Cos’è l’ipertensione?

Quando si parla di ipertensione si intende l'ipertensione arteriosa, in quanto esistono varie ipertensioni (polmonare, portale, endocranica, oculare etc.). Per ipertensione arteriosa si intende una pressione sanguigna più alta del normale, che richiede cure mediche. 

Mentre in questi vari tipi è sempre necessario specificare l'organo interessato, per quanto riguarda l'apparato cardiocircolatorio è consuetudine denominarla semplicemente ipertensione.  

Il cuore spinge il sangue all'interno del sistema arterioso durante la fase di contrazione del ventricolo sinistro: questa fase viene denominata sistole. La pressione generata in questo momento, viene pertanto definita pressione arteriosa sistolica. Durante la fase successiva il ventricolo sinistro si rilassa e si riempie di sangue: questa fase è chiamata diastole.

Mancando la spinta del sangue che proviene dal ventricolo sinistro, la pressione arteriosa si riduce: questo valore viene definito pressione arteriosa diastolica

Illustrazione 1 - Cardiologia

Quali sono i rischi dell’ipertensione?

Normalmente, le pulsazioni del cuore generano nel sangue una spinta, o pressione, sufficiente a farlo scorrere in tutta le rete dei vasi sanguigni; nell'ipertensione, invece, tale spinta è superiore alle normali esigenze dell'organismo.
 
L'ipertensione mette sotto sforzo il cuore, che deve faticare di più per spingere il sangue in circolo e, sul lungo termine, danneggia i piccoli vasi sanguigni dei reni e degli occhi. Inoltre, può instaurarsi un circolo vizioso per cui i reni, danneggiati dall'alta pressione, liberano in maggior quantità una sostanza ipertensiva, la renina, che fa alzare ancora di più la pressione. 

Questa è la cosiddetta ipertensione maligna, che necessita di cure urgenti. É ormai scientificamente provato che mantenere bassa la pressione è un fattore indiscutibile di longevità: colpi apoplettici e trombosi delle coronarie, come del resto altre malattie del cuore, sono più frequenti negli individui con pressione alta. 
 
L'ipertensione in sé, tuttavia, non si rivela con alcun sintomo particolarmente grave, se non si arriva all'affanno (dovuto allo sforzo cui è sottoposto il cuore) o a disturbi della vista (dovuti a lesioni della retina, la membrana che tappezza il fondo del bulbo oculare).

Molti pazienti si emozionano, più o meno coscientemente, quando devono farsi misurare la pressione e questo può bastare per farla salire: è necessario quindi misurarla diverse volte per poter fare una diagnosi sicura. A questo si accompagna, da parte del medico, l'esame dei vasi sanguigni dell'occhio e della funzionalità renale e cardiaca. 
 

Ipertensione essenziale e secondaria

Tra i responsabili dell'aumento della pressione arteriosa possono figurare:

  • alcuni disturbi dei reni;
  • arteriosclerosi (indurimento delle arterie) e altre malattie o disfunzioni del sistema circolatorio;
  • tumori delle ghiandole surrenali;
  • malattie cerebrali.
Tuttavia, la causa specifica dell'ipertensione si scopre in un caso su dieci; negli altri casi, si parla di ipertensione essenziale, o primaria, ed è come dire che non se ne possono determinare con esattezza le cause. In diversi casi di ipertensione essenziale, un fattore molto importante è costituito dall'ereditarietà, specie quando entrambi i genitori ne soffrono o ne soffrivano.
 

Come trattare l’ipertensione?

Nei casi in cui si conosce la causa, le cure sono rivolte a eliminarla o ad alleviare le conseguenze. Nell'ipertensione essenziale, un fattore di predisposizione può essere l'eccessivo peso corporeo; talvolta, infatti, è possibile far scendere la pressione facendo perdere al paziente qualche chilo. Non si prescrive quasi più una dieta povera di sale: la terapia consiste soprattutto in farmaci ipotensivi, cioè atti a far scendere la pressione, e sedativi. In qualche caso più grave, è spesso anche necessario che il paziente riposi di più. È sempre indispensabile rinunciare al fumo.

Nell'ambito dell' ipertensione arteriosa dobbiamo innanzitutto distinguere due forme: una primitiva o idiopatica o essenziale, e una secondaria. Quest'ultima, come dice stesso il termine, è secondaria, cioè conseguente a molteplici patologie che possono interessare vari organi; l'essenziale, invece, è cosiddetta in quanto non è riconducibile ad una causa ben precisa.
 

Quali sono le cause?

L'ipertensione può essere considerata come una situazione in cui si crea uno squilibrio tra i vari meccanismi di regolazione. Dall’emodinamica sappiamo che la pressione è il risultato di una forza che agisce su una data superficie; trasponendo tale formula all'apparato circolatorio abbiamo che la pressione di perfusione è uguale al prodotto del flusso ematico, per le resistenze vascolari periferiche.

Ora se per un qualsiasi motivo, le resistenze periferiche aumentano, affinché il rapporto sia costante, anche la pressione deve aumentare, altrimenti si assisterebbe ad una riduzione del flusso ematico.

L'organismo umano reagisce, appunto, in questo modo: il cuore, di fronte ad un graduale aumento delle resistenze periferiche risponde con una maggiore energia di contrazione e col tempo si adatta strutturalmente, mediante ipertrofia, cioè ingrossamento, al maggior lavoro che deve eseguire. 

Da quanto enunciato possiamo senz'altro affermare che il momento fisiopatologico fondamentale è rappresentato dall'aumento delle resistenze vascolari periferiche. Queste resistenze non sono affatto uniformi nei vari distretti del nostro corpo. Esse, per esempio, sono particolarmente elevate nella cute, nel distretto epatosplenico e nel rene, mentre nel cuore e nel cervello l'aumento è proporzionale a quello della pressione sistemica.Tali differenze, senza entrare in dettagli troppo tecnici, sono dovute a diversi meccanismi di regolazione locali, cioè, in ultima analisi, a una diversa sensibilità dei vasi dei singoli organi ai vari fattori di regolazione.

Un'evidente alterazione di tali meccanismi è però presente soltanto in circa il 15% dei casi di ipertensione e appartiene alle forme di ipertensione secondaria. Per quanto riguarda il gruppo, ben più numeroso, dell'ipertensione essenziale esiste, purtroppo, un'ignoranza pressoché assoluta circa i motivi di tale aumento.
 

Quando si parla di ipertensione?

Quando è giustificato parlare di ipertensione? Quando un individuo è iperteso? La risposta ovvia è: quando la pressione è superiore al normale.
 
Senza perderci in disquisizioni filosofiche, diciamo subito che è necessario dal punto di vista pratico, definire un limite tra normale ed elevata, se non altro per decidere quali soggetti sottoporre a terapia. Tale limite non può che essere artificioso, e l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha stabilito di porlo a 160 e/o 95 mmHg, indipendentemente dall'età e dal sesso, se al di sopra dei trent'anni. I due valori riportati si riferiscono alla pressione massima (o sistolica) e alla minima (o diastolica). Col tempo possono manifestarsi:
 
  • fenomeni di scompenso ventricolare sinistro;
  • insufficienza coronarica manifestantesi dall'angina all'infarto; 
  • lesioni della retina particolarmente frequenti che vanno dallo spasmo vascolare alla sclerosi e alle emorragie;
  • dilatazioni dei vasi arteriosi fino alla formazione di aneurismi soprattutto nel tratto addominale.
Dal, pur sintetico, elenco delle alterazioni proprie della malattia ipertensiva, ne appare evidente l'estrema gravità, trattandosi di lesioni che compromettono organi vitali, minacciando seriamente la vita del paziente o perlomeno riducendo seriamente la sua validità. Ecco perché tutti i pazienti ipertesi essenziali vanno trattati farmacologicamente.
 

Come misurare la pressione?

Innanzitutto, il soggetto deve essere rilassato, in posizione comoda. Lo strumento utilizzato si chiama sfigmomanometro: è costituito da un bracciale che viene avvolto attorno al braccio del soggetto e mantenuto all'altezza del cuore. 

La misurazione può essere manuale o automatica. Nel primo caso bisogna utilizzare uno stetoscopio, cioè uno strumento che permette di udire i rumori che vengono generati dal passaggio del sangue nell'arteria del braccio. Lo stetoscopio viene appoggiato a livello dell'arteria brachiale, sopra la piega del gomito. Contemporaneamente si palpa il polso radiale, cioè la pulsazione dell'arteria che passa a livello del polso, dallo stesso lato in cui si trova il pollice. A questo punto, il bracciale viene gonfiato sino alla scomparsa sia dei rumori provenienti dallo stetoscopio che del polso radiale: in questo momento la pressione del bracciale è superiore alla pressione arteriosa. 

Successivamente, si riduce lentamente la pressione del bracciale, facendo uscire l'aria in esso contenuta. Quando la pressione sarà uguale a quella arteriosa, un pò di sangue riuscirà a passare nell'arteria producendo un rumore: il primo rumore udito chiaramente corrisponderà alla pressione sistolica (detta anche massima). Riducendo ulteriormente la pressione i rumori diventeranno inizialmente più intensi, quindi via via più deboli: la completa scomparsa dei rumori corrisponderà alla pressione diastolica (detta anche minima). 

La pressione viene quindi indicata con due valori, ad esempio 130/80: il primo valore è la sistolica, il secondo la diastolica. La pressione arteriosa viene osservata sul manometro, a colonna di mercurio oppure ad aneroide, in quest'ultimo caso deve essere tarato ogni 6 mesi.

 

Quali sono i valori normali di pressione arteriosa?

Prima di rispondere bisogna fare delle premesse:

  • la pressione arteriosa (prevalentemente sistolica) aumenta con l'età, quale conseguenza principalmente della maggiore rigidità dei vasi arteriosi
  • la pressione arteriosa (sia sistolica che diastolica) subisce delle variazioni durante la giornata: è più alta al mattino, appena svegliati, si riduce un po' durante la giornata e tende ad aumentare nuovamente verso sera. Durante il sonno invece, la pressione arteriosa si riduce a valori inferiori rispetto a quelli del giorno.
  • la pressione arteriosa aumenta inoltre durante uno sforzo fisico e come conseguenza di fattori emotivi. Questi ultimi condizionano notevolmente i risultati di una rilevazione: è stato osservato infatti, che la pressione arteriosa misurata dal medico è spesso più alta di quella rilevata da un'infermiera, mentre i valori misurati dal paziente stesso o da un familiare sono in molti casi ancora più bassi.
Per cercare di superare queste difficoltà ed evitare di classificare erroneamente una persona come normotesa od ipertesa bisogna seguire alcune regole:
 
  • I valori normali di pressione arteriosa devono essere inferiori a 140/90 mmHg; 
  • I valori pressori inferiori a 120/80 sono considerati ottimali
  • L’ipertensione arteriosa è stata definita, dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), come la pressione che in più rilevazioni è uguale o superiore al valore di 140 mmHg di sistolica (ipertensione arteriosa sistolica) o 90 mmHg di diastolica (ipertensione arteriosa diastolica).
  • Valori pressori di sistolica compresi tra 140 e 159 mmHg e di diastolica tra 90 e 99 mmHg sono definiti come ipertensione di grado lieve. Valori pressori di 160-179 di sistolica o 100-109 di diastolica rappresentano un'ipertensione di grado moderato. Infine, valori uguali o superiori a 180 e 110 rispettivamente di sistolica e di diastolica costituiscono un'ipertensione di grado severo.
 

Come diagnosticare l’ipertensione?

Nella maggior parte dei casi, al primo contatto con un paziente iperteso sono da risolvere due problemi:
  • definire l'entità del danno provocato dall'elevata pressione a livello dei vari organi;
  • individuare l'eventuale presenza di malattie che hanno causato l'ipertensione, in quanto non possiamo sapere a priori se trattasi di forma primitiva o secondaria.

Per cui occorre predisporre, secondo una certa logica, l'esecuzione di una serie di esami più o meno complessi, estendendo in un secondo tempo le indagini, qualora dai primi accertamenti clinici e di laboratorio emergano sospetti fondati circa la presenza di una qualche malattia responsabile dell'ipertensione.

Tralasciando le indagini atte ad evidenziare forme di ipertensione secondaria, un iter diagnostico completo circa la definizione dell'entità del danno è il seguente:

  • indagini di laboratorio: urine, azotemia, elettroliti, creatinina emocromo;
  • radiografia del torace;
  • elettrocardiogramma;
  • esame del fondo dell'occhio;
  • visita neurologica.
 

Quali sono le terapie per l’ipertensione?

Si è cercato di dimostrare come la terapia farmacologica dell'ipertensione essenziale sia necessaria. Si potrebbero menzionare numerosi studi su come questa è senz'altro utile: vi basti sapere che tali studi dimostrano inequivocabilmente che la correzione dell'ipertensione diminuisce notevolmente la morbilità e la mortalità causate da tale affezione, in maniera tanto più evidente quanto più sono elevati i valori della pressione all'inizio del trattamento. Ciò è vero in modo particolare per le lesioni cerebrovascolari e renali, un pò meno per quanto riguarda le affezioni coronariche.

Una spiegazione plausibile della minore efficacia terapeutica in caso di coronaropatia potrebbe essere che, nella malattia coronarica, l'ipertensione non rappresenta il principale fattore causale, essendo l'aterosclerosi patogeneticamente dominante. In altri distretti, invece, come il cervello e il rene, l'ipertensione come tale ha un ruolo preminente nell'induzione di lesioni vascolari.

Pertanto, indipendentemente dalla disponibilità di numerosi farmaci efficaci, si dovrebbe risolvere prioritariamente il problema di mettere tutti i soggetti ipertesi nella condizione di essere curati adeguatamente.
 

Bibliografia

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