Le fiabe e il mondo reale
“C’era una volta…” così iniziano tutte. Storie che nascono, storie che finiscono, che si trasformano nel loro procedere. Sogni, desideri, fantasie che si realizzano, svaniscono o diventano incubi. Come in una fiaba, ciascuno di noi vive la propria vita e le proprie relazioni condizionato da un magico mondo interiore dove realtà e fantasia si fondono, condizionando scelte ed emozioni di quel “protagonista” che ci sentiamo di essere, con l’unico scopo di aiutarlo a raggiungere, nelle quotidiane avventure, il tanto desiderato lieto fine.Le paure che ci portiamo dentro possono trasformare il mondo esterno in un ambiente ostile e persecutorio, come se fosse popolato da draghi o mostri invincibili contro i quali non possiamo che attivare tutte le nostre difese, isolandoci o scappando. Per passione, la mia attenzione è attratta da questo modo di comunicare per metafore o con immagini che il paziente stesso spesso spontaneamente utilizza, soprattutto quando desidera trasformare in parola, in suono, un suo sentire, un’emozione o una percezione.
Come i sogni e le immagini, le fiabe arricchiscono la relazione terapeutica di contenuti simbolici e transferasi, di significati inconsci relativi alla relazione del paziente con sé stesso. Il mondo emotivo prende “corpo” attraverso immagini e sogni, raggiunge la coscienza del paziente e prende voce attraverso l’interpretazione terapeutica. “Sentire” non basta, “sapere” neppure, tra queste due parti a unirle c’è il mondo dell’immaginario che si fa parola attraverso sogni, metafore e fiabe divenendo così uno spazio privilegiato di comunicazione con l’inconscio.
Quali sono origini e storia delle fiabe?
La fiaba rientra nel genere letterario del racconto popolare. Per racconto popolare si intende un racconto che circola nella tradizione orale, sebbene in molti casi possa avere una parte anche la tradizione scritta. Infatti, la fiaba è frutto di lunghe elaborazioni strutturatesi, nel corso dei secoli, attraverso la trasmissione orale, fino a giungere alle versioni registratesi nelle diverse raccolte, specie nel XIX Secolo. Sebbene, comunque, siano state trascritte, le componenti stilistiche della fiaba testimoniano il legame con la tradizione orale. Questa sua trasmissione orale le consentiva una maggiore duttilità, una maggiore ambiguità, come la definirebbe, ma in senso positivo, Umberto Eco, favorendo così l’adattarsi della morale e della tematica della fiaba stessa alle condizioni di vita in mutamento di ciascun popolo. Quindi la fiaba si è diffusa nel tempo, portando con sé elementi storici, geografici, sociologici, antropologici e psicologici.La fiaba è solitamente definita come un racconto di media lunghezza; essa ha origine popolare, come già detto, in quanto narrano e descrivono la vita della povera gente, le sue credenze, le sue paure, il suo modo di immaginare i re e i potenti e venivano raccolte da contadini, pescatori pastori e montanari attorno al focolare, nelle aie o nelle stalle. Non erano considerate, come ora, solamente racconti per bambini, ma rappresentavano un divertimento anche per gli adulti ed avevano grande importanza per la vita di comunità. È narrata in forma anonima, cioè non si conosce il primo narratore (l’autore), ma solamente l’ultimo e forse la sua fonte. Si svolge in un’epoca solitamente indefinita (c’era una volta), in uno spazio non definito esattamente, in un mondo preindustriale, feudale, popolato da re, principi e principesse. La storia ha inizio generalmente con un problema, una situazione di pericolo che bisogna affrontare, un’impresa da dover compiere, o comunque una situazione di disagio per la quale trovare una soluzione. Essa infatti, alla fine, è il resoconto a lieto fine di un viaggio o di un’avventura, una storia d’amore contrastata che si conclude solitamente con un matrimonio (“e vissero sempre felici e contenti”).
Le caratteristiche delle fiabe
La fiaba è un racconto di meraviglie; con ciò si intende che l’elemento fantastico e soprannaturale vi ha una parte importante; pur non essendo vissuto come straordinario, quest’ultimo è un elemento essenziale del genere. Al contrario, il meraviglioso è presentato come qualcosa di normale e di scontato: nella fiaba le due dimensioni, il naturale terreno e il soprannaturale magico-mitico si intersecano e si intrecciano senza difficoltà. Uomini, animali, creature fantastiche, l’incanto e l’incantatore, nella fiaba tutti condividono lo stesso mondo. Un’altra caratteristica della fiaba è che lo svolgimento della vicenda conduce a risultati che contrastano con la realtà quotidiana del narratore.Essa mette il mondo a testa in giù, ed è inguaribilmente ottimista: il più giovane, il più sciocco, il più debole vincono sempre; il pastorello sposa la principessa, l’orfanella incontra il suo principe, il re malvagio e la regina cattiva non sfuggono alla giusta punizione. Stefano Calabrese sostiene che la fiaba è “una narrazione breve in prosa di origine popolare o letteraria; rappresentano la mutabilità della percezione dell’irreale: quando le fiabe si sono originate, infatti, gli uomini credevano nell’esistenza dei personaggi fantastici che le popolano e nel potere magico di parole ed oggetti.
Per tutte le ragioni che abbiano visto, perché entrano in gioco molteplici elementi, non si può dare una definizione univoca alla fiaba; sicuramente la fiaba può essere considerata un mezzo per poter attraversare mondi fantastici ed irreali e grazie al quale si può accedere all’area delle emozioni e della fantasia. La difficoltà di stabilire i caratteri di questo genere letterario trova spiegazione nella sua origine di oralità: benché fabule fiabesche siano presenti in antichissime opere.
Quando nasce la fiaba?
La fiaba come genere letterario autonomo nacque solo alla fine del 1600; in Oriente ebbe uno sviluppo grandioso mentre non fu presente presso i Greci e i Romani. In Occidente continuò a vivere per tradizione orale e popolare e spesso fu pretesto per composizioni artistiche raffinate. Le fiabe vennero raccolte dalla viva voce dei narratori popolari e trascritte a partire dal Seicento. Il primo nel 1634, fu Giambattista Basile che scrisse “Lo cunto dei cunti” o “Pentemerone”, una raccolta di cinquanta fiabe in dialetto napoletano. Il Basile era un letterato di corte e concepì l’opera per intrattenere i cortigiani tramite una lingua e una moralità immediate. La struttura narrativa è simile a quella del “Decameron” di Boccaccio: le quarantanove novelle che costituiscono l’opera sono raccontate da dieci vecchi deformi durante cinque giornate, l’ultima novella fa da cornice. Le trame vennero raccolte sia dalla tradizione orale sia dall’opera “Le piacevoli notti” dell’autore Gianni Francesco Straparola.In Francia, alla corte di Re Sole, divennero intrattenimento per l’aristocrazia; questo genere leggero e piacevole acquista un ruolo importantissimo nella letteratura di Versailles. Tra il 1785 e il 1789 furono pubblicati parecchi volumi di fiabe francesi. Molto importanti furono nel Settecento la traduzione e la diffusione in Europa de “Le mille e una notte”, una raccolta anonima di novelle arabe, su un antico sfondo indo-persiano, di cui fa parte la storia cornice, alla quale si sono aggiunte man mano altre storie, di fantasia o a sfondo storico, relativa a Baghdad e all’Egitto, con elementi giudaici, bizantini, mesopotamici ecc.
Fu soprattutto nell’Ottocento che in vari paesi europei furono scritte le antiche fiabe della tradizione; per trovare una trascrizione veramente fedele al linguaggio e alla tradizione popolare, bisogna aspettare “le fiabe del focolare”. Le fonti della loro più celebre raccolta “Fiabe per bambini e famiglie” furono amici e conoscenti e soprattutto una vecchia signora, povera ed analfabeta, Dorothea Viehmann. Essi erano convinti che, attraverso le fiabe, avrebbero fatto conoscere ed amare la cultura e le tradizioni del loro paese a tutti, non solo ai bambini. Inoltre, partono dall’idea che ogni popolo ha una sua anima che si esprime con la massima purezza nella lingua e nella poesia, nelle canzoni e nei racconti. Essi sostengono anche che, con il trascorrere del tempo, i popoli hanno perduto in parte la propria lingua e la propria poesia, soprattutto nei ceti più alti e può, quindi, essere ritrovata solamente negli stati sociali inferiori. Sotto questo punto di vista, le fiabe costituiscono una fonte preziosa per la ricostruzione di quella cultura più antica, oltre a rappresentare i resti dell’antica cultura unitaria del popolo.
Solo durante il Romanticismo le fiabe vennero valorizzate come espressione di poesia ingenua e se ne comincia la raccolta sistematica. L’esempio dei Grimm fu seguito in Russia da Aleksandr Afanasiev; fin da ragazzo comincia a riscrivere le fiabe e le leggende che i contadini raccontavano di sera attorno al fuoco durante i lunghi e freddi inverni. Il suo primo volume di fiabe venne pubblicato nel 1855, a cui ne fece seguire altri sette. Nessun popolo al mondo predispone di un patrimonio fiabesco quanto gli irlandesi; le fiabe irlandesi sono pervase da folletti, gnomi, sirene e fate provenienti dalla cultura celtica. Questi esseri soprannaturali costituiscono “il piccolo popolo” che intreccia rapporti con l’umanità. Nel 1814 la Norvegia ottenne l’indipendenza dalla Danimarca ed essendo desiderosa di avere una cultura propria, commissionò la raccolta e la scrittura delle fiabe popolari. Nel 1875 il giornalista Carlo Lorenzini, futuro padre di Pinocchio, tradusse dal francese le fiabe di Perrault. Nell’Italia post-risorgimentale venne attribuita alla fiaba una funzione principalmente educativa.
Queste fiabe, oltre all’impianto tradizionale, presentavano per un forte gusto per la crudeltà: il Cappuccetto Rosso di Perrault muore mangiato dal lupo e non viene salvato dal cacciatore come quello dei fratelli Grimm. Nel 1956 Italo Calvino, uno dei più famosi scrittori italiani del Novecento, pubblicò in Italia la più ricca raccolta di Fiabe italiane, tratte dal patrimonio di favolistica di tutte le regioni. Egli non scrisse storie narrate a voce, ma trascrisse in lingua italiana i racconti in dialetto tratti dai libri di varie regioni d’Italia, in modo che potessero essere compresi da tutti.
Un autore contemporaneo, grande conoscitore dei meccanismi fiabeschi fu Gianni Rodari. Egli era un convinto assertore della forza dell’immaginazione e della portata rivoluzionaria della parola trasformata in fiaba. La fiaba, la novella, il racconto, la favola, le filastrocche sono tutte forme contemplate dall’autore per parlare della società di oggi: le parole, il buono e il cattivo, il tempo, il linguaggio, la storia e l’evoluzione. Gianni Rodari voleva cambiare il mondo usando strumenti a sua disposizione: la fantasia e le parole. Ancora oggi, nelle opere degli scrittori moderni, possiamo riconoscere l’eredità della fiaba. Nei racconti fantastici, nelle strie di fantascienza, fantasy e horror e in altri generi di narrativa dove si incontrano esseri incredibili e accadono fatti straordinari come nelle fiabe, ma è soprattutto nella narrativa per ragazzi ad essere evidente l’eredità della fiaba.
La fiaba secondo l’interpretazione psicoanalitica
L’interpretazione delle fiabe, in quanto frutto della fantasia, va considerata alla stregua di un sogno. La fiaba si differenzia dal sogno per le elaborazioni e le strutturazioni consapevoli, ma allo stesso tempo è una fantasia emersa spontaneamente dall’inconscio, il cui sfondo reale, seppur esistente, è tanto esiguo da risultare praticamente irrilevante. Per l’interpretazione di una fiaba, von Franz la divide, come un sogno, nei vari aspetti iniziando con l’introduzione e cioè il tempo e il luogo. Nelle fiabe questi sono sempre evidenti, e la classica frase iniziale “C’era una volta” indica che esse si collocano fuori dal tempo e dallo spazio. In seguito, si analizzano i personaggi, poi c’è l’esposizione o inizio del problema del problema; infatti, all’inizio della storia vi sono sempre delle difficoltà, altrimenti non esisterebbe la storia stessa. Segue poi la peripezia, che può essere breve o lunga ed è rappresentata da alti e bassi della storia.Infine, si arriva al punto culminante nel quale l’intera vicenda si sviluppa in tragedia o si risolve felicemente. Le formule conclusive delle fiabe sono una sorta di rito: una fiaba conduce nel lontano mondo onirico infantile dell’inconscio collettivo, dove non è possibile rimanere ma è necessario uscire. Se si considerano i contenuti della fiaba a livello del soggetto, i personaggi e i simboli racchiusi in essi sono visti come aspetti parziali della psiche di un individuo.
Determinati desideri, aspirazioni, bisogni istintivi e aspetti parziali dell’anima, che nel soggetto sono in conflitto tra loro, sono espressi in senso figurato nei personaggi della fiaba, e sono talvolta in rapporto armonioso e talvolta in conflitto con la funzione cosciente dell’Io. La possibilità di comprendere i personaggi della fiaba o del sogno è basata sulla capacità della psiche umana di operare proiezioni. Mentre di solito le persone consapevoli sanno distinguere nettamente fra soggetto e oggetto, per l’individuo inconsapevole i confini tra l’Io e mondo esterno scompaiono proprio a causa delle proiezioni. Stati d’animo, esperienze, desideri, speranze, timori sono visti in un mondo esteriore magico, popolato da dèi, demoni, animali parlanti e maghi. Così i moti dell’animo, le aspirazioni e i mutamenti formatisi nel mondo interiore possono essere portati all’esterno ed eventualmente elaborati tramite la proiezione.
Le fiabe, in quanto prodotti fantastici dell’inconscio collettivo vengono considerate come sogni, costituiscono per così dire un dramma interiore che si svolge all’interno del soggetto. Rispetto alle fiabe ci sono tre correnti di pensiero: da un lato c’è un netto rifiuto di carattere affettivo, motivato dal fatto che le fiabe sarebbero troppo crudeli e arcaiche e che il loro pregio artistico sarebbe alquanto dubbio.
Dall’altro c’è chi ama queste fiabe, le apprezza e le ricorda come preziose tradizioni. Tra questi due estremi ci sono le persone comuni, che collocano la fiaba nell’infanzia e al massimo la ricordano ogni tanto come qualcosa che è soltanto una fiaba e non ha più niente a che vedere con la dura realtà della vita. In tutti questi casi c’è sempre una componente affettiva che fa sempre riferimento a precise circostanze psicologiche. Molti adulti ricordano la fiaba preferita durante l’infanzia, da cui sono rimasti particolarmente impressionati. Spesso se la sono fatta raccontare o l’hanno riletta moltissime volte, e alcuni la conservano nella memoria come ricordi rari.
Queste fiabe spesso affiorano spontaneamente nel corso di lunghe analisi e se studiate con attenzione, spesso vengono fuori analogie con la problematica che sta dietro alla nevrosi della persona. Le fiabe sono l’espressone più pura e più semplice dei processi psichici dell’inconscio collettivo. Pertanto, per l’indagine dell’inconscio queste vengono considerate più utile di ogni altro materiale. Infatti, le fiabe rappresentano gli archetipi nella forma più semplice e più conscia, così in questa forma così pura le immagini archetipiche ci offrono migliori indizi per comprendere processi che si svolgono nella psiche collettiva. Mentre nei miti e nelle leggende i modelli fondamentali della psiche sono rivestiti di elementi culturali, nelle fiabe questo accade in misura minore, pertanto, riflettono più chiaramente i modelli fondamentali della psiche.
In generale quasi tutte le fiabe hanno lo scopo di descrivere un unico evento psichico, sempre identico ma a tal punto complesso che c’è bisogno di centinaia di fiabe perché l’evento sconosciuto penetri nella coscienza, e questo fattore sconosciuto è il Sé.
Nelle loro varietà le fiabe affrontano le diverse fasi dell’esperienze che ogni uomo vive nel processo di individuazione, essa simboleggia l’altro lato dell’uomo. La psicologia junghiana si è occupata di miti e fiabe in quanto venivano considerate il miglior modo per studiare l’anatomia della mente. La struttura fondamentale del mito o i suoi elementi archetipici, a differenza della fiaba, che non è rivestita di un significato culturale, sono elaborati in modo da essere legati alla coscienza collettiva culturale della nazione in cui hanno origine. Pertanto, il mito è più vicino alla coscienza e al materiale storico conosciuto, e anche la sua interpretazione risulta più facile perché è meno frammentario.
La fiaba secondo Bettelheim
Il compito più importante e anche il più difficile che si pone a chi alleva un bambino è quello di aiutarlo a trovare un significato alla vita. Per arrivare a questo sono necessarie molte esperienze di crescita. Il bambino, man mano che cresce, deve imparare gradualmente a capirsi meglio; in questo modo diventa maggiormente capace di comprendere altre persone, e alla fine può entrare in rapporto con i loro modi che sono per entrambe le parti soddisfacenti e significativi.Per trovare il significato più profondo, bisogna diventare capaci di trascendere gli angusti confini di un’esistenza egocentrica e credere di poter dare un importante contributo alla vita, se non subito almeno in futuro più o meno lontano. Per non essere alla mercé dei capricci della vita, bisogna sviluppare le proprie risorse interiori, in modo che le proprie emozioni, la propria immaginazione e il proprio intelletto si sostengano e si arricchiscano scambievolmente. I nostri sentimenti positivi ci danno la forza di sviluppare la nostra razionalità; soltanto la speranza nel futuro può sostenerci nelle avversità che inevitabilmente incontriamo.
Nulla è più importante dell’impatto dei genitori e di altre persone che si prendono cura del bambino. Perché una storia riesca realmente a catturare l’attenzione del bambino, deve divertirlo e suscitare la sua curiosità. Ma per poter arricchire la vita, deve stimolare la sua immaginazione, aiutarlo a sviluppare il suo intelletto e chiarire le sue emozioni, armonizzarsi con le sue ansie e aspirazioni, riconoscere appieno le sue difficoltà, e allo stesso tempo suggerire soluzioni ai problemi che lo turbano. In breve, essa deve toccare contemporaneamente tutti gli aspetti della sua personalità, e questo senza mai sminuire la gravità delle difficoltà che affliggono il bambino, anzi prendendone pienamente atto, e allo stesso tempo deve promuovere la sua fiducia in sé stesso e nel suo futuro.
A livello manifesto, le fiabe hanno poco da insegnare circa le specifiche condizioni della vita odierna in quanto esse sono state create molto prima. Ma esse possono essere più istruttive e rivelatrici circa i problemi interiori degli esseri umani e le giuste soluzioni alle loro difficoltà in qualsiasi società, di qualsiasi altro tipo di storia alla portata della comprensione del bambino. Dato che il bambino in ogni momento della sua vita è esposto alla società in cui vive, imparerà senza dubbio a destreggiarsi con le condizioni che le sono proprie, posto che le sue risorse interiori glielo permettano.
Dato che la vita è spesso sconcertante per lui, il bambino ha un bisogno ancora maggiore di poter acquisire la possibilità di comprendere sé stesso in questo complesso mondo con cui deve imparare a venire a patti. Il bambino ha bisogno di un’educazione morale che sottilmente, e soltanto per induzione, gli indichi i vantaggi del comportamento morale, non mediante concetti etici astratti ma mediante quanto gli appare tangibilmente giusto e quindi di significato riconoscibile. Il bambino trova questo tipo di significato attraverso le fiabe. Il messaggio che le fiabe inviano al bambino è questo: “una lotta contro le difficoltà della vita è inevitabile, è una parte intrinseca dell’esistenza umana, che soltanto chi non si ritrae intimorito ma affronta risolutivamente avversità inaspettate e spesso immeritate può superare tutti gli ostacoli e alla fine uscire vittorioso”.
Il bambino ha bisogno soprattutto di ricevere suggerimenti in forma simbolica circa il modo in cui poter affrontare questi problemi e arrivare senza danni alla maturità. Applicando il modello psicanalitico della personalità umana, le fiabe recano importanti messaggi alla mente conscia, preconscia e subconscia, a qualunque livello ciascuna di esse sia funzionante in quel dato momento. Queste storie si occupano di problemi umani universali, soprattutto di quelli che preoccupano la mente del bambino, e quindi parlano al suo Io in boccio e ne incoraggiano, lo sviluppo, placando allo stesso tempo pressioni preconsce e inconsce. Le storie, nel loro svolgimento, ammettendo a livello conscio e manifestano le pressioni dell’Es, e indicano dei modi per soddisfare quelle che sono in accordo con le esigenze dell’io e del Super Io.
La fiaba e il conflitto edipico
Il conflitto edipico consiste nella seconda fase da superare da parte del bambino. Perché questo avvenga il bambino deve liberarsi dal potere che i genitori hanno su di lui e dal potere che egli ha conferito loro, motivo della sua ansia e del suo bisogno di dipendenza, nonché del suo desiderio che essi gli appartengano per sempre, così come egli sente di essere appartenuto a loro. Durante il conflitto edipico, il bambino prova risentimento nei confronti del padre che gli impedisce di ricevere attenzione esclusiva della madre; sarà inutile spiegare al bambino che un giorno crescerà, si sposerà e sarà come suo padre, sarà invece molto utile la fiaba che suggerirà al bambino come vivere questa situazione. Un esempio è la tipica fiaba nel quale l’eroe mette in discussione sé stesso, si avventura nel mondo e dopo aver ucciso draghi, aver risolto enigmi ed essere sopravvissuto grazie al suo ingegno, libera la bellissima principessa, la sposa e vivranno per sempre insieme felici e contenti.La storia fa capire che non è il padre che impedisce al ragazzo di avere la madre ma il drago malvagio, ed è quest’ultimo che deve essere ucciso. Inoltre, la fiaba svela che non è la madre che l’eroe vuole con sé ma una ragazza bellissima che non ha ancora incontrato, ma che in futuro incontrerà. In questo modo il bambino può tornare ad amare il padre dopo aver scaricato la sua collera contro il drago.
Diversi sono i problemi edipici di una bambina e pertanto saranno altre le fiabe che la aiuteranno da affrontare il suo conflitto edipico. Ciò che impedisce alla bambina di vivere un tranquillo rapporto con il padre è una donna più anziana e male intenzionata (rappresentata nelle fiabe dalla matrigna), ma visto che la bambina desidera continuare a ricevere le amorevoli cure della madre c’è anche una donna buona (rappresentata dalla vera madre che come nel caso di Cenerentola è morta, ma il suo ricordo è tenuto vivo). Il padre invece, nelle fiabe, è rappresentato come un uomo buono ma incapace di aiutare la sua bambina perché incapace di tener testa alla matrigna.
Infine, la bambina ama vedersi come la giovane e bella fanciulla tenuta prigioniera dalla malvagia figura femminile, che le impedisce l’incontro col suo principe. In questo modo la bambina amerà ancora di più il padre, poiché giustifica il fatto di non essere preferita dalla madre. Allo stesso modo però può amare la madre perché odia la matrigna, che riceve quanto si merita. Simili fantasie offerte dalle fiabe, possono aiutare molto un bambino a superare la sua angoscia edipica, e per questo capire quando è il momento giusto per fare le sue scelte da solo, senza così l’aiuto dei suoi genitori.
La fiaba è un aiuto, un suggerimento per la crescita, senza consigliare o pretendere questo processo. Tutto è detto in forma simbolica e avverte il bambino di alcune trappole che può incontrare così da poterle evitare.
Qual è la funzione della fiaba?
I bambini trasfigurano la realtà, la quale viene presentata e vissuta attraverso due realtà: la prima è l’aspetto magico, la seconda è l’aspetto egocentrico. Con la prima dimensione, quella magico-animistica, le cose sono animate e agiscono “come se” in loro vi fossero intelligenza, sentimento, energia e volontà che si trovano nell’uomo, vale a dire nel bambino stesso. È facile, allora, per il bambino proiettare le cose, specie se animali, la gamma di sentimenti e di dinamiche proprie. Attraverso questa dimensione, i bambini si riconoscono nei vari personaggi, perché a loro attribuiscono i propri sentimenti interiori.Tale rapporto di identificazione è il vedersi riflesso nel comportamento dei personaggi delle fiabe senza per percepirlo come riflesso ma come se fosse un fatto reale, oggettivo, che permette al bambino di percepire ciò che avviene nella sua interiorità, come qualcosa che avviene come fatto reale, esterno, oggettivo e indipendente da lui. Ne deriva che egli coglierà la presenza di atteggiamenti psichici propri senza accorgersi che sono suoi, ma addirittura si sentirà immune da esse coscientemente perché sono vissuti dagli altri, e quindi esterni a lui.
Dall’altra parte, invece, abbiamo la dimensione egocentrica, che fa stabilire immediatamente l’equazione della “possibilità” che gli atteggiamenti “possono” essere anche suoi, partecipando ad essi come possibili. Vi è perciò una circolarità tra i dinamismi attribuiti agli altri e negli altri e quelli possibili in lui stesso. Questa possibilità è inconscia, mentre il grado di realtà fuori, negli altri, è maggiore quando è attuato, il grado di realtà quando è interiore è minore. La favola, frutto dell’immaginazione, diviene quindi il linguaggio dell’inconscio, perché l’immaginazione è possibilità e la favola è possibilità in azione, secondo canoni di logica immaginativa. Essa non ha il compito di spiegare, insegnare circa le condizioni di vita della società in cui il bambino vive, ma cerca di aiutarlo a capire sé stesso nel tumulto dei sentimenti che prova e di cercare di spiegare e dargli un senso. Attraverso essa il bambino comprende che le difficoltà della vita sono inevitabili, sono parte intrinseca dell’esistenza umana e soltanto chi non si ritrae, ma cerca di affrontarle, può superare gli ostacoli che la vita stessa da e risultarne il vincitore.
Il bambino ha bisogno, soprattutto, di simboli circa il modo in cui affrontare questi problemi e arrivare senza danni alla maturità. I personaggi della fiaba rappresentano il dualismo, il dilemma esistenziale, tra il bene e il male. Il male non è privo delle sue attrattive e spesso ha la meglio nella fase iniziale del racconto, ma alla fine il bene, quindi, l’eroe, trionfa: il bambino si identifica in lui e con lui accetta l’idea di sopportare prove e tribolazioni. I profondi conflitti interiori originati dagli impulsi primitivi e dalle emozioni violente sono spesso negati e repressi dalla cultura infantile e dall’educazione: il più delle volte, il bambino è incapace di esprimere questi sentimenti a parole ma riesce a farlo indirettamente attraverso il comportamento. La fiaba considera molto seriamente le sue ansie e i suoi timori, ad essi s’ispira offrendo soluzioni comprese dal bambino in base all’età e al proprio sviluppo intellettivo. Egli può ricavare liberamente un significato corrispondente ai problemi vissuti in quel momento, senza preoccupazioni di sorta circa “l’imparare la soluzione”, intesa come risposta esatta.
Essendo la fiaba orientata verso il futuro, lo aiuta ad abbandonare i suoi desideri infantili di dipendenza e a raggiungere un’esistenza completamente indipendente; gli permette di conoscersi e favorire lo sviluppo della sua personalità perché i processi interiori sono esteriorizzati e diventano comprensivi, così come sono rappresentati dai personaggi della storia e dai suoi eventi. A differenza di qualsiasi altra forma letteraria, la fiaba indirizza il bambino verso la scoperta della sua identità, suggerendo esperienze importanti e necessarie per sviluppare il suo carattere attraverso l’accettazione del rischio e della lotta per superare le frustrazioni, ma anche l’abbandono dell’idea di rassegnazione alle avversità e al destino. Da solo il bambino non è ancora in grado di ordinare i propri processi interiori e di darvi un senso.
Le fiabe offrono dei personaggi in cui il bambino può esteriorizzare quanto avviene nella sua mente in modo incontrollabile. Le fiabe mostrano al bambino come può dar corpo ai suoi desideri distruttivi in un solo personaggio, ricevere desiderate soddisfazioni da altro, identificarsi con un terzo, avere attaccamenti ideali con un quarto e così via, a seconda dei suoi bisogni in quel momento. Mentre il bambino ascolta la fiaba riceve idee sul modo di mettere ordine in quel caos che è la sua vita interiore. Lo stesso Freud non trova modo migliore per dare una spiegazione alla mescolanza di contraddizioni che coesistono nella mente umana, e pertanto crea dei simboli per aspetti isolati della personalità: Io, Es e Super-Io. Però bisogna ricordare che la percezione che queste esteriorizzazioni sono fittizie, utili soltanto per l’individuazione e la comprensione dei processi mentali. I personaggi delle fiabe si muovono in modo tale da suggerire al bambino quali sono i successivi passi da muovere verso la maturità.
La fiaba attiva la fantasia?
Uno dei temi più importanti in psicologia infantile è proprio lo sviluppo della creatività del bambino, e del valore che il lavoro creativo ha per lo sviluppo complessivo. Nella produzione mentale del bambino, dai tre ai sei anni di vita, si possono distinguere funzioni proprie dell’attività intellettuale e del pensiero, e funzioni proprie dell’attività fantastica. La produzione fantastica è data da rappresentazioni mentali, da immagini, derivate dalla realtà e trasfigurate. Esse si muovono, assumono forma e vita propria, si scompongono in elementi più semplici e si ricompongono in unità complesse e diverse dalle precedenti. È questo un’inarrestabile ed infinito gioco di produzione immaginaria cui sono associate sensazioni, emozioni e profondi turbamenti dell’animo infantile.Le forme della fantasia sono presenti nei presenti nei pensieri dei bambini, nelle fiabe, nei giochi che essi sviluppano, sia singolarmente, sia in gruppo. L’attività fantasia svolge una funzione equilibratrice nel complesso sistema della vita psichica del soggetto. Venendo a contatto con la realtà, il bambino si imbatte in una serie di difficoltà e d’avversità che vive in modo drammatico, sperimentando l’asprezza e la violenza del mondo.
Emergono, inevitabili, delle frustrazioni che potrebbe portare il soggetto a concepire il reale in modo ineluttabilmente pericoloso ed ostile. Ma la fantasia permette al bambino di rendere flessibili ai propri desideri e alle proprie aspettative le manifestazioni reali, attraverso la trasformazione fantastica dei dati, degli oggetti e delle vicende concrete. In tal modo la durezza e l’aggressività del mondo vengono ammorbidite, modificate, e il bambino trasforma il reale in una serie infinita di fatti immaginari, soddisfacenti e piacevoli.
L’animismo infantile è un modo di leggere il reale. I bambini “danno vita” a cose inanimate trasfigurandole secondo i loro bisogni interiori e i loro desideri. Con la fantasia, il reale pericoloso e avverso viene esorcizzato e in tal modo vengono neutralizzati conflitti e frustrazioni. Inoltre, la fantasia permette di evocare situazioni felici e rassicuranti, permette al bambino di “giocare” con i suoi fantasmi e di sistemarli in vicende gradevoli o sgradevoli, con sicure vittorie conclusive. In tal modo il bambino appaga desideri nascosti difficilmente realizzabili. L’elemento magico è una creazione diretta a controllare, a proprio piacere, il mondo reale ed a piegarlo alle proprie aspettative. Nel mondo della fantasia l’inverosimile e l’incredibile diventano possibili e realizzabili. Con la fantasia, il mondo esterno e quello interno perdono i rispettivi confini, s’intersecano e si mescolata.
Il mondo della fantasia si carica di elementi concreti e il mondo reale viene trasfigurato. Il bambino è solito dividere sia il mondo reale che quello fantastico in due parti: da una parte ci sono i buoni, dall’altra ci sono i cattivi. I buoni sono persone, animali, oggetti, immagini, elementi che danno sicurezza, affidamento, aiuto, amore, protezione; i cattivi sono persone, animali, oggetti ed elementi che sono ostili, malvagi, e provocano danno, aggressività, pericolo.
La divisione del mondo reale o immaginario nelle due categorie dei buoni e dei cattivi è una costante che si ritrova in ogni tempo. Il potere della fantasia è quello di inventare situazioni e fatti che sono favorevoli al bambino: egli crea e trasforma questo mondo a suo piacere, secondo i suoi sconfinati desideri e le sue innumerevoli esigenze. La fantasia colma le enormi lacune nelle conoscenze di un bambino, che sono dovute all’immaturità del suo pensiero e alla mancanza di adeguata informazione. Il bambino normale inizia la sua fantasia con alcuni frammenti di realtà osservati in modo più o meno corretto che possono evocare in lui bisogni o ansie così violenti da coinvolgerlo totalmente. Le fiabe, come le fantasie del bambino, iniziano di solito in modo molto realistico: una madre che dice a sua figlia di andare a trovare la nonna; due coniugi poveri che non sono in grado di sfamare i loro figli: la storia inizia con una situazione reale e problematica.
Un bambino posto di fronte a sconcertanti problemi ed eventi quotidiani è stimolato da questo tipo di educazione a comprendere il come e il perché di certe situazioni. Ma dato la sua razionalità esercita ancora uno scarso controllo sul suo inconscio, verrebbe sopraffatta da ansie, speranze, paure, desideri, amori e avversioni, che vanno ad intrecciarsi con tutti quelli che possono essere i primi pensieri del bambino. La fiaba anche se può partire dal suo stato d’animo, dalla condizione psicologica del bambino, non prende mai l’avvio dalla sua realtà fisica. La fiaba comunica fin dall’inizio, con tutto il suo svolgimento e il suo finale, che le vicende che ci vengono narrate non sono fatti tangibili e non hanno a che fare con persone e luoghi reali.
L’indeterminatezza della fiaba indicata con le formule “C’era una volta …”, “In un certo/lontano paese”, simbolizza che stiamo lasciando il mondo concreto della realtà di tutti i giorni. La fiaba parte da un inizio semplice e banale verso eventi fantastici, ma per quanto ampie le digressioni il filo della storia non va perso. Dopo aver fatto viaggiare il bambino in un mondo meraviglioso, alla fine la storia lo riconduce alla realtà, e in modo molto rassicurante. “Ciò gli insegna che lasciarsi trasportare dalla fantasia non è dannoso, purché non si rimanga prigionieri”. Il bambino ha bisogno di essere rassicurato che la sua necessità di abbandonarsi alla fantasia, o la sua capacità di cessare di farlo, non costituisce un difetto.
Bibliografia
- Dieckmann H. Fairy-tales in psychotherapy. J Anal Psychol. 1997 Apr;42(2):253-68.