Fegato e cancro del colon-retto

Il fegato è il sito metastatico principale del cancro colorettale: il 15-25% dei pazienti presenta già metastasi epatiche al momento della diagnosi del tumore primitivo (metastasi sincrone); un ulteriore 20% di pazienti presenta metastasi epatiche successive alla diagnosi di cancro colorettale (metastasi metacrone).

La sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi di metastasi epatiche, in assenza di trattamento chirurgico, è inaccettabilmente bassa, attestandosi su valori dello 0-1%. Come pure deludenti sono i risultati di una resezione epatica non radicale, dopo la quale persiste la presenza di neoplasia nel fegato: in questo caso gravano sul paziente tutti i rischi della chirurgia e dell’anestesia generale, senza alcun beneficio, essendo la sopravvivenza a 5 anni dello 0%.

Illustrazione 1 - Chirurgia Generale

 

Quali sono gli esami diagnostici da eseguire?


Scarsi sono i risultati della sola chemioterapia, senza chirurgia, con l’1-3% dei pazienti in vita dopo 5 anni. Solo dopo resezione chirurgica radicale (R0), senza residui neoplastici epatici, la sopravvivenza a cinque anni è compresa tra il 25% e il 60%.Lo studio preoperatorio del paziente inizia con l’ecografia, che è spesso all'origine della scoperta delle metastasi. 

L’ecografia, se eseguita con mezzo di contrasto (CEUS), permette di diagnosticare correttamente le lesioni epatiche con un’accuratezza che supera il 90% dei casi. La TAC toraco-addominale con mezzo di contrasto e volumetria epatica, eventualmente integrata con la Risonanza Magnetica del fegato, è indispensabile per pianificare l’intervento chirurgico e fornisce informazioni importanti sulla realizzabilità dell’intervento chirurgico radicale e sul volume del fegato sano residuo a fine intervento. 

Una volta eseguito l’esame, il chirurgo potrebbe informare il paziente (consenso informato all’intervento chirurgico) su quello che, verosimilmente, comporterà l’intervento chirurgico. La PET ha un ruolo nella determinazione della presenza o meno di malattia extraepatica, come linfoadenopatie, metastasi a distanza (polmonari), segni precoci di carcinosi peritoneale. Gli esami ematici e i test funzionali (ricordiamo il test di clearance del verde di indocianina) forniscono informazioni sulle capacità metaboliche del fegato affetto da metastasi e sulla sua capacità rigenerativa e quindi sulla teorica possibilità che il fegato sano, residuo dopo l’atto chirurgico, riesca a far fronte alle necessità dell’organismo.

L’ultima parola, anche in termini diagnostici, tocca però al chirurgo, il quale esegue l’ecografia intraoperatoria (IOUS), con la sonda ecografica direttamente a contatto col fegato. In questa fase dell’intervento, il chirurgo può identificare lesioni epatiche sconosciute preoperatoriamente, con diametro anche inferiore al centimetro. La resezione epatica ecoguidata consente il raggiungimento di margini di resezione liberi da malattia (resezione epatica radicale, R0). 
 

Perché è importante intervenire?

La presenza di malattia extraepatica, locoregionale (infiltrazione di organi vicini) e/o a distanza (metastasi polmonari), oggi non deve più essere considerata una controindicazione assoluta alla chirurgia. La convinzione che si possano candidare a resezione radicale solo i pazienti con malattia metastatica localizzata esclusivamente al fegato deriva da una tesi biologicamente sbagliata, quella che, in assenza di lesioni extraepatiche, il fegato abbia agito da filtro, arrestando il passaggio delle cellule neoplastiche nella circolazione sistemica.

In realtà, la presenza di cellule neoplastiche circolanti nel sangue, nel midollo osseo e nelle stazioni linfonodali è stata dimostrata anche in assenza di malattia extraepatica. Di conseguenza, ritenere operabili i pazienti con malattia metastatica limitata al fegato e non candidare all’intervento quelli con associato interessamento extraepatico equivale a una discriminazione arbitraria priva di fondamento scientifico.

L’unico fattore condizionante, biologicamente fondato, è la possibilità di resezione oncologicamente completa (senza residui neoplastici sui tessuti sottoposti a resezione) delle metastasi epatiche e di quelle extraepatiche. A tali condizioni, il chirurgo francese Elias ha riportato percentuali di sopravvivenza a 5 anni attorno al 30%.

In presenza di metastasi epatiche colorettali associate a malattia extraepatica resecabile, un trattamento chirurgico aggressivo rappresenta l’unica cura potenzialmente in grado di garantire una sopravvivenza a medio-lungo termine del paziente. Se la disseminazione della malattia prescinde dalla presenza o assenza di lesioni extraepatiche, l’atteggiamento corretto risulta quello di considerare l’intervento chirurgico radicale come il passaggio obbligato, opportunamente associato alla chemioterapia, per eradicare tutta la malattia, nelle sedi evidenziate dallo studio preoperatorio e dal chirurgo in sala operatoria, e, grazie all’intervento dell’oncologo, nelle sedi di potenziale impianto delle cellule comunque sfuggite al filtro epatico.

 

Bibliografia

  • Akgül Ö, Çetinkaya E, Ersöz Ş, Tez M. Role of surgery in colorectal cancer liver metastases. World J Gastroenterol. 2014 May 28;20(20):6113-22.
  • Engstrand J, Nilsson H, Strömberg C, Jonas E, Freedman J. Colorectal cancer liver metastases - a population-based study on incidence, management and survival. BMC Cancer. 2018 Jan 15;18(1):78.