Cos’è il bruxismo?
Il termine bruxismo è un generico indicatore che racchiude almeno due tipi di attività non-funzionali dei muscoli masticatori (serramento e digrignamento), ed ha una complessa relazione con i TMD, oggetto di una recente revisione sistematica della letteratura.
Che differenza c’è tra serramento e digrignamento?
Una distinzione tra le diverse forme di bruxismo è molto difficile a livello clinico, tanto che lo standard di riferimento diagnostico è rappresentato dalla registrazione dell’attività poli-sonnografica (PSG) ed elettromiografica (EMG), le cui possibilità di impiego sono limitate a causa degli elevati costi e dello scarso numero di laboratori adeguatamente equipaggiati.
E’ possibile diagnosticare il bruxismo?
Nonostante i numerosi metodi diagnostici proposti in letteratura, attualmente un approccio alla diagnosi di bruxismo basato su valutazione clinica ed anamnestica, pur essendo incompleto e non consentendo una distinzione tra i diversi tipi di disordine, rimane il più semplice e più diffuso metodo di valutazione e di raccolta dati.
Il questionario anamnestico
I questionari anamnestici, sebbene ne siano state proposte numerose varianti, generalmente non offrono una accuratezza diagnostica sufficiente a consigliarne l’impiego senza un’integrazione obiettiva.
Quali domande fanno sospettare il bruxismo?
Le molteplici varianti di questionario per l’intercettazione di attività di bruxismo si basano su una serie di domande comuni:
- il partner riferisce che lei ha l’abitudine di digrignare rumorosamente i denti durante la notte?
- lei ha una sensazione di dolore e/o indolenzimento dei muscoli masticatori al risveglio?
- le capita di risvegliarsi in piena notte accorgendosi di avere le mascelle serrate?
- ha mai dolore ai denti o alle gengive al momento del risveglio?
- durante il giorno, ha l’abitudine di contrarre i muscoli masticatori serrando i denti?
- durante il giorno, le è mai capitato di digrignare i denti?
Il limite è rappresentato dalla soggettività delle risposte e della conseguente “diagnosi”. Inoltre, i pochi studi che hanno tentato di quantificare la validità diagnostica dell’impiego di questionari per la diagnosi di bruxismo, pur riportando dati nel complesso incoraggianti, sono caratterizzati da un non adeguato livello di rigorosità metodologica, a causa della assenza di una valutazione “controllo” mediante gli standard di riferimento (es: PSG, EMG).
Quali preconcetti ci sono sul bruxismo?
Tali domande, comunemente utilizzate anche in sede di anamnesi clinica, sono basate su alcune idee preconcette che si traducono in fonti di bias sia in ambito clinico che di ricerca. I casi più evidenti sono rappresentati dal fatto che molte delle domande si basano sull’assunto che un’attività di bruxismo debba provocare dolore/indolenzimento muscolare e/o manifestarsi con rumori dovuti al digrignamento dentale.
La letteratura ha dimostrato che entrambe le assunzioni non sono necessariamente vere, e pertanto la formulazione di criteri diagnostici basati su di esse determinerà un basso valore predittivo positivo. Infatti, l’associazione tra bruxismo e dolore a muscoli, denti o gengive è molto più complessa di quanto si ritenesse in passato, in quanto la percentuale di bruxisti che sviluppano dolore è inferiore a quella di coloro che non mostrano sintomi.
Similmente, il numero di soggetti che digrignano così sonoramente i denti durante la notte da interrompere il proprio sonno o quello del/la partner è solamente una minima parte della complessa categoria dei soggetti con “attitudine bruxista”, in quanto almeno l’80% degli episodi di bruxismo avviene in assenza di rumori, manifestandosi quindi nella forma di attività di serramento. Recenti ipotesi suggeriscono che l’adozione di sistemi diagnostici self-report basati sulle predette domande ha portato, ad esempio, a ritenere per anni che il bruxismo fosse associato alla presenza di dolore muscolare.
In realtà, i risultati di molti lavori della letteratura che hanno descritto un alto grado di associazione tra bruxismo e dolore miofasciale erano probabilmente viziati dal fatto che la presenza di dolore muscolare fosse uno dei potenziali criteri diagnostici per il bruxismo. Infatti, i tentativi sperimentali di riprodurre dolore muscolare bruxismo-indotto non hanno confermato l’esistenza di una inequivocabile relazione di causa-effetto tra protratta attività di bruxismo e dolore miofasciale, al punto è ipotizzabile che l’attività muscolare protratta difficilmente può rappresentare una causa di dolore cronico e si rende necessaria un’attenta rivalutazione della letteratura sull’argomento.
Quali altri pregiudizi ci sono sul bruxismo?
Un’altra potenziale fonte di bias in sede di valutazione anamnestico-clinica del bruxismo è rappresentata dai convincimenti del clinico: il fatto che il clinico ritenga che un paziente sia bruxista aumenta le probabilità che lo stesso paziente risponda affermativamente alle domande precedenti, sia poste in forma di questionario self-report che in sede anamnestica. Pertanto, in virtù di tutte le suddette considerazioni, è fondamentale integrare qualunque informazione fornita dal paziente mediante un esame obiettivo che consenta di individuare la presenza di attività di bruxismo.
Quali sono i sintomi del bruxismo?
Classicamente, il segno clinico tipico del bruxismo è considerata l’usura dentale. In realtà, l’usura dentale è dovuta alla combinazione dei fenomeni di abrasione, erosione ed attrito, ed è la risultante di attività funzionali (es: masticazione) e parafunzionali (es: bruxismo, mordicchiamento unghie od oggetti), condizionata dai pattern dei movimenti mandibolari (es: guide in protrusiva e lateralità) e da fattori esterni quali la dieta (es: bevande gassate o acide) o concomitanti patologie (es: reflusso gatsrico, disturbi della condotta alimentare).
Cos’è l’usura dentale?
In letteratura, sono state fornite numerose proposte per la quantificazione e l’oggettivazione dell’usura dentale, nonché schemi di valutazione per intercettare le faccette di usura in relazione ai diversi movimenti mandibolari.
Tra gli schemi classificativi più utilizzati, accanto all’originaria proposta di Murphy, che ha dimostrato di poter reggere il test del tempo grazie alla buona affidabilità dimostrata a posteriori, trovano spazio e diffusione quello proposto da Johansson e colleghi, che in una serie di lavori hanno proposto una gradazione della severità dell’usura diversificandola per le diverse superfici degli elementi anteriori e per la superficie occlusale/incisale, quello di Ekfeldt e collaboratori, i quali hanno tentato di individualizzare l’indice di valutazione di usura dentale rendendolo non influenzabile dal numero di denti mancanti, e quello di Seligman e Pullinger, i quali hanno descritto i diversi pattern di usura dentale durante i vari movimenti mandibolari.
Nonostante esistano quindi criteri di oggettivazione dell’usura dentale, nella pratica clinica quotidiana è molto difficile discriminare tra le diverse possibili cause, e soprattutto la differenziazione tra usura funzionale ed usura parafunzionale risulta assai ardua. Inoltre, un’altra critica che frequentemente viene mossa ai sistemi di valutazione del bruxismo basati sul grado di usura dentale è l’impossibilità di determinare l’attualità del bruxismo stesso, ossia di chiarire se i segni di usura sono dovuti ad attività pregressa o se l’attività parafunzionale è ancora in corso.
Quali altri sintomi possono far sorgere il sospetto di bruxismo?
In alcuni casi, altri segni clinici possono essere suggestivi di attività di bruxismo, primi fra tutti la presenza di segni di scalloping linguale o genieno e di marcata ipertrofia del massetere.
Cosa significa scallopping linguale?
Nel primo caso, la presenza delle classiche indentature sulla lingua o sulla mucosa della guancia, solitamente bilaterali, può anche essere dovuta ad una abitudine parafunzionale “consapevole” da parte del paziente, che talvolta può riferire di avere l’abitudine di mordicchiare la lingua, similmente a quanto accade per oggetti, labbra, unghie. Il segno di scalloping merita comunque di essere segnalato in cartella clinica e la sua eziopatogenesi deve essere approfondita mediante colloquio con il paziente.
Cos’è l’ipertrofia del massetere?
Per quanto riguarda l’ipertrofia del muscolo massetere, in letteratura sono stati descritti interessanti casi nei quali l’aumento di volume muscolare, che talvolta riguarda anche i muscoli temporali, è stato posto in relazione al bruxismo.
Dal punto di vista strettamente patogenetico l’ipertrofia muscolare può essere considerata una conseguenza del serramento statico, caratterizzato da un’attività muscolare isometrica che, se protratta per lunghi periodi di tempo (es: numerose ore al giorno, in alcuni casi anche per periodi di anni), può esercitare un effetto di tipo allenante e quindi provocare aumento di volume muscolare.
E’ bene inoltre sottolineare che il serramento ha potenzialmente effetti differenti in soggetti con differenti morfologie facciali, in quanto i soggetti che normalmente vanno incontro ad ipertrofia hanno prevalentemente una tipologia facciale di tipo brachicefalo.
Quali strumenti sono efficaci per valutare le attività parafunzionali?
Secondo osservazioni cliniche comuni a tutti coloro che hanno esperienza di gestione dei pazienti bruxisti e supportate da una sempre maggiore mole di evidenza scientifica, le placche occlusali rappresentano ad oggi il miglior strumento valutativo in mano ai clinici per diagnosticare la presenza di attività parafunzionali.
Tale valutazione, che in ambiti di ricerca può essere eseguita anche mediante la misurazione dell’intensità e direzione delle forze trasmesse alla placca durante l’attività parafunzionale, consiste nell’osservazione delle faccette di usura che compaiono sulla placca stessa nelle settimane successive alla consegna del manufatto. Nella maggioranza dei casi, quando presente, l’usura della placca è aspecifica e non consente una discriminazione tra attività di serramento e digrignamento, sebbene talvolta il pattern di usura è talmente peculiare da lasciare pochi dubbi sul tipo di movimento mandibolare eseguito dal paziente durante la parafunzione.
Bruxismo: un quadro diagnostico complicato
Nel complesso, la diagnosi di presenza e severità del bruxismo rimane quindi uno dei più complessi dilemmi clinici, ove si consideri che le classificazioni cliniche proposte fino ad oggi risentono inevitabilmente dei limiti di un approccio esclusivamente clinico-anamnestico.
Parallelamente, le informazioni finora raccolte in ambiti di ricerca non sono ancora sufficienti a suggerire che metodiche elettroniche per una misurazione standardizzata del bruxismo saranno disponibili a breve su larga scala.
Quest’ultima considerazione contrasta con la necessità di quantificare l’intensità e la direzione delle attività parafunzionali per scopi pratici in molte specialità odontoiatriche, prima fra tutte l’implantoprotesi. Ciononostante, un’indagine sulla presenza di attività masticatorie non funzionali rimane fondamentale in sede di approccio anamnestico al paziente con TMD, ed il loro controllo rappresenta uno dei capisaldi nella gestione di tali disordini.
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