Cosa causa l'ipertensione arteriosa?

tratto dal Libro "Una Mela al Giorno", casa editrice Priuli & Verlucca

L'ipertensione arteriosa, simile ad un killer silenzioso, può seguirci passo passo per molti anni senza dare alcun segno di sé, per poi colpirci improvvisamente, quasi sempre di notte, quasi sempre alla testa. È, infatti, la più frequente causa di ictus cerebrale.

Oltre questo drammatico evento, durante la sua naturale evoluzione, l’ipertensione arteriosa può produrre subdoli danni ad altri organi di vitale importanza, quali il cuore, il rene, gli occhi, con costi umani e sociali elevatissimi. L’Oms considera l’ipertensione arteriosa la prima causa di morbilità e mortalità nel mondo e la sua prevenzione, la sua precoce identificazione e la sua correzione costituiscono un fondamentale obiettivo per la salute pubblica. È la patologia vascolare più frequente, in continua espansione sia nei Paesi a elevato sviluppo industriale, dove ha raggiunto aspetti epidemici, sia in quelli in via di sviluppo che progressivamente adottano stili di vita occidentali.

Si calcola che in Italia vi siano attualmente oltre 15 milioni di ipertesi (oltre il 20% della popolazione adulta). 

Illustrazione 1 - Cardiologia


Quali tipologie di ipertensione esistono?

Circa il 95% dei casi di ipertensione arteriosa è definita essenziale (o primitiva): un modo elegante per dire che finora non si è riusciti di identificare i precisi meccanismi causali, pur ipotizzando un complesso intreccio di fattori ambientali, dietetici e genetici.

Soltanto il 5% dei casi è di ipertensione arteriosa è rappresentato da forme secondarie, cioè  dipendenti da cause identificabili, che possono essere:

  • endocrinologiche;
  • nefrologiche, cioè relative a malattie dei reni;
  • vascolari;
  • farmacologiche, per assunzione di alcuni farmaci (corticosteroidi, carbenoxolone,  contraccettivi ormonali, simpaticomimetici, antidepressivi anti MAO, anti-infiammatori);
  • voluttuarie (per esempio, l’abuso di liquirizia). L’effetto ipertensivo della liquirizia è dovuto all’acido glicirrizico in essa contenuto, che ha un effetto simile a quello dell’aldosterone, l’ormone che regola il riassorbimento di acqua e sali a livello renale. Si sussurra che la liquirizia abbia anche un effetto negativo sulla produzione di testosterone e, di conseguenza, sulla potenza sessuale per cui sarebbe meglio non abusarne.

È molto importante che le forme secondarie siano prontamente identificate poiché , correggendone la causa, si può ottenere una completa guarigione.

Analogamente ad altre alterazioni metaboliche, la probabilità che l’ipertensione arteriosa si manifesti clinicamente è di molto accresciuta dall’interferenza di fattori ambientali esterni, modificabili, pur in presenza di una predisposizione familiare.
 

Come si misura la pressione arteriosa?

La pressione arteriosa è espressa da due valori, corrispondenti a due fasi del ciclo cardiaco:

  • quella in cui il ventricolo sinistro del cuore, contraendosi per spingere il sangue nel circolo arterioso (sistole), genera contro la parete dei vasi la pressione sistolica o  massima;
  • quella successiva in cui il ventricolo sinistro del cuore si rilassa riempiendosi di sangue (diastole), per cui si ha una pressione arteriosa minore definita diastolica o minima.

La pressione arteriosa, sia sistolica che diastolica, ha durante la giornata delle variazioni fisiologiche:  è più alta al mattino, al risveglio, e tende a ridursi con il trascorrere delle ore, per aumentare nuovamente di sera. I valori più bassi sono durante il sonno (fenomeno definito dagli anglosassoni dip, tuffo). La pressione arteriosa è soggetta anche a una complessa variabilità biologica in risposta a vari stress.

La misurazione istantanea in ambiente medico può costituire una stima assai imprecisa della vera pressione arteriosa a causa del noto . Da ciò deriva l’indicazione pratica di utilizzare il più possibile:

  • l’auto-misurazione domiciliare, che solitamente evidenzia una pressione significativamente più bassa di quella misurata dal medico in ambulatorio, ma che conserva il limite della scarsa affidabilità di alcuni apparecchi (oscillometrici o ascoltatori semiautomatici; assolutamente da evitare quelli );
  • oppure il monitoraggio ambulatoriale delle 24 ore (Holter pressorio), che consente di ottenere un gran numero di misurazioni nelle condizioni abituali di vita, di valutare se nelle ore notturne si abbia il fisiologico calo pressorio, di identificare i soggetti con resistenza al trattamento farmacologico e l’efficacia del trattamento stesso durante tutte le 24 ore. L’utilità di disporre di tutti i valori delle 24 ore deriva anche dalla conferma che i soggetti con valori notturni più elevati di quelli diurni, trattati o non con farmaci antiipertensivi, sono quelli con la prognosi peggiore. Di particolare interesse anche la valutazione della frequenza cardiaca in concomitanza con i rilievi pressori.
 

Come auto-misurare la pressione in modo corretto?

Regole per l’auto-misurazione della pressione arteriosa:

  • il soggetto deve essere rilassato, non al freddo, seduto comodo con le gambe distese da almeno 5 minuti;
  • non assumere caffè o fumare nei 30 minuti precedenti;
  • il braccio deve essere appoggiato, col bracciale all’altezza del cuore;
  • le dimensioni del bracciale devono essere adattate a quelle del braccio (nei bambini e negli adulti molto magri o negli obesi bisogna utilizzare bracciali di dimensioni adeguate);
  • devono essere effettuate almeno due misurazioni e, se la pressione differisce di più di 5 mmHg, si deve procedere finchè i valori non risultino stabili.

La suddivisione della normotensione in tre fasce (ottimale, normale e normale alta) sta a significare che rischi cardiovascolari sono presenti anche all’interno di un ambito considerato normale.

 Illustrazione 2 - Cardiologia

Quando i valori pressori sono preoccupanti?

I danni che l’ipertensione può causare ai vari organi aumentano con un andamento pressoché lineare con l’aumentare dei valori pressori. Tuttavia, poiché gli ipertesi gravi sono relativamente rari, l’azione preventiva deve essere incentrata soprattutto sulle forme lievi-moderate, anche di poco eccedenti la soglia dei valori ritenuti normali. Tutti i pazienti ipertesi dovrebbero essere classificati non solo sulla base del grado di ipertensione arteriosa, ma anche sulla base del profilo di rischio cardiovascolare globale, valutando la presenza dei fattori di rischio, di danno d’organo o di malattie concomitanti. Solo in meno del 20% di soggetti l’ipertensione è isolata, essendo più spesso associata ad altri fattori di rischio modificabili.

Fino a qualche decennio fa, era diffusa la convinzione che col passare dell’età, diventando i vasi più rigidi, fosse fisiologico un aumento dei valori pressori per garantire un adeguato rifornimento di sangue agli organi vitali, e che fosse quindi accettabile una pressione sistolica  corrispondente a cento più l’età. Oggi si sa che anche nelle persone anziane il rischio cardiovascolare aumenta con l’aumentare dei valori pressori, per cui è consigliabile che anche in tali soggetti la pressione arteriosa venga tenuta nei parametri giovanili considerati normali.
Per molti anni si è discusso su quale componente dell’ipertensione arteriosa fosse più significativa nel produrre danni cardiovascolari, se la sistolica o la diastolica.

Dopo un periodo in cui è stata ritenuta la diastolica la più pericolosa, attualmente si pensa che siano gli elevati valori sistolici a rappresentare un maggiore rischio, in particolare in presenza di un’elevata pressione differenziale (cioè alti livelli di sistolica e bassi livelli di diastolica), condizione anche definita ipertensione sistolica isolata (sistolica superiore a 160 mmHg e diastolica inferiore a 90 mmHg), molto frequente nelle persone anziane.

L’aumento della pressione differenziale, che riflette un aumento della rigidità delle grandi arterie toraciche a parete prevalentemente elastiche, è considerata la condizione pressoria maggiormente predittiva di future complicanze cardiovascolari. Anche i bambini possono avere una pressione elevata e dai tre anni in su sarebbe opportuno effettuare misurazioni annuali.

 

Quali danni causa l’ipertensione arteriosa?

Cosa causa a livello vascolare arterioso?

Il danno inizia dal microcircolo (piccole arterie,  arteriole e  capillari), mentre più tardivo è il danno a carico delle arterie di calibro maggiore (coronariche, carotidee, cerebrali e periferiche), che subiscono un’alterazione di tipo aterosclerotico, determinata dalla maggiore pressione esercitata sulla parete delle arterie (stress di parete) e dalla conversione del  flusso ematico da laminare (cioè parallelo alla parete) a turbolento.

La valutazione ultrasonografica (ecocolordoppler) delle arterie carotidi è in grado di valutare lo spessore del complesso intima-media e la presenza di placche aterosclerotiche permette l’identificazione del danno d’organo vascolare, rivelandosi in grado di predire l’incidenza di ictus e infarto miocardico. Che l'ipertensione favorisca l'aterosclerosi è dimostrato anche dal fatto che il  circolo polmonare e il circolo venoso, dove vigono pressioni molto basse, ne sono del tutto esenti. La pressione elevata può indebolire la parete delle arterie e causare nel tempo un loro sfiancamento, con formazione di una protuberanza (aneurisma), suscettibile di una fatale rottura.

 

Cosa succede al cuore con la pressione alta?

Per spingere il sangue in un sistema vascolare dove vige una resistenza maggiore al flusso sanguigno, il ventricolo sinistro del cuore aumenta la sua massa muscolare (ipertrofia ventricolare sinistra). Poiché, tuttavia, all'ipertrofia muscolare non corrisponde un analogo aumento del letto coronarico, viene a determinarsi un’insufficienza circolatoria. Ad essa consegue una diminuzione della capacità di pompa del cuore (insufficienza cardiaca), preludio dello scompenso cardiaco.
 

Come si manifesta l’ipertensione arteriosa a livello cerebrale?

L’ipertensione arteriosa è un fattore causale determinante nella maggioranza degli ictus (parola latina che significa “colpo”) cerebrali. Essi costituiscono la terza causa di morte, dopo le cardiopatie e le neoplasie (ogni anno muoiono al mondo per tale causa circa 5 milioni di persone) e la prima causa di disabilità grave: un fulmine a ciel sereno che ogni anno sconvolge la vita di 15 milioni di persone per un ictus non fatale. A crescenti valori di pressione arteriosa, corrisponde un crescente rischio di accidenti cerebrovascolari. Anche una stenosi (restringimento) aterosclerotica delle arterie carotidee può essere causa di un aumentato rischio di ictus cerebrale.

L’ictus è una patologia fortemente correlata con l’età: dalla quarta all’ottava decade di vita l’incidenza aumenta di circa 100 volte.  L’invecchiamento progressivo della popolazione, se da un lato è indubbiamente un eclatante risultato dello sviluppo sociale e sanitario, potrebbe diventare per tale motivo un problema difficilmente sostenibile. Un cattivo controllo dell’ipertensione arteriosa è considerato anche un fattore di rischio per la demenza senile. Purtroppo, una volta che si è verificato un simile evento, i trattamenti efficaci sono molto limitati per cui, ancora una volta, la prevenzione dovrebbe essere l’obiettivo principale.

 

L’ipertensione può danneggiare gli occhi?

Un elevato carico pressorio nel tempo determina restringimenti arteriolari e incroci artero-venosi rilevabili all’esame del fondo dell’occhio. La progressione dell’ipertensione può determinare la rottura di piccoli vasi, visibili come emorragia a fiamma e un edema della papilla, che indicano un danno d’organo severo e sottendono una prognosi sfavorevole.
 

La pressione alta danneggia i reni?

I rapporti tra ipertensione e rene sono assai stretti. Dal punto di vista fisiopatologico il rene può svolgere sia il ruolo di colpevole, sia il ruolo di vittima. Infatti, mentre da un lato una nefropatia cronica è responsabile dell’insorgenza di ipertensione arteriosa secondaria, essenzialmente a causa della ritenzione idro-salina (e il conseguente aumento della volemia, cioè del volume del plasma), dall’altro l’ipertensione arteriosa finisce per produrre aterosclerosi dei vasi renali (nefroangiosclerosi), causa di insufficienza renale, seconda come importanza solo alla nefropatia diabetica.

L’incapacità renale di eliminare il normale carico idro-salino per un difetto renale subclinico, probabile vecchio retaggio di una mutazione genetica sviluppatasi quando sussisteva scarsa disponibilità alimentare di sodio (vedi in seguito), può essere alla base dell’insorgenza e del mantenimento di quella che attualmente chiamiamo ipertensione.

 

Si può abbassare la pressione senza farmaci?

Poiché oltre l’80% dei pazienti ipertesi presenta altri fattori di rischio associati, il trattamento non deve limitarsi a normalizzare i valori pressori, ma deve ridurre tutti gli altri fattori di rischio concomitanti, in particolare:
  • obesità addominale; 
  • dislipidemia;
  • diabete mellito;
  • fumo.

Un paziente con diabete, con un precedente evento cardiovascolare o con insufficienza renale va considerato iperteso anche se la sua pressione ha valori normali-alti, valori che non consentirebbero di porre una diagnosi di ipertensione in soggetti senza altri fattori di rischio.
Modifiche dello stile di vita dovrebbero essere consigliate a tutti i soggetti ipertesi, compresi quelli con pressione arteriosa normale-alta e quelli che assumono un trattamento farmacologico.   

 

Dimagrendo si abbassa la pressione?

Vista l’associazione statistica tra peso corporeo e pressione arteriosa, il calo ponderale può da solo assicurare la correzione di una ipertensione lieve o moderata, verosimilmente per la diminuzione delle resistenze vascolari periferiche conseguente al miglioramento della sensibilità insulinica e alla diminuzione del tono simpatico, con conseguente diminuzione di catecolamine circolanti (adrenalina e noradrenalina).
 

Chi soffre di pressione alta deve eliminare il sodio?

Si ritiene non corretto iniziare un trattamento farmacologico prima di avere verificato l'eventuale effetto ipotensivo di una dieta iposodica. Questa si è dimostrata efficace soltanto nel 50% degli ipertesi, non identificabili preventivamente mediante test di laboratorio. Persiste l’annoso dibattito sulla reale importanza del sale nell’induzione e nel mantenimento dell’ipertensione arteriosa. A favore di un suo ruolo vi è la constatazione che in popoli primitivi che hanno un consumo di sale molto basso (per esempio, nelle popolazioni degli indiani Yanomamo del Brasile e in alcune tribù kenyane, ma anche negli Esquimesi, nella Nuova Guinea, nella Malaysia e in Centro Africa), anche l’incidenza di ipertensione è molto bassa (inferiore al 2%) e non si osserva un suo aumento con l'avanzare dell'età, mentre in società industrializzate in cui il consumo di sale è elevato (popolazioni del Nord del Giappone, i massimi consumatori di sale, della Corea del Sud, del Portogallo, della Finlandia) l’incidenza di ipertensione arteriosa è elevata. Una ricerca sperimentale condotta sulle scimmie di Denton, abituate ad una dieta povera di sodio, ha dimostrato che queste sviluppano un graduale aumento della pressione arteriosa se alimentate con dosi crescenti di sale. Un esagerato apporto di sale è considerato da alcuni ricercatori un fattore di rischio per la mortalità per ictus e cardiopatia ischemica anche  indipendentemente dalle variazioni della pressione arteriosa.

Per contro, invece, un suo ridotto apporto può ridurre il rischio cardiovascolare indipendentemente dalla pressione, riducendo l’ipertrofia ventricolare sinistra. Il sale è necessario all’organismo, ma il contenuto medio nella dieta occidentale è in larga parte eccessivo rispetto a questo fabbisogno. L’effetto della restrizione dietetica di sodio è mediato da una iniziale riduzione del volume plasmatico, e, più in generale, dei fluidi extracellulari. Sembra anche che a lungo termine la diminuzione di sodio nelle fibrocellule contrattili e nelle terminazioni nervose porti alla riduzione della sensibilità vascolare agli agenti vasocostrittori. Vi è il sospetto che il consumo di sodio alimentare della madre durante la gravidanza e l'allattamento possa influenzare lo stato pressorio dei figli nell’età adulta, probabilmente per una  modificazione dell'equilibrio dei liquidi corporei. Una ricerca recente ha evidenziato che l’obesità dei bambini dipende anche dal sale, perché i cibi molto sapidi aumentano la sete e i piccoli non bevono di solito acqua ma bibite zuccherine, incrementando così l’introduzione di calorie e di conseguenza il peso.

In Italia si consuma circa 10 g di sale al giorno (4 g di sodio), molto più del necessario. Le linee guida per una sana alimentazione raccomandano un consumo di 5 g di sale (1,6-2,5 g di sodio), che equivale a un cucchiaio da tè, tutto compreso. Un g di sale da cucina contiene circa 0,4 g di sodio (sostanza responsabile del suo sapore, ma anche degli effetti sulla pressione arteriosa del sangue).  Va ricordato che per salt sensitivity si intende un incremento della pressione diastolica di 5 mmHg passando da un regime povero di sale (3–4,8 g al dì) a uno caratterizzato da un elevato apporto di sale (12-15 g al dì).

Il sodio che assumiamo  deriva:

  • per una  quota modesta dai cibi che naturalmente lo contengono (più in quelli di origine animale che in quelli di origine vegetale);
  • per una quota rilevante in modo occulto nei prodotti trasformati ai quali viene aggiunto per ragioni tecnologiche, di conservazione o di sapidità (sarebbe auspicabile che fosse disposto a livello legislativo l’obbligo di specificare il limite massimo   per il sale che si può addizionare agli alimenti confezionati);
  • per una quota considerevole dal sale aggiunto durante la cottura dei cibi; e, infine, un’ulteriore quota dal  sale aggiunto a tavola  alle pietanze.

Ridurre la quantità di sale non è difficile: 

  • non aggiungere sale durante la preparazione dei cibi e sulle pietanze in tavola; 
  • ridurre al minimo i cibi trattati col sale (insaccati, formaggi stagionati, alimenti conservati in salamoia, carni in scatola, tonno sott'olio, dadi, estratti di carne, estratti di lievito); 
  • fare sparire la saliera dalla tavola.
 

Quali alimenti abbassano la pressione?

È dimostrato che la dieta iposodica risulta più efficace se associata ad un'aumentata  assunzione di potassio, contenuto prevalentemente negli alimenti di origine vegetale (frutta e verdura).  Si ritiene che il potassio influisca sulla pressione arteriosa esercitando un effetto vasodilatante diretto e di facilitazione di escrezione renale del sodio, inibendo l'attività vasocostrittrice del sistema renina-angiotensina, modificando la regolazione centrale e periferica della circolazione. Un celebre cardiologo messicano, Demetrio Sodi Pallares, per imprimere all'uditorio il  concetto dell’azione del sale e del sodio in un organismo, usava dire nelle conferenze “Se prendete tre bicchieri e vi mettete in ognuno un fiore e nel primo solo acqua, nel secondo acqua e sale e nel terzo acqua e potassio, nei giorni seguenti si vedrà che il fiore del primo bicchiere appassirà un poco, quello del secondo morirà, mentre il terzo rifiorirà”. È anche consigliabile aumentare il rapporto acidi grassi polinsaturi/acidi grassi saturi, essendo l’acido linoleico il precursore delle prostaglandine, sostanze ad azione vasodilatatrice e facilitanti l'escrezione renale del sodio. Opportuno inoltre un buon apporto di calcio, consumando latte e latticini magri (almeno 1 g al giorno), che riduce significativamente la pressione arteriosa sia sistolica che diastolica e l'ipertensione in gravidanza. Sono state documentate significative associazioni inverse fra pressione arteriosa e assunzione di fibre.

 

Chi ha la pressione alta può fumare?

Tutti gli studi su vasta scala confermano che gli ipertesi fumatori vanno maggiormente incontro ad ictus cerebrale e cardiopatia ischemica. Il fumo aumenta la pressione arteriosa e la frequenza cardiaca, a causa della stimolazione del sistema nervoso simpatico, sia a livello centrale che periferico, con conseguente aumento delle catecolamine plasmatiche.

 

Chi ha la pressione alta può bere alcol?

L’abuso di alcol è fortemente correlato con valori elevati di pressione arteriosa, mentre un consumo moderato (non più di 20-30 g di etanolo al giorno per gli uomini e  non più di 10- 20 g per le donne) porta una sostanziale riduzione dei valori pressori. Numerosi studi hanno dimostrato una maggiore frequenza di ipertensione arteriosa nei bevitori rispetto agli astemi (in gemelli mono- e bi-ovulari con abitudini alcoliche discordanti, il gemello bevitore presentava valori pressori più alti). Vi è un elevato rischio di ictus associato al bere sociale, cioè all'abuso di alcol fatto saltuariamente in compagnia. I meccanismi attraverso i quali l’alcol agisce sulla pressione non sono del tutto chiari. È stato ipotizzato un effetto pressorio diretto dell’alcol; la sensibilizzazione dei vasi di resistenza a sostanze pressorie; stimolazione del sistema simpatico; aumentata produzione di ormoni corticosurrenalici. Non dimenticare che l’alcol costituisce una fonte di notevole introito energetico.

 

Si possono assumere farmaci ad azione ipertensiva?

No, bisogna sospendere,  quando possibile, farmaci come l’efedrina o altri simpaticomimetici, bicarbonato di sodio, amfetamine. Nelle donne ipertese, inoltre, dovrebbero essere presi in considerazione metodi contraccettivi alternativi agli estroprogestinici orali, mentre non è controindicata la terapia ormonale sostitutiva nelle donne ipertese in menopausa.

 

L’ipertensione può accompagnare dislipidemie e diabete mellito?

Si, il paziente deve controllare in modo ottimale dislipidemie e diabete mellito. Queste patologie molto spesso si accompagnano all'ipertensione arteriosa, influenzandone negativamente la prognosi.
 

Come rilassarsi per abbassare la pressione?

Lo stress cronico ha un effetto ipertensivo, per attivazione del sistema simpatico e della produzione di cortisolo. Così come ansia e depressione sono predittive della comparsa di ipertensione. Per queste situazioni possono aiutare le tecniche di rilassamento (meditazione, biofeedback). Anche lo stress psicosociale incide sulla pressione arteriosa: la povertà, la disoccupazione, la scarsa istruzione fanno tenere in scarsa considerazione lo stile di vita, per cui possono aversi  eccessi alimentari, diete ricche di sale, inattività fisica.

 

Chi ha la pressione alta può bere il caffè?

Bisogna assumere con moderazione le sostanze eccitanti. Caffe', the, liquirizia: la caffeina consumata quotidianamente contenuta in caffe’, the o bevande a base di cola aumenta sia la pressione diastolica che sistolica per diverse ore. Inoltre la caffeina amplifica l’effetto pressorio della nicotina.

 

Chi soffre di ipertensione può fare sport?

L’efficacia dell’attività fisica regolare sulla riduzione pressoria è stata estesamente studiata. La conclusione generale è che un esercizio regolare è in grado di ridurre significativamente la pressione arteriosa a riposo  nei pazienti con ipertensione essenziale, più i valori diastolici e sistolici, sia per aumento della vasodilatazione e della vascolarizzazione a livello muscolare, che per la riduzione dell’attività simpatica. Gli effetti sono prodotti in particolare dall’attività  aerobica (marcia, jogging, bicicletta, nuoto o loro combinazione) che, in più, ha il merito di ridurre il grasso corporeo, la circonferenza addominale, la sensibilità all’insulina e di controllare lo stato d'ansia. Gli esercizi di potenza producono, invece, improvvisi rialzi pressori, così come gli sport competitivi, a causa dello stress che comportano. Per quanto riguarda la frequenza, è stato rilevato che non si ottengono benefici aggiuntivi con più di 3 sessioni di esercizio, probabilmente per il protrarsi nel tempo degli effetti ipotensivi, sia sulla pressione sistolica che diastolica, dopo l’esercizio acuto.

Se dopo 3-6 mesi l’approccio non farmacologico non risulta efficace, con pressione arteriosa superiore ai 140/90, è imperativo passare ad un trattamento farmacologico.

Illustrazione 3 - Cardiologia

Com’è “nata” l’ipertensione?

Capita, in medicina, che meccanismi fisiologici sorti in origine per proteggere l'organismo da condizioni ambientali sfavorevoli, diventino essi stessi causa di patologia. Ciò accade quando, al variare di tali condizioni, non corrisponda un loro altrettanto rapido riadattamento.  Ad una situazione di questo tipo viene fatta risalire la comparsa dell'ipertensione arteriosa nella storia del genere umano.

In origine l'uomo ha avuto, per molti millenni, un'alimentazione essenzialmente vegetariana, con scarsissimo contenuto di sodio (non più di 0,5-0,6 grammi al giorno). Era veramente poco. Il sodio è, infatti, un elemento importantissimo per l'organismo, perché per merito suo può essere trattenuta - a livello renale - la quantità di acqua necessaria per una corretta circolazione ed evitare la disidratazione, l'ipotensione e i collassi cardio-circolatori.

Per risparmiare tale prezioso, e allora rarissimo, elemento, l'organismo umano si è dotato, attraverso lente mutazioni, di un meccanismo atto a trattenerlo a livello renale. 

 

Com’è stato scoperto il sale?

Venne il giorno, circa 3000 anni fa, in cui alcuni cinesi notarono che dall'evaporazione al sole di acque marine stagnanti residuava una sostanza bianca. Fu la scoperta del sale, destinata ad incidere non poco nella storia  dell'umanità.

Poiché il sale è composto per il 96-97 % da cloruro di sodio, da allora non vi fu più carenza di sodio.

Il termine salario, inteso come paga per l'acquisto del sale, la dice lunga sull'importanza commerciale che tale sostanza andava assumendo, essendosi rivelata utilissima per la conservazione delle carni, dei pesci, dei formaggi e per insaporire i cibi.

I Romani produssero il sale su scala industriale ricavandolo dalle acque dell'Adriatico e trasportandolo a Roma attraverso la via Salaria, all'uopo costruita (IV secolo a. C.). Da allora si moltiplicarono, dal mare all’interno, le “vie del sale” di rilevante importanza economica e strategica. Fu così che pian piano, attraverso i secoli, si è passati dagli originari 0,5-0,6 g agli attuali 12 grammi di consumo giornaliero.

Ma se è da moltissimo tempo che apprezziamo le virtù del sale, soltanto da circa cento anni, da quando Riva-Rocci ha inventato lo sfigmomanometro, conosciamo i pericoli insiti in un suo eccessivo consumo. Poiché soltanto il 10-15% di una popolazione esposta ad un'alimentazione ipersodica sviluppa ipertensione arteriosa, è stato ipotizzato che, in questi soggetti, debba esservi un fattore, a trasmissione familiare, non ancora perfettamente identificato, che potrebbe essere appunto il retaggio di quell'antico meccanismo protettivo che sviluppatosi, quando vi era carenza di sodio, in alcuni individui non è stato riadattato alle nuove realtà ambientali.


Bibliografia

 
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