi esami sono di esecuzione ambulatoriale ed in genere non richiedono anestesia, essendo ben sopportati.

Se si vuole ottenere una campione più abbondante, o se non è possibile eseguire gli esami ambulatoriali sopra descritti per intolleranza della paziente o perché il canale cervicale è stenotico (troppo stretto), si ricorre al raschiamento (o curettage), in cui la paziente viene addormentata e il canale cervicale viene dilatato.

Si ricorre a questi esami in presenza di sintomi che suggeriscono la possibilità che vi sia un tumore dell’endometrio (sanguinamenti irregolari), o se sono state evidenziate alterazioni dell’endometrio con l’ecografia. Attualmente, in molti casi si ritiene preferibile eseguire l’isteroscopia, che dà informazioni più accurate.

 

Quando e come viene effettuata l'ecografia pelvica?

Dagli anni ’80 ha cominciato ad entrare in largo uso in ginecologia e ostetricia l’ecografia. La sonda ecografica, appoggiata sull’addome (ecografia transaddominale) o inserita in vagina (ecografia transvaginale) emette un fascio di ultrasuoni che incontrando le strutture anatomiche le attraversa e viene riflesso indietro diversamente a seconda della loro natura e densità, generando su uno schermo un’immagine di ritorno. Si tratta di un esame innocuo per l’assenza di radiazioni ionizzanti, non doloroso, di esecuzione relativamente semplice ed economica, con risultato immediato. Con l’ecografia pelvica è possibile, in campo ginecologico, visualizzare l’utero, l’endometrio, le ovaie, la vescica, evidenziando quindi qualsiasi alterazione cui questi organi possono andare incontro, ivi compresa naturalmente la patologia tumorale.

L’ecografia pelvica transaddominale si esegue soprattutto nelle pazienti che non hanno avuto rapporti sessuali o in caso di masse pelviche di grosse dimensioni, e richiede la presenza di un buon riempimento vescicale (per fornire contrasto all’immagine e spingere indietro le anse intestinali). Negli altri casi, è preferibile la via transvaginale, che non richiede riempimento vescicale e fornisce informazioni più chiare e dettagliate.

Nella valutazione delle neoformazioni pelviche all’immagine ecografica si aggiunge le studio del flusso sanguigno (Dopplerflussimetria), in quanto le caratteristiche della vascolarizzazione (irrorazione sanguigna) possono essere indicative della natura benigna o maligna della lesione. Se l’immagine ecografica suggerisce la presenza di una neoformazione dell’endometrio (polipo o mioma) si può eseguire un’isterosonografia, cioè un’ecografia eseguita dopo introduzione nella cavità uterina di una soluzione acquosa che, fornendo un mezzo di contrasto, consente di mettere meglio in evidenza queste lesioni.

 Illustrazione 2 - Ginecologia e Ostetricia

 

Quando si fa la laparoscopia?

La laparoscopia è una metodica che consente di esplorare la cavità addominale senza ricorrere ad un’intervento chirurgico di laparotomia, ma semplicemente inserendo un tubo metallico dotato di una sistema ottico attraverso una piccola incisione praticata a livello dell’ombelico. Con la laparoscopia è possibile precisare la natura di neoformazioni diagnosticate attraverso l’ecografia o sospettate in base alla sintomatologia (laparoscopia diagnostica, con eventuali biopsie), e procedere alla rimozione delle stesse (laparoscopia operativa).

La laparoscopia è indicata nella diagnosi e nel trattamento delle patologie benigne, mentre è da evitare se si ha il sospetto che la neoformazione sia di natura maligna, per la possibilità di disseminazione di cellule tumorali lungo il tragitto del laparoscopio.

 

A cosa servono i markers ematochimici?

I tumori maligni dell’ovaio possono essere in grado di produrre delle sostanze che, normalmente, sono presenti nel sangue a livelli molto bassi. Conseguentemente, il loro innalzamento rilevato tramite l’esame del sangue può orientare la diagnosi verso un processo di natura maligna.

I markers più usati in campo ginecologico sono

  • CA125;
  • CA19-9;
  • CEA;
  • alfafetoproteina

Si procede al loro dosaggio quando altri esami, come l’ecografia, evidenziano la presenza di una neoformazione ovarica, per dirimere il dubbio che questa possa essere di natura maligna. Non sono esami molto sensibili né specifici, perché hanno un’elevata percentuale sia di falsi positivi sia di falsi negativi. Per questo motivo non è raccomandabile eseguirli senza un motivo, cioè su una paziente nella quale la visita e l’esame ecografico siano negativi.

 

Cos’è la TAC?

La tomografia assiale computerizzata è un esame radiologico in cui una fascio di raggi X viene fatto ruotare intorno alla zona da esaminare, mentre un rilevatore registra l’emissione di protoni, che viene elaborata da un computer producendo un’immagine delle strutture anatomiche.

La TAC viene utilizzata in presenza di neoformazioni maligne o sospette maligne, per precisarne la natura e l’estensione, ed nella stadiazione dei tumori maligni.

 

Cosa vuol dire esame RMN?

È una tecnica radiologica basata sul principio della risonanza magnetica nucleare, in cui il paziente viene posto in un potente campo magnetico. Vengono, quindi, usati segnali di radiofrequenza per ottenere una distinzione tra i nuclei di una stesso elemento, solitamente idrogeno, all’interno di tessuti differenti, con conseguente elaborazione computerizzata di un’immagine. L'assenza di radiazioni ionizzanti, la mancanza di effetti dannosi conosciuti e la penetrazione nell'osso e nell'aria senza attenuazione, fanno della RMN una metodica per immagini particolarmente attraente.

La pelvi si presta molto bene all'applicazione di questa metodica per la mancanza di movimenti respiratori. La qualità delle immagini e, quindi, l’efficacia diagnostica, può essere superiore a quella della TAC, ma il suo uso è limitato dal costo molto più elevato. In campo ginecologico, oltre che per lo studio delle malformazioni uterine, la RMN è come la TAC indicata per la valutazione della atologia tumorale maligna.

 

In che cosa consiste una visita senologica?

Il tumore del seno è il tumore più frequente del sesso femminile e, in Italia, costituisce la prima causa di morte nelle donne dai 35 ai 55 anni. È, quindi, logico che ogni sforzo sia attuato per cercare di diagnosticarlo in fase precoce, quando le possibilità di cura sono ottimali.

La visita senologica, con la palpazione della mammella e del cavo ascellare, costituisce una fase importante della diagnosi. La mammella deve essere palpata con le dita della mano ravvicinate e tenute piatte, tenendo la paziente distesa e con le braccia sollevate. Con la stessa modalità, anche la paziente stessa può eseguire periodicamente un’autopalpazione. Con questo metodo è possibile individuare la presenza di noduli la cui natura verrà poi precisata da esami più approfonditi.

 

Cos’è la mammografia?

La mammografia è un esame radiografico della mammella in grado di individuare lesioni tumorali di dimensioni anche molto piccole. Costituisce, dunque, il caposaldo della diagnosi precoce del tumore mammario.

In presenza di un nodulo mammario l’esecuzione della mammografia è indispensabile, essendo questa metodica la più sensibile nell’individuare l’eventuale natura maligna di una neoformazione. La mammografia non è tuttavia scevra di errori poiché può, infatti, avere sia falsi negativi sia falsi positivi, soprattutto nelle donne più giovani in cui il tessuto mammario è più denso.

La mammografia è anche utilizzata come esame di screening, cioè in tutte le donne anche in assenza di noduli palpabili, eseguendola ogni 1 o 2 anni nelle donne di età superiore a 40 o 50 anni, a seconda dei programmi proposti. Gli studi effettuati finora non hanno comunque ancora messo in evidenza una sicura efficacia dello screening mammografico nella riduzione della mortalità.

 

Cosa si vede con l'ecografia mammaria?

L’ecografia mammaria consiste nello studio della struttura mammaria attraverso gli ultrasuoni.
L’ecografia è particolarmente utile nella caratterizzazione delle lesioni benigne, come cisti e fibroadenomi. Esse, se individuati immediatamente come tali da questo esame, non necessitano di un ulteriore controllo tramite mammografia. Nelle donne giovani, con tessuto mammario denso, costituisce un utile complemento all’esame radiologico e, spesso, i due esami vengono usati in combinazione per giungere ad una diagnosi più accurata.
L’ecografia consente, inoltre, di eseguire prelievi di tessuto ecoguidati, cioè mirati sulla lesione (vedi in seguito).

 

Perché si fa un agoaspirato al seno?

Si tratta del prelievo di una piccola quantità di tessuto mammario (o di liquido, in caso di cisti), al fine di praticare un esame istologico e/o citologico della neoformazione. Si esegue pungendo la lesione con una siringa e aspirando una piccola quantità di tessuto. Per ottenere una maggiore accuratezza, l’agoaspirato viene quasi sempre praticato sotto guida ecografica, che consente di centrare meglio la lesione (biopsia mirata).

In caso di lesioni molto piccole, ad esempio microcalcificazioni evidenziate con la mammografia ma non visibili all’ecografia, si pratica, attualmente, tramite speciali apparecchiature, il prelievo con metodo stereotassico, cioè utilizzando un dispositivo che guida il posizionamento tridimensionale dell’ago da biopsia (Mammotome).

 

Bibliografia

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