(articolo pubblicato sul n. 10-12 2010 della rivista Cuore e Salute)


Nonostante i ben provati benefici dell’aspirina od acido acetilsalicilico nella prevenzione primaria e secondaria della cardiopatia ischemica nonché nella terapia delle sindromi coronariche acute, alcuni studi hanno fatto sorgere il dubbio che i pazienti già in terapia con l’aspirina possano avere, in caso di occorrenza di una sindrome coronarica acuta, una prognosi peggiore rispetto ai soggetti che non avevano un precedente utilizzo di tale farmaco.

Una verosimile spiegazione di questo apparente paradosso la fornisce il database che raccoglie gli oltre 66.000 pazienti con sindrome coronarica acuta arruolati nei 16 studi clinici targati TIMI. L’analisi di questo impressionante numero di pazienti ha mostrato che i soggetti che erano già in terapia con l’aspirina al momento dell’evento acuto erano in genere più anziani, presentavano più fattori di rischio cardiovascolare ed avevano con maggiore frequenza una storia precedente di cardiopatia ischemica rispetto a coloro che invece non erano già in terapia con l’acido acetilsalicilico. L’analisi, inoltre, non ha evidenziato alcun nesso tra il precedente uso di aspirina e la mortalità ad un mese ed ad un anno dalla sindrome coronarica acuta.

L’aspirina, quindi, non è la causa ma solo la spia di una maggiore gravità. In altre parole, non è tanto l’assunzione dell’aspirina quanto l’avere una sindrome coronarica acuta nonostante l’uso cronico di acido acetilsalicilico a rendere peggiore la prognosi di questi pazienti. (JACC 2010; 56: 1376-1385).

 

Bibliografia

Rich JD, Cannon CP, Murphy SA et al. Prior aspirin use and outcomes in acute coronary syndromes. J Am Coll Cardiol 2010; 56: 1376-1385.