Cosa sono le malattie infiammatorie intestinali?

Quella che segue non è una trattazione, ancorché sintetica, delle malattie infiammatorie intestinali, bensì un excursus limitato al alcuni punti con due scopi essenziali:

  • sensibilizzare i medici non gastroenterologi rispetto a una patologia non poche volte grave e ormai così diffusa da coinvolgere tutti i colleghi, sia pure con ruoli e responsabilità differenti.
  • fornire alcuni elementi che favoriscano l’approccio ai malati di colite ulcerosa o Malattia di Crohn da parte del medico di medicina generale e dell’internista, facilitando la collaborazione con il gastroenterologo.

Illustrazione 1 - Gastroenterologia
 

Terminologia ed epidemiologia

Innanzi tutto qualche precisazione sui termini e gli acronimi. Parliamo di IBD (inflammatory bowel diseases), in italiano MICI (malattie infiammatorie croniche intestinali). Sono le denominazioni riassuntive che comprendono le due forme principali: 

  • colite ulcerosa (o retto colite ulcerosa, o anche ulcerativa);
  • Malattia di Crohn (che qualcuno chiama anche ileite o enterite segmentaria o anche regionale). L’acronimo inglese si è sempre più affermato, tanto che useremo quello.
Nella colite ulcerosa solo la mucosa è colpita, e solo il colon, in parte del suo decorso o completamente (pancolite). Nella Malattia (o Morbo) di Crohn è, o può, essere colpita tutta la parete del tubo digerente, a tutto spessore, a partire dalla mucosa e in qualsiasi tratto dell’intestino, più spesso il tenue e poi il colon, ma talvolta anche stomaco ed esofago, e perfino il cavo orale, tipicamente in modo discontinuo (cioè saltando da un tratto colpito a un altro, con una parte intermedia rispettata).

Non sono malattie rare: 100.000 pazienti in Italia (60% colite ulcerosa., 40% Morbo di Crohn). Si ha un picco di incidenza tra 15 e 35 anni e un secondo picco, assai minore, tra 60-80 anni.

La mortalità è molto bassa, per la colite ulcerosa sovrapponibile a quella della popolazione di controllo (che non ne soffre), per il Morbo di Crohn è forse lievemente superiore. C’è da dire, però, che nel Morbo di Crohn, che è una malattia mediamente più seria, si usano più spesso farmaci e trattamenti più impegnativi, gravati essi stessi da rischi non indifferenti. Tuttavia, la morbilità, il tasso di ospedalizzazione e i costi sono elevati per tutte le forme di IBD. Sono malattie che determinano sovente una qualità di vita compromessa.
 

Eziologia

La causa delle IBD è sconosciuta (“idiopatiche”). Vari agenti patogeni trasmissibili son stati presi in esame come possibili fattori eziologici ma ad oggi non vi è nulla di conclusivo.

Sono malattie poligeniche, con familiarità, non ereditarietà.

 

Come si sviluppano le IBD?

Normalmente, all’interno del tubo digerente, esiste un equilibrio tra microflora intestinale commensale (microbiota) e sistema immunitario, caratterizzato da due elementi:

  • tolleranza immunitaria nei confronti di tale flora di microorganismi, batteri, virus, miceti.
  • continuo stato di infiammazione fisiologica della mucosa intestinale.
Lo stato di malattia che sta alla base delle IBD si determina quando avviene una rottura dell’equilibrio, per una disregolazione del sistema immunitario.

Non sono malattie autoimmuni, ma piuttosto disimmuni, più precisamente autoinfiammatorie. Dal punto di vista fisiopatologico sono più vicine alla gotta, alle pseudo gotte, alla febbre mediterranea familiare che non all’artrite reumatoide e al lupus eritematoso sistemico.
 

Diagnosi di IBD

Alla prima diagnosi molti pazienti hanno una storia di mesi o anni di disturbi precedenti:

dolori addominali e/o disturbi dell’alvo, perlopiù diarrea. Simili disturbi si presentano però anche nel colon irritabile o in altre condizioni che sono assai più frequenti, meno gravi e richiedono un approccio diverso.

Sintomi o segni di allarme intestinale, cioè quelli che orientano verso una malattia di una certa gravità, e non solo IBD, non presenti nel colon irritabile:

  • sanguinamento rettale;
  • perdita di peso;
  • massa addominale;
  • febbre;
  • sintomi notturni;
  • pallore;
  • tachicardia;
  • aumento di: PCR , neutrofili, VES o piastrine;
  • pus nelle feci (>50 anni ma per il rischio di carcinoma).
L'esame obiettivo è importante e non deve limitarsi all’addome ma deve essere completo, includendo l’esplorazione rettale nonchè l’esame delle articolazioni, della cute, dell’occhio, alla ricerca delle non infrequenti manifestazioni rettali ed extraintestinali delle IBD.
 

Esami da eseguire

Preliminarmente si dovranno eseguire alcuni fondamentali test di laboratorio sul sangue e sulle feci (e urine). Precisamente: emocromo, formula leucocitaria, azotemia, creatinina, aminotransferasi, fosfatasi alcalina e GGT, VES, PCR, sideremia, ferritina, TSH, anti-transglutaminasi, IgA, proteinemia ed elettroforesi, esame delle urine. Sulle feci: esame colturale completo per Salmonella, Shigella, Campylobacter e Yersinia. Esame parassitologico delle feci a fresco, in particolare per amebe e per Giardia Lamblia. Al minimo sospetto, anche la ricerca della tossina del Clostridium Difficilis. Sangue occulto nelle feci su tre campioni.

Endoscopia e istologia

È necessaria per confermare il sospetto diagnostico. Il primo esame endoscopico, nel sospetto di IBD, dovrebbe essere quasi sempre formato da colonscopia completa e ileoscopia retrograda con biopsie multiple.

Successivi esami possono essere parziali (es. anche solo rettoscopia) e nello screening del carcinoma del colon (rischio aumentato nelle IBD): pancolonscopia con biopsie multiple a vari livelli e possibilmente con cromoendoscopia (colorazione vitale della mucosa). È importante eseguire anche un’ecografia dell’addome completo, in particolare per lo studio delle anse intestinali. 

Come non farsi sfuggire un IBD in 7 punti

 Chiedersi sempre: “questo colon irritabile non sarà invece una IBD?”;
  • vigilare se i sintomi di gastroenterite durano troppo o peggiorano (più di 2-3 settimane);
  • pensare a ibd se presenti sintomi addominali più sintomi/segni di infiammazione (febbre, VES, PCR);
  • sintomatologia (dolori addominali e diarrea) notturni che svegliano il paziente;
  • dolori addominali che non si riescono a spiegare;
  • biopsie del colon e ileoscopia retrograda quando si fa una colonscopia;
  • sanguinamento rettale: fare sempre la colonscopia.

Illustrazione 2 - Gastroenterologia
 

Fondamentali del trattamento

L’obiettivo è quello di spegnere l’infiammazione il più e il più presto possibile, al fine di migliorare il benessere e la qualità di vita del paziente, oltre a evitare le conseguenze più gravi (chirurgia, ecc.). Nelle fasi acute è sempre bene trattare in modo energico e tempestivo. Dopo la fase acuta è vinta una battaglia, la guerra dura tutta la vita, pertanto è bene fare controlli clinici anche in benessere e non interrompere la terapia senza il parere del medico. È infatti necessario stabilire sempre:

  • distribuzione della malattia (parte del colon o ileo nel Morbo di Crohn);
  • gravità;
  • complicazioni;
  • distinguere colite ulcerosa da Morbo di Crohn, se possibile (la terapia non è la stessa anche se molti farmaci di riferimento sono in comune).

Come trattare la colite ulcerosa?

La remissione si ottiene nell’80% dei casi ambulatorialmente. In caso di mancata remissione o di un paziente grave, diventa necessaria l’ospedalizzazione per poter praticare terapia a base di steroidi endovena (metilprednisolone), e attuare il monitoraggio stretto; inoltre in certi casi si dovranno impiegare altri farmaci di uso ospedaliero, e, in extrema ratio, la colectomía completa. Tra i trattamenti di elezione della colite ulcerosa rientra la mesalazina, un antinfiammatorio non steroideo “molto particolare” per i suoi effetti benefici sulla colite ulcerosa e sulla Morbo di Crohn ed è di prima scelta; è anche efficace nella fase acuta, specie in molti casi lievi/moderati, nonché la terapia di riferimento per il mantenimento.

Per periodi limitati si arriva a 4 g/die, fino a 4.5, in forma orale o topica per clismi o supposte o combinata orale+topica, a seconda di localizzazione, estensione, tollerabilità e compliance.

La stessa mesalazina è il farmaco basilare nel mantenimento, a dosi di 1.5 g/die in media: previene le recidive di 2/3, previene il carcinoma del colon, è di solito ben tollerata, anche dopo molti anni, ha pochi effetti collaterali. Soprattutto nei pazienti anziani, è però utile controllare ogni 4-6 mesi la creatinina mediante un esame delle urine. La nefrotossicità (nefropatia interstiziale) della mesalazina è rara, e se diagnosticata per tempo è reversibile. Ci sono vari stratagemmi farmacologici escogitati per rendere la mesalazina orale gastroresistente, in modo che si sciolga nell’ileo terminale o nel colon. 

Per esempio, la sulfasalazina consiste in mesalazina associata nella stessa molecola a sulfapiridina (sulfamidico), che ha molti più effetti collaterali e tossicità, pur essendo leggermente più efficace nell'induzione della remissione nel Morbo di Crohn, unica indicazione sicura rimasta: artrite associata alle IBD.

Nei trattamenti delle fase acute, la terapia di riferimento prevede ancora l’uso di corticosteroidi, come metilprednisolone endovenoso e prednisone per via orale. Una volta in remissione, il dosaggio viene progressivamente ridotto fino a una totale sospensione al fine di evitare una dipendenza. Hanno molti effetti collaterali, che sono accettabili solo se i periodi sono limitati. Metilprednisolone o betametasone si possono usare nei clismi medicati, da soli o associati a mesalazina.

Per ovviare agli inconvenienti dei cortisonici tradizionali è stata creata una nuova classe di farmaci corticosteroidei con minori effetti collaterali in quanto meno assorbiti e con effetti sistemici meno marcati:

  • beclometasone, per via orale o topico per clismi per la colite ulcerosa;
  • budesonide per via orale per il Morbo di Crohn.
 

Come si cura il Morbo di Crohn? 

Il Morbo di Crohn è una malattia molto più complessa, in quanto è più sistemica (più spesso comporta sintomi come febbre, astenia, malassorbimento) e dà luogo a frequenti stenosi, fistole o ascessi.

Nella terapia di riferimento, il morbo di Crohn e la colite ulcerosa sono simili, ma l’uso di mesalazina come terapia di mantenimento è meno evidente; più spesso che nella colite ulcerosa, inoltre, è necessario l’impiego di immunosoppressori.

Il ricorso alla chirurgia è più frequente e totalmente diverso dalla colite ulcerosa. In genere si interviene chirurgicamente in caso di ascessi (molto comuni), fistole (piuttosto spesso) e stenosi. La chirurgia in questo caso deve tendere ad essere molto conservativa, in quanto il pericolo potrebbe essere la sindrome dell'intestino corto, che può portare a grave malassorbimento, malnutrizione e addirittura morte. Questo segna una forte differenza con la colite ulcerosa, in cui la chirurgia è demolitiva (es. per la colectomia completa). 

In caso di rigetto dei trattamenti di prima scelta, sia nella colite ulcerosa che nel Morbo di Crohn si utilizzano:

  • immunosoppressori (azatioprina orale, metotrexato);
  • anti-TNFα, endovenoso o sottocutaneo;
  • ciclosporina: solo nella colite ulcerosa;
  • nutrizione parenterale o enterale.

Trattamenti complementari

  • antibiotici: metronidazolo, ciprofloxacina possono essere utili;
  • probiotici, prebiotici, simbiotici: utili nel mantenimento della remissione. Malgrado i risultati della maggior parte degli studi controllati fino ad ora noti, sono positivi per il loro impiego solo in alcune condizioni particolari, sono prodotti praticamente privi di effetti indesiderati e di tossicità e nella nostra esperienza ottengono buoni risultati (non da soli ma in associazione con le terapie sopra esposte); inoltre, il loro utilizzo si basa su un robusto razionale fisiopatologico (ossia la possibilità di modificare e  condizionare favorevolmente il microbiota intestinale, modulando la risposta immunitaria);
  • omega-3 gastroprotetti: utili nel mantenimento della remissione.
 

Fattori precipitanti delle IBD

Sono malattie organiche, non funzionali, e nemmeno propriamente psicosomatiche; pertanto, presentano alcuni eventi precipitanti ma non veramente causali, come:

  • fattori psichici, non sempre evidenti (psicoterapia di supporto: può giovare),
  • stress fisico (l’attività fisica è consigliata ma, a nostro avviso, è da evitare lo sport estremo),
  • infezioni intestinali,
  • antibiotici prescritti per altre patologie,
  • FANS, dosi elevate, lunghi periodi.
 

Conclusioni

È necessario instaurare una collaborazione tra il medico di medicina generale, il gastroenterologo, (e il chirurgo, in alcuni casi), chiarendo il ruolo di ciascuno. È importante valutare il livello di consapevolezza che il malato ha della sua malattia. È utile indirizzarlo all’associazione dei malati di IBD. Bisogna aiutare il paziente ad accettare la malattia e a farvi fronte in modo maturo. È doveroso informarlo bene sui farmaci e sui loro effetti collaterali. Infine, bisogna fornire ai pazienti adeguato regolare follow up e seguirli dal punto di vista nutrizionale.
 

Bibliografia

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