Le neoplasie linfoproliferative aggressive quali il linfoma non-Hodgkin diffuso a grandi cellule B e la leucemia linfoblastica B sono ad oggi guaribili con una prima linea terapeutica in circa il 70% dei casi. Tuttavia per i pazienti che recidivano già dopo la prima linea gli approcci chemio-radioterapici convenzionali, compresa la chemioterapia ad alte dosi con il trapianto di cellule staminali emopoietiche, sono ancora in alcuni casi insufficienti. Per questi pazienti una possibilità di cura è attualmente fornita dalle nuove procedure di immunoterapia. Quest’ultima costituisce oggi il quarto pilastro del trattamento del cancro (con chirurgia, chemioterapia e radioterapia).
L’immunoterapia
Per immunoterapia si intende un approccio di trattamento basato sulla possibilità di orientare la risposta immunitaria del paziente verso antigeni specifici del tumore. Un esempio di immunoterapia già in uso da decenni nella pratica clinica sono gli anticorpi monoclonali, che sono proteine in grado di riconoscere specificamente un antigene del cancro e attivare una risposta immunitaria nel paziente. Oltre che degli anticorpi monoclonali, l’immunoterapia può avvalersi dell’utilizzo di cellule del sistema immunitario come armi di trattamento.
Cos’è il CAR-T e come funziona
L’approccio immunoterapico che negli ultimi anni ha avuto maggior successo clinico è basato sul l’introduzione di un recettore per l’antigene chimerico (CAR) sulla superficie di linfociti T del paziente (cellule CAR-T). Questo recettoire è definito chimerico perché derivato da un frammento esterno di un anticorpo monoclonale che fornisce la specificità per l’antigene (nel caso dei linfomi B aggressivi e delle leucemie linfoblastiche B, l’antigene CD19), al quale si connette un pezzo del recettore dei linfociti T normali, che garantisce la trasmissione del segnale all’interno del linfocita T. L’istruzione genetica per produrre il CAR viene introdotta nei linfociti mediante vettori virali, utilizzando cioè la capacità di alcuni virus di comportarsi come dei veri e propri cavalli di Troia veicolando nelle cellule umane del materiale genetico.
La produzione in laboratorio di linfociti T CD4-positivi (helper) e CD8-positivi (citotossici) parte dalla procedura di aferesi (raccolta) dei linfociti dal paziente. L’intero processo per produrre la sacca infusionale contenente il prodotto cellulare finito richiede 3-4 settimane. I linfociti T autologhi così armati di recettore CAR contro l’antigene CD19 possono essere reinfusi al malato dopo un adeguato regime chemioterapia di preparazione, che prende il nome di linfodeplezione. Una volta in circolo, i linfociti CAR-T sono in grado di riconoscere l’antigene CD19 sul tessuto neoplastico, attivarsi, espandersi, persistere e svolgere la risposta immunitaria specifica contro la neoplasia.
CAR-T oggi in Ematologia
La terapia con cellule CAR-T anti-CD19 è ad oggi approvata dalla European Medicines Agency e dall’Agenzia Italiana del Farmaco per i linfomi non Hodgkin diffusi a grandi cellule B o linfomi primitivi mediastinici a grandi cellule B recidivati o refrattari a due o più linee, e per la leucemia linfoblastica B recidivata o refrattaria del giovane. A brevissimo è attesa la registrazione di un prodotto CAR-T anti-CD19 per il linfoma mantellare e quindi per il linfoma follicolare, per il mieloma multiplo. Numerosi trial clinici sono attivi per altre malattie.
Efficacia
Tutti gli studi pubblicati confermano un’efficacia significativa della terapia con CAR-T in pazienti con linfoma aggressivo recidivato o refrattario dopo più di due linee di terapia. Le risposte complessive alla terapia si attestano tra il 50% all’80% circa, e circa la metà dei pazienti trattati mantiene una remissione a lungo termine. Si tratta – ricordiamo – di pazienti che hanno una probabilità minore del 10% di rguarire se trattati solo con chemio/radioterapia convenzionale.
Effetti collaterali
L’attivazione dei linfociti armati di CAR a seguito del riconoscimento dell’antigene determina un massivo rilascio di fattori infiammatori nel torrente circolatorio; ciò dà luogo alle due principali complicanze a breve termine della terapia CAR-T, ovvero la sindrome da rilascio di citochine (CRS) e la sindrome da neurotossicità connessa a immunoeffettori (ICANS). Tali manifestazioni cliniche possono in rari casi decorrere con andamento tumultuoso nei giorni successivi all’infusione dei CAR-T come sindromi acute da infiammazione sistemica, con febbre, alterazioni della pressione, della respirazione, alterazioni cognitive o crisi epilettiche. In una porzione minoritaria dei pazienti CRS e ICANS possono richiedere una gestione in terapia intensiva. L’utilizzo di un armamentario farmacologico vasto comprendente inibitori delle citochine e l’organizzazione di CAR-T team multidisciplinari rende ad oggi gestibili la maggior parte degli effetti indesiderati.
Conclusioni
La terapia con CAR-T è un approccio efficacie e promettente per i pazienti con tumori ematologici aggressivi refrattari alla chemio/radioterapia convenzionale. Gli effetti collaterali sono gestibili ma richiedono un team esperto e organizzato. La ricerca sta già compiendo e compirà in futuro molti sforzi per aumentare ulteriormente l’efficacia e la sicurezza di questa terapia, e per allargare le indicazioni, così da aumentare il beneficio clinico per i pazienti ematologici e oncologici.