Perché si opera la tiroide?
Negli anni recenti notevole importanza hanno rivestito l’impiego della scintigrafia e dell’ultrasonografia.
In un passato neanche troppo lontano, i motivi che portavano il paziente affetto da gozzo all’osservazione dell’internista e/o del chirurgo erano soprattutto meccanici (compressione e/o dislocazione) od estetici.
L’affinamento delle metodiche diagnostiche ha consentito di svelare lesioni tiroidee in una fase più precoce e, pertanto, di migliore curabilità. Mentre prima, infatti, era più frequente osservare ed operare gozzi di voluminose proporzioni, accade più spesso oggi al chirurgo di operare forme nodulari di piccole dimensioni, con qualche riserva per le aree ad alta endemia gozzigena (Sicilia, Sardegna, parte della Calabria) dove, ancora oggi, è frequente l’osservazione di gozzi inveterati, di voluminose dimensioni.
Quando è il caso di operare?
Le forme nodulari cistiche solitarie sono divenute di più frequente riscontro, grazie soprattutto all’ultrasonografia che consente non solo di precisare la struttura della lesione nodulare (solida, liquida, mista), ma anche di rilevare altre lesioni concomitanti altrimenti passate inosservate all’esame clinico ed all’indagine scintigrafica.
Se si tiene presente che nello studio di queste forme viene impiegata la cito-biopsia aspirativa con ago sottile (FNAB), che consente di definire l’esatta natura istologica del nodulo tiroideo,con una accuratezza diagnostica del 90% circa, ci si puo’ rendere conto degli importanti progressi compiuti nella scelta del trattamento piu’ idoneo di queste lesioni tiroidee. Ritengo che, per il trattamento delle formazioni cistiche solitarie, trovi indicazione, in prima istanza, un trattamento conservativo. Se, infatti, all'agobiopsia il contenuto della cisti risulta costituito da liquido limpido e l’esame citologico fornisce la prova di una lesione benigna, è opportuno sottoporre il paziente a trattamento medico (L-tiroxina + antiinfiammatori) e successivi controlli. In presenza di liquido emorragico o di recidiva (dopo agoaspirato e terapia medica), invece, si impone l’indicazione all’intervento chirurgico di lobectomia. Anche dopo lobectomia consiglio al paziente di continuare con la terapia soppressiva con L-tiroxina, pur non essendo definitivamente provata la reale efficacia di questo trattamento nel preservare il residuo tiroideo da recidive.
Per quanto riguarda la terapia dei gozzi multinodulari, ormai, è opinione comune che l’intervento di tiroidectomia totale sia l’intervento più indicato in grado di prevenire le recidive e di una possibile degenerazione neoplastica del parenchima residuo.
Come si interviene quando il nodulo è “caldo”?
Nell’ambito della patologia tiroidea “calda” l’indicazione all’exeresi chirurgica si estende a diversi quadri:
- Morbo di Basedow per la quale il trattamento tireo-soppressivo non sembra garantire risultati definitivi e nella quale, invece, il trattamento chirurgico offre maggiore garanzia di guarigione definitiva, con rischi di morbilità e mortalità irrilevanti, soprattutto dopo adeguato trattamento pre-operatorio;
- l’adenoma solitario o multinodulare “tossico” (Morbo di Plummer);
- i gozzi multinodulari inizialmente eutiroidei diventati tossici successivamente.
Che terapia seguire per i noduli solidi “freddi”?
Il nodulo solido “freddo” pone, invece, dei problemi particolari nella scelta della strategia terapeutica. La frequenza di tale patologia nelle aree endemiche e la potenzialità di una lesione maligna meritano una particolare attenzione. Bisogna tenere presente che, nelle aree endemiche, la presenza di tireopatie nodulari solide scintigraficamente “fredde” è abbastanza frequente. Nelle regioni a gozzismo endemico, aree nodulari fredde uniche o multiple sarebbero presenti in ogni tiroide. In realtà, l’incidenza del cancro su noduli “freddi” solitari varia da regione a regione ma, mentre nelle aree non endemiche la lesione scintigraficamente “fredda” è frequentemente maligna, non altrettanto può dirsi per le regioni ad endemia gozzigena.
Per lo studio di queste forme riveste particolare importanza la citobiopsia aspirativa (FNAB). Questa, se eseguita da mani esperte, fornisce una attendibilità di più del 90% dei casi. Per questa patologia viene eseguita la emitiroidectomia nei casi di lesioni benigne solitarie o multiple e la tiroidectomia nelle forme diffuse o neoplastiche.
Che rischi ci sono con l'operazione alla tiroide?
Nell’ambito della patologia tiroidea di interesse chirurgico, il gozzo recidivo rappresenta una affezione che, pur nella sua relativa rarità, comporta non pochi problemi rappresentati soprattutto dalle difficoltà tecniche del reintervento, ma anche dal volume che sgli stessi gozzi raggiungono nei pazienti.
Questi saranno sfiduciati sia dal risultato del primo intervento, procrastinando il reintervento, che dalla maggiore frequenza di gozzi a sviluppo mediastinico, ma anche per l’ostacolo opposto a livello cervicale dello struma dalle cicatrici chirurgiche del pregresso intervento. Le cause della recidiva sono, a tutt'oggi, oggetto di discussione.
Come risolvere il problema del gozzo?
Alcuni sostengono che soprattutto per i gozzi iperfunzionanti, rivesta notevole importanza la tecnica chirurgica adottata nel corso del primo intervento (resezione molto limitata in quanto nel secondo intervento si possono notare i normali piani di clivaggio; i poli superiori della ghiandola integri ed in situ e dalla mancata legatura degli ili vascolari). Senza voler escludere l’azione dei vari fattori di crescita, nella genesi del gozzo recidivo giocano un ruolo determinante gli interventi conservativi (enucleazione ed enucleoresezione). In caso di gozzo recidivo l’intervento di scelta è rappresentato dalla tiroidectomia, oltre che per motivi di radicalità, anche per la possibile presenza di aree già neoplastiche nel contesto del tessuto recidivo.
I gozzi endotoracici, che vengono osservati in soggetti al di sopra dei 65 anni, rappresentano, per il chirurgo, un capitolo di particolare interesse. Pur presentando un andamento benigno e in certi casi addirittura asintomatico, quasi sempre causano gravi complicanze (compressione,dislocazione), tali da richiedere alcune volte l’intervento d’urgenza.
Nel campo del cancro tiroideo si è osservato soprattutto le forme papillifere che, come ormai accertato, sono le più frequenti in regioni ad endemia gozzigena. Essi decorrono spesso in modo asintomatico o sfuggono all’esame ecografico e/o scintigrafico. Il loro riscontro avviene, inoltre, nel corso dell’esame istologico post-operatorio del pezzo asportato. In prima istanza venivano trattati con la lobectomia, perché insospettati, successivamente sono stati sottoposti a totalizzazione.
Cosa fare in caso di tumore alla tiroide?
Prima di concludere, voglio fare alcune considerazioni. La prima riguarda il trattamento chirurgico del cancro tiroideo che, qualunque sia la natura istologica e l’estensione, deve consistere sempre nella tiroidectomia. Sostengo la tiroidectomia non solo perché in presenza di noduli neoplastici, anche di tipo papillifero, apparentemente ben delimitati, l’esame istologico dimostra lo sconfinamento della neoplasia nel tessuto tiroideo circostante. La sostengo anche per la frequente - ed oramai riconosciuta - multifocalità del tumore e la sua facile diffusione sia attraverso la rete linfatica che quella vascolare di cui è ricca la ghiandola.
L’exeresi di tutto il tessuto tiroideo consente un migliore risultato del trattamento con radioisotopi di eventuali metastasi captanti.
Come si cura un nodulo benigno?
A parte le tireopatie cistiche solitarie benigne che meritano di essere trattate in prima istanza con cito-biopsia aspirativa (FNAB), associata a terapia antiinfiammatoria e tireosoppressiva (L-T4), sono ormai convinto che in tutte le situazioni di gozzo benigno, adenomi solitari inclusi, la terapia deve basarsi su interventi chirurgici radicali:
- lobectomia, per le forme unilobari;
- tiroidectomia, per le forme diffuse, per i gozzi recidivi e per i cancri.
A questo convincimento sono arrivato dopo che, rivedendo da un lato gli interventi dei primi anni della attività chirurgica, quando cioè i gozzi nodulari venivano trattati con le enucleazione o con la enucleoresezione e, dall’altro, lo studio istologico dei lobi tiroidei asportati per gozzo nodulare, ha dimostrato la costante coesistenza di micronoduli in seno al tessuto tiroideo apparentemente sano.
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