Che cos'è il distacco in psicologia?

La parola distacco permette di intendere sia l’evento della morte, che altri tipi di separazione aventi le stesse conseguenze emotive per la persona. Esso può avere a che fare con

  • un’assenza, intesa come mancata esperienza di una relazione, quando ad esempio non si è mai conosciuto un genitore;
  • una mancanza, quando l’esperienza relazionale viene persa, come ad esempio nel caso di una persona cara deceduta o di abbandono da parte di questa.

Dopo un distacco, inteso come perdita, si innesca un processo di reazioni psicologiche che la persona che subisce questa perdita si trova a vivere: il cordoglio (cor-dolium, cuore che duole), che coinvolge sia la sfera emotiva, che quella cognitiva e comportamentale. Il lutto, invece, fa riferimento sia al cordoglio interiore che all’insieme di riti e pratiche, esterni alla persona, di natura culturale, sociale e religiosa, che accompagnano la morte, come il funerale.

Illustrazione 1 - Psicologia

 

Cosa si intende per elaborazione del lutto?

L’elaborazione del lutto è un processo intrapsichico di elaborazione del dolore necessario per il benessere della persona e dovrebbe concludersi con la capacità di:

  • ripianificare la propria esistenza, 
  • passare - magari - un dato ruolo ad altri
  • adeguare il proprio stile di vita a questa assenza. 

Questo processo di elaborazione necessita di un tempo congruo ed una tempistica di 12-18 mesi sembra consentire adeguatamente l’attraversamento completo delle diverse fasi, anche se influiscono numerosi fattori per cui predeterminare una durata fissa oltre la quale “diagnosticare” un lutto problematico non è possibile. Si può parlare di lutto patologico se i tempi della sofferenza, dello struggimento o della rabbia provocati dalla perdita dovessero prolungarsi molto, generando malfunzionamento nella persona e/o nel sistema familiare.
 

Un po’ di teoria 

Il lutto secondo Sigmund Freud

Nel 1917 S.F. pubblica “Lutto e Melanconia” nel quale spiega che il lutto e i processi ad esso annessi possono essere a loro volta spiegati attraverso il paragone con la melanconia: il lutto è la reazione alla perdita di una persona amata (o di un’astrazione che ne ha preso il posto) e verrà superato dopo un certo periodo di tempo, la melanconia è uno stato psichico caratterizzato da profondo e doloroso scoramento, da un venir meno dell’interesse verso il mondo esterno, dalla perdita della capacità di amare, dall’inibizione di fronte a qualsiasi attività e da un avvilimento che culmina con l’attesa di una punizione.

Quindi, se nel lutto il mondo è impoverito e vuoto per la perdita della persona cara, nella melanconia è l’Io stesso ad essersi svuotato. Il lutto viene superato, la melanconia no. Il melanconico tenta di trattenere a sé l’oggetto d’amore fino a identificarsi in lui, sembra quindi essere un lutto senza fine, senza possibilità di essere elaborato perché la perdita non è soggetta alle evidenze dell’esame di realtà.

Il lutto secondo Melanie Klein

M.K. è stata una psicoanalista famosa per i contributi allo sviluppo della “Teoria delle relazioni oggettuali” e per i suoi lavori pionieristici relativi alla psicoanalisi infantile insieme ad Anna Freud. Secondo M.K., il bambino sviluppa competenze emozionali e relazionali nel rapporto con la madre: la relazione tra il neonato e la madre attraversa due posizioni, l’una propedeutica all’altra. La prima è quella chiamata schizo-paranoide, la seconda è quella depressiva.

Nella prima il neonato si relaziona con oggetti parziali e scissi: il seno materno buono, che è fonte di gratificazione e benessere in quanto presente e disponibile, ed il seno materno cattivo, quello che nella fase dello svezzamento è assente e provoca malessere e frustrazione.

Questa scissione si manifesterà anche nel bambino stesso: da un lato un Io buono cercherà di difendersi dall’angoscia provocata dal seno cattivo, dall’altro un Io cattivo che cercherà di scaricare la pulsione aggressiva sul seno buono. Il passaggio dalla prima posizione alla seconda, quella depressiva, avverrà (dopo il 6° mese di vita) quando il bambino riuscirà a cogliere l’unità delle due parti (del seno buono e del seno cattivo) ed a riconoscere che la madre è altro da sé.

Contestualmente anche amore e odio provati vengono riconosciuti come parti di sé, e da questa consapevolezza nasce una nuova angoscia. Egli stesso, il bambino, con la propria aggressività e il proprio odio, può essere causa di distruzione. Il bambino è quindi assalito dall’esperienza della perdita e della colpa per aver distrutto la madre con i propri impulsi.

L’impulso distruttivo ha, così, distrutto l’oggetto d’amore, ma l’amore può anche ricostruirlo e tale processo è detto di riparazione, agevolato dalla madre che sarà capace di contenere le pulsioni aggressive del figlio. Rimanendo, non sparendo, eviterà così con la propria inadempienza di accrescere la distruttività del bambino. Il livello di frustrazione sperimentato e tollerato all’interno del rapporto con la madre, getterà le basi per la capacità di effettuare il lutto sano.

Quando la posizione depressiva non ha esito normale, si determina invece il lutto patologico: il bambino non raggiunge la sicurezza della propria bontà e i processi riparativi non hanno quindi un buon esito, ne consegue che l’odio prevale sull’amore e vengono fatte fantasie distruttive degli oggetti buoni. L’assenza della madre è vissuta come una sparizione e l’oggetto continua a essere vissuto come tutto buono o come tutto cattivo. Il bambino non potrà sperimentare sentimenti di ambivalenza e sarà per lui impossibile sopportare il lutto.

Secondo M.K. la depressione mostrata dal paziente è esito di un’impossibilità a portare ad elaborazione la posizione depressiva della prima infanzia.

Le teorizzazioni della Klein sono state fondamentali nella comprensione di alcune dinamiche intrapsichiche del bambino, tuttavia sono deboli in tre aspetti:

  • nel riferimento assoluto alla relazione del bambino con l’oggetto parziale, il seno materno, e non alla relazione complessa e reciproca con la madre;
  • nel considerare rilevanti solo gli avvenimenti dei primi mesi di vita (primi 12) non riconoscendo come altrettanto importanti i fatti relativi a tutta l’infanzia e all’adolescenza;
  • nell’attenzione esclusiva al mondo interno del bambino non considerando le persone e le vicende del suo mondo reale.

Il lutto secondo John Bowlby

Il cambio di direzione ci fu con Donald Winnicott, il quale disse che “non c’è una madre senza un bambino” e viceversa. Una madre sufficientemente buona è capace di offrire contenimento al figlio senza sostituirsi a lui nell’interazione con l’ambiente e allo stesso tempo di proteggerlo.

In linea con le teorie di Winncott, John Bowlby, che abbandonò il concetto di pulsione, sottolinea come i bambini si comportano sì, in maniera speciale verso le loro mamme, ma anche le mamme verso i loro figli. Per B. fin dalla nascita siamo in relazione con altre persone e la madre, svolgendo la sua funzione di base sicura, permetterà al suo bambino di esperire il piacere della curiosità. Quando lui supererà il raggio della presenza materna e sentirà il bisogno di tornare dalla sua mamma, fonte di sicurezza, per non sentir crescere dentro di sé l’angoscia dell’abbandono, lei lo accoglierà.

Nel 1960 B. segnalò come le reazioni dei bambini alla perdita/allontanamento della propria madre fossero molto simili alle reazioni degli adulti di fronte a un lutto. Evidenziò nei bambini tre fasi: protesta, disperazione e distacco. Nel 1983 descrisse le quattro fasi di elaborazione del lutto del soggetto adulto:

  • stordimento → è la prima fase, immediatamente successiva alla perdita, che può durare alcune ore dopo la morte/abbandono fino anche a una settimana. È la fase dello shock, dell’incredulità, c’è torpore e ottundimento, interrotti da scoppi d’ira o di dolore. Le persone sono inebetite, non riescono ad accettare la notizia, a volte hanno attacchi di panico; il meccanismo di difesa prevalente è la negazione;
  • struggimento → è la seconda fase, quella della ricerca della figura persa. Piano piano la persona inizia a rendersi conto della perdita e a ricercare quella persona, struggendosi. C’è disorientamento, dolori fisici, insonnia, singhiozzi, si rimugina e si va da momenti in cui sembra si stia accettando la perdita a momenti in cui non ci si può credere, c’è rabbia impotente (a volte anche verso chi se n’è andato). Si rincorre il ricordo della persona (conservando abiti, guardando foto…) e si presentano in questa fase tre fenomeni: frequenti e improvvise crisi di pianto, esplosioni di rabbia e illusioni sensoriali (sentire l’odore della persona, vederla tra folla…).
  • disperazione e disorganizzazione → è la terza fase, quella del tormento emotivo, che solo se verrà tollerato, se si darà voce al dolore, poco a poco sarà possibile elaborare il lutto;
  • riorganizzazione → è l’ultima fase. L’accettazione graduale della perdita permette di arrivare a ridefinire sé stessi e la situazione. E’una fase che può durare diverso tempo. Col tempo si lascia alle spalle l’angoscia e si riprende a progettare, la persona scomparsa prende posto nel cuore, nel mondo interno di chi è rimasto. Il ricordo e la nostalgia si stabilizzano e prendono il posto della disperazione e del pianto. Si crea un’immagine interna della persona cara per mantenerne vivo il ricordo che rappresenta quello al quale B. diede il nome di “un rifugio di serena nostalgia.

Bowlby e Malanie Klein hanno in comune che entrambi sostenevano che i processi di lutto che si verificano nella prima infanzia tendono maggiormente ad avere un’evoluzione patologica e in questo modo la persona sarà maggiormente predisposta, rispetto agli altri, a reagire allo stesso modo di fronte ad altri lutti.

Illustrazione 2 - Psicologia

Il lutto secondo Elisabeth Kubler-Ross

É considerata la fondatrice della psicotanatologia ed uno dei maggiori esponenti dei Death Studies. Ha lavorato con i malati terminali e dall’esperienza con essi ha scritto un libro On Death and Dying” nel 1969. Chiave del suo lavoro è la ricerca del modo corretto di affrontare la sofferenza psichica, oltre che quella fisica, collegate alla morte e ha individuato 5 fasi successive al distacco, o relative alla previsione di morte prossima. Per ciascuna fase inoltre, ha indicato due elementi: uno strutturale (sentimenti e comportamenti della persona che sta elaborando il lutto) e uno di intervento operativo (di cosa necessita la persona in ciascuna fase e quale sia l’intervento più corretto).

  • La prima fase è quella della negazione: la persona rifiuta la situazione che sente intollerabile e si difende da essa, negandola. L’elemento strutturale consiste nella paura della solitudine e nella ricerca della comprensione e del supporto da parte degli altri. Sul piano dell’intervento operativo, invece, la persona necessita di un sostegno rispettoso e di un ascolto non invadente che non intacchi la sua barriera protettiva.
  • La seconda fase è quella della rabbia: la persona prova sentimenti di frustrazione, paura, insicurezza, bisogno o desiderio di aiuto. Ha bisogno di sentire accolta la propria collera e che questa venga riconosciuta come legittima. Sul piano dell’intervento sarà, dunque, necessario far sentire alla persona che la sua collera è assolutamente legittima.
  • La terza è quella del patteggiamento: nel caso in cui la morte sia già avvenuta, questa fase corrisponde ad una graduale presa di coscienza della perdita, in caso di morte prossima la persona progetta cose che puntino ad evitarne il sopraggiungere. Sul piano dell’intervento è necessario accompagnare la persona in questa presa di coscienza accogliendo sentimenti di perdita e dolore, consentendo l’affacciarsi di pensieri sul futuro.
  • La quarta è quella della depressione: la rabbia delle fasi precedenti si trasforma e si manifesta in sentimenti depressivi e si ha così un periodo di chiusura. Tuttavia, la depressione come risposta temporanea può favorire un’evoluzione e un miglioramento. Sono necessari ascolto, comprensione e riconoscimento del diritto alla sofferenza e alla rabbia.
  • La quinta è quella dell’accettazione: aggiunge nel momento in cui la persona si è completamente adattata alla perdita. Dal punto di vista operativo sarà opportuno far sentire che si è autorizzati a procedere con la progettualità della propria vita, mantenendo vivo il ricordo di chi non c’è più.

Il lutto secondo Johan Cullberg

J.C., psichiatra e psicanalista di successo, ha elencato anche lui delle fasi successive al distacco:
  • la prima è la fase di shock, immediatamente successiva alla morte. La persona è sotto shock, ha paura e nega la perdita. I meccanismi di difesa messi in atto sono la negazione, come anche la proiezione o la scissione, allo scopo di ritardare il confronto diretto con la cruda realtà;
  • la seconda è la fase della reazione in cui la realtà si impone. Questa realtà suscita angoscia, rabbia, disperazione e amarezza. Anche in questo momento possono essere messi in atto meccanismi di difesa che consentono una maggiore gestione della realtà e di non essere sopraffatti dalle emozioni. Le emozioni prevalenti possono trasformarsi in una regressione a comportamenti anche infantili, in cui la persona non è autonoma perché completamente schiacciata dal dolore. All’opposto, si può verificare una razionalizzazione con la quale si prendono completamente le distanze dall’evento doloroso;
  • la terza è la fase dell’elaborazione in cui la persona vive una depressione reattiva, che è il prodotto della presa di consapevolezza dell’avvenuto distacco; questa consapevolezza porta a voler dare un senso alla perdita, a spiegarla.
  • l’ultima è la fase del riorientamento, che permette alla persona di ripensare a quello che ha vissuto e a rielaborarlo, completando il processo di elaborazione del lutto tramite la rinarrazione utilizzando le immagini che ha lasciato la persona che non c’è più.
 Illustrazione 3 - Psicologia

Quali sono i fattori che influiscono sulle fasi dell’elaborazione del lutto?

Le fasi di elaborazione del lutto presentate dai vari autori differiscono di poco e la loro durata e intensità risente di alcuni fattori, i più significativi sono:

  • fattori personali: le persone introverse o inibite, ad esempio, tendono ad avere maggiori difficoltà nell’elaborazione del lutto in quanto hanno difficoltà ad esprimere le loro emozioni ed a vivere i propri sentimenti in maniera ampia. Anche eventuali difficoltà nella relazione con la figura scomparsa possono complicare l’elaborazione, in quanto facilmente si presenteranno sentimenti di colpa e la percezione di una relazione rimasta come in sospeso;
  • fattori familiari: la complessità, intesa in senso di difficoltà della storia familiare ha un peso significativo sulla possibilità o meno di elaborare il lutto;
  • fattori correlati alla natura della morte della persona cara: gli esiti dell’elaborazione del lutto sono solitamente meno favorevoli nei casi di morte improvvisa, prematura o violenta. La normatività o paranormatività della scomparsa, cioè quanto la morte potesse essere un evento prevedibile, come nel caso di una persona anziana, o meno, ha influenza sull’elaborazione. I lutti particolarmente complessi sono quelli avvenuti per trauma (incidenti, morti di bambini, morti fetali o neonatali, il suicidio). Anche situazioni come ad esempio la perdita di un genitore con cui il figlio adolescente era in conflitto sono solitamente difficili da affrontare;
  • fattori socio-culturali: gli amici e la rete sociale e di supporto possono sostenere grandemente una persona e la sua famiglia in lutto, hanno incidenza sulle modalità e sui processi di elaborazione.


 

Bibliografia 

  • Ambrosiano, Laura. Nello spazio del lutto: melanconia, violenza, tenerezza. Mimesis, 2022.
  • Bowlby, John. "Processes of mourning." The International journal of psycho-analysis 42 (1961): 317.
  • Freud, Sigmund. L'elaborazione del lutto. Bur, 2013.
  • ​​Freud, Sigmund. "Lutto e malinconia." Rivista di Psicoanalisi 1.3 (1955): 3-15.
  • Kübler-Ross, Elisabeth. "Attitudes toward death and dying." Disaster Prevention. Routledge, 2015. 63-79.
  • Pesci, Simone. "Il lutto e la sua elaborazione." Nuovi orizzonti 13 (2015): 13-20.