Sabato A.F., Serafini G. *, Maciocco A.
 
Università degli Studi di Roma Tor Vergata, Cattedra di Anestesia Generale e Speciale Odontostomatologica
*Scuola di Specializzazione in Anestesia e Rianimazione (Dir. Prof. G. Leonardis)
 

Introduzione

“Atipico è tutto ciò che si differenzia dal normale”.

Questa è la definizione letterale di un termine che nel campo medico è impiegato per classificare le patologie di difficile inquadramento nosologico. Spesso viene usato impropriamente, specialmente quando viene adoperato come “cestino dei rifiuti”, ovvero come contenitore dove inserire tutte quelle patologie che si spiegano altrimenti. Le algie facciali atipiche o dolori oro-facciali atipici sono una di queste patologie. Infatti, la loro eziologia, patogenesi, classificazione e il trattamento non sono ancora ben definiti.  

Illustrazione 1 - Medicina del Dolore

Quali sono le cause?

Non c’è un’eziologia univoca identificata del Dolore Facciale Atipico o Atypical Facial Pain (A.F.P). Infatti, spesso è definito tale un dolore nel quale non riconosciamo né all’anamnesi, né obbiettivamente, né con esami diagnostici, un particolare fattore in grado di causare sintomi così particolari. Si tratta di una patologia che pur non avendo preferenze razziali colpisce caratteristicamente i centri urbani e le vittime sono soprattutto donne di età compresa tra i 30 e i 45 anni. 

Secondo Loeser può scaturire da un’infezione dei seni paranasali, della mandibola o del cuoio capelluto. Infatti, afferma la possibilità che un’infiammazione acuta o cronica possa condurre ad irritazione del nervo e quindi dare origine al dolore, non è chiaro quando tale processo induca ad una sindrome dolorosa che perduri più della fase attiva del processo patologico stesso. Un piccolo numero di pazienti presenta una neoformazione tumorale che invade, metastatizzando o sviluppandosi nel sito stesso, la base del cranio. Ruelle presenta un caso di osteoma che, invadendo l’angolo cerebello-pontino,   comprimeva   la struttura   del nervo   provocando l'A.F. Sollecito  mostra un caso di A.F.P. provocato da uno schwannoma (neurinoma) intracranica. Queste neoformazioni, specialmente nella loro fase iniziale, sono spesso difficili da evidenziare anche con esami appropriati (TC, RMN, T.S.E.P. etc.). Alcuni neurochirurghi hanno espresso l’opinione che la compressione vascolare da parte delle arterie cerebellare superiore, postero-inferiore, o antero-inferiore, sulla radice del nervo trigeminale, che solitamente causa tic doloroso, a volte può causare anche quadri di A.F.P. Ci sono pazienti che dimostrano una storia di chiaro trauma che coinvolge le branche del V n.c., dovuto a lacerazioni facciali o contusioni, in seguito alle quali sviluppano, nell’arco di un tempo variabile, una sindrome di dolore atipico nel territorio del nervo danneggiato. A volte sono descritti due tipi di dolori atipici: uno monolaterale e l’altro bilaterale.  A livello eziologico e patogenetico non presentano alcuna differenza conosciuta, la varietà bilaterale, da come descritto, non si presenta mai simultaneamente sui due emisomi facciali, sembrando quindi più un tipo di dolore monolaterale che nell’arco degli anni può cambiare emisoma colpito. Inoltre, questa varietà non ci sembra riscontrabile in modo significativo, almeno in letteratura, tratteremo quindi in modo più ampio solo il dolore atipico monolaterale.

Alcuni Autori pensano che patologie catalogate come odontalgia atipica (A.O.) e  glossodinia , siano solo varianti localizzate di un quadro più vasto che è  il dolore  facciale atipico.
 

Possibili cause neurologiche

L’eziologia dell’odontalgia atipica è spesso attribuita a danni locali neurologici o vascolari provocati durante procedure chirurgiche orali. Una delle cause più accreditate è il dolore da deafferentazione, e vari sono i traumi in grado di provocarlo. In letteratura sono descritte anche pulpectomie, ma soprattutto interventi chirurgici: si tratta di una perdita parziale o totale della percezione allo stimolo sensoriale in un sito specifico dell’organismo, rispondente alla specifica area d’innervazione che ha ricevuto il trauma.

La normalizzazione del circuito neurale può avvenire circa tre mesi dopo una deafferentazione parziale, anche se la “normalità” non è il giusto termine, infatti, si ha una rigenerazione del tessuto neurale e maggiore è la rigenerazione richiesta, maggiore è la possibilità che si crei un agglomerato di fibrille neuronali, dalla cui pressione o stiramento deriva lo stimolo dolorifico.

La deafferentazione può creare sia un dolore localizzato (A.O.) che generalizzato (A.F.P.), anche se spesso queste cause non sono confermate neppure all’anamnesi. Anche nel caso della glossodinia molti pazienti associano l’inizio dei sintomi ad episodi di exodonzia o ad altre terapie di chirurgia orale che possono aver creato delle lesioni, ma anche in questi casi è difficile riuscire a comprovarne la veridicità, inoltre molti autori pensano che sia una patologia ad origine totalmente psicogena. 

Dolore atipico facciale o Sclerosi Multipla?

Pazienti con sclerosi multipla (S.M.) possono manifestare ricorrenti episodi dolorosi simili a quelli che caratterizzano il dolore facciale atipico, ma questa è un’evenienza molto rara. 

Roberts e Person, in uno studio eseguito nel 1979 dopo aver selezionato 21 pazienti affetti da A.F.P., hanno tentato di evidenziare l’eziologia di questi dolori anche con metodologie chirurgiche, in quanto notarono che spesso si presentavano in soggetti che erano stati sottoposti ad un intervento di chirurgia orale, solitamente un’estrazione dentaria. I due Autori per seguire questo tipo di sperimentazione, si sono avvalsi anche di teorie e risultati già ottenuti da Ratner, da Harris e da Kinner. Infatti, anch’essi attribuivano l’eziologia dell’A.F.P. a processi infiammatori instauratosi dopo procedure chirurgiche orali e periorali.

Nella loro casistica, Roberts e Person, per selezionare i pazienti si sono basati molto sull’anamnesi e specificano che, effettuando i routinari esami radiografici, solitamente non si riesce ad evidenziare alcun tipo di lesione, invece, effettuando diverse proiezioni su un punto specifico individuabile attraverso la storia del paziente, è possibile mettere in evidenza cavità ossee più o meno grandi correlate al dolore. In alcuni casi le cavità sono eclatanti, in altri molto piccole e a volte neppure correlate direttamente con l’area dolorante; la loro palpazione può provocare o accentuare il sintomo del dolore ed esiste sempre una correlazione con un intervento chirurgico.

Tutte le aree localizzate venivano sottoposte ad interventi standard durante i quali si riscontravano spesso piccole fistole più o meno irregolari che collegavano la cavità con il nervo mascellare o mandibolare anche a distanza di due centimetri, oppure si collegavano con altre piccole cavità a volte anche osteoporotiche o con i seni mascellari. Le fibre nervose risultavano a volte visibilmente lesionate dai processi infiammatori e l’analisi istologica dei residui cavitari metteva in evidenza la presenza di ceppi batterici, tra i quali il più frequente era lo Stafilococco epidermidis, che avevano contaminato la cavità e probabilmente attivato il processo infiammatorio.

E’ chiaro che nessuna di queste lesioni è patognomonica per il dolore facciale atipico, ma secondo questi autori la loro presenza in concomitanza con il dolore deve essere considerata sospetta e quindi, dopo aver appurato la presenza di cavità, si deve poter ipotizzare la possibilità di un’esplorazione diretta. Froom e coll. affermano che l’A.F.P. sia in molti casi solo una forma di nevralgia pretrigeminale che in seguito progredisce verso la forma di N.T.tipica e che, quindi, le ipotesi eziologiche possano essere le stesse. Zakrzewska, nel 1991, seguendo un gruppo di 465 pazienti colpiti da N.T. che erano stati sottoposti a interventi chirurgici, ha riscontrato che 1/3 di questi che aveva subito crioterapia e termolisi e una piccola percentuale di quelli che avevano subito decompressione vascolare, avevano sviluppato A.F.P. Ne ha dedotto quindi che in parte la sua l’eziologia debba essere correlata a lesioni del nervo, microtraumi spesso impercettibili ma che alterano la trasmissione nervosa.

Pur risultando dalla nostra casistica e dalla letteratura in generale che questa patologia è in se stessa una forma abbastanza rara, recentemente Shankland68 ha affermato che, nella sua esperienza di specialista del dolore facciale, in 14 anni ha diagnosticato centinaia di casi di A.F.P. e pochissimi casi  (20) di N.T.T. o tic doloroso.

In questa casistica egli ha riscontrato spesso sintomi di A.F.P. in seguito a procedure chirurgiche che avevano richiesto un lembo a tutto spessore nell’area del nervo mentale: è quindi una probabile sua lesione a volte invisibile che fa scaturire la sintomatologia.    
 

Possibili cause psicopatogene

Tra le tante teorie sostenute come causa principale dell’A.F.P. per decenni i fattori emotivi sono stati ritenuti i principali. Nel 1932, Wilson, riporta sette casi denominandoli di dolore facciale atipico, nei quali avvertiva che i disturbi emotivi e le variazioni del comportamento erano sproporzionati rispetto ai sintomi. Sfortunatamente egli non adoperava metodi obiettivi per delineare i valori psicologici.

Engel nel 1951 descriveva gli A.F.P. come sintomi da conversione isterica e focalizzò il fatto che i disturbi emotivi fossero la causa e non il risultato del dolore.

Altri Autori, in seguito, confermarono che questi disturbi erano totalmente psicogeni in origine e si notò a riprova, fin dal 1962, una risposta favorevole agli antidepressivi. Lascells seguendo uno studio controllato, descrive positivamente il trattamento con fenitoina contro placebo. Secondo Radford (56) questi risultati sono di dubbia validità a causa della scelta dei metodi statistici e per la mancanza di metodi obiettivi per la descrizione del problema. Lo stesso Radford fu il primo ad utilizzare test obiettivi per descrivere il comportamento psicologico di 32 pazienti affetti da A.F.P.. Egli si basò sull’utilizzo del Minnesota Multiphasic Personality Inventory Test (MMPI), e confrontò i suoi risultati con quelli ottenuti osservando 5000 pazienti depressi in degenza alla Mayo Clinic (USA). Ne concluse che non aveva notato nessun profilo tipico anomalo comparabile con quello del gruppo di controllo, ma solo delle piccole differenze che si distaccavano dalla normalità, cosa che non poteva giustificare una diagnosi certa di dolore psicosomatico. Gayford, nel 1970, pur riconoscendo la grossa confusione che regnava sia sulla diagnosi di dolore atipico che sulla terapia, volle sottolineare l’importanza della componente psicologica nell’eziologia di queste patologie. Egli basandosi sulla sua esperienza personale riconobbe cinque tipi di condizioni psicologiche in grado di provocare A.F.P., e ne suffragò ognuna con dei casi clinici. Riteniamo utile descrivere in modo generico questi stati emotivi, perché possono aiutare molto lo specialista a capire l’eziologia della patologia e ad indirizzarlo verso una giusta diagnosi.

La depressione endogena può causare dolore facciale?

La depressione endogena -  Il dolore facciale è spesso riconosciuto come caratteristica dominante in un paziente depresso. Altri sintomi che accompagnano la depressione sono: l’insonnia, la perdita d’interesse per il cibo, per il sesso e nei confronti della vita. Il paziente è molto autocritico e può rimproverarsi, il che conduce spesso a delusioni paranoiche e ad idee suicide.

La depressione da ansia può causare dolore facciale?

La depressione da ansia - nella depressione, dove le caratteristiche classiche sono sostituite da stanchezza, irritabilità e letargia, il dolore facciale atipico è un’evenienza abbastanza comune.

Lo stato d’ansia può causare dolore facciale?

Lo stato di ansia -  Coloro che ne soffrono sono spesso consci di una tensione nervosa che cresce. In questi pazienti il dolore peggiora a causa di preoccupazioni o stress e tende a colpire con maggior frequenza soggetti giovani.

Molti pazienti ansiosi che somatizzano il loro stato psicologico con dolori che colpiscono solitamente organi o sedi anatomiche specifiche, come, ad esempio, la debolezza alle ginocchia, crampi allo stomaco, ecc, il dolore facciale atipico è una delle possibili sfaccettature sintomatiche di questi pazienti.

Che cos’è la nevrosi ossessiva?

La nevrosi ossessiva - Si tratta di pazienti che riescono a distorcere talmente i loro sintomi, anche quelli della patologia più semplice come ad esempio un dolore dentale, tanto da non permetterne un immediato riconoscimento. Lo stato di depressione ansiosa è spesso associato a condizioni ossessive che sono la base della fobia del cancro, che ossessiona continuamente il paziente che ha persino paura di domandare al medico se ne soffre realmente, ma indirettamente richiede spesso analisi e RX per mettere in evidenza l’eventuale esistenza della patologia. La depressione ansiosa e l’ossessione sono spesso associati ad A.F.P., e   si è notato che più ossessivo è il dolore, peggiore è la prognosi, in quanto è molto difficile trattare clinicamente l’ossessione.

Cos’è la conversione isterica?

La conversione isterica - Per riconoscere questi pazienti è determinante ascoltare minuziosamente l’esposizione dell’anamnesi. I sintomi sono descritti in modo drammatico, con costante uso di superlativi quando si riferiscono al dolore. Spesso è convocata una persona cara dal paziente per suffragare la sua tesi e il suo stato di dolore. I trattamenti farmacologici in questi pazienti hanno poco successo, migliore risulta invece la terapia psicologia specialmente se è di gruppo.

Uno studio di Harris, del 1978, riscontrava nel 66% dei pazienti affetti da O.A. una depressione marcata, ma nel restante 34% non si notava alcuna anomalia psicologica. Risultati simili sono stati raggiunti da Remick nel 1983 e non solo per quanto riguarda l’O.A., ma anche per l’A.F.P. che, anche secondo questi autori, corrispondono allo stesso tipo di patologia solo con diverse estensioni anatomiche. Radford, nel 1992, ha selezionato, grazie ad una diagnosi effettuata per  esclusione, 19   pazienti con   O.A.   e   altri  con  emicrania per tentare di mettere  in  evidenza   possibili   alterazioni  psicologiche  presenti   nei soggetti affetti da dolore cronico.

Egli studiandoli grazie al MMPI test, ne dedusse che non vi erano prove sufficienti per supportare l’ipotesi che la depressione fosse la causa primaria dell’odontalgia, ma sicuramente il persistere del dolore cronico poteva portare ad evidenziare uno stato di depressione più o meno grave. Quest’ affermazione, suffragata da altri prima di lui, è basata anche sul fatto che gli antidepressivi triciclici e la psicoterapia sono in grado di portare dei grossi miglioramenti e, a volte, alla totale recrudescenza dei sintomi dolorosi.

Il dolore atipico facciale può colpire il cervello?

Derbyshire, utilizzando la tomografia ad emissione positronica (P.E.T.), ha cercato di stabilire se nei pazienti con A.F.P.ci fossero delle particolari aree celebrali che durante l’attacco di dolore subissero un aumento o una diminuzione di flusso sanguigno. Egli ha scelto due gruppi di persone, il primo affetto da A.F.P., l’altro come gruppo di controllo, e ne ha studiato l’irrorazione celebrale durante uno stimolo doloroso provocato. Ne è risultato che nei pazienti con A.F.P. l’area celebrale del cingolo anteriore (area 44 di Brodmann) registrasse un aumento del flusso celebrale e l’area prefrontale (area 10 di Brodmann) una diminuzione del flusso stesso.

L’Autore afferma che queste differenze di flusso possono essere collegate ad un blocco dell’inibizione nei meccanismi scatenanti il dolore a livello celebrale. Inoltre, queste variazioni sono presenti anche nei soggetti affetti da patologie psichiche, e ciò si collega al fatto che anche i pazienti con A.F.P. soffrono spesso di patologie psichiche.

Derbyshire ha voluto quindi dimostrare che processi come l’ansietà e la depressione possono portare, più o meno indirettamente, a disfunzioni organiche, quali ad esempio le variazioni di flusso ematico cerebrale da lui stesso riscontrate, alle quali può essere legato il fenomeno dolorifico
 

Quali sono i principali sintomi del dolore atipico facciale?

Il dolore facciale atipico, pur dando luogo in alcuni casi a diagnosi differenziali difficili per la complessità dei suoi sintomi e la somiglianza con altri tipi di dolore facciale, come ad esempio alcune emicranie, cefalee a grappolo, dolori da deafferentazione, anestesia dolorosa o nevralgie del glossofaringeo, non ha alcun segno patognomonico in comune con il tic doloroso,  almeno con il più classico, patologia con la quale invece troppo spesso viene confuso ed etichettato. L’A.F.P. si presenta come continuo, ma può variare spesso la sua intensità nell’arco del tempo, raramente il paziente può godere di intervalli prolungati in totale assenza di dolore, più spesso durante le fasi meno gravi lamenta un semplice fastidio nella zona interessata. E’ solitamente descritto come bruciante, da indolenzimento, e a volte, come sensazione di crampi facciali, ma mai come shock elettrico (tipico invece del tic doloroso). 
 

Dove si localizza il dolore facciale?

La   distribuzione del   dolore   è   solitamente   inclusa nell’area di innervazione del territorio trigeminale con maggior frequenza nella porzione infraorbitaria, ma può estendersi nella parte omolaterale del collo e al cuoio capelluto (somigliando in alcuni casi ad emicranie e cefalee).

In alcuni casi l’A.F.P. si presenta come un dolore dentale del quale, quindi, si occupa spesso un’ odontoiatra, che traendo magari conclusioni affrettate che si basano sui soli sintomi riferiti dal paziente, effettua un’ avulsione   o   un’ alveolectomia.  Casi simili sono tutt’oggi riscontrati e sono correlati a una misconoscenza della causa reale del dolore che affligge il paziente. Consigliamo, pertanto, di evidenziare sempre il fattore scatenante, e se questo non viene trovato, occorre continuare a cercarlo, e certamente bisogna evitare di attuare una terapia, talvolta richiesta dal paziente, non supportata da prove diagnostiche tangibili.

Il dolore dentale, mascellare o mandibolare, fa sì che i pazienti portatori di protesi spesso non possano inserirla in bocca. A eliminare l’eziologia puramente dentale è il fatto che alcuni di loro sono totalmente edentuli e le ricerche radiografiche non danno evidenza di fattori scatenanti, ciononostante il sintomo principale è il dolore dentale ed è possibile porre delle diagnosi differenziali solo nei confronti del dolore da deafferentazione o di un’ anestesia dolorosa, sempre che il dolore stesso sia scaturito nell’arco di un tempo variabile che va dai tre ai sei mesi dopo un intervento chirurgico.

Radford riporta un caso dove una casalinga descrive un dolore mascellare irradiato dall’orbita che durava da tre anni, presentatosi in seguito ad una levigatura radicolare. Fu indirizzata da un neurochirurgo che fece   una neurectomia del nervo infraorbitario, ma   nonostante l’anestesia provocata, il dolore persisteva. Fu diagnosticato dolore facciale atipico dovuto   a   depressione   da   ansia, quindi trattata con antidepressivi triciclici, ottenendo ottimi risultati.

 

Se il dolore facciale è psicogeno, quali sono i sintomi?

Gayford descrive casi clinici molto eclatanti di A.F.P. Questi pazienti presentano tutti sintomi di patologie psicogene, si presentano spesso dal medico in uno stato di stress e turbamento, con dolori costanti nelle aree trigeminali che compromettono gran parte della loro esistenza. Alcuni riferiscono di esser colpiti da dolori costanti più o meno gravi da periodi che arrivano fino a 12 anni, lamentano di aver raggiunto il “limite di sopportazione umana”, di non poter dormire la notte, di piangere continuamente alla minima provocazione e di aver tentato a volte il suicidio.

Il dolore psicogeno è caratterizzato da fasi alterne di lieve sollievo e dolore più persistente, direttamente correlate con gli stati emotivi dell’individuo stesso, ne sono prova casi di pazienti che, riusciti ad eliminare il dolore con una cura a base di antidepressivi, dopo averla interrotta sono ricaduti nel circolo vizioso del dolore a causa di un periodo o di una situazione della loro vita particolarmente stressante.

Molto particolare è il dolore legato a nevrosi ossessiva, dove il paziente è in grado di riferire qualsiasi sintomo che possa essere lontanamente collegato con   la   sua   patologia, cerca di essere rassicurato   ed è importante farlo, ma spesso il medico non riesce a risolvere in modo definitivo la situazione. A volte si riesce ad ottenere solamente una riduzione del sintomo o lo spostamento dello stesso in un’altra regione anatomica.

Questi pazienti spesso adottano dei “riti” che riescono ad alleviare il dolore e che consistono nell’effettuare le azioni più bizzarre, ad esempio colpirsi la mucosa buccale per tre volte di seguito sullo stesso punto con un particolare oggetto può risultare un’azione che provoca sollievo dal dolore per un periodo di tempo variabile.  Altri posizionando, invece, un farmaco (che spesso non ha nulla a che vedere con la terapia per il dolore) o un’erba sul sito doloroso sono in grado di alleviare i sintomi.

A volte il paziente è molto vago durante la descrizione del dolore, pur adoperando aggettivi dirompenti per far capire al medico la gravità del proprio sintomo, ma quando gli vengono poste delle domande specifiche e importanti per lo specialista, che deve riuscire a differenziare il tipo di dolore, diventa ugualmente vago nella risposta e spesso cambia argomento confessando magari un nuovo sintomo che possa supportare la gravità dello stato doloroso.

Roistacher, nel 1991, ha raccolto dai suoi pazienti affetti da A.F.P. una serie di risposte psicologiche che vengono assunte nelle loro vite sociali definendole “giochi del dolore”.
 

  • Gioco del dolore di base -  Il paziente implora il medico di aiutarlo, ma segretamente pensa che nessuno possa far niente per lui.
  • Il tiranno di casa -  Usa come arma coercitiva il dolore per controllare e manipolare il comportamento di coloro che lo circondano.
  • Il professionale -  Vuole sfruttare il dolore usufruendo dei possibili benefici di disabilità,  come ad esempio il pagamento di un’assicurazione.
  • Il somatizzatore -  Non ammetterà mai che le proprie condizioni abbiano potuto far deteriorare la propria vita e quella delle persone che gli sono vicino.
Queste condizioni psicologiche sono effettivamente riscontrabili nella pratica clinica, e solo gli specialisti che li hanno trattati conoscono le difficoltà che   pazienti   così particolari possono rappresentare per se stessi e per il medico stesso.

Classificazione

L’inquadramento   tassonomico di   questa patologia sarà un problema reale fino a che non si riusciranno ad ottenere chiarimenti circa la sua reale eziologia. Pur essendo contemplato in varie classificazioni mondiali, la sua collocazione non è mai chiara, come non è chiara neppure la sua denominazione. E’, infatti, descritto dagli autori con vari termini come: dolore facciale atipico, dolore somatoforme, dolore facciale idiopatico, nevralgia atipica o odontalgia atipica, anche se quello più conosciuto ed accettato è quello da noi adoperato, cioè, dolore facciale atipico o “atypical facial pain” per gli anglosassoni.  

Cos’è la classificazione I.A.S.P?

La classificazione I.A.S.P.,sulla quale abbiamo basato la descrizione dei dolori cronici oro facciali, descrive due possibilità di inquadramento per l’A.F.P. La prima è l’odontalgia atipica (Classe IV:5), definita come una forma localizzata di dolore facciale atipico e quindi probabilmente ad esso sovrapponibile come termine nosologico; la seconda è il dolore di origine psicologica isterico od ipocondriaco (Classe VI:2), a specificare la possibile eziologia psicologica della patologia.

Cos’è la classificazione I.H.S?

La classificazione I.H.S. inserisce questo dolore nella Classe (12.8) comprendente i dolori facciali che non soddisfano i criteri dei gruppi precedenti, ed è chiaro che anche questa collocazione non può soddisfare i bisogni di uno specialista che si occupa di algie facciali in quanto troppo dispersiva.

Cos’è la classificazione D.M.S. IV?

L’American Psychiatric Association, nella sua  D.M.S. IV, cataloga questa algia facciale quale tipo di disturbo somatoforme  se il dolore è relazionato a un trauma fisico, oppure facendo riferimento a disturbi di conversione  o di somatizzazione, quando c’è la presenza di sintomi organici in assenza di disturbi fisici, sottolineando anch’essa la grossa componente di origine psicologica che è possibile riscontrare nel A.F.P.

Come si sarà potuto notare questa patologia varia spesso denominazione a seconda dell’indirizzo specialistico del clinico che esamina il paziente, questo dimostra chiaramente che pur essendo da tutti riconosciuta come forma di dolore cronico oro-facciale, il suo inquadramento non sarà definitivo fino a quando ci saranno solo ipotesi circa i fattori patogenetici responsabili.
 

Diagnosi

Da quanto si rileva in letteratura, c’è effettivamente una grossa confusione sul termine atipico. Secondo alcuni non sembra aver altro valore se non quello di differenziare questi tipi di dolori da quelli trigeminali. In base a ciò, nella definizione di A.F.P. potrebbero essere inclusi diversi dolori, poiché i suoi sintomi sono così difficilmente valutabili clinicamente e così soggettivi da rendere effettivamente difficile la diagnosi. Inoltre, sfortunatamente, non tutti i pazienti descrivono una sintomatologia così chiara da non poter far nascere dubbi diagnostici: alcuni riferiscono in anamnesi un trauma delle strutture nervose, altri risultano essere pazienti completamente “sani”.  

Possono esserci o meno deficit sensitivi, spesso c’è una correlazione con problemi psicologici e comportamentali, difficile dire se presenti o meno all’insorgere del dolore.

Il sintomo è sicuramente meno violento di quello che si presenta nel tic trigeminale puro ed è cronico, continuo, costringendo spesso il paziente ad abusare di farmaci (cosa che contribuisce ancora di più a rendere difficile la diagnosi reale).

Ci sono pazienti che descrivono sintomi sovrapposti tra tic doloroso e A.F.P., altri che presentano caratteristiche in comune con l’emicrania o con la cefalea a grappolo, o infine, casi di sovrapposizione tra A.F.P. e sindrome algico disfunzionale A.T.M.22.  

Il dolore è solitamente unilaterale, più frequentemente localizzato nelle zone di innervazione della 2° e 3° branca trigeminale e irradiato in zona cervicale. Ci sono casi in cui il dolore è riferito ad un dente: questa forma, definita odontalgia atipica, può rappresentare un grosso problema diagnostico per l’odontoiatra. In alcuni casi si è giunti all’estrazione del dente in causa e classicamente il dolore si è trasferito all’elemento dentale limitrofo. Si sono descritti casi di dolore ad un dente “fantasma”, cioè già estratto, e altri diffusi a tutto il cavo orale.

Bonica  indica la nevralgia del ganglio sfenopalatino, o sindrome di Sluder, e la nevralgia del ganglio naso-ciliare, o sindrome di Charlin, come le forme più comuni di dolore facciale atipico.  

Non si può sottovalutare il fatto che alcuni A.F.P. insorgono dopo trattamenti chirurgici effettuati sul nervo trigeminale, come ad esempio la terapia chirurgica di tic dolorosi, per questo è importante accertarsi di come si presentava il sintomo anche molto tempo prima della nostra visita, ci potrà indicare, infatti, la possibile evoluzione della patologia.

Vista la difficoltà che s’incontra nel diagnosticare un A.F.P., quando il paziente ne presenta i sintomi, il medico deve intraprendere un’accurata ricerca allo scopo di trovare una possibile lesione quale causa trattabile.

Quali sono i principali criteri diagnostici?

Da diagnosi e ricerche molto accurate possono risultare in realtà anche combinazioni di due o più di queste sindromi. Da qui l’importanza di approfondire la diagnosi durante più sedute eseguite da diversi specialisti, che possono quindi essere in grado di evidenziare il problema sotto differenti punti di vista.

Secondo Shankland un importante criterio diagnostico è rappresentato dalla reazione all’iniezione di anestetico.  Lo studioso consiglia, dopo aver identificato la branca nervosa, un’anestesia locale dell’area colpita eseguita possibilmente in modo atraumatico con un ago 30G (ago a sezione piccola) e con anestetico locale, preferibilmente mepivacaina al 3%. Se il dolore facciale è totalmente alleviato dall’azione dell’anestetico e gli accertamenti diagnostici sono risultati negativi, allora si può diagnosticare A.F.P. Se il problema è di un’altra branca o magari di una nevralgia trigeminale tipica, allora l’efficacia dell’iniezione anestetica sarebbe bassa nel migliore dei casi, non permettendo una totale remissione del dolore.   

Tuttavia, le informazioni letterarie sull’argomento sono discordanti.  Harris un fautore dell’eziologia psicosomatica, nel 1975 aveva già attuato terapie di blocco anestetico per meglio identificare il tipo di dolore e riportava, appunto ,che l’O.A. non rispondeva al blocco nervoso.

Main, dopo aver differenziato 34 pazienti puramente neurologici, ha effettuato tra questi un ulteriore diagnosi differenziale riscontrandone 7 affetti da N.T., 2 con cefalea a grappolo e 24 con A.F.P..

Egli aveva basato la sua diagnosi in particolar modo sull’anamnesi, sulla descrizione del dolore e sull’azione dei farmaci. Infatti, la cefalea a grappolo viene esacerbata dall’alcool e calmata dall’ergotamina, la N.T. presenta invece il caratteristico tic doloroso, il dolore è più acuto e spesso risponde positivamente alla carbamazepina, invece l’A.F.P. presenta un dolore continuo, senza remissioni totali, senza tic o punti grilletto anche se la palpazione può esacerbare lievemente il sintomo e spesso il   paziente dimostra alterazioni psicologiche di rilevanza più o meno grave, rispondendo quindi meglio alla terapia con antidepressivi triciclici. Anche l’elettrodiagnosi ha tentato di dare un contributo al riconoscimento dell’A.F.P., utilizzando i T.S.E.P. (potenziali evocati trigeminali).  Stohr e Petuch , oltre a confermarne l’utilità nella diagnosi della N.T., riscontrarono degli aumenti di latenza anche nel 41% dei tracciati di pazienti affetti da A.F.P..

Bennet e Jannetta fecero degli studi su questo tipo di dolore,  rilevando nei tracciati T.S.E.P. un aumento di latenza del segnale (minore di quello della N.T.), e una variazione delle ampiezze positive e negative  non significative a livello statistico.

Ci sono altri parametri di valutazione?

Particolarmente interessanti sono i risultati ottenuti nel 1991 da Bremerich e coll., che riscontrarono nei pazienti con A.F.P. dei nuovi possibili parametri di valutazione:

  • Aumento di latenza e ampiezza minore di quello della N.T., ma con uguale frequenza sulla 2° e 3° branca del lato affetto.
  • Ampiezza del segnale anomala nel lato controlaterale a quello affetto nei pazienti con A.F.P. nel 35% dei casi.
  • Latenza del segnale anomala nel lato controlaterale a quello affetto nei pazienti con N.T. nel 35% dei casi.

Tutti questi risultati ottenuti eseguendo gli studi con T.S.E.P. pur non essendo uniformi sono molto importanti, perché innanzi tutto permettono di supporre la possibilità diagnostica di un’A.F.P., ed inoltre ci offrono delle possibili ipotesi sulle quali poter basare la ricerca.

Come si esegue una diagnosi differenziale?

Oltre ad effettuare una diagnosi differenziale con le forme di cefalea a grappolo e con le nevralgie trigeminali, altre diagnosi differenziali possono essere fatte nei confronti di nevralgie craniali come:

  • la nevralgia del n. glossofaringeo, che si differenzia soprattutto per l’irradiazione del dolore alla faringe, all’orecchio e alla regione angolare della mandibola e perché presenta spesso delle zone grilletto intraorali;
  • la nevralgia del nervo laringeo superiore (o vagale) la cui sintomatologia è spesso parossistica, simile al tic doloroso, irradiata però alla cartilaginee tiroidea, al torace e internamente all’angolo della mandibola.
  • la nevralgia del nervo occipitale, che vista la localizzazione del dolore, entra in diagnosi differenziale più con un’emicrania a grappolo, anche se a volte l’irradiazione a livello cervicale crea dei dubbi;
  • la nevralgia del ganglio ginecolato (VII n.c.) o sindrome di Ramsay Hunt, che s’irradia all’orecchio interno e alla parete posteriore della faringe,   ma solitamente segue spesso un’infezione da H. Zoster e a volte si associa a paralisi del facciale o di Bell.
Duntman, nel 1995, ha riportato alcuni casi di dolore che, pur presentando i sintomi classici dell’A.F.P., si sono dimostrati causati da sindrome disfunzionale dell’A.T.M. Per riuscire a differenziare questa patologia è importante effettuare una buona visita, poiché anche se è possibile riscontrare dolori ingannevoli quali quelli all’orecchio, all’angolo mandibolare e nell’area temporale, i dubbi possono essere chiariti se il paziente presenta limitazione dell’apertura mandibolare, parafunzioni (bruxismo, serramento), faccette di usura occlusali, presenza di rumori articolari e sintomi spesso bilaterali, tensione dei muscoli masticatori, tutti segni la cui presenza ci autorizza a effettuare una risonanza magnetica per accertarci della condizione delle A.T.M..

Più complesso può diventare il caso se i sintomi disfunzionali A.T.M. si confondono con un A.F.P. , ma anche in questo caso effettuare una terapia occlusale primaria ci permetterà di chiarire il problema.

Lesioni di tipo infiammatorio quali: sinusiti, dolori gengivali, dentali o ossei, possono essere esclusi, in parte perché presentano spesso i caratteri classici dell’infiammazione enunciati da Celso,(13) quali tumor, rubor, calor, dolor e functio laesa, ultima caratteristica aggiunta più tardi da Galeno; in parte perché tendono ad evolvere solitamente nell’arco di tre o quattro mesi, quindi riconoscibili e infine perché rispondono alle terapie antibiotiche e farmacologiche.

Ultimo tipo di diagnosi differenziale deve essere posta nei confronti di neuropatie traumatiche, nelle quali però solitamente non manca un reperto anatomico che ci indica la strada da seguire.

Non c’è dubbio sul fatto che per riconoscere una patologia così particolare sia importante vedere più volte il paziente e, ancora più fondamentale, saperlo ascoltare riuscendo a capire quando “eccede” nel descrivere i propri sintomi o quando essi sono reali. Infatti, dato che per ora non abbiamo un mezzo certo che ci possa indirizzare verso un’esatta diagnosi, dobbiamo in gran parte affidarci a una buona anamnesi e all’esperienza personale.

Dopo aver consultato più articoli sull’argomento una serie di criteri clinici accettati e utilizzati dalla maggior parte degli autori per porre una diagnosi di A.F.P..

Sicuramente questa lunga serie di criteri diagnostici non può e non deve essere sviluppata dal singolo medico, ma deve essere esplicata con un criterio multidisciplinare che include quindi un’équipe di specialisti quali: un neurologo, uno psichiatra, un’anestesista, un’otorinolaringoiatra, un radiologo e un’odontoiatra, il cui consulto finale sarà sicuramente in grado di trarre una diagnosi idonea.  
 

Il dolore atipico facciale può essere curato?

L’A.F.P. è un dolore difficile da gestire in quanto la letteratura è piena di schemi di trattamento che mancano di un’efficacia dimostrata inequivocabilmente da più autori.

Illustrazione 2 - Medicina del Dolore

Poiché una piccola percentuale di pazienti avrà delle lesioni strutturali trattabili, il primo passo è sempre rivolto alla ricerca di un’ipotetica patologia e anche se questa solitamente non da alcun risultato positivo, è molto utile per rassicurare il paziente affetto da dolore cronico sull’eventuale esistenza di patologie maligne. E’ usuale, infatti, che qualsiasi paziente sofferente di una patologia dolorosa cronica non individuabile, entri nell’ordine d’idee di essere affetto da una patologia tumorale maligna di cui i medici non vogliono svelare l’esistenza. Se il dolore è solo sintomatico, o almeno così risulta dall’evidenza delle indagini effettuate, il primo trattamento è solitamente farmacologico. Con questo tipo di trattamento i risultati non sono solitamente eccezionali, pur aiutando il paziente a sopportare il dolore (sono molti i farmaci che vengono consigliati dai vari autori in base alle proprie esperienze).

Loeser consiglia uno standard di 75 mg. di Amitriptilina serale e 1 mg. di Fluorfenazina al giorno, dose alla quale alcuni pazienti rispondono con buoni risultati; secondo altri autori i pazienti rispondono a medicamenti anticonvulsivanti che vengono adoperati anche nella terapia del tic doloroso. 

Per meglio inquadrare le varie classi di farmaci utilizzate o ipotizzate nella terapia dell’A.F.P. ne daremo una breve descrizione.

Carbamazepina

Tegretol è un farmaco antiepilettico utilizzato fin dagli anni Sessanta nella terapia delle N.T. per le quali a tuttora è il più efficace, la sua azione pare sia ottimale anche nel trattamento dell’A.F.P. e nei disturbi maniaco depressivi. Questo farmaco (similmente alla Fenitoina) inibisce le scariche nervose ad alta frequenza agendo come antagonista sui recettori eccitatori.

E’ disponibile in compresse da 200 e 400 mg., la somministrazione inizia solitamente con 200 mg. al giorno (a volte divisi in due dosi), fino ad arrivare alla dose massima di 1200 mg. giornalieri se ben tollerato. Chiaramente, se si hanno dei buoni effetti a dosi più basse non c’è alcuno scopo di raggiungere il massimo della terapia. Solitamente, durante   la   prima settimana, durante la quale si arriva a somministrare circa 600 mg. al giorno suddivisi in dosi da 200 mg. ogni otto ore, per raggiungere una adeguata concentrazione a stato stazionario (Css), se non c’è un adeguato sollievo dal dolore il dosaggio viene aumentato di 200 mg. a settimana, processo ripetuto in sequenza fino a raggiungere i 1200 mg giornalieri. Dosi maggiori non si sono dimostrate più efficaci e inoltre aggravano il rischio d’effetti collaterali.

Sono stati riferiti, infatti, disturbi gastrici e nausea, nel 5-10% dei pazienti si riscontra un aumento degli enzimi epatici GOT e GTP, durante il periodo iniziale della terapia il 10% dei pazienti mostra una leggera leucopenia, che si risolve solitamente nei mesi successivi. Alcuni pazienti hanno sviluppato effetti collaterali a carico del S.N.C. quali sonnolenza, vertigini, atassia e affaticamento della visione. A causa della gravità degli effetti che possono essere riscontrati a livello del sistema ematopoietico, si raccomanda di eseguire routinariamente, ogni 3 o 6 mesi al massimo, esami generali che possono indicarci se il paziente riesce a sopportare in modo ottimale le dosi somministrate.

La   strategia   di   questo   farmaco è quella di incrementare   la somministrazione fino a che non c’è un sollievo dal dolore, oppure un sintomo di tossicità, quindi bloccare o ridurre la dose. Il successo senza effetti inaccettabili si ottiene in circa il 50% dei pazienti. Risulta utile la somministrazione concomitante di gamma vinyl GABA (Vigabatrin), sostanza in grado di potenziare l’azione delle carbamazepine e ridurre gli effetti collaterali perché permette di ridurre la dose.

Fenitoina

Dilantin è un altro farmaco antiepilettico, fa parte delle Idantoine, è somministrato in dosi da 50 mg. al giorno fino ad un massimo di 600, ottiene dei risultati positivi nel 25 % dei pazienti che hanno sviluppato tic doloroso; riguardo il dolore facciale atipico non ci sono sperimentazioni positive a parte quella di Shakland (68).  

Dosi superiori a 600 mg. al giorno portano a gravi effetti collaterali, quali aritmie cardiache, ipotensione e depressione del S.N.C., tutto ciò fa sì che la carbamazepina sia preferita come farmaco d’elezione.

Baclofen

Lioresal un inibitore del GABA (acido gamma-amino-butirrico) è un miorilassante usato solitamente nella terapia dell’epilessia. Fromm lo ha sperimentato sui tic dolorosi e Shaklan sul dolore atipico con buoni risultati, gli effetti collaterali più comuni sono nausea, vomito, confusione mentale e debolezza muscolare.

Fenotiazine

Sono una classe di farmaci antipsicotici e vengono spesso consigliati viste le implicazioni del paziente in patologie mentali.  

Sono molte le fenotiazine in commercio (Talofen, Stemetil, Torecan, ecc.), la dose generica consigliata è di circa 1 mg. al giorno.

Anche con questi farmaci una certa attenzione deve essere data agli effetti collaterali, che comprendono distonia acuta (spasmi muscolari spesso facciali), acatisia (irrequietezza motoria), parkinsonismo (bradicinesie, rigidità e tremore). Questi effetti vengono trattati con successo con antiparkinsoniani. Raramente può notarsi una agranulocitosi, è in ogni modo importante che l’assunzione sia effettuata sotto stretto controllo neurologico o psichiatrico.

Amitriptilina

Adepril, Laroxyl ecc. è un antidepressivo triciclico, che come altri della sua specie come la Fluoxetina cloridrato (Prozac), viene usato per le implicazioni somatoformi di questi pazienti. Se ne consiglia un dosaggio che si aggira intorno ai 75 mg. al giorno, ma che non supera comunque i 125 mg., in quanto a 200 mg. è raccomandata l’ospedalizzazione. Ad alte dosi, infatti, sono molti gli effetti   collaterali   che può   provocare, sia a carico del S.N.C. sia sul cardiovascolare.

Sono stati riferiti sintomi come sonnolenza, sensazione di testa vuota, diminuzione della pressione arteriosa (direttamente proporzionale alla dose), effetti anticolinergici (secchezza delle fauci e offuscamento della visione), la deambulazione può diventare barcollante e il soggetto può sentirsi affaticato e impacciato; tutti questi effetti vengono percepiti dal paziente come spiacevoli e causano disforia.

Anche Gayford afferma che dosi di 25 mg. al giorno di amitriptilina non soltanto aiutano l’umore del paziente, ma alleviano anche il tipo di dolore dove la terapia analgesica ha fallito, in alcuni casi consiglia di coadiuvare la terapia con 10 mg. al giorno di clordiazepossido. Sono un gruppo di farmaci relativamente sicuri e se ne raccomanda l’uso prima di adoperarne altri più pericolosi, è inoltre possibile riscontrarne l’efficacia già nell’arco di una o due settimane.

Clordiazepossido

Si tratta di una benzodiazepina con effetti ottimali come ansiolitico, sedativo-ipnotico e miorilassante. La loro azione pare sia dovuta al potenziamento dell’inibizione neuronale mediata dal GABA; il loro uso è diffuso tra psichiatri, anestesisti e neurologi.

L’associazione   tra antidepressivo e ansiolitico è secondo Gayford la terapia di elezione dove si sono riscontrati A.F.P. associati a stati depressivi o ansiosi, dove non si riscontrano eventuali cause organiche e la classica terapia farmacologia antidolorifica non ha avuto gli effetti desiderati.

Eli consiglia di mantenere questa terapia fino a che i sintomi non sono eliminati, prestando attenzione chiaramente a non raggiungere dosi tossiche che potrebbero peggiorare la situazione anche sotto il profilo psicologico, quindi riprenderla nel momento in cui dovessero ripresentarsi.

Esiste uno standard terapeutico?

Shankland consiglia basandosi sulla sua casistica il trattamento conservativo dell’A.F.P., indicando uno standard terapeutico:

  • Iniezione locale di corticosteroidi, preferibilmente Celestone (Betametasone fosfato sodico).
  • Dose di 4 mg. al giorno sempre di corticosteroide quale il Depo-medrol (Metilprednisolone acetato).
  • Dosi di Baclofen variabili in base alle esigenze del paziente
Se il Baclofen non ha l’effetto di torpore desiderato, somministrare Fenitoina o una combinazione tra i due farmaci.

Dopo aver effettuato la prima parte della terapia, consiglia di rivedere il paziente ogni 15 giorni per sei mesi, annotando i progressi o le variazioni del sintomo e agendo di conseguenza.

Robert e Person raccomandano, dopo aver appurato con opportuni metodi radiografici la presenza di cavità più o meno grandi correlate ad una storia pregressa di chirurgia orale, un intervento chirurgico esplorativo.

Essi hanno eseguito questa terapia su 21 pazienti cui era stato diagnosticato A.F.P. L’intervento era eseguito in anestesia locale, l’esposizione poteva essere intra o extraorale, quest’ultima è in alcune situazioni da preferire perché secondo gli autori permette un accesso meno traumatico alla cavità ossea ed elimina la possibilità di contaminazione della flora batterica orale.

Le cavità esposte venivano curettate, attentamente irrigate con soluzione fisiologica e una soluzione antibiotica (Cloromicina), quindi suturate.

I risultati erano soddisfacenti: i pazienti riportavano dopo un certo periodo di tempo, solitamente non superiore a una settimana, una recrudescenza dal sintomo doloroso, che a volte si ripresentava però con nuovi schemi, in questi casi veniva effettuato un nuovo intervento che spesso portava alla luce cavità ancora nascoste. Dopo questo secondo intervento il sintomo era stato eliminato per lunghi periodi di tempo che variavano da uno a nove anni.

Non sono state riportate complicanze gravi, a parte un’anestesia di durata variabile dal lato interessato, anzi in alcuni casi dove insieme al dolore di A.F.P. si presentava emicrania che coinvolgeva le aree vertebrali, frontali, temporali o occipitali, anche i sintomi di quest’ultima tendevano a diminuire o a scomparire totalmente.

L’elettrostimolazione è efficace?

Anche l’elettrostimolazione può essere utilizzata per lenire il dolore cronico facciale. L’elettrostimolazione transcutanea, o T.E.N.S., non  ha riscontrato però molto successo nella terapia del dolore facciale atipico a causa di problemi anatomici. Quindi, Steude ha tentato di utilizzare la stimolazione percutanea, che raggiungendo direttamente il nervo con un elettrodo, è in grado dopo una stimolazione di 24-48 ore di dare sollievo dal dolore per un periodo variabile da due a sei settimane.  
 

Dolore facciale e chirurgia

Quando i trattamenti descritti falliscono, alcuni specialisti consigliano di intervenire con la terapia chirurgica direttamente sul nervo trigemino , anche se in letteratura la maggior parte delle procedure chirurgiche per A.F.P. non hanno dato buoni risultati .  

Questo probabilmente accade in quanto non c’è un’eziologia comprovata come accade per la nevralgia trigeminale sulla quale terapie chirurgiche di decompressione microvascolare danno spesso un grosso successo.

Pur essendo descritti alcuni rapporti positivi su interventi chirurgici quali la tractotomia trigeminale e altre lesioni ablative celebrali, la maggior parte di questo tipo di interventi, come la neurectomia periferica, la decompressione microvascolare del ganglio di Gasser, la neurotomia retrogasseriana suboccipitale o subtemporale, non sono risultati molto utili nella terapia dell’A.F.P., anzi questo tipo di chirurgia invasiva spesso danneggia ulteriormente il nervo trigemino, conducendo il paziente ad un aumento del disturbo e ad una sensazione di torpore prima inesistenti.

Meyerson suggerisce che impianti di microstimolatori nel ganglio di Gasser o nel talamo  offrono buone possibilità di successo.

Il blocco antalgico locale può coinvolgere il ganglio di Gasser o le branche periferiche e consiste nell’infiltrazione in queste strutture di alcool  o di anestetico locale; il loro valore terapeutico è oggi discutibile in quanto, pur portando alla scomparsa del dolore, determinano una recidiva nel 90 % dei casi dopo circa un anno, migliore invece è il loro uso sotto il profilo diagnostico (68-71), oppure per permettere al paziente di sperimentare l’anestesia che si produce nell’emifaccia in previsione di un intervento chirurgico.

Quali sono gli interventi chirurgici più efficaci?

Le uniche terapie chirurgiche che hanno riscosso un certo successo sono quelle meno invasive come la gangliolisi, parliamo di termolisi percutanea Gasseriana con radiofrequenza e di gangliolisi retrogasseriana mediante iniezione di glicerolo.

La termolisi con radiofrequenza è consigliata da Shankland e altri  per riuscire a denervare selettivamente le fibre Aδ e C dei nervi sensoriali. Viene effettuata inserendo un ago attraverso il collo che passa nel forame ovale e arrivato alla radice del ganglio funziona da elettrodo. La posizione dell’ago è confermata radiologicamente, quindi è emanata la scarica di onde a radiofrequenza (circa 250000 Hz.) che producendo calore determinano una lesione gangliare.

Il calore si diffonde in modo costante, quindi la lesione è ben circoscrivibile. Inoltre, dato che le fibre nervose dolorifiche sono le meno mielinizzate, quindi  le meno resistenti al calore ,è possibile effettuare una lesione davvero selettiva.

L’anestetico usato è molto leggero, il paziente rimane parzialmente sveglio durante l’intervento che non è traumatico e solitamente il giorno dopo viene dimesso dal centro specialistico. La mortalità dell’intervento è quasi nulla, è efficace nel 90 % dei casi producendo una perdita sensoriale ottimale, la recidiva è proporzionale all’intensità della termolesione, così come lo è l’eventuale ipoestesia corneale nel 10-15 % dei casi, è possibile notare occasionalmente debolezza dei muscoli masseteri e raramente l’anestesia dolorosa, secondo la maggior parte degli Autori il dolore può ripresentarsi mediamente da uno a cinque anni dopo l’intervento.   

Shankland pur ritenendo questa procedura efficace, non la ritiene ottimale, perché, a suo parere, c’è la possibilità di mettere in pericolo anche le fibre motorie. Inoltre, pur avendo il successo pieno durante l’intervento  chirurgico, si può sperare di andare a ridurre o ad eliminare per un periodo di tempo che va dai nove ai sedici mesi il dolore, poi bisogna intervenire nuovamente con la stessa o con altre terapie. Non è della  stessa opinione  Dalessio,  infatti  egli  asserisce  che la radiofrequenza è la procedura operativa più accettata ed ha il vantaggio della sicurezza e semplicità.

Come funziona la gangliosi?

 La gangliolisi effettuata mediante l’iniezione di glicerolo puro è stata introdotta nel 1981 e consiste nell’iniezione di tale alcool nella cisterna trigeminale. La tecnica operativa è simile a quella utilizzata per la radiofrequenza, la funzione del glicerolo pare sia quella di agire specificatamente sulle fibre dolorifiche o su quelle alterate (demielinizzate).  

Questa tecnica determina una scomparsa del dolore con modeste alterazioni della sensibilità nell’80 % dei casi almeno per un anno, nel 60 % per un massimo di cinque anni (percentuale di successo simile alla termolisi con radiofrequenza), il tasso di complicanze è minore dello 0,5 %.

La gangliolisi pur essendo la tecnica più usata in principio nella terapia delle N.T., è una delle poche tecniche chirurgiche utilizzate anche nella terapia dell’A.F.P., in particolare su quei pazienti che non rispondono in modo ottimale a nessun altro trattamento.    

Una   variante di  queste tecniche è l’inserimento grazie a un catetere sonda  di un palloncino a livello della compressione vascolare del nervo, l’immissione di aria nel piccolo palloncino crea un’ischemia transitoria  che lede le fibre del fascio nervoso. Quest’ultimo metodo non è molto utilizzato probabilmente per la sua minore selettività nei confronti di quelli prima menzionati.

Ziccardi e coll. pur consigliando di trattare l’A.F.P. con decompressione vascolare e gangliolisi, riaffermano l’utilità della neurectomia periferica come alternativa nei pazienti refrattari alle altre terapie. 
 

Conclusioni

E’ indubbio che l’approccio terapeutico a questi pazienti deve essere multidisciplinare, quindi vicino alla terapia farmacologica o chirurgica, non dovrà mai mancare quella psicologica.

Lebovits suggerisce che i centri per la cura del dolore devono includere trattamenti anche per  il dolore psicosomatico e che migliore si è rilevato la psicoterapia di gruppo, che aiuta a il paziente sia a mantenere relazioni psicosociali che interpersonali, sia ad anticipare,  quindi ad evitare quelle situazioni emotive avverse  che sono spesso associate ad un peggioramento della sintomatologia.

Quindi, come   già   specificato, non  uno, ma  una  serie  di  specialisti devono poter trattare il paziente multidisciplinariamente, cioè  sviluppare il massimo di interazione e di comunicazione nella squadra . Inoltre, questo tipo d’approccio implica l’emergere di diverse prospettive per la cura del dolore cronico, perciò il gruppo dovrebbe comprendere specialisti che hanno una comune visione del problema; una tale organizzazione potrà permettere di integrare le informazioni di uno stesso paziente, formulando così un piano di trattamento globale.

Bonica raccomanda di scegliere un responsabile per ogni caso specifico, un membro della squadra in grado di coordinare il trattamento di un particolare paziente scelto mettendo in correlazione i sintomi del paziente e le branche specialistiche  dell’équipe. Consiglia, inoltre, che ogni membro dello staff si attenga e accetti la regola delle “cinque C”: Comunicazione, Collaborazione, Coordinazione, Cooperazione, Cortesia. Regole che se rispettate permetteranno di ottenere dei risultati terapeutici altrimenti inaspettati.

 
 

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