Il paziente presenta sintomi innanzitutto a carico delle prime vie digerenti:
In un secondo tempo, la malattia coinvolge le vie respiratorie, che possono entrare in contatto col cibo rigurgitato, con conseguente tosse tipicamente notturna, fino alla più pericolosa polmonite ab ingestis. In ultima analisi, l’acalasia finisce per interessare l’organismo globalmente con il deperimento organico anche importante del paziente e l’incapacità di seguire una normale alimentazione orale.
Chiunque abbia una storia di disfagia deve rivolgersi al chirurgo e il chirurgo deve considerare l’acalasia esofagea tra le possibili diagnosi.
Il primo esame da eseguire è l’Rx prime vie digerenti, che in caso di acalasia evidenzia un esofago prossimale dilatato e un esofago terminale di calibro tipicamente ridotto, “a coda di topo”, con scarsa peristalsi. Documentato il fenomeno, è necessario comprenderne la causa: l’esofago-gastroscopia con biopsia è l’unico esame che può escludere, con ragionevole certezza, che il quadro visto all’rx prime vie digerenti sia dovuto ad una neoplasia. A questo punto, la diagnosi di acalasia è ormai fatta; tuttavia l’esecuzione della manometria esofagea è utile per documentare le alterazioni della pressione all’interno dell’esofago e, in particolare, a livello dello sfintere esofageo inferiore.
La terapia medica si base sull’impiego di nitrati e calcio antagonisti, farmaci di impiego cardiologico, che tornano teoricamente utili per l’acalasia, in quanto facilitano il rilasciamento delle cellule della muscolatura esofagea e quindi il passaggio del bolo alimentare nello stomaco. Tuttavia i risultati sono limitati e spesso si accompagnano agli effetti collaterali tipici di questi farmaci, la cefalea e l’abbassamento eccessivo dei valori pressori; alcuni pazienti assumono tali farmaci senza alcun beneficio, altri vanno incontro ai soli effetti collaterali. La terapia endoscopica, effettuata durante esofago-gastroscopia operativa, si avvale della dilatazione pneumatica del tratto di esofago acalasico e dell’iniezione di tossina botulinica, con risultati migliori rispetto alla terapia medica, ma non sempre duraturi (recidive descritte dopo sei mesi) e spesso segnati dall’insorgenza di reflusso gastroesofageo.
La terapia chirurgica è videolaparoscopica: attraverso 4/5 minincisioni sull’ addome, di 0.5 – 1 cm, si esegue l’intervento di “cardiomiotomia extramucosa secondo Heller”, che consiste nella sezione degli strati muscolari dell’esofago terminale e del cardias (al confine tra esofago e stomaco) per una lunghezza di circa 9 cm. Per impedire l’insorgenza di una malattia da reflusso post-chirurgica, possibile anche dopo i trattamenti endoscopici, si associa alla miotomia un intervento di plastica antireflusso (fundoplicatio sec. Dor). Contrariamente agli altri trattamenti, la chirurgia è risolutiva definitivamente nel 70 - 90% dei pazienti, con elevate percentuali di buona qualità di vita (assenza di disfagia), a distanza di 10-20 anni dall’intervento.