Cos’è il carcinoma alla mammella?

Il carcinoma della mammella è una neoplasia assai diffusa, rappresenta la principale causa di morte per le donne, ed è il tumore più frequente nella popolazione femminile.  Solo in quei paesi in cui, anche fra le donne, vi è stata una forte diffusione del tabagismo (un tempo prerogativa tutta maschile), l'incidenza del carcinoma del polmone ha superato quello del carcinoma della mammella.

Negli ultimi 30 anni si è assistito ad un incremento impressionante del tasso di incidenza, soprattutto nei paesi dove un tempo questo era molto basso. L'aumento in percentuale varia da un minimo del 38% degli Stati Uniti, ad un massimo del 164% del Giappone.
In Italia si contano circa 35.000 nuovi casi di carcinoma della mammella all'anno, e circa 11.000 decessi all'anno.

 Illustrazione 1 - Senologia


Quali sono i fattori di rischio? 

Alla luce di questi dati assai preoccupanti, appare necessario conoscere quali siano i fattori di rischio e quali i comportamenti e le consuetudini da modificare.

Esiste un gruppo di fattori di rischio detti consolidati, perché riconosciuti come tali, in modo unanime, da tutta la comunità scientifica e sono i seguenti:

  • ereditarietà autosomica dominante;
  • familiarità;
  • una precedente lesione neoplastica a carico della mammella controlaterale;
  • lesioni benigne atipiche;
  • l’età;
  • la terapia ormonale sostitutiva;
  • le radiazioni;
  • il menarca precoce;
  • la menopausa tardiva;
  • la nulliparità.

Cos’è l’ereditarietà autosomica dominante?

Nell'affrontare un argomento così importante e complesso, è bene chiarire alcuni punti fondamentali:

  • qualsiasi tumore vede il suo "primum movens" in una alterazione del DNA cellulare, dovuta a cause ambientali, virali o ereditarie;
  • i termini “ereditarietà” e “familiarità” non sono sinonimi, al contrario sono due fattori di rischio distinti tra loro. A conferma di quanto sopra, si sappia che l'ereditarietà (a differenza della familiarità) è un'evenienza assai rara ed interessa una piccola percentuale dei tumori della mammella (tra il 5 ed il 10%).
  • non si eredita il tumore bensì la predisposizione a svilupparlo. 

Circa 14 anni fa sono state identificate due mutazioni (cioè due piccole alterazioni della struttura del DNA) a carico di due geni denominati BRCA1 e BRCA2 (l'acronimo BRCA deriva da breast cancer). I due geni colpiti da mutazione si trovano, rispettivamente, su due cromosomi (autosomi) differenti: il cromosoma 17 ed il cromosoma 13 (due numeri questi carichi di significato solo per coloro che, ahimè, sono vittime della superstizione!).

Negli anni successivi, le alterazioni scoperte a carico di questi due geni sono passate da due a circa duemila.

Orbene le alterazioni a carico di questi geni sono trasmissibili mediante il meccanismo della ereditarietà  "autosomica dominante" a "penetranza incompleta".

Per poter spiegare il significato di questi termini devo, mio malgrado, scendere in alcuni dettagli tecnici e rendere quindi la trattazione un po’ più arida e noiosa.

Come avvengono le mutazioni

Ogni individuo normale dispone di 46 cromosomi, per la precisione 22 coppie di autosomi e due cromosomi sessuali (XX per le donne ed XY per gli uomini). Di questi cromosomi 23 derivano dal padre e 23 dalla madre. Ognuno dei 23 cromosomi trova, poi, un suo omologo tra i 23 provenienti dall'altro genitore e si dispongono quindi a coppie.

Le mutazioni non sono altro che delle alterazioni a carico della struttura del DNA, ed interessano normalmente un gene di un cromosoma.

L'ereditarietà autosomica

Quando si parla di ereditarietà autosomica, intendiamo che la mutazione è avvenuta a carico di un gene presente su uno solo dei 22 autosomi, con dominante che la mutazione genetica si manifesta clinicamente sempre, anche quando l'individuo è portatore di un solo gene alterato (o di origine materna o di origine paterna). Al contrario, si dirà recessiva quando, affinché la mutazione si manifesti, è necessario che il soggetto abbia ereditato la mutazione da entrambi i genitori.

Una ereditarietà autosomica dominante prevede, quindi, che il soggetto colpito da mutazione manifesti sempre la patologia correlata alla mutazione

La penetranza incompleta

Nel caso del carcinoma della mammella, a mitigare la "dominanza" del gene c'è la cosiddetta "penetranza incompleta". Con tale termine intendiamo la percentuale di individui che, nel corso delle generazioni successive, sono portatori del gene mutato. Incompleta, invece, significa che non tutti i portatori svilupperanno il tumore, in quanto (come ho già avuto modo di ricordare) in questo caso non si eredita la patologia bensì la predisposizione a svilupparla.
Non me ne vogliano i colleghi ed i genetisti se ho cercato di ridurre in poche righe, importanti nozioni di genetica che normalmente prevedono, per una corretta trattazione, libri interi.

 

Si possono prevenire questo tipo di tumori?

I tumori della mammella di tipo "ereditario" si sviluppano ad una età inferiore, rispetto ai "comuni tumori mammari", di circa 5-15 anni, sono più frequentemente bilaterali ed associati a tumore dell'ovaio.

I maschi portatori di queste mutazioni, sembrano avere un rischio leggermente aumentato di sviluppare tumore della mammella e, forse, anche della prostata e del pancreas.

Attualmente si stima che circa lo 0,1%/0.05% della popolazione sia portatore di una mutazione a carico di questi due geni. Questa stima sale a circa il 2% nella popolazione degli ebrei Ashkenaziti discendenti da gruppi originari dell'Europa Centro Orientale.

Le donne portatrici di una mutazione genetica di questo tipo hanno un rischio di sviluppare, nel corso della loro vita, un tumore della mammella pari al 50-85% (secondo le stime). Il rischio sembrerebbe essere maggiore per le portatrici di una mutazione a carico del gene BRCA1 rispetto al BRCA2.

A questo punto è scontato chiedersi se esista la possibilità di effettuare test genetici che consentano di individuare tali mutazioni. La risposta è sì. Tuttavia, dato il costo e l'impegno per poterlo eseguire, viene riservato a quelle donne che abbiano una anamnesi familiare altamente suggestiva. È, quindi, necessario eseguire una consulenza genetica da parte di un genetista che si occupi di questa patologia. Sarà quest'ultimo a stabilire la necessità o meno di eseguire il test, mentre sarà premura del senologo di fiducia avviare a detta consulenza le pazienti a rischio.
 

Illustrazione 2 - Senologia 

Che ruolo ha la familiarità?

Quando si parla di familiarità si intende, in buona sostanza, che le donne con parenti di primo grado affette da tumore della mammella hanno un rischio aumentato di sviluppare anch'esse un tumore al seno.

Tuttavia, gli stessi studi scientifici che hanno portato a questa conclusione, asseriscono anche che:

  • la maggior parte di queste donne, con parenti di primo grado affette da tumore, non svilupperà mai il tumore al seno;
  • la maggior parte delle donne affette da tumore al seno non ha parenti di primo grado affette dalla stessa malattia.

Tali asserzioni sembrano contraddirsi l'una con l'altra, in realtà non è così (ad esempio, si è visto che oltre il 90% dei pazienti con tumore al polmone fuma o ha fumato, ma questo non significa che tutti i fumatori sviluppino il tumore del polmone).

Senza, però, entrare nel merito della questione, a noi basti sapere che la familiarità ci consente di individuare soggetti con rischio moderatamente aumentato e di avviarli preventivamente ai dovuti controlli di "screening".

Una donna che abbia già sviluppato un tumore del seno, ha un rischio aumentato di sviluppare una seconda lesione a carico della stessa mammella o di quella controlaterale. Sono dette queste seconde neoplasie "metacrone", e sono oggetto di studio in quanto più frequenti di quello che si pensi.

Una recente revisione della letteratura, ha stabilito che, circa il 10% delle pazienti affette da un primo tumore, sviluppa un secondo tumore della mammella nel corso della vita, e circa il 50% a carico della mammella controlaterale.

È stato stimato che il rischio di un secondo tumore controlaterale varia da due a cinque volte  rispetto al primitivo, e rimane tale per circa 30 anni dalla prima diagnosi.

La maggior parte degli studi ha, infine, riscontrato che il fattore prognostico più importante è l'età di insorgenza del primo tumore. Se, quindi,la prima lesione è insorta prima dei 40 anni, il rischio relativo di contrarre una seconda neoplasia è superiore a 5. Se, invece, l'età di insorgenza della prima lesione è superiore a 50 anni, il rischio relativo di contrarre una seconda neoplasia scende a 3.

Che rischio comportano le lesioni benigne atipiche?

Esistono alcune patologie mammarie, assai diffuse ed  assolutamente benigne, che tuttavia rappresentano dei fattori di rischio per il tumore della mammella.

Prima fra questa è la malattia fibrocistica che presenta un rischio 2-3 volte maggiore, rispetto alla popolazione normale, di carcinoma della mammella.

La seconda in ordine di frequenza è il fibroadenoma, tipico dell'età giovanile, presenta circa un rischio relativo di 2.

Appartengono a questa categoria patologie mammarie più rare, ma potenzialmente più pericolose e sono l'iperplasia atipica (rischio relativo di 4,4) ed il carcinoma lobulare in situ (rischio relativo da 6,9 a 12).

 

Quale età è più predisposta al tumore al seno?

In tutte le zone, sia in quelle ad alta, che media e bassa incidenza, si nota come all'età della menopausa si riscontri un calo netto dell'incidenza del tumore della mammella. In particolare, nelle zone ad alta incidenza vi è un incremento elevato di quest'ultima fino a circa 45-50 anni, seguito da modesti incrementi successivi. Nelle zone ad incidenza intermedia, dopo l'età della menopausa, si assiste ad una stabilizzazione, e nelle zone a bassa incidenza si assiste addirittura ad una diminuzione dell'incidenza.

Questo comportamento sarebbe da ricondurre al fatto che in menopausa vi è una minore esposizione della ghiandola mammaria agli stimoli ormonali che normalmente si producono nel corso dell'età fertile.

 

Perché la terapia ormonale sostitutiva può essere pericolosa?

Sono stati recentemente pubblicati due studi molto importanti (il Women's Health Initiative ed il Milion Women Study) che hanno rilevato un'associazione della terapia ormonale sostitutiva con il rischio di sviluppare il tumore della mammella. Il rischio sarebbe positivamente correlato sia con la durata del trattamento che con la qualità del trattamento (cioè maggiore per la terapia con estro-progestinico o combinata). Alla luce di questi dati sono state riviste le indicazioni per questo tipo di trattamento che viene quindi riservato per brevi periodi a casi selezionati. 

Come agiscono le radiazioni?

Le radiazioni ionizzanti aumentano il rischio di tumore al seno a tutte le età, ma soprattutto in età giovanile ed alla pubertà.

Come abbiamo già avuto modo di vedere, l'esposizione prolungata del tessuto mammario all'azione degli estrogeni, aumenta il rischio di tumore al seno. A questo, si aggiunga che le donne con menarca precoce e che acquisiscono subito cicli ovulatori regolari, hanno normalmente livelli ematici di estrogeni leggermente aumentati.

Analogamente, le donne che vanno incontro tardivamente alla menopausa, aumentano il tempo di esposizione e quindi il rischio di tumore.  Si stima un rischio doppio per le donne con menopausa a 55 anni, rispetto a quelle con menopausa a 45 anni.

La gravidanza (soprattutto se in giovane età), apre delle "finestre ormonali" tali per cui si riduce il rischio di tumore. Per contro, le donne nullipare (che non hanno avuto figli) non interrompono mai, durante tutta la loro vita fertile, l'azione estrogenica di cui abbiamo parlato prima, e pertanto hanno un rischio più elevato. Tuttavia, con buona pace delle nullipare, si sappia che l'azione protettiva della gravidanza  si esplica soltanto prima dei 30 anni.

 

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