Artrite reumatoide: cos’è?

L’artrite reumatoide (AR) è una patologia infiammatoria che colpisce diffusamente le articolazioni, più di frequente le mani, provocando nel tempo, se non ben curata, deformità e anchilosi. Alcuni preferiscono parlare di “malattia reumatoide” perché tale disordine può interessare organi e apparati extra-articolari, e pertanto può essere considerata una vera e propria patologia multisistemica.

Quanto è frequente?

Ne viene colpita una percentuale bassa ma comunque non irrilevante della popolazione, intorno all’1 - 2% o poco più (salvo che nei nativi americani, in cui si riscontrano percentuali più elevate), con una netta prevalenza femminile (rapporto 3–4 a 1, a seconda delle varie casistiche), anche se nel sesso maschile spesso il decorso è più aggressivo. 

Illustrazione 1 - Allergologia

Cause e sviluppo

La prevalenza nelle donne, a insorgenza quasi sempre in età fertile, suggerisce un ruolo degli estrogeni nella genesi del morbo, ma ancora oggi la causa (eziologia) è sconosciuta.

Non così è la patogenesi, vale a dire la modalità con cui agisce un qualsiasi fattore causale.

Patogenesi: come evolve nell’artrite reumatoide?

Si tratta di una patologia autoimmune, in cui, cioè, tale fattore causale provoca, con vari meccanismi, una risposta immunitaria deviata (autoanticorpi) che va ad aggredire strutture dell’ organismo stesso – in questo caso la membrana sinoviale che tappezza le nostre articolazioni – dando avvio al processo infiammatorio. Pertanto è verosimile che non esista una sola causa e che, in determinate condizioni, molti possono essere i fattori, spesso infettivi, in particolare certi virus (ma non per questo la malattia è contagiosa), in grado di scatenare un meccanismo del genere, che una volta iniziato evolve autonomamente.

L’ AR non è ereditaria: sono stati descritti casi di familiarità, ma questo comporta solo un maggior rischio probabilistico, non la certezza, di contrarre la malattia. Anche se alcuni studi sembrano ipotizzare il contrario, ancora oggi non è stato dimostrato un chiaro ruolo causale della dieta o di altri fattori (fumo di sigaretta).

Artrite reumatoide: è degenerativa?

Nel tempo, attraverso vari stadi, se non curata, l’infiammazione porta all’ erosione e all’anchilosi delle articolazioni colpite. 

Sintomi iniziali 

La sintomatologia varia: l’ esordio può essere acuto o, viceversa, in alcuni casi, lento e subdolo. Il sintomo iniziale e costante è il dolore articolare (artralgia) che si accompagna a un progressivo deficit della mobilità e a tumefazione delle articolazioni

Dove si concentrano i sintomi iniziali?

Come già detto, le più frequentemente colpite sono quelle delle basi delle dita delle mani (metacarpo-falangee) e delle dita stesse (interfalangee), con caratteristica rigidità mattutina; possono essere interessate contemporaneamente molte articolazioni (andamento poliarticolare) o solo due o tre (and.oligoarticolare), di solito ad entrambi gli arti (and. simmetrico), con progressiva diffusione alle articolazioni sovrastanti (ad es., dalle mani ai gomiti: and. aggiuntivo centripeto). 

Le più frequentemente colpite sono comunque le piccole articolazioni, più raro l’ esordio a una sola grande articolazione( ad es., un ginocchio).

Rischi 

Se non si interviene precocemente con opportuna terapia le tumefazioni evolvono verso sublussazioni e deformità in anchilosi. 

Nelle forme più aggressive – caratterizzate da forte positività per fattore reumatoide – possono comparire manifestazioni extrarticolari: 

  • noduli reumatoidi: di solito sulla superficie estensoria delle grandi articolazioni (gomiti, ginocchia), ma a volte anche in organi interni (in particolare al polmone);  
  • interessamento delle arterie (vasculite o artrite reumatoide): più frequente alle gambe, con comparsa di ulcerazioni cutanee; 
  • secchezza: agli occhi (xeroftalmia) o alla bocca (xerostomia), (s. di Sjogren). 

Rara è la febbre.

Diagnosi e prevenzione

Quali sono i test clinici?

Sul piano laboratoristico, sono alterati gli indici di infiammazione (VES, PCR, alfa2globuline). 

Discorso a parte merita il fattore reumatoide (FR), autoanticorpo presente nel sangue nel 75 – 80% dei casi, per cui si distinguono due forme, la FR+ e la FR-, la prima ad andamento più aggressivo e l'unica in cui possono verificarsi manifestazioni extrarticolari. Però, se si considerano tutti i casi in cui, per motivi tecnici, il FR non viene evidenziato dai comuni metodi di laboratorio (Reumatest, test di Waaler-Rose), nonché quelli in cui esso è presente solo all’ interno delle cavità articolari colpite e non nel sangue, la percentuale di casi realmente FR- si riduce notevolmente. Va comunque sottolineato che il FR non è specifico ed esclusivo per l’AR: esso può risultare positivo in molte patologie, sia acute (soprattutto in malattie infettive) che croniche (epatiti croniche B e C, tubercolosi, sarcoidosi, tiroiditi o altre malattie autoimmuni), per cui la sua positività, se unico elemento presente, non associato ad alcun dato clinico, non consente affatto la diagnosi di AR; anzi, in assenza di sintomatologia artritica, è d’obbligo escludere le condizioni suddette, praticando, ad es., i markers dell’epatite B e C e gli anticorpi antitiroide. Il FR può essere presente anche in una piccola percentuale della popolazione sana (5%, che negli anziani può arrivare, in alcune casistiche, al 15%): in questi soggetti il FR può persistere a tempo indeterminato senza creare danni, come pure può negativizzarsi negli anni: costoro devono solo sottoporsi a un controllo periodico, anche per valutare l’ andamento del titolo del test, perché l’aumento progressivo del titolo è spesso predittivo dell’ insorgenza dell’ AR. Più specifici del FR sono gli anticorpi anticitrullina, mentre in circa il 25% dei casi sono presenti, a titolo variabile, anche gli anticorpi antinucleo. 

La cosiddetta diagnostica “per immagini”radiografie, risonanza magnetica, scintigrafia osteoarticolare – può essere di valido aiuto, soprattutto nei casi dubbi.

L’esame dei sintomi articolari 

Tutti questi dati – clinici, laboratoristici e strumentali – consentono, di solito, una diagnosi precisa, anche se va riconosciuto che non sempre, soprattutto nelle fasi iniziali, il quadro si presenta chiaro e significativo, e ovviamente in tali casi molto dipende dall’ intuito dello specialista. 

In linea generale, il reperto clinico obiettivo assume importanza preminente ai fini diagnostici: volendo estremizzare il concetto, è certo più corretta una diagnosi di AR in presenza di una sintomatologia clinica (artralgie, tumefazioni), pur in assenza di particolari alterazioni di laboratorio, piuttosto che il contrario. In altri termini, il semplice dato sierologico, non associato a sintomatologia, non configura uno stato di malattia e non va sottoposto a terapia farmacologica, ma soltanto seguito nel tempo (2 – 3 volte l’ anno). 

La diagnosi deve essere certamente il più possibile precoce, perché l’ AR, attaccata all’ esordio con opportuno trattamento, ha un decorso molto più favorevole, ma ciò non deve comportare frettolosità, che può portare ad errori diagnostici seri e a terapie incongrue: a tale riguardo, va detto che oggi il reumatologo dispone di una serie di parametri da considerare – i cosiddetti “criteri diagnostici” codificati a livello internazionale – in base ai quali è facilitata una diagnosi corretta.

Illustrazione 2 - Allergologia

Cure e Trattamenti

A parte eventuali trattamenti fisiatrico-riabilitativi  e, in fase inoltrata, chirurgici correttivi di eventuali anchilosi, la terapia è articolata sull’ uso di farmaci sintomatici – i FANS, Farmaci Antiinfiammatori Non Steroidei – di immediato effetto anti infiammatorio (a cui va sempre associata gastroprotezione), e su quello di farmaci “di fondo”, che cioè curano le basi patogenetiche della malattia, di solito tramite azione in vario modo immunosoppressiva. Questi ultimi sono a più lenta azione e richiedono alcune settimane prima di espletare la loro efficacia, ma va tenuto presente che questa non si verifica in tutti i casi – in altre parole, alcuni casi rispondono bene ad un farmaco, altri ad un altro, e purtroppo non esistono criteri di certezza per previsioni su questo punto, solo nel tempo si potrà dire, in base alla risposta ottenuta, se il farmaco prescelto è risultato efficace o meno; di questo è opportuno informare subito il paziente che altrimenti può restare sconcertato dinanzi a un cambio di farmaco in corso di terapia, a causa di mancata efficacia di quello usato in prima scelta. 

Nei casi lievi va bene l’idrossiclorochina, altrimenti si passa a farmaci di più forte azione immunosoppressiva (methotrexate, leflunomide), mentre il cortisone va riservato ai casi di maggiore intensità e più accentuata alterazione laboratoristica e comunque sempre associato a un farmaco “di fondo”. Meno usati di un tempo, oggi, i sali d’oro. 
 

Cosa fare nei casi più gravi?

Nei casi di non risposta si passa ai cosiddetti farmaci biologici (antiTNF, antilinfociti, antiinterleuchine), che però necessitano di un accurato screening infettivologico e oncologico prima dell’ uso e richiedono comunque prescrizione ospedaliera. Ovviamente, nel decorso, sono possibili modifiche e aggiornamenti della cura, sempre in relazione all’ andamento della sintomatologia. Comunque, nei casi particolarmente dubbi, è sempre preferibile un controllo stretto nel tempo, anche ogni settimana, fino ad arrivare a una diagnosi di certezza, piuttosto che l’inizio di una terapia di fondo per una patologia ancora non accertata correttamente. Al più, in casi del genere, può essere nel frattempo usato un FANS a scopo preminentemente antidolorifico, perché i FANS non modificano in maniera significativa i sintomi, in particolare l’obiettività articolare, mentre è assolutamente sconsigliato il cortisone, che, senza una diagnosi certa, può solo confondere le idee al medico perché “maschera” la sintomatologia e ritarda quindi la diagnosi.

Artrite reumatoide: si guarisce?

Tutti questi rimedi terapeutici hanno sensibilmente modificato, negli ultimi anni, il decorso dell’AR, così che oggi è relativamente raro, per il reumatologo, trovarsi a dover affrontare una malattia in stadio molto avanzato, con deformità e anchilosi (un tempo, viceversa, assai frequenti). Mai sospendere le cure, anche dinanzi a una buona remissione: mai dimenticare che si tratta di malattia cronica, in cui non si può mai parlare di vera guarigione: l’ interruzione della terapia è sempre un salto nel buio e prelude, prima o poi, a una riacutizzazione.

Da sottolineare, piuttosto, la necessità di uno stretto monitoraggio degli eventuali effetti collaterali dei farmaci – anche di questo il paziente va avvisato: controllo di fondo oculare ed emocromo per l’idrossiclorochina, dell’enzimogramma epatico, dell’emocromo e, ogni 2 – 3 anni, di ecografia epatica e rx torace per il methotrexate, periodico (ogni 2 – 3 anni) controllo della mineralometria ossea per prevenire l’ insorgenza di osteoporosi in caso di uso prolungato di cortisone. Va da sé che, in caso di comparsa di effetti indesiderati,  occorrerà modificare la cura in modo adeguato – e questo è compito dello specialista. 

Assolutamente da consigliare e raccomandare le vaccinazioni, soprattutto l'antinfluenzale, l’antipneumococcica e, naturalmente, l’anti Covid: in un organismo immunodepresso, quale quello sottoposto a tali farmaci (eccezion fatta, forse, per alcuni biologici) il rischio di contagio è particolarmente elevato, e un’infezione, oltre a poter scatenare una riacutizzazione della malattia, può avere esiti gravissimi, anche mortali.

C’è da avere paura?

Alla luce di quanto detto, si può concludere che oggi il reumatologo dispone di varie soluzioni: di questo va informato il paziente, che va quindi rassicurato che le cose non sono più come un tempo. Con la sua opportuna collaborazione e necessaria collaborazione si può affermare che oggi l’AR, a differenza di un tempo, non fa più paura.

Bibliografia

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