Quando staccarsi dalla famiglia?

L’arco di età che va dall’adolescenza ai trent’anni può essere considerata come l’età in cui ci si distacca dalla famiglia. Questo processo viene detto “svincolo” o “separazione” e si conclude con l’allontanamento fisico e/o emotivo del giovane dalla famiglia ed è siglato da rituali - più o meno - formalizzati (es. matrimonio, trasferimento…).

Questo movimento non riguarda solamente il singolo, bensì è un vero e proprio affare di famiglia che costringe tutti i membri a riorganizzarsi in maniera più o meno funzionale in base alla maturità dei singoli e dell’intero sistema. Questo processo è di particolare importanza nel ciclo vitale della famiglia e richiede notevoli sforzi ed aggiustamenti: proprio per questo è uno dei periodi in cui vi è maggiore incidenza di disturbi psicopatologici, in particolare esordi psicotici.

Illustrazione 1 - Psicologia

 

Una breve rassegna teorica

Nel suo libro “Il distacco dalla famiglia” (1983), Haley vede nel distacco del giovane dalla famiglia un delicato momento per tutti i membri, nel quale possono presentarsi diversi problemi. Questi, se gravi, possono ostacolare il passaggio al successivo stadio della vita, ossia l’allontanamento del figlio dal nucleo familiare e la riorganizzazione conseguente da parte dei genitori.

Haley individua nella società un gruppo di giovani che hanno comportamenti non comuni, combinano guai o sono apatici e senza risorse, i cosiddetti falliti di professione nella vita. Gli stessi costringono la famiglia a rimanere coinvolta, anche se nel ruolo di respingerli di continuo.

Questi giovani dai comportamenti difficili e dai sintomi importanti stanno, in realtà, rispondendo in maniera adattiva ad una situazione sociale “pazza”. Prima di arrivare a questa concezione sistemica della psicopatologia, il giovane “pazzo” è stato inquadrato in diverse maniere dai terapeuti nel corso del tempo.

Nel diciannovesimo secolo la psichiatria europea ha diffuso l’idea che nei giovani difficili vi fosse un qualche tipo di disturbo organico o genetico il che ha portato a conseguenze significative: questi giovani sono stati individuati come “malati”, istituzionalizzati e rinchiusi in ospedali nei quali venivano somministrati importanti dosi di medicinali, causando effetti collaterali a livello neurologico spesso irreversibili. A livello terapeutico il terapeuta presuppone di essere in relazione con una persona “difettata”, con capacità limitate: in questo senso Haley sostiene che è “come partecipare a un torneo di scacchi con l’idea che i vostri avversari siano ritardati”. Con tali premesse il trattamento terapeutico non portava a nessuna speranza di remissione nella famiglia.

L’approccio psicodinamico

Con l’avvento della teoria psicodinamica si inizia a pensare che, similmente alla teoria organica, l’individuo avesse in sé un qualche disturbo indipendente dalla situazione sociale. So pone, quindi, l'accento sul singolo, non sulla diade o sulla triade. I comportamenti devianti sarebbero la manifestazione di idee ed esperienze passate rimosse ed escluse dalla coscienza. In questa concezione i sintomi non venivano interpretati come conseguenza di una particolare situazione sociale, ma come comportamenti irrazionali e derivati dal passato. In questo senso, il focus è sul lato negativo delle persone ed implicitamente vengono accusati i genitori del problema presente. La terapia si limita così al pensiero e alla riflessione.

La teoria dei sistemi

In seguito, sulla scia della teoria cibernetica, si diffonde la teoria dei sistemi. Per la prima volta gli esseri umani vengono concepiti come gruppi, che reagivano tra di loro in maniera omeostatica. In questo senso le cause del comportamento sono attuali ed alcuni avvenimenti possono essere considerati prevedibili. Tuttavia, la teoria dei sistemi ha rischiato di diventare più una teoria su come una famiglia rimane la stessa, piuttosto che puntare sul cambiamento dell’organizzazione.

 

In che cosa consiste il doppio legame?

Infine con la teoria del doppio legame è stato possibile descrivere la comunicazione in termini di livelli, i quali potevano essere conflittuali e generare paradossi, nei quali non vi è nessuna risposta accettabile. Tramite questa teoria, si è cercato di spiegare le situazioni di apprendimento degli schizofrenici. Haley sostiene che tali approcci sono risultati insoddisfacenti nel corso degli anni e che, nel suo pensiero, si è rafforzata l’idea che tutti gli animali superiori hanno una tendenza inevitabile ad organizzarsi ed a farlo secondo gerarchia. In questo senso, una cattiva organizzazione della famiglia genera un altrettanto tipo di comunicazione che porta a processi di pensiero disadattivi nel giovane.

La psicopatologia è quindi risultato di un cattivo funzionamento dell’organizzazione ed è importante che il terapeuta abbia in mente che ciò che le persone fanno non è guidato da aggressività o ostilità, ma, per quanto apparentemente distruttivo possa sembrare il comportamento, è fondamentalmente protettivo. La domanda che dovrebbe porsi il terapeuta è “cosa accadrebbe alla sua famiglia se lui non si comportasse così?”. I giovani “pazzi” si sacrificano per stabilizzare le proprie famiglie, ossia il sistema.

 

Come fare se c’è difficoltà ad allontanarsi dalla propria famiglia?

Già in passato era evidente che esiste uno stadio in cui il giovane se ne va di casa o, comunque, inizia il proprio distacco emotivo, tuttavia questo non è mai stato connesso al funzionamento della persona. Haley sostiene che è evidente che il periodo di maggiori cambiamenti vi è quando qualcuno entra nell’organizzazione o la lascia.

Nell’andamento “normale” del ciclo di vita della famiglia, i giovani terminano gli studi e cominciano a lavorare e, quando sono sufficientemente autonomi, si spostano da casa e formano un nucleo familiare autonomo. La famiglia cambia, così, organizzazione e, mentre in alcune famiglie questo è solo un piccolo turbamento, in cui i genitori sentono quasi un sollievo nell’avere di nuovo una vita di coppia senza il figlio, in altre l’allontanamento del giovane presenta dei problemi e delle difficoltà nella riorganizzazione

La difficoltà assumerà forme diverse in base al tipo di organizzazione precedente:  ci si potrebbe trovare di fronte ad una famiglia con un solo genitore, in cui spesso la madre vive con la propria madre e la riorganizzazione riguarda questa diade. In altri casi, invece, il nucleo familiare è composto unicamente da madre e figlio e, in questo caso, la riorganizzazione potrebbe essere maggiormente problematica.

Nel caso in cui sono presenti entrambi i genitori, questi si troveranno, dopo tanto tempo, nuovamente soli e, nel caso in cui non avessero affrontato dei problemi per la presenza del figlio,li dovranno ora prendere necessariamente in considerazione. Haley sostiene che quando una famiglia è in grosse difficoltà perché un figlio se ne sta andando di casa, vi è un modo in cui il problema può essere risolto e la famiglia può stabilizzarsi: il figlio può restare a casa”. 

Come può stabilizzarsi la famiglia se non c’è distacco?

Il giovane può sviluppare un qualche problema che faccia di lui un fallito, in modo tale che continui ad avere bisogno dei genitori e che l’organizzazione resti la stessa. Nel momento in cui il giovane adotta questa soluzione, vi sono due modi in cui la famiglia può stabilizzarsi secondo Haley: la prima modalità è collocare il giovane in un istituto e fargli assumere medicinali, collocandolo così nella posizione di “malato” e reprimendolo. In un altro caso, il figlio potrebbe condurre un’esigenza fallimentare e fungere da stabilizzatore in quanto i genitori continuano ad avere l’attenzione sul figlio che, regolarmente, fallisce.

In ogni caso, i genitori non modificano la loro reciproca relazione, ma restano bloccati e le loro difficoltà non si risolvono in quanto ogni volta che c’è un problema si introduce il figlio, “proprio come se fosse nella stanza”. 

 

Quando avvengono le crisi famigliari?

Queste crisi familiari avvengono per lo più, come detto in precedenza, nel periodo tra la tarda adolescenza ed i trent’anni, ma potrebbero accadere anche più tardi, ad esempio talvolta un figlio che se ne è andato di casa potrebbe ritornare quando il fratello minore se ne va. In questa fase della vita i giovani tendono, normalmente, a stringere relazioni all’esterno della famiglia, avviandosi verso relazioni più importanti, fino alla creazione di una propria famiglia.

In realtà, nelle famiglie in cui vi sono problemi di svincolo, è necessario che il giovane rimanga coinvolto a casa e vengono attuati comportamenti che impediscono lo stabilirsi di relazioni intime al di fuori della famiglia. I confini intorno alla famiglia sono così rigidi ed impermeabili, in modo tale che l’unico coinvolgimento sia con la famiglia stessa. Il giovane sarà, quindi, timido e le uniche amicizie possibili saranno brevi e con coetanei instabili e “falliti”.

Come detto in precedenza, Haley identifica questi giovani come “falliti di professione”, infatti ogni volta che si avvicinano al successo, fanno qualcosa per sabotarsi. L’area del successo può variare di famiglia in famiglia, in alcuni casi può riguardare l’ambito della scuola, in altri quello del lavoro. Nel primo caso spesso il giovane abbandona gli studi oppure lascia l’università prima della laurea, mentre per quanto riguarda il lavoro il giovane potrebbe non trovare lavoro, oppure sabotarsi nel momento in cui lo trova.

 

Come interviene il terapeuta?

 Il comportamento disturbato del giovane è il prodotto di uno stadio della vita familiare in cui sta avvenendo una riorganizzazione ed il suo agire è adeguato al contesto sociale. Quindi, soltanto cambiando il contesto sociale, il comportamento “normale” potrà divenire più adeguato.

Quando la richiesta di aiuto riguarda la fase dello svincolo è di fondamentale importanza coinvolgere l’intero sistema familiare, focalizzando la propria attenzione sulle difficoltà del sistema famiglia. Tuttavia, è altrettanto importante che il terapeuta non faccia esitare la propria competenza e professionalità in diagnosi psichiatriche. Dare un’etichetta e rivestire il giovane del ruolo di “malato” (ancora una volta!) rinforza l’omeostasi familiare e l’idea che l’origine del problema sia di tipo organico/medico.

Per quanto riguarda la convocazione in seduta ci si trova in una situazione diversa quando la richiesta di aiuto proviene da individui che hanno superato la fase dello svincolo in termini di età e si sono organizzati al di fuori della famiglia di origine. In questi casi si può pensare ad un lavoro individuale o eventualmente di coppia, evitando così il “ritorno” nella famiglia di origine. 

Illustrazione 2 - Psicologia

 

Su quali fattori deve concentrarsi la terapia?

Lavorare con pazienti con problematiche relative allo svincolo è molto difficile e bisogna tenere a mente che i pazienti vanno aiutati nella risoluzione quotidiana delle problematiche attuali tramite la “guida” e la “protezione” del terapeuta.

La terapia deve essere volta ad aumentare il potere e l’autorità dei genitori rispetto al giovane difficile. Questo non significa che, nelle famiglie “normali”, i genitori debbano essere autoritari e autorevoli nell’educazione dei figli. L’intervento aiuta genitori e figlio a separarsi così che la famiglia non ha più bisogno del figlio come tramite per la comunicazione ed il giovane possa costruire una vita propria.

Haley sostiene che “Questo non è il momento di riunirsi, ma è un momento di separazione. L’arte della terapia consiste nel ricondurre il giovane alla famiglia affinché possa poi distaccarsi per una vita più indipendente”.

 

Bibliografia

  • Berrini, Roberto, and Gianni Cambiaso. Figli per sempre. Capire e affrontare il distacco genitori-figli. FrancoAngeli, 1995.
  • ​​Boccara, Paolo. "Il distacco." INTERAZIONI 2013/2 (2014).
  • ​​Giuffredi, Luca Stanchieri Giovanna. Adolescenti. Istruzioni per l'uso. De Agostini, 2010.
  • Stramaglia, Massimiliano. "Il ‘distacco’dalla famiglia d’origine. Concepire la rinascita in età adulta." STUDIES ON ADULT LEARNING AND EDUCATION (2023): 211-221.